|
Writer Officina Blog
|
Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa,
teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana
di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, Non ora, non
qui, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri
sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese,
swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale
alcune parti dellAntico Testamento. Vive nella campagna romana dove
ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A
grandezza naturale", edito da Feltrinelli. |
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama
con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi,
attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano
Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di
ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera
(Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime
di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il
purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati
da Einaudi Stile Libero). |
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria,
si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata
alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice
emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre
Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato
a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus".
Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé,
conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo
libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio
Strega 2021. |
Altre interviste su Writer
Officina Magazine
|
Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
|
|
|
|
Blog
|
|
Biblioteca New
|
|
Biblioteca All
|
|
Biblioteca Top
|
|
Autori
|
|
Recensioni
|
|
Inser. Romanzi
|
|
@ contatti
|
|
Policy Privacy
|
|
Ildegarda e il mistero dell'arciere
|
L'arciere maledetto. L'estate era arrivata per la prima volta nella vita di Mateus. Fino a quell'anno la sua vita era trascorsa nella capanna di tronchi, là dove il bosco era più cupo e fitto e dove i raggi del sole arrivavano a stento. Seduto su di un sasso sorvegliava le capre, chiamandole per nome quando si allontanavano troppo. Innominata era molto disobbediente e più di una volta dovette rincorrerla, timoroso che si perdesse in mezzo alla sterpaglia, che ad un certo punto prendeva il posto della fienagione. Eunice uscì dal portone della badia e lo raggiunse quando il sole era già alto. - Eunice deve cercare una serpe velenosa - gli disse indicandogli la petraia poco lontana. - Sì, una grossa e pasciuta serpe stesa a dormire, che gentilmente mi donerà il suo veleno e tu verrai con me. - Gongolava compiaciuta di quello che andava a fare; poi si rivolse con tenerezza alle caprette: - Innominata, cara, Bianchetta, Melisa, faremo del buon formaggio dal vostro latte. L'erba è così profumata! - In quei mesi il ragazzo si era abituato al modo curioso con cui la monaca si esprimeva ed al suo saltellare da una cosa all'altra, come se il suo pensiero andasse a balzi, all'unisono col suo corpo e rispose: - Vengo! - Lei ridacchiò e assentì, poi lo ammonì: - Oggi la madre Ildegarda riceverà ospiti importanti e non vorrà avere ragazzacci curiosi intorno, quindi non farti vedere. Adesso aiutami a cercare! - Mateus sorrise, conficcò il suo bastone in terra e ordinò alle capre di non allontanarsi troppo da quel luogo. Le bestiole belarono come se avessero compreso l'ordine e cominciarono a brucare intorno al pezzo di legno. Eunice si muoveva rapida e con passo leggero, sfiorando appena il terreno con le suole di pelle morbida dei suoi sandali, mentre il ragazzo era scalzo e procedeva con più cautela, facendo attenzione ai rami spinosi e alle pietre taglienti. L'aria era calda, secca e la monaca ne parve particolarmente felice. Teneva in mano una piccola brocca e diceva invitante: - Venite fuori piccole amiche. Ho portato un topolino per farvi da esca. - Parlava a bassa voce, con tono dolce e suadente, mentre estraeva dalla tasca un piccolo topo e lo posava sulla roccia. L'animaletto stette inspiegabilmente immobile, tanto da sembrare morto, salvo per il vibrare dei baffi e lo scuotere tremulo della coda sottile. Eunice si sedette ad aspettare e fece segno al ragazzo di fare altrettanto. Mateus guardava incantato il piccolo animale, stupito che non fosse scappato una volta libero, ma la monaca sorridendo gli spiegò: - Ha mangiato un pezzetto di formaggio speciale... molto speciale e non riesce muoversi, ma non permetterò che gli facciano del male, non preoccuparti. - Il ragazzo ne fu sollevato, non gli sarebbe piaciuto assistere alla sua morte e la monaca continuò: - Qui abita una bella coppia. Il maschio è acciambellato su quel sasso, lo vedi? Sta godendosi la digestione ed è troppo pigro per muoversi, mentre la femmina è curiosa e sempre affamata. Verrà dalla sua amica Eunice e le donerà il suo veleno. - Difatti una piccola testa triangolare sbucò da una fessura e da lì a poco si trasformò in un nastro marrone screziato di nero che si svolgeva come fosse mosso da mani invisibili. Mateus osservava affascinato la serpe srotolare lentamente le sue spire. I movimenti erano così sinuosi ed eleganti che pareva danzasse sulle note di una musica segreta. Il maschio aveva percepito la presenza della compagna ed erse la parte superiore del corpo, saggiando l'aria con la lingua. Eunice era perfettamente immobile e la serpe scivolò sulle rocce fino ad arrivarle vicinissima, sollevò la testa saettando in fuori la piccola lingua biforcuta, ma la monaca non reagì e l'animale si appressò alla preda. Il topo aveva sentito la sua presenza e i suoi occhietti vivaci specchiavano il terrore. Mateus non aveva idea di cosa avrebbe fatto Eunice e rimase sorpreso quando la vide scattare in avanti e afferrare la bestiola con rapidità e sicurezza. In pochi attimi aveva tirato fuori dalle pieghe dell'abito un piccolo contenitore e glielo aveva offerto da mordere. La vipera si era avventata aggressivamente e aveva scaricato tutto il suo veleno, convinta di farlo nel corpo della preda. Eunice le passò una mano sul dorso per calmarla prima di lasciarla di nuovo libera. Tutto era stato così rapido che Mateus si accorse solo allora che il topolino era fuggito rapido fra gli sterpi, probabilmente l'effetto della pozione era terminata. Il ragazzo stentava a credere di aver assistito veramente alla scena. La monaca gli passò accanto e si avviò fuori dalla petraia dicendo soddisfatta: - È stata generosa la mia buona e preziosa amica. Ora anche Mateus la conosce e non le farà male... vero?! - Il ragazzo finalmente riuscì a staccare gli occhi dall'altra vipera che se ne era rimasta arrotolata a godersi il sole e rispose: - Ho avuto paura, temevo ti mordesse! - Esitò, poi continuò: - Mio padre acchiappava le serpi per mangiarle. - Il ricordo della capanna dove aveva vissuto e delle botte che aveva subito gli erano riaffiorati prepotentemente, ma per fortuna il suono della campana che chiamava alla preghiera lo riscosse e lo rincuorò. All'interno della badia aveva trovato il suo rifugio e la possibilità di vivere una vita nuova. - Guarda! - gli disse Eunice, indicando un uomo vestito col saio dei monaci, che arrancava sul sentiero poco lontano, - Forse dovresti andare ad aiutarlo. Ha una pancia così enorme che da solo non ce la fa a portarla. - Mateus capì che celiava, perché ridacchiava saltellando gioiosamente. - Sarà il rappresentante della delegazione che madre Ildegarda aspetta. Devo andare. Eunice è necessaria, sì, sì. - Mateus aveva imparato che non mentiva e che spesso la badessa la consultava. Si voltò per tornare dalle capre e cominciò a correre per scaricare la tensione accumulata. La monaca procedeva, leggera ed agile, nel suo solito modo a zig zag, e presto avrebbe raggiunto il visitatore, ma qualcosa la precedette. Inaspettatamente, lanciata da un arciere provetto, una lunga freccia saettò sfiorando quasi la sua testa e si conficcò nella schiena del monaco, facendolo cadere a faccia in giù. Eunice gridò e si bloccò come se fosse stata fulminata e Mateus, dimentico delle capre e dei suoi doveri, si precipitò accanto a lei. Il monaco giaceva prono a pochi passi da loro, con le braccia e le gambe allargate, pareva un grosso animale sul quale avessero infilato uno spiedo. Aveva il volto deformato dallo spasmo della morte, ma conservava una parvenza di mitezza: doveva essere stato un uomo pacifico, che certo non si era aspettata quella triste fine. Il sangue aveva abbondantemente intriso il saio ed Eunice alzò le mani al cielo per raccomandare l'anima del poveretto, poi si voltò verso Mateus e gli disse: - È stato un colpo da vero maestro. La freccia ha centrato in pieno il cuore e, anche considerando la mole, non era un'impresa facile. Non possiamo fare nulla per lui. No, no, nessuna medicina servirebbe ormai e l'arciere non gradirà la nostra presenza... Neppure l'abate sarà contento di aver perso un monaco. Torna dalle capre, io andrò ad avvertire la nostra buona madre. Oh, il Male bussa con forza alla nostra porta, sì! E dovremo aprirgli prima o poi! - Il ragazzo la guardò allontanarsi, contento di non essere lui a dover dare la cattiva notizia alla badessa.
***
Ildegarda aveva passato la notte in ginocchio, pregando in solitudine. Foschi pensieri la tormentavano da giorni rendendole difficile, quasi impossibile, il sonno. A tratti dolori lancinanti le trapassavano la testa, come fossero grosse spille che mani invisibili le conficcavano crudelmente nel cranio. Eppure non si era lamentata. Non lo faceva mai. Accettava quelle prove come doni della misericordia di Dio. Segni di un privilegio nei suoi confronti e quasi una conferma della sua missione. Non sapeva però quale fosse, né cosa l'aspettava, per questo si era rifugiata nella cappella. Il trascorrere del tempo era stato scandito dalla campana che chiamava alla liturgia. Lei si era unita al salmodiare delle compagne senza muoversi dalla cripta della quale conosceva ogni particolare. Era lì che, ancora bambina, la nobile Jutta l'aveva accolta ed educata. Intorno a quella prima, piccola cella da recluse era cresciuto il monastero. Negli anni seguenti erano giunte altre giovani, sempre più numerose e decise a seguire la santa Regola benedettina, ed erano state costruite altre celle, il refettorio, la cappella, le mura, alte e protettive. Sospirò, consapevole che toccava a lei il peso della guida e della cura di tante anime, richiamate dalla sua fama, quasi che fosse in suo potere assicurare loro la salvezza eterna e il premio finale. Ildegarda non si illudeva, sapeva con certezza che molte famiglie nobili aspiravano al prestigio più che alla volontà divina e percepiva la sua impotenza rispetto a questo. Lampi di luce le ferivano gli occhi chiusi e immagini confuse, ma terribili, le sfilavano davanti facendola tremare. A tratti le pareva che il Male fosse così potente da distruggere ogni cosa, anche Disibodenberg. Vinta dal dolore e dalla stanchezza e cullata dai canti, aveva ceduto e si era seduta sullo scranno che era stato della sua amata maestra. Sentiva di occuparne indegnamente il ruolo e le chiedeva con insistenza il dono del discernimento. Il governo del monastero le assorbiva molta energia e quei momenti di preghiera solitaria la ristoravano e placavano temporaneamente la grande inquietudine che la tormentava. - Sei un vaso vuoto da riempire, ma dovrai padroneggiare questa tua insaziabile sete di conoscenza e obbedire ai tuoi doveri di badessa. - Le parole dell'abate le risuonavano nella mente, imperiose e velatamente ostili. La sudditanza del loro monastero a quello dei monaci benedettini stava cominciando a pesarle ed accarezzava vagamente l'idea di una nuova fondazione. Sapeva che era un'impresa quasi impossibile, per la quale avrebbero avuto bisogno di importanti e nobili protettori. - Peccato d'orgoglio e di superbia! - le urlò imperiosamente una voce nella testa. - Segui il tuo destino! - fece eco con maggior impeto un'altra. Si passò una mano sulla fronte quasi potesse, con quel semplice gesto, cacciare la confusione che aveva dentro. Si sarebbe assopita volentieri, ma un lieve barlume di luce e il fruscio di un passo sulla pietra la riscossero: - Laudomia! - esclamò, riconoscendo la giovane. La ragazza sussultò timorosa di ricevere un rimprovero e si gettò ai suoi piedi piangendo disperata: - Madre, non riuscivo a dormire e sono venuta per invocare l'aiuto del nostro santo padre Benedetto. Voglio andar via da qui! - Ildegarda si drizzò a fatica, tirando a sé Laudomia e costringendola ad alzarsi, poi la guardò fissamente negli occhi, e, quasi le potesse leggere nell'anima le disse: - Quando giunsi al nostro monastero, qui a Disibodenberg, ero poco più di una bambina, avevo solo otto anni, ero malata e sofferente. La nobile e buona Jutta, di venerata memoria, calmò con la sua tenerezza il distacco dalla mia madre terrena. Mi donai a Dio, perché mi chiamava a sé e trovai nel convento l'affetto delle sorelle e quella gioia pura che è assaggio del paradiso. Tu soffri. Ricordi il castello di tuo padre e i baci di tua madre, il buon cibo e le giostre dei cavalieri. Sono tutte cose buone, gradite al Signore! Vorresti tornare a quella vita, ma i tuoi genitori hanno deciso per te e tu ti ribelli all'obbedienza dolorosa, perché ritieni questo luogo una prigione. Per me fu facile. Mi sono innamorata dello Sposo e mi sono consacrata a Lui liberamente, per questo la mia anima canta. - Laudomia scattò in piedi e urlò con rabbia: - Odio questo posto e desidero lasciarlo. Non voglio sfiorire come l'erba che secca al sole inutilmente. Io voglio l'abbraccio di un uomo e il calore di un bimbo da allattare... - Poi scoppiò di nuovo in pianto e Ildegarda riprese: - Piangi, figlia mia, e sciogli nelle lacrime la tua sofferenza, ma non disperare. Resterai qui fino alla prossima luna e, se ancora sentirai ardere dentro di te il desiderio di tornare nel mondo, io stessa chiederò al vescovo che comandi a tuo padre di provvedere per te ad un buon matrimonio. Nessuna monaca vivrà qui se non lo vuole. - La voce di Ildegarda era cosi ferma e serena che Laudomia ne fu immediatamente confortata e fiduciosamente si profuse in parole piene di gratitudine, ma la badessa si schermì. Sapeva che avrebbe mantenuto la sua promessa, a costo di mettersi palesemente in contrasto sia con il vescovo e che con l'abate. La giovane non sarebbe stata prigioniera fra quelle mura, non avrebbe subito la tragica sorte di Marguerite. Un tremito la scosse come tutte le volte che ricordava quella scomoda presenza. Per un piccolo problema che risolveva, molti altri più gravi si accumulavano sulle sue spalle col rischio di schiacciarle. Il suono della campana le invitava al ristoro del cibo ed uscirono insieme dalla cappella. La giovane rasserenata e saltellando gioiosa per la speranza che le si era accesa nell'animo, Ildegarda invece a capo chino, assorta nei suoi pensieri, continuava a rimuginare gravi questioni. L'abate Bernardo da Chiaravalle le aveva inviato un messaggio, ma il cavaliere era partito ed i mesi erano trascorsi senza che lei riuscisse ad argomentare lucidamente le sue teorie e a dargli una risposta. - Ti insegneranno di più i boschi... - diceva un brano della missiva, quasi che la lettura dei testi non fosse altrettanto fonte di conoscenza. O forse era la sua mente sofferente a interpretare in modo errato le sue parole? - Devo riflettere con attenzione! - disse a se stessa continuando a camminare. Eunice le si affiancò sbucando dal nulla e facendola sobbalzare: - Madre, madre, il Male sta arrivando... Bussa violentemente alla nostra porta! - La badessa la guardò incuriosita e nello stesso tempo stupita per quelle parole, la prese per il braccio per allontanarla dalla presenza della giovane Laudomia. - Andiamo nella farmacia. Lì mi spiegherai - le ordinò imperiosamente, spingendola dentro. E la monaca obbedì. Nella stanza c'erano profumi di erbe essiccate e aromi di legni stagionati, ma la pace del luogo era turbata dal lamento dolente di Marguerite: per quanto sempre presa in mille occupazioni, la badessa non si dimenticava mai di lei, anzi la considerava un monito che guidava molte sue azioni. Guardò Eunice e, come succedeva spesso per l'affinità che c'era fra loro, lei comprese la domanda inespressa e le rispose: - Da giorni rifiuta il cibo che le porto. Riesco a farle bere solo un po' d'acqua nella quale ho sciolto gocce di estratto di biancospino, malva, melissa e camomilla. Tutte erbe che dovrebbero calmare il dolore e farla riposare. Vieni a salutarla buona madre, ne sarà contenta. Lo è sempre dopo le tue visite. - Così dicendo spostò la tenda di iuta e mostrò il giaciglio sul quale Marguerite di Cateborg stava concludendo i giorni della sua esistenza terrena. Ildegarda si avvicinò e la guardò con tenerezza e pietà. La poveretta era così magra che le si potevano contare le ossa e la pelle del viso era diventata gialla, grinzosa come quella dei vecchi moribondi. Però dalle labbra sottili, che serravano la bocca, usciva un mugolio continuo, segno che nella donna c'era ancora un refolo di vita. Gli occhi socchiusi e spenti si animarono di una debole luce, quando Ildegarda le passò una mano sulla fronte e le carezzò i radi e sottili capelli ingrigiti prematuramente. Fu un labile segnale, subito inghiottito dalle tenebre dell'incoscienza, eppure la badessa ebbe la sensazione di essere stata riconosciuta. Forse era davvero così, perché il mugolio cessò e il respiro della poveretta si fece regolare e profondo. La guardò con intensità, quasi volesse trasmetterle un poco di energia vitale e le disse: - Dormi cara, riposa fra le braccia dei nostri santi. La tua anima candida e senza macchia sarà presto accolta nella gloria dei cieli. - Marguerite aprì gli occhi e, con uno sforzo immane, si alzò a sedere, tese le braccia scheletriche verso di lei e con un soffio di voce farfugliò: - Perdono! - poi ricadde sul pagliericcio e si addormentò di colpo. Eunice aveva assistito alla scena stando un po' in disparte, timorosa di disturbare quello che le sembrava un vero e proprio miracolo. Erano entrambe troppo stupite per reagire e rientrarono in silenzio dentro la farmacia. - È molto peggiorata. Sente che si avvicina la fine e vi si prepara - , considerò gravemente la badessa, poi continuò: - Dovremmo avvertire la sua famiglia, benché non siano degni di vederla. - Eunice assentì vigorosamente: - Il male che le hanno fatto ricadrà su di loro e Dio concederà a quei cuori induriti la stessa pietà che hanno avuto per lei. - Il tono che aveva usato era vibrante di collera e le sue parole risuonarono come una profezia. - Sì, hai ragione, ma la povera Marguerite desidera manifestare il suo perdono ed è giusto che lo ricevano. Manderò un messaggio all'abate, perché provveda! - concordò decisa la badessa. - A Laudomia non deve succedere la stessa cosa. È un bocciolo di rosa, non deve morire senza aver mostrato la sua splendida corolla e donato il suo profumo. Voglio che resti qui solo se lo desidera. - Aveva gli occhi colmi di lacrime, mentre i ricordi le si affollavano nella mente e pian piano andava ricapitolando la triste vicenda di Marguerite di Cateborg. Il padre l'aveva destinata alla vita monastica ancor giovanissima, dopo la morte della moglie. Era una consuetudine frequente alla quale molte giovani si adattavano per non soccombere. Lei invece si era ribellata, rifiutandosi di parlare, di pregare, di vestirsi da monaca e persino di mangiare. Per trent'anni si era nutrita solo di pane inzuppato nell'acqua. Jutta, che dirigeva il monastero e l'aveva amorosamente accolta, aveva supplicato il vescovo di ordinare al nobile padre della ragazza che avesse pietà e le concedesse di seguire le sue inclinazioni. Purtroppo la risposta del conte era stata altera e durissima: - Mia figlia resterà segregata in convento, perché questa è la mia volontà e il suo destino. - La badessa non aveva potuto far altro e la sua pupilla Ildegarda aveva assistito impotente, come le altre monache, che man mano si erano aggiunte al loro gruppo, allo sfiorire della bellezza della giovane e al suo lento deperire. Ella si aggirava per i corridoi come uno spettro, così diafana da parere senza corpo e senza scopo. Non parlava con nessuna, non partecipava alle preghiere né alle occupazioni che la loro regola prescriveva. Jutta aveva tollerato la sua presenza e, col trascorrere dei mesi e poi degli anni, tutte si erano abituate a vederla seduta in qualche cantuccio, nella più assoluta inedia. Era così pallida ed esile che pareva davvero incorporea. Si aggirava nel chiostro o, nella stagione più calda, nel giardino, senza mai toccare nulla, con lo sguardo sempre ostile e la bocca serrata, quasi volesse impedire alle parole di uscire. Nessuna monaca poteva asserire di aver sentito il suono della sua voce. Quando Jutta era morta, Ildegarda era stata eletta dalle sue compagne, col benestare del vescovo, a succederle. Una delle prime cose che aveva fatto, al termine della cerimonia che la consacrava a dirigere l'abbazia, era stata quella di far scrivere al vescovo. Chiedeva, con parole accorate, di aiutare quella povera donna, rinchiusa suo malgrado e così sofferente; il prelato aveva provato ad intercedere per lei, ma ancora una volta la sua nobile e potente famiglia aveva opposto un fiero e rigido rifiuto. Suo padre aveva contratto un ricco matrimonio e aveva figli e figlie che avrebbero perpetuato il suo casato, la figlia di primo letto sarebbe stata un intralcio ai suoi progetti. La badessa era andata di persona a parlare con Marguerite, in un incerto tentativo di consolarla. L'aveva incontrata nel chiostro e lei aveva lasciato che Ildegarda si avvicinasse e persino che le carezzasse il viso. Era questo uno degli speciali carismi della badessa. Quel suo saper attrarre le anime con un gesto, uno sguardo, il lieve tocco della mano. Lei leggeva nei cuori e creava un canale di profonda comunicazione con le anime. Le aveva detto: - Ho chiesto al vescovo di interessarsi al tuo caso. Queste mura sono per te la più atroce delle prigioni e vorrei poterti restituire la libertà alla quale aspiri, ma i tuoi familiari si sono opposti ed a niente è valsa la mia preghiera. - C'era dolore e pena nelle sue parole e furono miele per le orecchie di Marguerite e balsamo per le sue ferite. Gli occhi le si riempirono di lacrime e per la prima indimenticabile volta Ildegarda ebbe la visione di come era stata bella. Poi le labbra si trasformarono in un piccolo bocciolo di rosa appena schiuso; rispose: - Grazie! - e, prima che la badessa si riavesse dalla sorpresa, si allontanò col suo passo lieve, sparendo, inghiottita dalle ombre del chiostro. Da allora erano trascorsi altri inverni e altre estati e la donna aveva continuato a consumarsi lentamente fino a quando non aveva più avuto forze. Una mattina Eunice, la piccola, coraggiosa ed indomita infermiera, l'aveva trovata incosciente in mezzo all'erba del giardino e l'aveva portata nella farmacia, tenendola in braccio come fosse una bambina. Non potevano far niente di più che starle accanto, in attesa della visita liberatrice della morte. Quel pensiero riportò Ildegarda al presente e al motivo dell'agitazione di Eunice, così la sollecitò: - Dimmi dunque. - L'infermiera rispose prontamente: - Un monaco percorreva il sentiero che porta al monastero, ma la freccia di un arciere gli ha trapassato il cuore. Ora giace a pancia in giù, infilzato come una grassa quaglia pronta per la cottura. - Saltellava qua e là in preda all'eccitazione e Ildegarda aggrottò la fronte pensierosa, poi domandò: - Chi è? L'hai riconosciuto? - Eunice alzò le spalle rammaricandosi. - I nomi sono come i semi del tarassaco, danzano nella mia mente portati dal vento, ma si fermano poco. Alipio... credo... o Ermanno oppure potrebbe essere... Sì, è uno degli economi. L'ho visto qualche anno fa una volta. Ecco ora ricordo. Alimundus! Che felicità provo perché la mia mente ha trovato il suo nome e l'ha detto alla mia lingua. - Saltellando manifestava una gioia infantile, ma la badessa non le badò e cominciò a passeggiare nervosamente nella stanza. - Alimundus non era certo noto per il suo coraggio, anzi usciva molto raramente dal monastero e sempre accompagnato da qualche novizio. Chissà cosa lo ha spinto a lasciare la frescura e la sicurezza del chiostro per spingersi sotto il sole cocente nel sentiero che conduce qui da noi? Eunice, mia cara, smettila di ballarmi intorno e dimmi: hai osservato la freccia che lo ha portato dritto da nostro Signore? - La monaca socchiuse gli occhi e si succhiò le labbra ripetutamente, quasi che quel gesto l'aiutasse a ricordare, poi rispose: - È un freccia sottile e lunga e con un ciuffetto di piume gialle e azzurre. - La badessa scosse la testa: - Qualche indizio, ma non abbastanza! Ma certo il nostro assassino non vuole farsi trovare subito, vuol farci faticare un poco. Bene bene, sarà una bella caccia. Adesso andiamo a mangiare: la campana ha già suonato. Del povero Alimundus si occuperanno l'abate o gli uomini del vescovo a seconda che siano l'uno o gli altri a scoprire per primi il suo corpo. Noi possiamo solo pregare per la sua anima. - L'infermiera non replicò e si avviarono sotto il porticato; Ildegarda camminava lentamente, con le spalle un po' curve e il passo esitante ed incerto dei sofferenti; Eunice provò una stretta al cuore per la compassione. - La tisana non ha funzionato? Hai avuto un'altra delle tue crisi? - le domandò con sollecitudine. La badessa si fermò e, prima di rispondere, considerò la sua situazione, poi disse: - Sì! Ha funzionato. Schegge lucenti come punte di spada mi si conficcavano nella testa, ma senza ferirmi veramente. Ognuna di loro evocava un'immagine. Sorella mia, è stato terribile. Il dolore era come lingue di fuoco dentro di me e fuori di me, io ne ero prigioniera, ma non mi consumavo. Una voce potente mi ha ordinato di parlare, di rivelare la forza dell'Amore, ma io avevo la bocca serrata e mi usciva solo un flebile gemito. Avevo bevuto l'infuso di finocchio e biancospino e forse questo ha fatto cessare la crisi prima che la sua violenza mi trasportasse nel limbo senza luce né tempo. Credo che mi abbia fatto bene. - Gli occhi di Eunice si riempirono di lacrime. Il racconto delle pene altrui la faceva sempre soffrire e il profondo legame che la univa alla badessa aumentava la sua sensibilità, però rispose dopo un momento di riflessione: - Aggiungerò della melissa e qualche goccia di estratto di mandragola. - Ildegarda assentì. - Se lo ritieni opportuno, va bene. Hai visto Mateus? - La compagna sorrise, illuminandosi in volto, come tutte le volte che parlavano del ragazzo, ma poi rispose con un tono grave: - Sta pascolando le capre, le tratta come sorelle. Gli ho raccomandato di star lontano dal monastero fino a sera. Non mi piace gironzoli per il chiostro attirando su di sé l'attenzione dei nostri ospiti. - Ildegarda assentì con un cenno del capo: dentro di sé non poteva che approvare l'atteggiamento protettivo dell'infermiera nei confronti di Mateus. Conosceva abbastanza l'animo umano per sapere quanto la debolezza della carne mettesse in pericolo i giovani che capitavano sotto le grinfie di uomini scellerati, incapaci di governare i propri istinti. Aspettavano visite importanti e la badessa sospirò. L'ultima crisi l'aveva spossata, lasciandole addosso un senso di profonda inquietudine, come se qualcosa di funesto stesse per accadere e la tragica morte di Alimundus le pareva fosse l'inizio di disgrazie molto maggiori. Sapeva che non le era possibile cambiare il corso degli eventi, anche se ne prevedeva spesso l'esito, per questo, consapevole della sua impotenza, accelerò il passo in direzione del refettorio. Le monache attendevano il suo arrivo per iniziare il pranzo, ma erano già sedute ordinatamente al loro posto e le novizie stavano servendo le più anziane. Ildegarda fece il suo ingresso con una certa solennità e prese posto accanto alle sue consigliere ed alla vice badessa. Tutte insieme recitarono la preghiera di ringraziamento e poi si servirono di verdura, pesce di fiume cotto e bagnato nell'aceto, ricotta profumata con erbe aromatiche e frutta. Il cibo era abbondante, distribuito secondo le esigenze di ognuna e oltre all'acqua c'erano infusi di menta e di anice molto utili per vincere la calura estiva. Mangiavano conversando a bassissima voce, perché la Regola non era rigidamente imposta e Ildegarda preferiva che le sue monache, tutte di nobili origini ed abituate a convivi di ben altro tenore, non patissero anche la penitenza del silenzio a tavola, che le pareva inutile. La badessa cercò Laudomia con lo sguardo. La nuova arrivata la preoccupava e temeva fortemente per la sua salute. Sapeva che molte malattie, anche gravi, erano frutto di umori che sgorgavano dalla tristezza e per questo comandava alle sue novizie di cantare, danzare e gioire per onorare il loro sposo divino. Aveva fatto conservare i loro abiti mondani e spesso, durante le festività, concedeva che li indossassero. - Il re di tutti i re si è degnato di farci sue e noi ne gioiamo come se vivessimo fin da ora nella sua corte! - diceva esortandole al canto e alla danza. La ragazza pareva più serena e conversava animatamente con una compagna. Ildegarda non era certa sull'esito della sua richiesta, ma avrebbe mantenuto la promessa e usato tutta la sua influenza per essere esaudita e per rendere gradevoli a Laudomia i giorni della sua permanenza a Disibodenberg. Le consigliere gradivano la sua presenza e l'accolsero facendole posto. Erano state d'accordo con Jutta di Sponheim quando l'aveva designata alla sua successione, e Ildegarda si era guadagnata il loro affetto, oltre che il loro rispetto, e glielo dimostravano. Il suo governo era autorevole, ma condivideva volentieri le questioni importanti con loro, per questo, dopo aver mangiato un poco di frutta, disse: - Sorelle carissime, devo comunicarvi un fatto molto grave! - Eunice, che era rimasta in piedi, girò intorno alla tavola e si riempì una ciotola con frutta e formaggio, poi disse: - La nostra buona madre vi dirà quello che ho visto. Sì, sì. Io devo tornare da Marguerite. La crisalide sta per trasformarsi in farfalla e volare via. Dopo tutti questi anni di prigionia sarà libera! - Si fermò di scatto, come se un fulmine l'avesse colpita, spalancò gli occhi dilatandoli fino all'inverosimile e li fissò sopra il piano di legno scuro. Le monache ebbero l'impressione che vi vedesse scene terribili e forse era così, perché quando si riprese mormorò in un soffio: - Il Male è qui... ne sento il fetore... - Si voltò e uscì dal refettorio col suo solito passo saltellante. Anche Ildegarda si era turbata, ma comprendeva più delle altre quel comportamento e spiegò: - Poco fa la nostra cara Eunice ha assistito all'omicidio di un monaco: Alimundus. È stato colpito alla schiena con una freccia. Non è compito nostro occuparci del suo corpo e saranno i suoi confratelli a provvedere alla sua sepoltura, ma doverosamente pregheremo per la sua anima. Egli era diretto al nostro monastero e vi domando se qualcuna di voi ne conosce il motivo. - Attese la reazione delle monache, ma tutte espressero sorpresa e stupore per quella tragica notizia. Fu la sua vicaria, Anna di Lüneburg a domandare altri chiarimenti e ad avanzare un'ipotesi: - Egli non era l'economo? Forse portava una richiesta dell'abate... Da giorni chiede che gli siano versate rendite aggiuntive a quelle pattuite. - Ildegarda aggrottò la fronte e ponderò la risposta, attenta a non lasciar filtrare l'irritazione che le richieste dell'abate Kuno le provocava. - Daremo ai nostri fratelli monaci quanto dobbiamo, per i servizi che ci rendono, ma niente di più. Il signor vescovo ci ha donato questo privilegio, liberandoci da una servitù che ci avrebbe impoverito impedendoci di vivere degnamente ed attendere al compito doveroso della preghiera. Ciononostante potresti essere nel giusto, cara compagna, perché Kuno ha molte spese per la costruzione della nuova chiesa e potrebbe essersi servito del buon Alimundus per le sue richieste. Non credo però che l'economo sarebbe venuto da solo; anche se il tragitto è breve la sua pavidità non glielo avrebbe consentito e si sarebbe fatto accompagnare da qualcuno. - Le monache assentirono, concordando con la badessa. Nessuna pareva avere una qualche idea circa il motivo di quella visita inaspettata e tacquero riprendendo a mangiare. Ildegarda girò la testa e guardò con simpatia le sue consorelle. Era certa che avrebbe ricevuto da loro tutto il conforto e l'aiuto di cui abbisognava, come già era successo in passato, anche se pensava che la morte di Alimundus non fosse che la prima di molte disgrazie. Eunice tornò, rossa in viso a causa della corsa che aveva fatto, attraversò la stanza e si avvicinò al loro tavolo. Contravvenendo la consuetudine, non aspettò di essere invitata a parlare e disse subito: - L'anima di Marguerite sta abbandonando il suo corpo. - La badessa assunse un'espressione grave e ordinò: - Avvisate Volmar e ditegli di venire al più presto. Noi andiamo a salutarla prima che ci lasci. - Si alzò e le altre monache la seguirono consapevoli della solennità di quel momento. Si preparavano ad accompagnare coi canti di lode la partenza della loro sorella per l'incontro con Dio. Non erano tristi, anzi gioivano, perché il tempo dell'attesa era finito per lei, ma avrebbero chiesto a gran voce al Signore di usare misericordia alla sua anima. Anche nella reclusione del chiostro il tentatore entrava liberamente per indurre al peccato e nessuna che fosse sana di mente poteva asserire di essere senza colpa. Ildegarda varcò per prima la soglia dell'infermeria e si avvicinò al letto. Nel corpo scheletrico di Marguerite albergava ancora un poco di vita e nel fondo degli occhi semiaperti brillava una flebile luce, ma Eunice non aveva avuto torto, perché il suo respiro era appena percettibile. Un brevissimo spazio di tempo separava la moribonda da colui che l'avrebbe giudicata. La badessa prese le mani esangui fra le sue e disse con voce chiara e ferma: - Figlia, ricevi da me, che ti sono madre nella fede, e dalle tue sorelle il perdono per le tue mancanze. - Le tracciò un piccolo segno di croce sulla fronte, senza che la monaca reagisse in nessun modo, poi continuò: - Anima pura, lascia questo corpo che ti ha ospitato. Tu hai vissuto obbedendo alla santa Regola del nostro padre Benedetto e sarà lui a presentarti a Dio. - La morente mosse le labbra nel tentativo evidente di rispondere. La luce nei suoi occhi sfavillò con più energia e le labbra si mossero: - Perdono... perdono - ripeté in modo appena intellegibile, poi sbarrò gli occhi e con uno sforzo sovrumano, si drizzò a sedere sul letto e sorrise. Vedeva qualcosa che alle altre era negato. Rimase in quella posizione pochi istanti e poi piombò di nuovo sul giaciglio e cessò di respirare. La badessa comunicò solennemente la notizia. - Marguerite ci ha lasciato. Preghiamo... - Non poté finire la frase, perché una voce stridula la interruppe: - Ella ha vissuto nella ribellione costante e irriducibile all'autorità paterna. Ha rinnegato il suo destino e la sua vocazione dimenticando che Dio parla attraverso il padre e i fratelli. A noi misere, nate col nome di donna, si chiede di obbedire, per questo siamo su questa terra. Le porte degli inferi si sono aperte per lei, così come si apriranno per tutti quelli che prepongono la propria volontà a quella dei loro maggiori. - La giovane monaca Achilinda era stata così imperiosa e tagliente che tutte le altre la guardarono stupite. Aveva avuto un comportamento inauditamente irrispettoso della gerarchia e questo le aveva paralizzate e rese incapaci di reagire. Fu ovviamente Ildegarda a replicare: - Figlia, non sta a te giudicare. Innalziamo a Dio i salmi della gioia, perché Marguerite, ornata delle perle della purezza e delle pietre preziose del sacrificio, è di fronte al suo sposo. Tu ritirati e medita sulla tua disobbedienza alla disciplina e sulla mancanza che hai avuto verso di me. - Volmar giunse in tempo per sentire il duro rimprovero della badessa e approvò, con un cenno della testa canuta, l'ordine che ella aveva impartito. Il suo cuore fremette nel vedere la giovane che si allontanava eretta e superba come avrebbe fatto una regina. La potente famiglia alla quale apparteneva proteggeva da molti anni il loro monastero e la nobile signora contessa non sarebbe stata contenta di sentire le lamentele di sua figlia Achilinda Volmar, come Ildegarda, vedeva fosche nubi ammassarsi su di loro, ma ora il dovere più pressante era quello di pregare. Guardò il volto esangue della morta e sospirò. La sua anima era già lontana, oltre la soglia della vera vita, quella che ognuno di loro agognava, e non era certo che avrebbe inteso le loro voci. Dio, che tutto vede e sente, però le avrebbe ascoltate. S'inginocchiò, intonò il salmo e le monache, una dopo l'altra gli si unirono, poi il monaco tracciò con la mano destra un ampio segno di croce sul corpo inanimato di Marguerite e immediatamente il silenzio calò nella stanza. Laudomia guardò con preoccupazione Ildegarda. Era stata colpita negativamente dal discorso di Achilinda, ma la badessa la tranquillizzò con un sorriso. Aveva fatto una promessa e l'avrebbe mantenuta. Volmar presagiva che per la badessa si preparavano giorni difficili e non era certo di poterla aiutare. Le stava vicino, si scaldava al sole della sua presenza e attingeva alla sua forza e cosa le dava in cambio? Non era sicuro di esserle veramente utile. In certi momenti si accorgeva di quanto ella gli fosse maggiore in scienza e sapienza: solo lo stato di malattia in cui precipitava frequentemente, le impediva di volare con ali d'aquila sopra ognuno di loro. - Forse dovrebbe cominciare a rivelare le sue visioni - , pensò fugacemente, ma con preoccupazione, poi tornò a concentrarsi sulla morta e riprese a pregare. Eunice invece non riusciva a farlo, era irritata, non le piaceva avere la ‘sua' infermeria piena di persone e faceva avanti e indietro sulla soglia. Scrutava pensierosa il volto pallido di Ildegarda, timorosa di scorgervi i segni di una delle sue dolorosissime crisi, che negli ultimi tempi erano state più lunghe e frequenti. Una delle donne addette ai servizi più umili la raggiunse e le disse: - La contessa Von Hughen è giunta con la sua scorta e aspetta di essere ricevuta dalla signora madre badessa. - La piccola monaca fu contenta di quel diversivo che avrebbe permesso alla tensione di diluirsi. Le bastò uno sguardo d'intesa e poche brevi parole sussurrate perché Ildegarda capisse che l'ospite attesa era arrivata e uscisse dalla stanza per incontrarla. Si fermò nel portico ombroso e guardò il chiostro ampio e lussureggiante di piante e fiori, la cui vista sempre la ristorava, poi si passò una mano più volte sul volto. Avrebbe voluto cacciare la fatica per il governo della comunità, o meglio ancora lasciare a qualcun'altra la gravosa incombenza, ma sapeva che non era possibile, allora sospirò rumorosamente e poi seguì Eunice attraverso il cortile. Il sole era alto ed i raggi, come fossero spine acuminate, le ferirono le pupille e per qualche istante le impedirono di vedere. La monaca se ne accorse e la guidò, tirandola per la manica verso la stanza dove l'illustre ospite le aspettava. Dopo aver recitato i salmi di misericordia Volmar uscì dall'infermeria, subito seguito dalle monache. Accanto al corpo inanimato di Marguerite rimasero solo due delle anziane e due novizie. A loro toccava il compito di lavarlo, profumarlo e vestirlo, poi lo avrebbero portato in chiesa per il rito che precedeva la sepoltura. I suoi parenti, se lo avessero voluto, avrebbero potuto darle un ultimo saluto, ma il monaco era certo che non avrebbero accettato l'invito a partecipare. Non certo il padre, chiuso in un superbo e ostile silenzio, non i fratelli, nati dopo di lei e che la ritenevano un'estranea, non la vecchia nutrice che l'aveva accompagnata al monastero e servita fino a quando aveva avuto forza e vita: la morte le aveva donato la pace e tolto ogni affanno per quella fanciulla dal comportamento incomprensibile già da molti anni. Volmar aveva fretta di celebrare la santa messa. La morte quel giorno aveva ghermito due prede: Alimundus e Marguerite. Quale dei due era più pronto ad affrontare il giudizio di Dio? La monaca vissuta nell'acredine, consumando il corpo e lo spirito nel rifiuto dell'autorità e della volontà paterna, come aveva acutamente e proditoriamente sentenziato la giovane Achilinda, oppure il dotto e avido economo, capace di enumerare a memoria il valore delle rendite di ogni terreno, di ogni piantumazione e di ogni gregge? Alimundus non usciva mai se non era accompagnato e certo doveva avere un grave motivo per avventurarsi da solo, in un'ora calda e afosa del giorno, fuori dalle mura protettive del monastero. Quale uomo poteva essergli così nemico e come sapeva che avrebbe percorso quel tratto di strada? Era probabile che l'arciere l'aspettasse, nascosto in qualche anfratto della collina o dietro qualche masso, ed era sicuramente molto abile, troppo precisa infatti la freccia, arrivata diritta al cuore. La morte era stata istantanea e il povero confratello non aveva avuto neppure il tempo di chiedere perdono dei suoi peccati, o di domandarsi perché la sua vita venisse recisa. Volmar non aveva risposte, anzi ogni domanda ne suscitava un'altra nella sua mente, in una sequela della quale non intravvedeva la fine. Ildegarda non era in cappella, evidentemente trattenuta dagli importanti ospiti. Avrebbe voluto chiederle se conosceva un qualche affare capace di trascinare l'economo a Disibodenberg, facendogli vincere la paura che lo teneva relegato, ma al sicuro, nell'abbazia e la sua assenza lo irritò. Si guardò intorno stizzito, perché gli pareva di perder tempo. Nella sua clessidra continuavano a cadere granelli di sabbia e non sapeva quanti gliene rimanevano ancora da consumare. Come sempre, quando moriva qualcuno, il pensiero della propria fine gli si presentava prepotentemente davanti. Rivedeva la sua vita e si interrogava su quando sarebbe terminata e su cosa avrebbe dovuto fare prima di quel momento. Le monache si erano già sistemate nei loro poveri stalli di legno grezzo, niente a che vedere con il coro intarsiato dell'abbazia poco lontano. La loro nobile nascita pativa molte privazioni e l'elezione di Kuno ne aveva accentuato la povertà, soprattutto da quando aveva deciso di aumentare le richieste di denaro, adducendo sempre nuove giustificazioni. Il carisma di Ildegarda aveva fatto decidere molte ricche famiglie a donazioni e regalie, ma ogni cosa finiva nelle capienti casse dell'abbazia e l'abate concedeva alle poverette solo lo stretto necessario per sopravvivere. Volmar non lo giustificava, ma non aveva alcun potere per opporvisi. Si inginocchiò e restò in silenziosa preghiera fino a quando non sentì che il piccolo corteo funebre si stava avvicinando. Marguerite, rivestita dall'abito benedettino che in vita aveva sempre rifiutato, fu adagiata ai piedi dell'altare. Da qualche parte la piccola Achilinda osservava la scena ed al monaco parve di sentire l'intenso odore dell'astio levarsi insieme a quello dolciastro della cera. Era convinto che la nobile famiglia cui apparteneva non avrebbe gradito le sue lamentele ed i guai per la badessa sarebbero arrivati anche da quella parte e senza chiedere il permesso. Si drizzò in piedi e si aggiustò la veste, intonando il salmo. Alla sua potente voce baritonale si unirono, timidamente, le monache e la cappella si riempì del loro canto. |
|
Biblioteca
|
Acquista
|
Preferenze
|
Contatto
|
|
|
|