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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Elisabetta Tagliati
Titolo: Oltre l'Abisso
Genere Fantasy
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Oltre l'Abisso
Si avvicinava la ricorrenza di Lughnasadh: quattro piccole tribù celtiche situate tra le colline avevano deciso di riunirsi per l'occasione. Scelsero un luogo che le accomunasse in quanto parte dei loro confini e che, per la sua grande energia, si rivelasse propizio all'incontro e alle celebrazioni. Si trattava di uno spiazzo erboso a picco sull'acqua, un panorama speciale
per quelle zone; nei lunghi tramonti estivi faceva sentire vicini agli Dei. Questi, anche quell'anno, dal cielo benedirono le famiglie con un raccolto abbondante.
Tutti erano in vena di festa, sia per l'importante celebrazione che per l'inaspettato spirito di comunità imperante tra i clan, molto diversi tra loro e, in tante situazioni, anche rivali. Per questo
la decisione di spartirsi il territorio aveva creato incertezze e titubanza – inizialmente proprio per la riottosità di alcuni – inconciliabile con l'ascetica spiritualità di altri.
Non sarebbe stato facile, ma fino a quel momento tutti stavano accampandosi con semplici tende nel vasto altopiano: le tribù restavano ordinatamente disposte ognuna presso il proprio capoclan, a discreta distanza dalle altre famiglie.
Tutti erano trepidanti per il giorno successivo, in particolare i bambini, ansiosi di poter ammirare alcuni personaggi già presenti nelle leggende che venivano narrate loro prima di dormire.
Il mio ceppo era costituito da persone bonarie e serene, dedite ai festeggiamenti e al consumo di bevande inebrianti. Eravamo molto coesi e vivevamo nella pace più assoluta. Le regole erano poche, raramente venivano sollevati conflitti e punizioni per argomenti religiosi o filosofici. Regnava il rispetto per i giusti e per coloro che con il proprio lavoro sopperissero all'incapacità di altri.
Era una vita come quella degli alberi, semplice, armoniosa e vera.
...E io venivo amata per questo.
Garantire il loro benessere era diventata la ragione della mia esistenza. Mio fratello abbandonò la famiglia alla ricerca di sé stesso e del proprio valore. Quando i miei genitori vennero a mancare il popolo si affidò a me, ancora inesperta ma dal carattere forte e determinato per sostenere una simile carica. Loro erano per me come figli, la mia più grande passione; cercavo in tutti i modi di soddisfarli, arrivando forse a viziarli.
...Io ero la capoclan.
Gli Dei sostennero il mio comando, garantendoci anni di duratura prosperità. In quel clima sviluppammo con grande impegno le nostre attività, tanto da lasciare solo una piccola e superficiale fetta di attenzione per quelle Entità che tanto ci stavano amando.
Io seguivo le regole della mia educazione, pregando nella solitudine del mio cuore. Non vedevo un senso nel forzare persone a inchinarsi a un dio senza la giusta propensione. Fu così che, liberati da tutti i piccoli rituali, la tribù iniziò a osservare le festività esclusivamente come momenti ricreativi e non privi di piccoli eccessi.
...E gli Dei giustamente chiesero pegno.
Lo chiesero a me, che ero responsabile della deriva del mio popolo e anche deturpata da una indelebile macchia: non aver contratto matrimonio, vivendo nel peccato insieme a un uomo: Makena.
Un uomo splendido, un singolarissimo capo dell'esercito.
Veniva da una famiglia solida ed era amato e rispettato da tutti per il suo valore, per l'alto senso di giustizia e per un rarissimo pragmatismo quasi ingegneristico. Quest'ultimo aveva permesso alle nostre produzioni agricole di migliorare in quantità e qualità rispetto a quelle dei nostri vicini, minimizzando la fatica e gli sforzi.
Makena non era una persona dal carattere autoritario, ma era pronto a sacrificare tutto ciò che aveva per coloro che amava.
Non conosceva paura né prepotenza e nemmeno violenza fine a sé stessa. Il nostro amore era naturale e pieno di gioia, il tempo trascorso insieme sempre prezioso, come anche il sostegno reciproco. Lui era il mio uomo e io la sua donna... e avrebbe dovuto essere così per sempre. La nostra relazione non era stata il frutto di una consapevole decisione. Ci conoscevamo e frequentavamo fin da bambini ed era naturale agli occhi di tutti che un giorno saremmo stati sposi.
Ero molto giovane quando l'inaspettata dipartita dei miei genitori mi portò al comando. Ero impreparata e indebolita da un intenso dolore e lui mi offrì un solido sostegno. Ogni giorno era al mio fianco, permettendomi di maturare nel mio ruolo senza incorrere in sconsideratezze, rese ancora più probabili dall'animo prostrato. Gradualmente la sua costante presenza nella mia casa finì per protrarsi anche alle notti, trasformando il nostro rapporto in una convivenza vera e propria; e io, intimamente, auspicavo anche una famiglia.
Ero certa che avremmo celebrato il matrimonio in un futuro non troppo lontano ma, nonostante fossero passati quasi due anni, sentivo il lutto ancora vicino per pensare di convolare a nozze e festeggiare. Makena, d'altro canto, ripeteva di non avvertire il bisogno d'altro. Lui non era il tipo di persona legato alla spiritualità e non vedeva motivi né priorità per ufficializzare il nostro stato, specie in quel momento in cui stava insegnando alla popolazione molte migliorie alle metodologie di raccolta e semina. Non aveva certo tempo per il folklore.
Ma gli dei chiesero pegno.
All'imbrunire erano iniziate le celebrazioni di Lughnasadh, la grande solennità estiva del raccolto. Quella notte i clan avrebbero osservato raccoglimento e preghiera sulla rupe, mentre all'alba del giorno successivo sarebbero iniziati i festeggiamenti, tra giochi, musica e banchetti. Speravo quella sarebbe stata una valida occasione per coltivare fratellanza con le altre tribù: erano così vicine a noi da rappresentare protezione e minaccia. Ognuna aveva caratteristiche proprie. Non poche volte in passato eravamo giunti a sanguinosi combattimenti per motivi futilissimi o di orgoglio. Io temevo quel fragile equilibrio. Sapevo di non godere della fiducia degli altri capiclan data la mia inesperienza e l'esagerata bonarietà; inoltre, non potevo vantare neanche il loro rispetto, visto lo stato della mia relazione. Mi ero impegnata all'inverosimile per realizzare quell'incontro di famiglie e, prima di tutto, di persone. Ero certa che conoscersi avrebbe ridotto la possibilità di conflitto. Non riuscivo a pensare che tutti quei fratelli e i loro figli potessero uccidersi tra loro. Ero tormentata da quell'incubo. In un certo senso realizzai il mio sogno di pace nel modo più perfetto. Ovviamente, non da sola.
La festa era già iniziata per la mia tribù. Ci eravamo riuniti nella nostra grande ma semplice tenda; sapevo già che vi avrebbero pernottato in molti: chi vinto dall'alcool e chi dal gioco e dallo spirito di sfrenata ebrezza.
Makena, a sua volta, stava godendo dello spirito goliardico che aleggiava e, nonostante il sole fosse ancora lontano dal tramontare, erano già notevoli i quantitativi di sidro, idromele e birra tracannati. Io non riuscivo a prendere parte alla festa: mi preoccupavo di non infastidire i restanti e più misurati clan i quali, come il sole, andavano stendendosi in raccoglimento. Volevo fosse chiaro ai loro occhi il nostro valore, guadagnando il loro rispetto. Dopotutto le nostre coltivazioni erano ormai più fruttuose delle loro, per di più potevamo vantare una cospicua produzione di cereali e raffinate bevande alcoliche, senza dimenticare l'esercito di soldati ben addestrati e bravissimi nella caccia.
Continuando a gozzovigliare, disturbando la loro meditazione, avremmo rischiato un conflitto proprio durante la grande festa.
Mi trovavo a fare queste riflessioni in solitudine. Mi sentivo abbattuta, tradita dai miei: da coloro che tanto amavo e dai quali ero a mia volta tanto amata e sostenuta. Allontanai tutti coloro che vennero a invitarmi per condividere il loro giubilo, chiudendomi in una preghiera preoccupata fino a che non calai in un sonno tormentato. Fu breve, ma di inspiegabile profondità.
Gli Dei mi parlarono, o forse loro mi avevano sempre parlato, ma io riuscivo ad ascoltarli solo in quel momento.
...E la loro voce mi faceva paura, le loro richieste mi riempivano di terrore e di ineluttabilità.
Per primo ricordai un giorno della mia prima infanzia, quando un vecchio – e non molto rispettato – profeta dichiarò che sarei stata la madre di un Semidio. Qualcuno che avrebbe riunito nella pace tanti clan riportandoli agli Dei e conseguentemente alla grandezza.
La mia famiglia, convinta che il potere si guadagni con il sangue, lo scacciò rimproverandogli di minacciare la serenità nella quale versavamo, temendo anche l'audacia con cui aveva accostato delle semplici persone agli Dei. Di quella profezia non parlò più nessuno.
La scena mutò in una silenziosa notte. Ero piena di terrore, vinta da un malessere e dalla sporcizia. Insieme a me un importante capo, anche lui giunto per celebrare Lughnasadh: Vessagh era il suo nome.
Lo sapevo essere uomo schivo e solitario, ma già oggetto di numerosi miti, tanto che molti lo ritenevano uno dei più grandi druidi viventi. Sembrava spingermi crudelmente dall'alta scogliera.
Poi il buio.
Mi svegliai di soprassalto, spaventata. Quello sperone di roccia, origine di gioia, comunità e speranza, era divenuto un incubo, un simbolo di peccato e penitenza. Certamente quell'uomo aveva abusato di me e stava eliminandomi perché ritenuta indegna al regnare. O forse io avevo tradito il mio amore inebriata da qualche magia o irretita dalla lussuria? Quell'ultimo pensiero mi appariva inconcepibile. Forse stava forzandomi a un rito di profonda purificazione che mondasse la mia carne? O che rendesse lecito davanti a tutti il mio regno? Chi mai sarebbe sopravvissuto a quel salto? Ne avevo sentito parlare solo in leggende, e anche in quei casi la sopravvivenza era più che rara.
Certo, io non ne sarei uscita viva. Si faceva avanti in me, però, un senso di urgenza, come se quello fosse il mio destino e il pegno richiesto dagli Dei. Mi sforzavo di riflettere, ma non capivo il nesso tra le visioni. Quel vecchio non aveva mai proferito una frase che fosse risultata vera... E se anche quello fosse stato il caso? Io non ero incinta di certo, né sarei sopravvissuta nel caso in cui lo fossi diventata seguendo la visione. Senza contare che non mi pareva proprio di essere il soggetto più idoneo a partorire un Semidio... E se anche fosse stato, nessuno ci avrebbe creduto.
Non avevo mai conosciuto personalmente Vessagh, temuto da tanti alla stregua di un potente e crudele stregone. Di lui si faceva parola, oltre che di alcune stranezze rituali, di aver fatto un totale voto di castità dalla più tenera età. Era intransigente con gli altri almeno quanto lo era con sé stesso.
Ero circondata da ombre nella mente. Nessuno dei miei poteva comprendermi, ormai erano lontani dal credere a un sogno, troppo razionali e puri, mentre io mi sentivo scaraventata in un inferno di fiamme invisibili e per questo ancora più intimamente ardenti.
Iniziavano ad allungarsi le ombre che ben presto mi avrebbero ghermito totalmente.
Luned, una fidata amica, mi risvegliò dal delirio. Mi aveva sentita sussurrare profezie, frasi interrotte in un misto di terrore e febbre. Esigeva delle risposte. Non mi rimase che raccontarle l'accaduto; facendolo, ritrovai una sorta di equilibrio, che persi non appena notai la sua reazione: era a conoscenza della profezia e mi confermò l'arcano e greve ricordo.
Lei apparteneva a una di quelle poche famiglie ancora legate alle nostre originali credenze e perciò dedita al preservare antichi rituali, tradizioni e miti. Quella profezia destava grande diffidenza nei miei confronti, perché gli altri clan temevano di perdere il proprio potere sovrastati da un Semidio. Anche i pochi della nostra tribù che ne erano a conoscenza, però, avevano iniziato a sospettare: quell'inedito avvicinamento di popoli, unito alla mancanza del matrimonio, sembrava un pretesto per entrare in contatto con altri personaggi di alto lignaggio.
...Essi sapevano che Makena non poteva essere il padre di questa creatura: il concepimento si sarebbe compiuto con una persona che “parla con gli Dei”, un Druido.
Ero sconvolta, ma lei mi consigliò di cercare serenità. Le coincidenze erano troppe e troppo fantasiose per non essere sistematica operazione divina. Mi disse che gli Dei non si potevano ignorare, né era possibile tirarsi indietro una volta al cospetto del loro volere: essi avrebbero trovato nuovi e sempre più violenti modi di anteporre la loro voce alle mie orecchie. Concluse sussurrando con dolcezza che anche Makena era conscio di questa profezia e, unito ai pochi che sapevano, temeva questo giorno come un incubo: perciò si era nascosto in maniera irresponsabile dietro l'ebbrezza. Come mi sentii sciocca: mi vergognai profondamente della mia ignoranza e delle sue conseguenze sulla pace dei miei cari.
Così solo io non ricordavo? Io che pensavo di aver rispettato, almeno nel mio intimo, il sapere del passato? Mi sentii così vuota, così insignificante. Una grande illusa. Ero totalmente alla mercé di qualcosa al di fuori di me. Non avevo mai nutrito tali ambizioni, né mire di gloria, non avevo motivi personali per seguire queste tracce di inadeguato cammino pur suggerito dagli Dei. Odiavo l'idea di fare un gesto così sporco, scorretto, tanto da portare davanti agli occhi la vergogna, la mia e quella di colui che amavo di più. No, sicuramente le cose erano da interpretare diversamente. Il significato sotteso era un altro, ma io non ero sufficientemente pura per intenderlo.
Gli occhi pii di Luned erano verdi e luminosi nel crepuscolo.
Sapevano che l'unica strada era il sacrificio: affrontare la richiesta degli Dei e forse guadagnare il perdono per aver allontanato la mia gente da loro. Io stessa, intimamente, sentivo che non c'erano errori. Quella prospettiva riguardava proprio me. Nonostante ciò, non riuscivo ad accettare quella voce. Quel sibilo orrendo, da troppo tempo silente, si era risvegliato come un demone che mi divorava dall'interno. Riconsiderai tutto questo a mente quasi lucida, concludendo che la prospettiva più positiva per me sarebbe stata la caduta mortale dalla rupe. Per un po' mi cullai nel pensiero di lanciarmi direttamente, ponendo fine a ogni dubbio e alla possibilità che la profezia si avverasse.
Non esistevano conferme a quelle parole arcane: i profeti avevano da lungo tempo dimenticato il nostro clan perché derisi e sottovalutati. Se la rivelazione fosse stata attendibile e io l'avessi ignorata, il mio popolo non avrebbe avuto altre occasioni di riconciliazione, anzi, sarebbe stato definitivamente abbandonato dagli Dei irati. In caso la divinazione fosse stata autentica, e io mi fossi prestata ad attuarla, la redenzione che ne sarebbe conseguita avrebbe portato a molto più di quello che avevamo mai sperato. Molto più di quello che io desideravo per tutte quelle anime, che si stavano avviando al riposo su una grande radura interrotta bruscamente da uno spaventoso abisso.
Non riuscivo a legare le informazioni ricevute, non riuscivo a sentirmi capace di muovere un passo. Era un incubo e io ne ero il motivo. Avevo creato tutto con leggerezza e ignavia, e stava a me riscattare quel piccolo popolo di ignari beoni.
Quando Luned si allontanò, ormai consapevole dell'irreparabilità delle conseguenze della mia visione, io stavo già pensando a come portare a termine quel delitto all'amore. Al mio e quello di Makena.
L'imbrunire avrebbe facilmente coperto i miei passi, così presi un mantello scuro e uscii a passo svelto senza farmi notare. Scivolai fuori dal nostro campo e m'incamminai, attenta a girare al largo delle tende degli altri clan, diretta verso l'ultimo, il quarto.
Esso era il più vicino alla rupe e quello il cui padiglione principale svettava come enorme e mirabile opera d'arte e d'ingegno.
Era la prima volta che vedevo quel piccolo abitato temporaneo: era sviluppato precisamente in un cerchio attorno a un enorme fuoco sempre acceso. I suoi confini erano delimitati ordinatamente da guardie a ogni ora della giornata. Il silenzio e il raccoglimento regnavano sovrani.
Sentivo ancora in lontananza gli schiamazzi dei miei fratelli che avrebbero passato la nottata nell'incoscienza (o forse l'incosciente ero io?): provai un lungo brivido di vergogna, confrontando il nostro atteggiamento a quella rituale regolarità e sicurezza.
Inoltrarmi nell'accampamento fu per me assai difficile, ma gli Dei mi aiutarono facendo avvicinare alcuni animali che destarono l'attenzione delle guardie, permettendomi così di addentrarmi e scivolare nella magnificente tenda. Entrai di colpo, perché non avevo tempo di rischiare di essere vista. Non avrei saputo cosa rispondere se mi avessero fatto domande, col risultato che sarei stata incolpata della trasgressione di una qualche regola o almeno di avere un'intenzione maligna. Sapevo che farmi strada in quelle condizioni non era confacente a persone del mio rango... D'altra parte la situazione era troppo imbarazzante e urgente per attendere di presentarmi il giorno successivo in una visita ufficiale, a maggior ragione se dovevo recarmi da una persona così sistematica e mistica. Follia.
Per fortuna la tenda sembrava deserta. Era enorme, e un sottile muro di pietre le faceva da recinto fino a un'altezza media.
Dall'alto pendevano dei candidi veli che coprivano, sostenuti da grandi travi, tutti gli ambienti, a loro volta separati da altri teli.
Si trattava di una costruzione incredibilmente alta, inaudita per me.
Quella tenda emanava sacralità e odori di incensi e composti rituali. C'erano numerosi oggetti cerimoniali che non avevo mai visto prima, in particolare una moltitudine di simboli legati al fuoco; ma a parte queste cose la tenda era priva di oggetti personali e conteneva poco più di un letto e un tavolo. La struttura vantava una sorta di apertura che permetteva di vedere sempre l'acqua e lo strapiombo, di cui quello era l'edificio più prossimo.
Non era una vicinanza notevole, ma l'assenza di ostacoli tra quel luogo e il vuoto faceva sì che l'acqua placida brillasse tanto sotto di noi da sembrar esercitare un richiamo.
In quel momento mi bloccai. Placata la curiosità, restava solo la sensazione di essere una ladra in terra nemica, una clandestina dentro cui echeggiava una grandissima paura: finalmente realizzavo dov'ero e perché. E avrei voluto solo scappare. Così mi preparai per tornare sui miei passi, facendo ritorno al mio accampamento. Proprio allora sentii dei passi cadenzati e sicuri che mi fecero rannicchiare in un angolo vicino al muro, protetta dalle pietre di contorno. Il cuore mi batteva all'impazzata. Da quel momento la mia vita aveva preso una piega fatale.
Vessagh scostò velocemente il velo davanti all'ingresso mentre, rivolgendosi a sinistra, verso quello che doveva essere un soldato della sua scorta personale, chiese se fosse successo qualcosa; rispose in modo pomposo e con soddisfazione nella voce: - La capoclan dei Tallach vi attende all'interno - .
Ne fui sconvolta. Ero certa di essere giunta nella più totale segretezza, mentre era solo quello che mi avevano lasciato credere.
Iniziai a temere questo clan, come tanti già facevano. Si diceva che fossero persone infide, gonfie di ego, praticanti la magia e conoscitori profondi dell'anima umana, del corpo e della natura, tanto da poter sottomettere qualsiasi volontà alla loro.
Mi sentii profondamente spaventata. Sgomenta. Annichilita.
Mi torturerà e mi ucciderà – pensai – come fa con tutti gli infedeli del suo stesso sangue.
Non feci nemmeno in tempo ad alzarmi in piedi perché, persa nelle mie paure, lui aveva già varcato la soglia, scoprendomi con sorpresa nascosta in un angolo della sua casa. Un sottile e sinistro sorriso di compiacimento gli passò sul viso. Forse pensò che quello fosse il posto dove dovevo stare rispetto a lui: ai piedi, in un angolo. Lo temevo. Lo temevo moltissimo. E lo temo tuttora. Mi chiesi disperatamente se lui fosse al corrente della profezia che ci riguardava: pregavo perché mi dicesse che era falsa, lasciandomi far ritorno al mio clan a cuor leggero. Sentivo che non sarebbe andata in quel modo. Ero solita intuire tanto dell'anima di coloro che mi circondavano, ma lui era imperscrutabile; sentivo che stava passando in rassegna tutti i meandri della mia personalità come se mi leggesse dentro. Mi sentivo nuda e senza riparo da una sicura violenza, psicologica o fisica. Se lui avesse saputo... sarebbe stato terribile. Non potevo accettare l'idea di risultare ai suoi occhi come una femmina alla ricerca del piacere di alto rango. Mai mi sarei permessa di pensare una simile volgarità nel rispetto di entrambi, né mai l'avrei desiderata.
Niente, non riuscivo a capire se lui sapesse, ma ero determinata a non essere io colei che l'avrebbe informato.
Il suo fatuo ghigno si spense in fretta. Si sedette agilmente a terra di fianco a me, parlandomi molto semplicemente, ma in modo assolutamente perentorio: - Che ci fai qui? - .
- Non lo so. -
- Immaginavo che quelli del tuo clan non sapessero neanche cosa fanno, ma speravo almeno il loro capo pensasse di saperlo... -
- Ma non lo so. -
Così presa dal terrore non dovevo proprio sembrare una grande guida. Ricordai subito come l'unico motivo che l'avesse convinto a festeggiare Lughnasad con tutti noi fosse stato la presenza della rupe, elemento imprescindibile per i suoi riti, non certo la simpatia verso i cugini inferiori.
Vessagh, con fare autoritario e arrogante, passò in rassegna una buona quantità di difetti e stereotipi della nostra famiglia.
Quindi si dedicò a quelli riguardanti me, come ormai saprete, purtroppo per nulla in numero esiguo. Io non riuscivo a reagire, anche quando andava a colpire coloro che amavo, per i quali avevo dato tutta me stessa, la mia vera ragione di vita. Quell'uomo era tanto forte che, anche da rannicchiato, manteneva la stessa autorevolezza di quando in piedi con il suo bastone sembrava sfidare l'intero universo. Stava solo mettendomi alla prova per carpire le mie motivazioni: non era al corrente del mio arrivo né di quella profezia dimenticata che riguardava anche lui.
Dopo l'ennesima frecciata al mio comportamento, preludio alla decadenza morale, oltre che spirituale, dell'intera collettività, concluse lamentando che mi ero venduta alla terra, con una relazione sporca di fango e maledetta dagli Dei. Notando che le sue parole non destavano effetto, mutò il tono verso la cordialità. Io capivo il suo pensiero e comprendevo le sue convinzioni, frutto di lunghi studi e una ricercata disciplina ascetica per aprire la mente e parlare con gli Dei. Era un saggio, un illuminato, un mistico. Come avrebbe mai potuto concepire la mia pura innocenza, la mia sciocca ingenuità? Come avrebbe potuto scusarla? Sarebbe stato come chiedere agli Dei di comprenderci quando li dimentichiamo per un periodo. È imperdonabile!
Aveva avuto modo di intuire quanto non fossi pericolosa ma, distratta dalle sue parole, io stavo quasi dimenticandomi quanto invece potesse esserlo lui. Vidi che non succedeva nulla di speciale e desideravo sempre più andare a casa.
Avevo dato agli Dei la possibilità di prendersi la loro rivincita: essi mi avevano fatto ascoltare pietrificata la lista dei miei numerosi peccati e, dopo lo spavento e la vergogna, credevo potessi meritarmi il riposo e una festa gioiosa. Se avesse dovuto succedere qualcosa, lui lo avrebbe intuito, vista la sua limpida conoscenza degli arcani, ben lontana dalla mia frammentaria visione.
Il tempo mi era sfuggito dalle mani, così come anche la considerazione.
Pensai triste a coloro del mio accampamento che erano ancora lucidi: sicuramente stavano in pensiero per me, forse mi sarebbero andati a cercare... Era notte, quasi al suo apice, un momento pessimo per muoversi da soli. Mi feci coraggio e comunicai con noncuranza al druido il mio proposito di accomiatarmi.
Il suo viso si irrigidì e, mentre facevo per alzarmi, certa di non aver bisogno di un suo permesso, mi afferrò la mano con una velocità e una fermezza completamente inaspettata.
Non potevo andarmene. Ero stata io a farmi strada fino alla sua tenda e non me ne sarei andata, a notte fonda e in modo inappropriato, lasciando immaginare a tutti che avesse rotto il suo voto di castità. Se quella era una strategia per minare la sua posizione di rispetto, di integrità morale e spirituale, potevo stare certa che non sarei riuscita nel mio intento. La sua autorità era stata costruita con tempo e tanto impegno. Non si sarebbe frantumata per una stupida donna.
Le sue parole e ancor di più i suoi gesti erano eloquenti. Capì subito che gli Dei non erano per niente soddisfatti della mia missione e che questa era ben lungi dal terminare come anche quella notte. La sua presa mi fece quasi svenire. La forza, unita al suo equilibrio, erano di stampo quasi disumano, permeati di coerenza perfetta, precisione infallibile. Lui era il vero leader, una persona il cui carisma da solo avrebbe potuto abbattere un esercito. Ben diverso da me.
Non furono solo gli Dei, ma anche il mio corpo, a tradirmi.
Gradualmente mi scoprii, in modo agrodolce, attratta da lui almeno quanto ne ero turbata. Solo a quel punto scorse il turbamento nei miei occhi, dai quali si affacciavano un paio di desolate lacrime. Morbidamente lasciò la mia mano che cadde a terra come senza vita. Con una voce sussurrata, che mascherava una sottile vergogna per il comportamento di poco prima, mi disse che lo attendeva l'importante rito notturno di Lughnasadh; mi ingiungeva di trattenermi in attesa di poter valutare insieme la soluzione migliore. Aggiunse che non desiderava aiutarmi, ma che era stato fin troppo scortese per non tentare ad assecondare le mie richieste. Era disposto a farlo solo alle sue condizioni: se fossi fuggita sarei stata considerata una nemica del clan e attaccata.
Lui non poteva immaginare quanto quell'ultima eventualità mi risultasse ben meno spaventevole della sua imposizione. Questo non significava che non avrei rifiutato in ogni modo possibile il conflitto. Ero in suo potere. Il mio pensiero tornò subito all'abisso. Se mi avesse buttata dalla rupe avrei evitato di vivere nella vergogna. Mi sarei sentita finalmente libera, finalmente me stessa, per un attimo poi basta. Poi basta. E se invece il salto non fosse bastato a provocare la mia morte? Sarebbe stata davvero dura. Avrei avverato una profezia, ma a che prezzo? Avrei probabilmente ristabilito il culto tra la mia gente, ma con in grembo un figlio del peccato. Non mi sarei mai più sentita coerente né meritevole di fiducia. Forse mi sarei lasciata morire abbandonando il mio clan nelle mani forti di Makena.
E se non l'avessi fatto? Sarebbe stato palese che il figlio era di uno sconosciuto, non avrebbe mai potuto avere le solide caratteristiche di Makena. Io, poi, non avrei mai saputo nasconderglielo.
O forse sì? Non lo sapevo. Mi si chiedeva di essere qualcuno di troppo lontano da ciò che ero sempre stata. Ormai sapevo che il meccanismo era partito e non mi restava che partecipare al destino, una volta per sempre, riscattando almeno la mia famiglia.
Inconsapevole dei miei pensieri, si alzò velocemente, fece qualcosa che io pensai essere un'abluzione e uscì con il suo bastone inciso di simboli rituali e con oscuri segni sul volto.
Il brusio del rito mi riportò al momento presente. Mi sollevai leggermente dal mio nascondiglio per vederne l'inizio e finii per seguirlo tutto di nascosto. Non avevo mai visto nulla di simile.
Il clan, disposto ordinatamente intorno al fuoco, stava aspettando Vessagh. Il silenzio era completo, doveva essere mezzanotte.
Quando entrò nel cerchio sembrò altissimo, sebbene portasse con sé solo un semplice mantello scuro e il bastone. Il suo incedere era regolare e minaccioso, sembrava che una nuova forza si impadronisse di lui man mano che si avvicinava al fuoco sacro.
Ai miei occhi i marcati tratti neri sul viso erano simboli rituali dagli oscuri e infidi significati. Un sorriso di una certa durezza e crudeltà, unito ai cupi segni, sembravano elevarlo sopra lo stato di noi comuni essere mortali. Non rendendolo più disponibile ad accettare alcune delle numerose zone d'ombra del nostro vivere. Era tetro, feroce e arcano, mentre il fuoco danzava nei suoi occhi. Fece un gesto, poi pronunciò alcune formule a me incomprensibili.
Gli uomini rispondevano reverenti. Le voci si univano e scontravano, sembravano seguire schemi che invano venivano abbandonati in un ribollire di energia e rumore, fino alla creazione di un unico e luminoso suono armonico, creato prima di tutto da lui e poi echeggiato da tutti. Una frequenza così delicata, vibrante e nitida da risuonare nella notturna radura molto di più rispetto al bellicoso vociare degli uomini. La forza dell'unità, la coesione del tutto. Lo spirito a capo del corpo. Il contatto con l'infinito. In quel momento la fiamma si fece più spavalda.
Iniziò a crepitare, incitata dagli armonici primordiali, vibrando dello Spirito Divino, in uno spettacolo tanto affascinante quanto terrificante: il potere dell'uomo unito a quello della Natura; poi uno scoppio e una fiammata accecante, altissima, immensa, rimbombò per lunghe distanze circostanti, portando paura e timore negli uomini semplici. A me arrivò una ventata di aria ardente. La inalai. La Magia. Il Potere. Il Mistero.
Lui ne era il creatore, il governatore. Un uomo? Un Dio? Un portatore della voce del Divino. Paura e reverenza facevano a gara dentro di me, mentre la sua voce mi vibrava nelle viscere.
Un suono così puro e naturale da non sembrare umano, in equilibrio precario davanti al burrone dell'energia. Un saggio, un illuminato.
Mi ritirai e rannicchiai di corsa appena notai avvicinarsi alcuni uomini degli altri clan, incuriositi e preoccupati dall'inaudita fiammata di poco prima. Speravo di non essere notata, o almeno non riconosciuta.
Il lancio dal burrone, l'atterraggio secco nell'acqua. Insieme.
Vivi.
Quando mi svegliai ero nel suo letto. Lui era seduto al mio fianco e, chino su di me, mi osservava il viso da vicino, troppo vicino. Sentivo il suo respiro diaframmatico e profondo, come anche l'odore acre del fuoco misto a sudore sulla sua umida pelle.
Mi faceva male la testa, negli occhi avevo ancora gli echi di una nuova visione e non riuscivo a rifletterci. Forse stava incantandomi.
Ero in pericolo, più che mai: raccolsi le poche energie rimaste e feci immediatamente un balzo, alzandomi in piedi terrorizzata.
Nonostante tutto l'oscuro potere a cui avevo assistito, notavo con preoccupazione il mio corpo e la mia testa cedere: non riuscivo più a negare con la forza di prima l'ipotesi dell'atto sessuale. Era magnetico. E io ero sgomenta. Non desideravo assolutamente compiere quel misfatto.
Mi sentivo vinta. Avevo sbagliato tutto. Davanti agli occhi l'ultima visione. Sapevo benissimo come sarebbe andata: una volta avverata la profezia mi avrebbe purificata spingendomi dalla rupe, riservando lo stesso trattamento per sé stesso. Io non potevo fuggire dell'espiare i miei errori. Mi stupiva invece pensare che qualcuno di così conscio della propria importanza rischiasse la vita in modo così sconsiderato; non lo immaginavo possibile per quel poco che lo avevo potuto conoscere. Forse quello era l'unico modo per mondare anche sé stesso dall'accoppiamento con un soggetto indegno. Ero proprio abbattuta, senza speranza, e mi sentivo già così in colpa verso Makena... infinitamente.
Avrei tanto voluto che venisse a salvarmi: lui non avrebbe avuto paura di Vessagh, si sarebbe armato e battuto come gli uomini più valorosi fanno contro gli arcani demoni.
Lui, notando con stupore la mia reazione di scatto allarmato, cercò di tranquillizzarmi. Era cambiato totalmente da prima, non era più brusco, piuttosto sembrava davvero preoccupato per me. Quel cambio di registro non bastò a rasserenarmi, per me faceva parte di un elaborato gioco per sondare con quale atteggiamento avrebbe potuto avermi in pugno più facilmente.
Con quel tono accomodante infatti cercò ancora di estorcere il motivo della mia visita. Ero incredula nel constatare che avevo protetto i miei pensieri dai suoi impudenti attacchi sottili.
La profezia e le visioni erano al sicuro finora, ma temevo che il risveglio allucinato fosse stato un chiaro indizio. Non capivo tante cose e non avrei certo potuto comprenderle in quel momento, così decisi che mi sarei solo preoccupata di celare le mie esperienze trascendentali.
Vessagh non era pago del mio silenzio e delle mie risposte inconsistenti. Nella speranza di irretirmi, o forse per vincere il mio muro di diffidenza, finì per confidarmi che il rito appena svolto aveva avuto un'energia incredibilmente maggiore del solito.
A sentire lui erano ben poche le condizioni che potessero portare a quel cambiamento, una era la mia inaspettata presenza.
In lui si stava affacciando l'ipotesi che la mia venuta non fosse stata solo curiosità o frutto del caso, ma dettata dagli Dei e foriera di un grande cambiamento anche per lui.
Notavo nei miei confronti crescente rispetto misto a una vaga e divertita curiosità. Che ci fosse davvero un filo rosso tra lui e un soggetto così insignificante, se non pessimo, come me? Ero incredula per quell'atmosfera di confidenza, ma più si faceva accomodante più sentivo l'attrazione accendermi. Desideravo più che mai andarmene da quello che ormai mi spaventava come un mostro. Il mio corpo era in un limbo di incoscienza e volevo usare le uniche energie che mi restavano per mantenermi pura.
A quel punto acconsentì. Decise che mi avrebbe accompagnatafino al mio accampamento. A sostegno della sua proposta aggiunse che la notte era senza luna, nel lontano caso che ci avessero scorti a camminare insieme sarebbe stato già meno compromettente che vedermi lasciare la sua tenda da sola. In aggiunta, data la presenza di un testimone della mia visita totalmente inopportuna, se mi fosse capitato qualcosa nel crepuscolo, Vessagh sarebbe stato il primo sospettato.
Lo ringraziai moltissimo. Mi sentii finalmente alleggerita dal peso enorme di colpe e paure. Ero orgogliosa di me stessa. La nostra passeggiata notturna si svolse nel più profondo e meditativo silenzio. Ero più a mio agio con lui e avrei voluto chiedergli tante cose, tanti consigli. Forse quella sensazione era reciproca, ma il momento era troppo sottile. L'emozione e i nostri pensieri quasi facevano rumore, più di quello che realizzavamo calpestando l'erba rugiadosa. Le parole erano impossibili. C'era la notte e la perfezione del buio. Mi sentivo protetta dalla forte aura di Vessagh. Sarebbe andato tutto bene. Il suo rispetto avrebbe legittimato il mio governo: chissà se un giorno avrei potuto interpellarlo su questioni politiche? Finalmente stavo tornando a casa salva. Avevo affrontato la visione e non avrei più lasciato il mio popolo senza un Dio.
Ma gli Dei non erano paghi quanto lo ero io.
Mi accorsi della vicinanza al burrone quando iniziai a sentire il rumore delle deboli onde lacustri lambire la dura roccia. Gli abitati erano sufficientemente a distanza perché non rischiassimo di essere notati. La scelta era logica, ma la prossimità all'abisso mi tolse tutta la certezza di poter tornare a casa facilmente. La mia intuizione divenne certezza quando Vessagh si fermò sul ciglio.
Il mancato passo fu peggio di un nero rintocco di morte per me.
- Vengo spesso qui. Questo luogo è pieno di energia. La sento scorrere, bruciare sotto ai piedi e scivolare sulla mia pelle come l'acqua giù in basso scroscia senza posa. Questo luogo è anche il mio miraggio. Immagino tu sia a conoscenza dell'importanza rituale di questa rupe. I nostri avi, i quali la varcarono incolumi, ottennero la chiaroveggenza e numerosi altri doni dagli Dei.
Noi ora li veneriamo come Semidei.
Da quando sono nato essi sono i miei Maestri e Mentori. Questo baratro mi ricorda il mio fine ultimo ed esso stesso è il motivo dei miei lunghi studi e delle rinunce ascetiche. Finora però non ho fatto che attendere davanti a esso, cercando un segno che mi dimostrasse degno di una simile metamorfosi. Se non fossi sufficientemente pronto fallirei nel mio intento per sempre, destando con la mia sfida superba il diniego perenne degli Dei.
Io non temo la morte, ma la vita da rinnegato. Non potrei mai vivere nel rifiuto degli Dei e nella consapevolezza della mia incapacità, né potrei volontariamente terminare la mia vita, perché ciò provocherebbe una dannazione ancora maggiore. Ho pregato per lunghe notti gli Dei perché mi regalassero la morte o una vita di gloria oltre la voragine. Essi non mi hanno mai dato un segno benché minimo che potesse valere come consiglio, come incoraggiamento. L'ho cercato nei simboli occulti, nella mistica saggezza religiosa e negli enigmatici astri, ma il loro silenzio mi fa temere che non potrò mai ambire a un sì tale splendore eterno. L'immortalità, la memoria attraverso il tempo, il rispetto e le preghiere dei posteri. Questo è lo scoglio della mia vita, il mio desiderio maggiore e la mia maledizione più infida. -
Lo guardai, era evidentemente una creatura speciale nonostante apparisse sperduto. Senza la certezza nei suoi Dei. Tutto, dalla sua postura prestigiosa, allo sguardo tagliente, alla bocca ferma fino al capo dal mento orgogliosamente sollevato, erano ormai un ricordo. I semplici segni di pittura rituale tracciati sul viso prima del grande fuoco non erano più qualcosa che lo rendeva forte e distante dal genere umano, ma sembravano sciogliersi al crescere del suo dubbio, ghermendogli il volto nelle loro incerte e sfumate volute. Era confuso anche lui. Anche lui era preda del disorientamento.
Gli Dei sapevano che la gloria immortale aveva un prezzo almeno caro quanto quello dei miei peccati.
Lo guardai per la prima volta: era un uomo. Un corpo slanciato e molto asciutto, ma ugualmente scolpito. I lunghi capelli candidi ricadevano lisci dietro la schiena lasciando l'ampia fronte scoperta e togliendo ogni perturbazione al viso e alle sue mutevoli espressioni, rese più penetranti dagli oscuri e profondi occhi grigi. Era impossibile stimarne l'età: troppo vecchio per essere giovane e troppo giovane per essere vecchio. Ma sicuramente era abbandonato dagli Dei che tanto celebrava. Le sue asserzioni destarono in me alcune grandi domande. La prima era se fosse davvero corretto rendere coercitivo il culto come lui faceva, e senza pietà. Probabilmente la gente aveva davvero bisogno di quello. Una spiritualità che ricordasse cosa fosse davvero importante, facendo puntare verso qualcosa di più alto e stimolando le rinunce e i sacrifici con promesse di beni maggiori.
Ne avevamo bisogno anche se non lo sapevamo, a maggior ragione nei momenti di crisi. Il mio ruolo era esserne conscia e occuparmene preventivamente.
La religione come la intendeva lui, in senso così totale ed estremo, portava anche a grandi divisioni e conflitti: sia tra gli uomini che negli uomini. Come stava succedendo in quel momento.
Perché il culto non può solo unire? Come l'amore, ciò che è tanto forte provoca effetti smisurati in ambo le direzioni: positive e negative. E distrugge tutto ciò che incontra sulla sua via come un tifone trascendentale. Poi di colpo tutto si fece chiaro.
- Non devi temere - mi sentii dire.
I suoi occhi, divenuti imploranti, mi guardarono con un misto di sgomento e stupore per un lunghissimo istante.
Solo allora capii che avevo interpretato erroneamente la mia strana visione. La mia espiazione era fungere da araldo degli Dei perché il loro prediletto figlio potesse ottenere l'obiettivo che aveva inseguito tutta la sua vita: quello del raggiungimento dell'illuminazione e, per i posteri, dell'immortalità.
Lui stesso stava ponderando simili concetti, ma essi venivano squarciati da interrogativi, tutti originati dalla diffidenza verso di me. La mia mancata rettitudine, l'idea che avrei potuto arricchirmi a sue spese se fosse morto o peggio, sopravvissuto nell'onta.
Non poteva permettersi di sbagliare ma, se fosse stato di fronte all'atteso segnale, non avrebbe nemmeno potuto rischiare di perdere la tanto bramata estasi di conoscenza. La realizzazione finale per la quale aveva atteso ogni istante della sua vita.
Non dissi nulla. Mi limitai a sostenere coraggiosamente il suo sguardo vacuo. Non avevo più paura, né di lui né di quello che sarebbe successo. Vedevo che l'energia dai miei occhi andava ad accendere i suoi. Lentamente. Sensibilmente. Misteriosamente.
I suoi pensieri risuonavano nel mio cuore, come echi delle lontane e delicate onde, come tremore dell'erba spazzata dalla brezza. Immobile e inerte. Non poteva certo immaginare che io mi sarei lanciata insieme a lui. Desideravo dargli la libertà e la pace, se ciò era in mio potere. Finalmente mi fidavo di lui, e una parte di me accettava che la mia stessa vita dipendesse da quell'uomo fatale.
Vessagh aveva già dato prova di essere ciò che credeva di diventare varcando l'abisso. Doveva solo dimostrarlo a sé stesso, decidere che era giunto il momento di aprirsi completamente ai meravigliosi misteri della propria anima. Il segno degli Dei era stato da sempre esplicito, avendolo colmato di tutti quei preziosissimi doni. Essi non avevano tardato a manifestarsi, ma lui non ci aveva dato peso, pensando di aver maturato tutte le sue qualità grazie ai propri sforzi e allenamenti.
Gli presi fermamente la mano restando ferma dove ero. Sentii una violentissima scarica, come quella avvertita precedentemente nella tenda; i suoi occhi dimostrarono che anche lui stava provando la stessa sensazione. Ricolmo di stupore, immediatamente realizzò che quell'esperienza di immortalità sarebbe stata inaudita in quanto condivisa, e condivisa con una semplice donna, anzi un'infedele. Era troppa la sua brama di conoscenza e gloria per soffermarsi maggiormente sul mio ruolo. Era quasi un'onta per lui non compiere quel coraggioso e agognato passo da solo. Lui, che proprio grazie a solitudine e autonomia aveva portato a termine alla perfezione tutti i suoi obiettivi, fino a quel momento.
Nel suo sguardo comparve velocemente un sorriso chiaro e complice che non avevo mai visto, ma che lo rendeva bellissimo.
Senza aggiungere nulla compimmo insieme tre veloci passi e ci lanciamo nel vuoto tenendoci la mano. Era come se una forza eterna e celeste ci avesse tolto ogni genere di timore e perplessità, elevandoci verso il cielo anziché facendoci precipitare in un baratro. Ma era questo ciò che stavamo facendo.
Sentivo l'aria fredda sferzarmi il viso, ma ero serena. Era come se quella fosse la Prima Vera cosa che avessi dovuto davvero fare in tutta la mia vita. Forse ero nata per quello. Forse le persone nascono proprio per compiere intricati intrecci nelle vite altrui e poi sparire in un effimero bagliore di luce, lasciando di sé un sospirato ricordo e una qualche piega nell'anima.
L'impatto con l'acqua fu violento, ma inspiegabilmente nessuno dei due si fece la benché minima lesione. Appena riemerse dai catartici abissi, Vessagh mi cercò ansioso e quando ebbe conferma della mia salute scoppiò in un'inaspettata e fragorosa risata. Un riso assolutamente libero e di puro divertimento, come se fosse stato inutile aspettare tanto per fare qualcosa di così semplice... in realtà lui stesso era consapevole dell'unicità di quel momento per compiere il rito di passaggio all'immortalità.
Aveva finalmente realizzato di possedere già in sé tutto ciò che con il salto aveva palesato. Capì che quella prova non era stata sostenuta per gli Dei ma per sé stesso, il nume più esigente e crudele; per sviluppare la consapevolezza dei propri mezzi più evoluti.
- Chi va là? -
Dall'alto giunse una voce, era una guardia del suo clan.
- Vessagh - la sua voce ferma e baritonale fu rifratta dalle deboli onde e rinforzata dalle orgogliose rocce appena vinte, gettando nel totale stupore la guardia. La vittoria del saggio sul precipizio!
Quella notizia era quanto mai improvvisa e foriera di grandissima gioia per tutta la comunità.
- E... - stava per aggiungere il mio nome, quando d'impulso gli feci cenno di tacere la mia presenza. Istantaneamente comprese tutte le implicazioni che avrebbe potuto avere quel suo gesto e lasciò morire la frase. Approfittò dell'occasione per intimare minacciosamente che tutti stessero al sicuro nelle loro tende fino all'arrivo del mattino, mentre lui si sarebbe occupato di domare e affrontare le energie che si erano messe in moto quella magica notte. Il vecchio tono austero però era sparito. La polvere grigia e sterile della presunzione era stata lavata via dai flutti, lasciando un celato sorriso che riempiva di energia eterea e freschezza anche gli ordini più perentori.
La guardia desiderava riportare il proprio grande Signore all'accampamento, rendendolo oggetto delle più sontuose feste e adorazioni. Lui rifiutò risolutamente, forzando l'altro a fare ritorno al proprio giaciglio, dopo aver sospeso tutte le operazioni di guardia del clan. Quell'ordine mi permise di respirare di nuovo a pieni polmoni... anche se per poco.
Vessagh si volse sorridente verso di me. Avvicinandosi nell'acqua lunare fino a sfiorarmi, mi accompagnò delicatamente in un punto dove potessimo agevolmente toccare il fondo con i piedi. Guardava, finalmente dal basso, quel tanto contemplato precipizio. Quella nuova prospettiva aveva cambiato tutto per lui. Mi scrutò serio, chiedendomi se davvero non volessi che si sapesse nulla della mia collaborazione all'ardita impresa. Prima che potessi rispondere, aggiunse perentorio che nella propria leggenda si sarebbe tramandata sempre tutta la verità.
Io avevo reagito d'istinto, ma realizzai che sarebbe stato effettivamente più facile non far giungere questo mito al mio clan, almeno finché ero in vita. Lo pregai di rispettare la mia scelta e lui me lo giurò. Potevo già immaginare che questo genere di notizie non sarebbe rimasta celata a lungo.
Non andavo in cerca della grande gloria a cui ambiva lui, ero piuttosto interessata a cercare di non pagare troppo care le ripercussioni di quella convulsa nottata per tutto il resto della mia vita. Prevedevo già lo sconcerto degli altri capi, la loro incrementata diffidenza e ostilità. E come sostenere gli interrogativi della mia gente, quando mi avrebbero scoperta a compiere atti catartici mentre li avevo sempre lasciati vivere senza un Dio.
Chissà se avrei anche potuto nascondere a Makena le scabrose, e sempre più prossime, conseguenze di questo ardito salto. Stavo sottovalutando la mia anima.
Vessagh si avvicinò ulteriormente, pericolosamente. Il suo respiro riverberava nel mio torace. Pose le sue mani sulle mie spalle con un sorriso un po' imbarazzato e un po' divertito, rivelandomi come nella sua mente si fosse fatta molta più chiarezza dopo aver affrontato l'abisso. Si era squarciato un velo che lo aveva aperto alla conoscenza, la quale gli aveva subito rivelato la gravosa profezia che mi aveva ambiguamente avvicinata a lui.
Deglutì con fatica e aggiunse con sguardo vagamente languido: - Perciò gli Dei vogliono che tu mi dia anche un'altra forma di immortalità? - .
- Ho passato tutta la vita a compiere le mie pratiche in solitudine, escludendo l'umanità dalle mie divagazioni con gli Dei. Solo ora vedo come i traguardi più alti non si possano raggiungere isolatamente. Ho rinunciato a tutto per la conoscenza e ne ho fatto puntuale voto agli Dei; la ricompensa di una discendenza è ben oltre ciò che avrei mai immaginato. Resta con me... e al termine di ogni celebrazione sarò lieto di far ritorno a un vivace focolare. Resta con me... e insegnami l'amore per le persone. Resta con me... e ti farò la mia Regina. Che ogni tuo desiderio diventi la priorità per la mia gente e per me. -
Io ero in preda dei sentimenti più contraddittori. La mia risposta era chiara nella mente, ma l'idea del congiungimento prossimo con lui creava disagio insieme a una barbara agitazione.
Le sue mani mi trasmettevano il suo bruciante calore e quel contatto bastava ad allontanarmi dalla coerenza. Armato di quel sorriso davvero nulla sarebbe stato più impossibile per lui.
Il suo fascino era diventato irresistibile, intrigante e allo stesso tempo arcano. Come molti lo nominarono successivamente, era divenuto un vero Imperatore della Mente.
Senza alcun dubbio risposi di no. Non c'era motivo di riempirmi di quegli onori né sobbarcarsi quelle responsabilità, tanto più che io avevo già orgogliosamente portato la mia scintilla nella sua vita. Non ero all'altezza di insegnargli altro. Ero uno strumento perché si palesasse ciò che lui era sempre stato, e che dal primo momento era sotto gli occhi di tutti, tranne i suoi. Mi chiesi se quel coraggioso passo fosse esso stesso uno strumento, perché il misterioso sangue di lui potesse essere tramandato.
Rimarcai a cuore aperto che avevo scelto e creato la vita che volevo, ed essa mi portava tutta la serenità di cui avevo bisogno.
Mi scoprii a pregare perché potesse essere così anche dopo quell'esperienza.
Io amavo e desideravo passare la vita con un altro uomo.
Una leggera nebbia oscurò il suo sorriso, ma dopo pochi istanti replicò che rispettava le mie scelte. Ciò nonostante mi giurò che io sarei stata l'unica donna della sua vita... e colei che l'aveva salvato. I suoi occhi erano diventati di cristallo e mi fissavano, sfaccettati di ebbrezza e così sconsideratamente autentici... Sentii il suo corpo cercare il mio. Le sue braccia si serrarono intorno a me. Sembrava impossibile che nel druido incontrato alcune ore prima potesse esistere un'indole così semplice, umana, sublime e indifesa. Essa sembrava addirittura cercare in me una sicurezza perduta, forse realizzando, in un misto di disagio e frenesia, la propria totale inesperienza.
Era solo un uomo, dopotutto. Anzi, forse aveva proprio guadagnato l'Umanità da quella grande prova. Strana coincidenza che seguendo gli Dei si confermassero i propri legami con la Madre Terra. Forse l'illuminazione si raggiunge con l'esperienza di tutte le condizioni e non nel rifiuto di alcune di esse.
Sì, era proprio solo uno splendido uomo. I segni sul viso scomparsi, lavati via dall'acqua della rinascita, l'urgenza del suo respiro sul mio collo e una velata richiesta d'aiuto nei suoi occhi.
Le labbra socchiuse che veicolavano sospiri bollenti.
Non potevo resistergli, non in quel momento. Erano i Numi a spingerci a questo incontro, o eravamo noi a strumentalizzarli per motivare questa folle ed esasperante comunione? Non mi interessava più saperlo, ormai. Sarebbe stato terribilmente perfetto in ogni caso. E lo accompagnai nel farsi strada in me.
Comparve un velo di stupore nel suo sguardo, come per aver finalmente sperimentato una forza terrena che poteva padroneggiare e distruggere le più ascetiche menti. Realizzava che solo ora avrebbe potuto tentare di comprendere, e forse salvare, tutti quegli uomini che si macchiavano dei peggiori delitti spinti dalla lussuria.
...Non poteva immaginare quanto vicino a loro si sarebbe erto.
D'ora in poi sarebbe stato finalmente anche un uomo, o almeno avrebbe dovuto conoscere e affrontare la parte di uomo che era in lui.
Io mi sentivo ebbra. Ero totalmente abbandonata all'istinto, in uno strano stato ipnotico come quello indotto in alcune culture agli oracoli. Era una condizione totalmente diversa dalla delicata intimità a cui ero abituata, l'amore era stato sostituito da una selvaggia agonia che mi tormentava. E solo Vessagh poteva liberarmi.
Per me fu in quel momento che si consumò il vero rito dal quale scaturì la mia benedizione e, all'apice del piacere, un'ultima e gloriosa visione. Vidi nostro figlio: un individuo dall'elevato potere morale e dalla spiritualità così forte da avvicinarsi alla veggenza, un guerriero mistico che avrebbe unito i nostri clan per sempre tramite la sua innata rettitudine, sviluppata anche grazie all'affettuosa dottrina mia e di Makena. Solo da adulto avrebbe avuto conferma della sua concezione, ma nonostante ciò una simile e luminosa anima avrebbe da subito stimolato perplessità sulla sua completa umanità. Il clan di Vessagh lo avrebbe accolto durante gli anni della sua formazione più specifica finché non sarebbe succeduto al sempre più evidente padre.
- Ti prego, fa' che io possa insegnare a nostro figlio le mie pratiche a lungo tramandate, che senza un'energia come la sua sarebbero perdute per sempre - mi sussurrò il padre all'orecchio.
Era diventato partecipe delle mie visioni, la terra non poteva più celare alcun segreto a lui. Realizzai così che l'avrei sempre potuto ritrovare dentro di me, e non mi mancò mai più. Bastò un attimo per avere entrambi davanti agli occhi numerose testimonianze di quello che sarebbe stato. Dai primi anni ricoperto di affetto dai genitori e dal clan, alle scorribande con la sorellina, passando per l'indottrinamento bellico. Poi il rito di ingresso nell'età adulta, svoltosi sotto la paterna guida di Vessagh, e la disciplina mistica e rigorosa, che avrebbe anche evitato al padre un'anzianità di solitudine e sterili ricordi. Ci sentivamo orgogliosi.
Ero rimasta parecchio indebolita da quella benefica e protratta visione, tanto che faticavo a mantenermi in equilibrio nonostante fossi ancora nell'acqua. Vessagh lo notò immediatamente e mi prese tra le sue braccia fino a adagiarmi su una spianata nelle vicinanze. Era alla ricerca di un luogo più riparato, ma la poca luce e l'ambiente lacustre non offrivano alcun comodo riparo dal vento che soffiava freddo sulla pelle bagnata.
Mi fece distendere e si inginocchiò al mio fianco, poi muovendo le mani sapienti vicino al mio corpo sprigionò un delicato tepore che riuscì ad asciugarmi in pochissimo tempo; dopodiché si distese a sua volta dietro di me e, serrandomi di nuovo in un forte abbraccio, pronunciò parole in una lingua sconosciuta sottovoce. Il senso di torpore e di affettuoso calore ricevuto poc'anzi sulla mia pelle madida andava aumentando ed estendendosi direttamente fino al mio cuore. Da esso si ramificava come una pianta benefica che andava a purificare e ristabilire la salute di tutto un grande e meraviglioso orto. Le energie sembravano rifiorire, con esse la fiducia in me e la sensazione che ciò che avevamo vissuto avrebbe portato a suo modo alla perfezione.
Non era mai esistita un'alternativa. Finalmente appariva evidente quanto dall'arrivo della prima profetica visione la mia mente fosse stata irretita e confusa degli Dei e dalle suggestioni delle strane esperienze vissute. Non credevo di avere la profondità spirituale sufficiente per poter trarre chiaroveggenza o sviluppare particolari poteri attraverso il catartico salto nel vuoto, ma semplicemente tutto mi appariva più chiaro e trasparente.
Sotto quello sguardo nuovo ogni cosa procedeva da una causa e ne era la naturale prosecuzione. La mia mente stessa non produceva più quegli oscuri interrogativi che la lasciavano brancolare nel limbo dell'indecisione, ma era perfettamente conscia di ciò che era e di ciò che voleva. Il mio corpo fisico era attraversato da sicurezza e da una quiete mobile nella quale i muscoli erano reattivi e pronti all'azione piuttosto che distratti da pulsioni e incoerenze. Era anche svanita quell'attrazione primordiale, elemento così alieno tra le mie sensazioni, che si era impossessata di me gradualmente all'intensificarsi del contatto con Vassagh.
Finalmente mi sentivo me stessa, e forte di questo non temevo più il futuro e nemmeno gli altri. Soprattutto non temevo più le mie debolezze. Le riflessioni si spensero dolcemente al termine dell'intensa preghiera del druido. Lui riaprì gli occhi e guardandomi serenamente sentenziò: - Bene, ora avete la mia benedizione per sempre. Potrete contare sulla mia protezione e riparo ogni volta ne avrete bisogno. Voi siete le persone più care che ho a questo mondo. E gli Dei vi proteggeranno al mio posto se io non ne avessi le capacità - .
Proprio ora che tutto era compiuto, un primo e minuscolo raggio di sole ci illuminò debolmente: - Ecco l'alba di una nuova e sacra Era della quale tu sei la portatrice - .
Ci attendeva un lungo e ripido percorso per risalire agli accampamenti dei rispettivi clan. La luce iniziava gradualmente a illuminare il nostro cammino. Era successo così tanto che nessuna parola poteva definire o commentare le evoluzioni delle nostre coscienze. Ma ormai portavo in me una parte di lui, e lui a sua volta era in una condizione analoga. Sarebbe stato così per sempre.
I nostri passi veloci ed energici ci portarono presto in vista delle prime tende e, in un misto di gratitudine e timore, lui mi abbracciò e mi guardò con i suoi grandi occhi grigi chiedendomi
un'ultima volta di restare con lui. Io rifiutai fermamente, rassicurandolo che avrebbe avuto notizie di noi. Così mi diede un ultimo prolungato bacio sulla fronte e mi lasciò tornare finalmente
verso la mia famiglia. Ero stata assalita da così tante emozioni in un così breve lasso di tempo che non sentivo più nulla. Ero completamente svuotata. Mi sembrava di essere stata lontana per mesi. Era inutile preoccuparsi, sarebbe stato comunque come avrebbero voluto gli Dei, e io avrei trovato la mia strada alle loro condizioni. Come è sempre stato. E sempre sarà.
- È stato bello? -
- Avrei preferito poter rispondere di no. -
Makena rispose colpendomi in viso con un forte schiaffo e poi mi abbracciò in lacrime.
- Sarai ancora la mia donna? -
- È tutto quello per cui ho pregato. Sarai padre del mio bambino? -
- Sono sempre stato pronto a farlo. Temevo che dopo che si fosse avverata la profezia mi avresti abbandonato e volevo non avessi vincoli. Questo è il motivo per cui ho sempre rifiutato di
sposarti. -
- Non avrei avuto vincoli solo se non ti avessi conosciuto. -
Elisabetta Tagliati
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