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Writer Officina Blog
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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa,
teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana
di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, Non ora, non
qui, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri
sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese,
swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale
alcune parti dellAntico Testamento. Vive nella campagna romana dove
ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A
grandezza naturale", edito da Feltrinelli. |

Patrizia Rinaldi si è laureata in Filosofia all'Università
di Napoli Federico II e ha seguito un corso di specializzazione di scrittura
teatrale. Vive a Napoli, dove scrive e si occupa della formazione dei ragazzi
grazie ai laboratori di lettura e scrittura, insieme ad Associazioni Onlus
operanti nei quartieri cosiddetti "a rischio". Dopo la pubblicazione
dei romanzi "Ma già prima di giugno" e "La
figlia maschio" è tornata a raccontare la storia
di "Blanca", una poliziotta ipovedente da cui è
stata tratta una fiction televisiva in sei puntate, che andrà in
onda su RAI 1 alla fine di novembre. |

Gabriella Genisi è nata nel 1965. Dal 2010 al 2020,
racconta le avventure di Lolita Lobosco. La protagonista è
unaffascinante commissario donna. Nel 2020, il personaggio da lei
creato, ovvero Lolita Lobosco, prende vita e si trasferisce dalla
carta al piccolo schermo. In quellanno iniziano infatti le riprese
per la realizzazione di una serie tv che si ispira proprio al suo racconto,
prodotta da Luca Zingaretti, che per anni ha vestito a sua volta proprio
i panni del Commissario Montalbano. Ad interpretare Lolita, sarà
invece lattrice e moglie proprio di Zingaretti, Luisa Ranieri. |
Altre interviste su Writer
Officina Magazine
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Intrecci del destino
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Aprile, 1943.
Luisa Boschi, aveva lasciato la stradina polverosa della sua cascina e sfilava in sella alla sua bicicletta, verso il paese. Lungo il percorso accanto al castello, scorreva il canale della roggia, fino ad arrivare al mulino delle Umiliate. Il rumore della ruota girava lentamente e permetteva di far scorrere la limpida acqua. La porta del mulino si aprì e un'esile sagoma sgusciò fuori: era la moglie del mugnaio, con due cesti pieni di uova, farina e riso, quando la videro le galline, le oche le andarono incontrò sperando di ricevere qualche briciola da mangiare. Luisa la salutò e lei ricambiò mentre caricava sul carro già pieno di altri prodotti, che attendeva d'essere tirato da un cavallo e portato al mercato, sempre pervaso da pettegolezzi e chiacchiericcio del sabato mattina. I contadini esponevano i loro prodotti ben visibili. L'odore delle cipolle e aglio era forte. Tutti si conoscevano e si salutavano. All'improvviso un rombo squarciò nel silenzio e il cielo si riempì di fumo. Luisa alzò il naso all'insù e vide un aereo che stava cadendo al di là dei campi. I cani iniziarono ad abbaiare nervosamente, mentre altri aerei volteggiavano in cielo. Rimase lì a guardare quel fumo nero, che s'alzava e sperò che il pilota si fosse salvato. Quella guerra dilaniava da alcuni anni, procurando molti morti e tanti danni. Il vento le sembrò che portasse nell'aria i lamenti di chi era rimasto ferito. Scorse delle sagome scure di uomini che fluttuavano sotto il paracadute, per disperdersi in varie direzioni e atterrare nelle vicine campagne. Era intenzionata nel proseguire facendo un giro tra le cascine, ma cambiò idea dopo aver visto quelle immagini e ripensò a quel giorno di settembre del 1939, si trovava con i suoi genitori nella piccola vigna a raccogliere l'uva. Quando videro arrivare di corsa suo fratello, Paolo e sussurrare ad Amedeo, il loro padre, all'orecchio qualcosa, che lo spinse a correre in casa ad accendere la radio, situata sulla credenza della sala da pranzo. “La Germania ha invaso anche l'Italia, a quanto pare aveva ha dichiarato guerra e questo significa un nuovo conflitto”. Amedeo, dopo aver ascoltato il notiziario, annunciò la notizia alla famiglia. Le vennero in mente le parole di suo padre, quando scoppiò la guerra e lei pensò a uno scherzo. Dal momento in cui ebbero la notizia, la vita di ognuno di loro era cambiata. Uno stormo di uccelli, le volò quasi sulla testa e la riportò alla realtà, pensò che i nazisti non avrebbero avuto pietà, se l'avessero vista, non si sarebbero interrogati sul perché una ragazza stesse lì sola su una stradina isolata. Ma lei conosceva bene la sua zona: era la sua terra. Non aveva motivo di nascondersi, ma di allontanarsi quello sì. Fece ritorno in paese, per comprare il giornale a suo padre, nell'unico giornalaio che c'era. In quel piccolo paese non c'era niente di speciale. Un mucchio di case, due chiese, un bar nella via principale e un altro nella piazza centrale. Un piccolo negozio di generi alimentari che vendeva un po' di tutto. Poi, fece un giro verso la piazza e vide i tedeschi che si riempivano le tasche di sigarette, comprate nel bar del centro. Una SS accese una sigaretta e la brace gli illuminò il volto sporco, ma divertito. Lui gliene offrì una, ma lei la rifiutò. Lo sguardo di un amico di suo padre, balenò sui militari dalle uniformi grigie che riempivano la piazza, ubriachi fradici e iniziarono a molestare con parole volgari, le donne che passavano. «Vai a casa, Luisa.» le consigliò lui. Lei colse il consiglio e iniziò a pedalare frettolosamente. Prima della guerra, il paese era tranquillo, non c'era nessun straniero, ora con le SS era diventato affollato. Luisa, era figlia di contadini e viveva in una cascina come tante in legno e muratura, circondata da molto verde nella campagna di Rosate, dove le stradine erano selciate. La sua era un fazzoletto di terra che suo padre, Amedeo, teneva sempre in ordine e mai un filo d'erba fuori posto: coltivava fave, fagioli, pomodori e patate e cresceva anche il granoturco che serviva per fare il pane giallo. Nel retro c'era il ricovero per gli animali. Il gallo c'era sempre ed era necessario per dare la sveglia dell'alba. L'asino era vecchio e non riusciva più a trasportare la legna, che sarebbe poi servita per tutto il prossimo inverno. Per quanto faticoso potesse essere, non era mai stanco. Luisa arrivò in cascina, spingendo la sua bicicletta che era appartenuta a sua nonna, Elisabetta, l'aveva usata per andare a lavorare nelle risaie. L'appoggiò al muro di un piccolo casolare adibito ad alloggio per gli attrezzi da giardino. Era molto legata a sua nonna, che quando morì, Luisa rimase per qualche giorno chiusa nella sua cameretta a piangere. La bicicletta era vecchia, ma utile per girarci in paese. Era un ricordo particolare e ogni volta le si stringeva il cuore. In casa, posò il giornale, sul tavolino della cucina. Fece ritorno all'aria aperta e tra le fessure dei muri qualche lucertola venne fuori in cerca d'acqua. Si dedicò nell'iniziare nel cortile, una casetta per gli scoiattoli, con dei pezzi di legna e in cima un buco per farli entrare e uscire. Durante la primavera, anche le piccole lepri facevano la loro apparizione. I cani si misero ad abbaiare, segno che stava arrivando qualcuno. Interruppe il lavoro e si pulì le mani con uno strofinaccio. Raggiunse, la parte principale dell'entrata e si fermò all'istante, nel vedere arrivare Carlo Benvenuti, nello splendore della sua giovane età sempre sorridente vestito da soldato. Stringeva in una mano un mazzolino di fiori di campo. Quando lo abbracciò sentì l'odore della guerra, della polvere da sparo e sulle labbra assaporò il profumo di un giovane soldato innamorato. «Sei tornato per restare a casa per sempre?» domandò, gioiosa lei. «No, dolce Luisa. Sono qui in congedo per pochi giorni. Poi, devo ripartire la guerra mi attende.» rispose malinconico. Lei abbassò lo sguardo e un attimo dopo alzò gli occhi lucidi. «Ma non pensiamoci. Dobbiamo trascorrere questi giorni sempre insieme.» disse lui, tenendola stretta a sé. «Ti terrò stretto tutti i giorni.» aggiunse lei, osservando i suoi capelli neri e ricci, del suo unico grande amore. Quando fu dichiarata la guerra e il giorno in cui era scoppiata tutti gli uomini del paese si erano radunati nelle proprie case ascoltando la radio. Ricordò il giorno in cui lei e Carlo si salutarono in piazza, dove si erano riuniti i giovani soldati pronti per partire e il paese si svuotò di colpo. Anche suo fratello, Paolo, era partito per la guerra e sua madre, Caterina, aveva cercato in tutti i modi di dissuaderlo da quella decisione. Ma doveva andare per difendere la patria. In cucina, lei riempì una brocca d'acqua e mise dentro i fiori selvatici disponendoli con cura e gentilezza, per poi sistemarla al centro della tavola. Carlo, seduto su una sedia impagliata, la guardava mentre preparava il caffè. Le raccontò di aver ricevuto una medaglia per aver salvato dalle mani dei nazisti una famiglia di ebrei e la sfoggiava con onore. Purtroppo, la guerra portava tanta infelicità, malattie e morte. I prigionieri venivano mandati nei campi di concentramento. Aveva visto il dolore dei bambini rimasti orfani di padri morti in guerra e delle madri violentate e uccise dalle SS. Carlo apparteneva a una delle più ricche famiglie di Rosate. I suoi genitori non vedevano di buon occhio quella relazione e loro due sapevano bene che non ci sarebbe stato un futuro, ma si amavano. I desideri, le speranze di vivere insieme erano ridotti al minimo. A mezzogiorno le campane suonarono. Carlo si alzò e disse con una promessa, che si sarebbero rivisti il giorno seguente. Lo accompagnò fuori, si diedero un lungo bacio. Poi, lui si staccò da lei e le accarezzò il viso. Lo vide allontanarsi. Lei rimase fuori a prendersi un po' di sole sul viso.
Seduti attorno alla tavola, il cibo trionfava sui piatti bianchi, ma nessuno di loro osava cominciare a mangiare prima che Amedeo benedicesse il pranzo. Luisa iniziò col dire che Carlo era andato a farle visita. Amedeo abbassò lo sguardo e Caterina osservò quel suo gesto poco rispettoso. Ebbe l'impressione che non avesse piacere sentir parlare di lui e della sua famiglia. Come se stesse prodigando di eliminare ogni conversazione appartenente a Carlo. Caterina iniziò con il dire che Raffaella, l'altra loro figlia, era in attesa del primo bambino e sarebbe nato nel periodo natalizio. Amedeo a quella notizia di diventare nonno, gioì d'improvviso e si augurò che fosse un maschio: il suo primo nipote. Luisa non disse una parola, ma si scambiò delle occhiate con i genitori. «Tu non sei felice, che tua sorella avrà un bambino?» si rivolse alla figlia. «Ma certo, papà. Sono felice, anch'io e sono rimasta sorpresa, non mi aspettavo una così bella notizia.» rispose Luisa, con un mezzo sorriso. «E già, perché tu hai in mente quel damerino venuto per illuderti ancora una volta. Carlo non è per te. La sua famiglia è contraria a questa vostra relazione...» Luisa con rabbia posò la forchetta sul bordo del piatto e stava per alzarsi per abbandonare il pranzo. «Non mi sembra educato alzarsi per lasciare a metà il pranzo. Siediti.» le ordinò il padre, fermandola per un braccio. Luisa fece un sospiro e ritornò a sedersi guardando la madre preoccupata per la situazione che si era creata. «Io non posso aiutarti a far cambiare idea a quella famiglia. In paese dicono che non appena la guerra sarà finita, Carlo andrà via da qui, per sposarsi con una ricca donna.» spiegò Amedeo, bevendo l'ultimo goccio di vino. Luisa era atterrita. Una lacrima rigò la sua guancia che subito l'asciugò con il dorso di una mano. Alla fine del pranzo, Caterina arrivò con il vassoio, su cui facevano capolino le tazzine con il caffè da servire. Luisa attese alcuni minuti. Poi, si alzò per sparecchiare. Portò i piatti nell'acquaio per lavarli. Ripose la tovaglia nella credenza, dopo averla scrollata sul cortile per far cadere le briciole di pane e ogni volta la processione di uccellini di ogni tipo era lì per mangiare. Luisa si defilava sempre con la scusa di andare in paese a comprare qualcosa, ogni qualvolta che Caterina le chiedeva, almeno, una volta al mese di aiutarla nel pulire bene la casa. Quel pomeriggio, sua madre la frenò e con il suo aiuto iniziarono nelle faccende domestiche, spostando anche i mobili. Dalle finestre aperte, si sentivano i canti delle mondine, immerse nell'acqua delle risaie, chine sotto il sole. Luisa era stanca, ed era desiderosa di fare due passi. Il cielo era un po' nuvoloso, si avviò ugualmente. Non appena superò la curva del sentiero della sua cascina, vide Carlo seduto su un vecchio carro, mentre fumava una sigaretta consumandola lentamente. Indossava un paio di jeans e una camicetta azzurra. La sua presenza la rese radiosa. Lui fece un saltello e le andò incontro, aveva in programma di stare con lei per qualche ora. Si coricarono in mezzo alla piantagione di granoturco e mentre facevano l'amore un leggero venticello dondolava le pannocchie dorate che sfregavano i fianchi di Luisa. Il cielo era sempre più nuvoloso, da lì a poco si sarebbe messo a piovere. Anche se le nubi erano alte, per lei era una splendida giornata. Si ricompose. Si sedettero sul cumulo di fieno, lui le afferrò le mani e guardandola dritta negli occhi, le promise che quando la guerra sarebbe finita, lui l'avrebbe sposata. «In paese gira la voce, che non appena finirà questa maledetta guerra, te ne andrai per sposare una donna ricca e mi stai illudendo solo per i tuoi piaceri.» disse lei, preoccupata. Lui rimase silenzioso. La vampata sulfurea del fiammifero illuminò il suo volto e lui si accese una sigaretta. «Dimmi qual è la verità Carlo?» domandò lei, in attesa di una sua risposta, che non arrivò subito. Lei lo guardò delusa. «Sono i miei genitori che lo vogliono e io non posso che accettare.» disse, ma s'interruppe bevendo della grappa dalla borraccia, con lo sguardo profondo. I primi lampi squarciarono il cielo e subito dopo seguì un tuono. «Sarà meglio rientrare in casa, prima che inizia a piovere. Ci vediamo domani.» consigliò lui. Gli occhi di Luisa si rannuvolarono assumendo come in quel momento, la tinta del cielo fosco prima del temporale. «Io non ho una famiglia danarosa. Non ho uno studio approfondito, non ho parenti colti e illustri che mi possono aiutare a vivere nel lusso.» stabilì lei. In lontananza, si sentivano i bombardamenti, misti ai tuoni. Lui la salutò cercando di rubarle un bacio sulla bocca, che profumava di fieno, ma lei si spostò. «Sarebbe bene non vederci più.» «Dai Luisa, non prendertela.» «Vattene!» gli ordinò quasi urlando. Lui si voltò e lei lo vide allontanarsi. Luisa, rientrò in casa sbattendo la porta d'ingresso. Salì la rampa di scale, aprì la porta e si chiuse nella sua camera. Si lasciò cadere sul letto e cadde in malinconia. Si tuffò nei ricordi di quando con Carlo, andavano nei pomeriggi d'estate, passeggiando tra i sentieri, che costeggiavano le risaie e i canali pieni d'acqua. Delle belle gite in bicicletta e al loro ritorno, si fermavano a comprare un gelato nel bar di fronte la piazza e poi andavano a sedersi sulla solita panchina di legno marrone scuro, sotto l'ombra di un tiglio profumato. Restavano lì a chiacchierare, fino quando il campanile della chiesa batteva le ore diciotto. Si alzavano e si salutavano con un piccolo bacio.
Luisa, rimase incinta, con il suo primo rapporto avuto nella sua vita, in quella giornata di primavera. Non era stata una gravidanza programmata, perciò quella notizia la sconvolse. «Per un lungo periodo, vai a stare da tua sorella Raffaella. Dirò a tuo padre che lei ha bisogno del tuo aiuto.» se ne uscì la madre, con voce grave e profonda, mentre preparava la zuppa d'orzo. Sua sorella era diversa da lei, era sempre stata disobbediente, non aveva preso nessuna regola di buona educazione insegnata dai loro genitori. «Da quando si è sposata, lo sai che non sopporto suo marito, Arnaldo. Quindi non vado da nessuna parte.» si rifiutò. «Scusa e poi cosa gli diciamo quando vedrà che c'è un altro bambino, in quella casa?» A lei non piaceva suo cognato. Si mostrava sempre arrabbiato e con un carattere poco socievole. Lavorava la terra zappando tutti i giorni. Raffaella non faceva in tempo a dargli i vestiti puliti, che in meno di mezz'ora erano sporchi di terra. Si ricordò, quando andò sposa la sorella, l'aveva aiutata nell'indossare il suo bell'abito bianco. Dopo la cerimonia in chiesa, tutti gli invitati che erano pochi, i più intimi e quelli appartenenti alle loro due famiglie, stavano nella sala da pranzo preparata per la festa. Mentre gli uomini stavano in cortile a preparare la grigliata di carne. Arnaldo se ne stava in disparte a osservare quasi fosse seccato. Le donne in cucina a preparare il pranzo e la torta nuziale. «Qualcosa mi farò venire in mente...posso sempre dire che Raffaella ha avuto due gemelli.» disse la madre, dopo averci pensato bene. «Almeno, vai a confessare questo peccato a don Michele.» le consigliò. Caterina aveva compiuto da poco i cinquantacinque anni e, nonostante, fosse giovane aveva qualche ruga, i capelli tirati sulla nuca, incominciavano a vedersi qualche filo bianco. I suoi grandi occhi neri, la stavano fissando come fosse un rimprovero. Due oche e tre galline erano pronte tutte allineate sul lavello di pietra, spennate e pulite. «Questa qui è per il parroco.» disse sua madre, che prese una gallina e la incartò con un foglio di un vecchio giornale. «Vai Luisa e non fare tardi.» le mise in mano la gallina. Sapeva che il paese era stato preso d'assalto dai soldati tedeschi e temeva, che una volta arrivata le potessero fare del male. Così si celò da ragazzo indossando un paio di pantaloni, una camicia blu a quadretti del fratello che le stava larga, ma era un modo per proteggersi. Sotto un cappello di paglia nascose i suoi capelli neri. Pedalando la sua bicicletta, a ogni soldato che incontrava, lei con il cuore in gola, si girava dalla parte opposta e andava veloce. Incrociò tre mondine, che in sella alle loro biciclette, sfilavano spinte dal vento, mentre cantando si recavano nelle risaie. Arrivò nella piazza principale, le poche panchine di legno ormai consumato, erano occupate da anziani che chiacchieravano sotto l'ombra dei tigli e fumavano le pipe. Appoggiò la bicicletta, al muro della chiesa di Santo Stefano ed entrò quasi senza fiato, portando con sé la gallina incartata. Si avvicinò all'acquasantiera e immerse la mano destra, poi, con quella tracciò un segno della croce toccando la fronte, il petto e le spalle. Camminò lungo la navata, fino ai piedi dell'altare e rivolgendosi alla Madonna la ringraziò per essere arrivata sana e salva. Don Michele era nel confessionale e stava per impartire l'assoluzione a una sua fedele. Attese il suo turno, seduta su una panca in prima fila. Si voltò, quando vide uscire il sacerdote dal confessionale e lo salutò. Don Michele la vide e le si avvicinò e chiese: «Quale buon vento ti porta nella casa del Signore?» «Buongiorno a lei, padre. Questa gallina ve la manda mia madre, dice che verrà un buon brodo.» disse, consegnandola al parroco. «Ringrazia Caterina per la sua bontà. La porterò in canonica, in modo che la mia perpetua, Virginia, possa cuocere un buon brodo.» Luisa era molto turbata e non sapeva da che parte iniziare il discorso. «Sono venuta a chiedere un consiglio.» rispose risoluta. Era disponibile ad ascoltarla, così la invitò a confessarsi. Era un buon prevosto, un uomo severo, austero e non giudicava mai le persone, cercava sempre di dare conforto e buoni consigli. Si sentiva in imbarazzo e piena di vergogna, ma con l'aiuto della Madonna, riuscì a confessare il suo peccato, prima di un matrimonio. Don Michele, reagì sorpreso. «Cosa mi stai dicendo?» spalancò gli occhi e lei lo liquidò in poche parole di non giudicarla male. Il prete capì subito che Luisa aveva sbagliato e per questo non era sua intenzione giudicarla. Suggerì di parlare con i genitori di Carlo, in modo che potessero darle un aiuto economico. Luisa gli disse che quella famiglia non vedeva di buon occhio la loro relazione, quindi era da escluderla. «Figliola, dammi retta, vai a parlare con quella gente, vedrai che con l'aiuto di Dio, sapranno aiutarti.» replicò don Michele. Luisa sospirò e disse che ci avrebbe pensato. «Lei è molto saggio, don Michele. Le sue parole mi danno conforto e coraggio. Spero che quelle persone siano comprensibili della situazione e che accolgono con calore il bambino.» «Abbi fece, figliola!» Luisa annuì tristemente. Accennò un saluto con il capo. Si alzò, camminò lungo la navata fino all'acquasantiera. Immerse le dita e fece il segno della croce. All'aria aperta, recuperò la sua bicicletta e in sella percorse la via principale. Rimase scioccata, nel vedere che i tedeschi stavano uccidendo dei poveri cavalli sul marciapiede. Riuscì a percepire il dolore di quei poveri animali, che era tanto. Le venne una forte nausea che allungò il passo, pedalando, per arrivare al più presto davanti alla casa Benvenuti. Scese dalla bicicletta, sistemandola su una piccola rastrelliera. Fece due passi e arrivò davanti alla casa, bussò con due colpi al portone di legno di quercia scuro, due colpi rapidi e secchi. Dall'interno poteva udire dei passi avvicinarsi. Era nervosa e agitava le mani. Dopo qualche istante le aprì Mariuccia, la mamma di Carlo. «Buongiorno, signora Benvenuti.» salutò lei, educatamente. «Buongiorno Luisa. Hai bisogno di qualcosa?» chiese la donna. «Posso rubarle qualche minuto? Ho bisogno di parlarle.» Mariuccia non era sua abitudine far accomodare le persone non a lei gradite, ma conoscendo la ragazza la invitò a entrare e richiuse la porta alle sue spalle. La fece entrare in cucina. Non la invitò ad accomodarsi su una delle sedie, così lei preferì rimanere in piedi assumendo una posa poco rilassata. Il gatto di casa, si intrufolò in cucina con il suo zampettare allegro, con un salto si raggomitolò sul cuscino di una sedia. «Allora Luisa, cosa hai da dirmi di così importante e urgente?» domandò la donna con aria interrogativa. Imbarazzata le disse della sua gravidanza. La donna impallidì e quasi le venne a mancare il respiro. «Signora, non era mia intenzione recarle del male, ma è giusto che voi come famiglia di Carlo...» «Non voglio sentire ragioni. Hai fatto quello che hai voluto con mio figlio, ora te lo tieni e lo cresci da sola con la tua famiglia.» disse Mariuccia, con voce strozzata, dopo averla interrotta bruscamente. «Io voglio tenere il bambino.» disse risoluta, portandosi le mani sul grembo. La donna fece saettare di nuovo lo sguardo su di lei. «Se vuoi tenerlo, fai pure, ma non svelare mai il nome del padre.» Quelle parole risuonarono come una bomba. «Non si preoccupi per questo, perché non voglio recare vergogna né a voi e tanto meno alla mia famiglia.» cercò di tranquillizzarla. Le lacrime le pizzicavano gli occhi, ma lei rifiutò di farle cadere. «So di essere una donna poco rispettabile...ma tra me e suo figlio c'è stato amore.» confidò Luisa. In cucina, entrò suo marito, Ottavio, che aveva sentito tutto, dalla stanza adiacente. «Ragazzina, questi ti basteranno per crescere tuo figlio.» disse lui, con uno sguardo che le trafisse il cuore. Lei capì che volevano liquidarla con pochi soldi e non avevano nessuna intenzione di prendersi la responsabilità di crescere insieme il bambino. «Non voglio denaro, ma solo la vostra comprensione verso questo bambino che non ha nessuna colpa.» rispose Luisa. «Se non li prendi non venire più qui a chiedere aiuto, perché noi te lo stiamo offrendo.» intervenne la donna. «Nessuno in paese dovrà sapere sarebbe una vergogna, che una donna nubile è stata in intimità con uomo senza aver contratto il sacramento del matrimonio. E poi, chi ci dice che è figlio di Carlo?» se ne venne fuori l'uomo. Dovette subirsi un sacco di rimproveri. Si sentì umiliata. Sapeva di avere il volto rosso come un pomodoro e infuocato come un peperoncino, sia per l'imbarazzo, che per la vergogna. Lei che era seria e aveva pochi amici. Sua madre, Caterina, era una brava sarta, suo padre era un brav'uomo, che si spezzava la schiena ogni giorno da anni per coltivare la terra e per mantenere la famiglia. Quindi sapevano che la ragazza era di buona famiglia anche se umile. «Lascerò il paese e così nessuno saprà di questo scandalo.» terminò lei, lasciando la casa piangendo, sbattendo alle sue spalle la porta d'ingresso che si richiuse facendo un gran botto. Nella fretta di tornare a casa, perse l'equilibrio e cadde dalla bicicletta a pancia in giù sbattendo sul selciato. Due donne che stavano uscendo dall'unico panettiere del paese, la soccorsero e l'aiutarono a tirarla su. «È Luisa, la figlia di Caterina e di Amedeo.» dissero, quasi in coro, accompagnandola dentro la bottega e la fecero sedere su l'unica sedia in cui si sedeva la moglie del panettiere, quando si sentiva stanca. «Chi è la figlia della famiglia Boschi?» chiese il panettiere. «Sì!» affermò lei, con voce sofferente. «Mi dispiace per avervi disturbato.» sussurrò, alzando il capo e i suoi occhi incontrarono quelle persone piene di compassione. «Cosa ti è successo?» le chiese, Lorena, la moglie del panettiere, che arrivò con una brocca d'acqua fresca e delle pezze pulite per lavare il sangue che gocciolava dalle ginocchia sbucciate. «Non lo so. Deve essere il caldo. Ho sete.» disse lei, con voce affievolita. «Ecco bevi.» le porse un bicchiere con l'acqua. Quando prese il bicchiere dalla mano di Lorena, si sentì in imbarazzo. Bevve tutto d'un fiato l'acqua e disse che toglieva il disturbo e nel tentativo di alzarsi, si sentì dei dolori al ventre. Ma non poteva rivelare la sua gravidanza. Era una situazione insolita in cui si trovò. Era molto forte di carattere, nonostante, fosse minuta. Ringraziò tutti di cuore e se ne andò via. Mentre pedalava si sporcò di sangue i pantaloni e i dolori si fecero sempre più forti. Quando arrivò in cascina, lasciò cadere la bicicletta sul terreno. Caterina stava nel pollaio, china a raccogliere le uova, mentre le galline e i pulcini le giravano intorno. Nel vedere la figlia in quello stato, lasciò perdere le uova e corse per prendersi cura della figlia. Capì subito che stava perdendo il bambino, così le disse di andare a sdraiarsi sul letto. Nel frattempo, s'affrettò a scaldare dell'acqua per lavarle il sangue. Quando entrò nella stanza con la bacinella colma di acqua pulita, notò che Luisa aveva perso il bambino. “Forse è stato un bene” pensò Caterina, perché una gravidanza fuori dal matrimonio era un peccato, oltre alla vergogna. Luisa era sdraiata sul letto, sopra un lenzuolo sporco di sangue e fissava sua madre, con gli occhi pieni di lacrime. Era un loro segreto e tale doveva rimanere. Molte ragazze che erano rimaste incinte, i genitori le avevano cacciate di casa, finivano in un istituto segreto lontano dal paese, in modo che il loro stato non arrivasse alle orecchie delle malelingue, delle pettegole del paese. Immobile, sul suo letto, nel poco silenzio che c'era attorno a lei, riuscì ad ascoltare il canto delle cicale e il gracchiare delle rane.
Era trascorsa l'estate e dopo giorni di pioggia, Luisa si lasciò scaldare dal tiepido sole di fine ottobre, mentre era intenta a raccogliere l'uva del loro piccolo vigneto, che sarebbe servita per fare qualche litro di un buon vino rosso, per l'inverno. Un vento leggero le scompigliò i capelli, raccolti in una coda con un nastrino blu, che si sciolse e scivolò giù. Si chinò e lo raccolse e rilegò i capelli ribelli. Quando finì afferrò il manico della cesta di vimini carica d'uva e si avviò dentro casa. Il tavolo della sala era sempre pieno di vestiti da cucire. Era orgogliosa di sua madre che lavorava tanto per guadagnare poco. «Vai dalla signora Giustini a consegnare la giacca del marito.» le disse Caterina, mentre stava scucendo l'orlo di un pantalone militare. Luisa prese la giacca già incartata dentro un foglio di giornale e partì spedita. Il cielo era di un colore roseo tipico di Rosate. Mentre pedalava lungo le stradine strette e irregolari, i soldati tedeschi la guardavano stranamente, che una ragazza potesse andare in giro in bicicletta. Come niente fosse, lei tirò dritto. La casa della famiglia Giustini era poco fuori il paese. Quando arrivò, scese dalla sella e appoggiò la bicicletta al muretto. Picchiò il batacchio d'ottone, dopo alcuni secondi, il portone si aprì e apparve la donna. «Buongiorno signora Giustini. Devo consegnarle la giacca di suo marito.» «Ciao Luisa, vieni dentro, che ti devo dare i soldi.» la invitò la signora che prontamente ritirò dalle mani di Luisa, la giacca. Luisa la seguì lungo il corridoio, per poi entrare in una stanza. Il marito era seduto sul sofà dove passava gran parte delle sue giornate a leggere il giornale e a fumare la pipa. «Prendi una fetta di torta al cioccolato e pere, l'ho appena sfornata.» «Grazie!» La signora Giustini scomparve dalla porta, lasciandola sola con il marito, che appena aveva alzato gli occhi dalla pagina del giornale per osservarla. Timidamente, si avvicinò al tavolo e prese una piccola fetta. «Prendi questa che è più grande. Sei così magra che hai bisogno di mangiare.» disse la donna, arrivando con in mano i soldi. Luisa disse che andava bene anche quella piccola. Ma la signora, prese la fetta grande e gliela mise dentro un piattino e lo coprì con un tovagliolo di lino ricamato a mano e disse di portarla a casa per farla assaggiare a sua madre. Luisa la ringraziò con un bel sorriso, prese la torta e i soldi e salutò i due coniugi.
A casa, sentì la voce di sua madre parlare con qualcuno. Quando varcò la soglia della cucina, vide suo fratello Paolo in uniforme, in piedi che stava abbracciando la madre. «Ho deciso di farvi una gradita sorpresa. Sono in congedo per alcuni giorni.» disse lui, staccandosi da Caterina. Prontamente, Luisa gli gettò le braccia al collo contentissima di vederlo. Suo fratello le fece un bel sorriso e la sollevò di peso facendola roteare, fino a che lei disse di fermarsi: aveva le vertigini. Si fermò e la rimise giù. «Questa è per te!» disse lui, tirando fuori dallo zaino una busta. Luisa riuscì a capire, che si trattava di una lettera. «Carlo me la consegnò qualche giorno prima...» disse, ma s'interruppe. «Prima?» «Leggila!» Le si strinse il cuore, non aveva il coraggio di leggerla, aveva capito che era morto ed era troppo triste. L'aprì. La scosse un brivido e non ebbe il coraggio di iniziare. Guardò sua madre e suo fratello con le lacrime cocenti che si raccoglievano sugli occhi, pungenti come aghi. «È la guerra, mia cara sorella.» Lei annuì. «Il corpo di Carlo, verrà restituito alla famiglia quanto prima per la sepoltura.» affermò Paolo. «Scusatemi.» disse singhiozzante e, corse via raggiungendo la sua stanza. Si sdraiò sul letto e pianse a lungo, ma trovò la forza di proseguire nel leggere il resto delle parole. La lettera riportava delle belle frasi, in cui lui diceva di amarla tanto, ma di perdonarlo se non l'avrebbe sposata. Vide tremare il foglio. Voleva gridare liberando la sua mente, ma cacciò indietro il suo grido di dolore. Si alzò, si avvicinò all'armadio, lo aprì e tirò fuori l'abito da sposa, che sua madre le aveva cucito per indossarlo in un eventuale giorno delle sue nozze. Lo distese sul letto, lo fissò e lo accarezzò lentamente come fosse un delicato fiore. La stoffa era antica, ma soffice al tocco: era bianco con il pizzo lavorato sul petto. Caterina entrò e disse: «È un bell'abito. Tesoro lo metterai sposandoti un altro uomo.» «Hai lavorato per niente.» proseguì lei. «Non mancherà.» aggiunse Caterina. «Forse!» accennò lei, asciugandosi le lacrime. Sua madre lo prese con cura attenta a non sciuparlo e lo rimise al suo posto. Lasciarono insieme la stanza e scesero la scala per raggiungere il piano inferiore. Sua madre ritornò in cucina, a riprendere a lavare le verdure e Luisa le chiese se avesse bisogno d'aiuto per preparare la cena e lei rispose di no. Le suggerì di andare a farsi una bella passeggiata, per riprendersi dalla brutta notizia. Camminò in direzione di un canale che scorreva accanto alla stradina pedonale. Nel suo vagare si ritrovò fino allo stagno. Guardò il fittavolo di una vicina cascina, che tirava una carriola piena di legna e la ruota girava senza problemi sul terreno battuto. Lo salutò e proseguì sulla strada del ritorno.
La cena era pronta e la famiglia era tutta riunita a tavola. Caterina riempiva i piatti di un buon minestrone fatto con le verdure del loro orto. «Per quanto tempo rimani?» chiese Amedeo, al figlio. «Fino a domenica. Poi, lunedì mattina devo ripartire.» affermò lui, ad alta voce. Paolo raccontò come andavano le cose in trincea. C'era dappertutto cattiveria, miseria e morte. I pasti arrivavano quasi freddi e qualche volta era capitato di mangiarli caldi. Lui aveva il timbro di voce alto e ogni qualvolta sua madre glielo faceva notare invitandolo ad abbassarla e lui era costretto a ubbidire. Le sirene iniziarono a suonare e intuirono che a breve ci sarebbe stato un bombardamento e dovevano correre in mezzo ai campi per salvarsi. Negli ultimi tempi non era mai stata risparmiata nessuna casa dalle bombe. Sentirono un boato provenire da campi. Si alzarono in fretta e uscirono fuori. Dalla vicina cascina si poteva vedere il fienile che era andato fuoco. Sentirono le voci dei proprietari che urlavano preoccupati. Suo padre, con suo fratello accorsero in loro aiuto attingendo l'acqua da un pozzo per spegnere le fiamme. In lontananza, si sentirono le voci della gente che correvano fuori dalle case, spaesate e creavano ancor più confusione, cercando rifugio dentro la chiesa, pensavano che fosse il luogo più sicuro e la fede l'avrebbe protetta. I poveri non erano impauriti perché non temevano di perdere le loro povere case, come lo erano i ricchi che temevano più alle loro case lussuose che alla loro vita. Luisa in piedi sotto il cielo buio, sperava di vedere arrivare Carlo, ma dopo si rese subito conto che non sarebbe più tornato: era morto. Non voleva accettare l'idea che lui non c'era più. Le sagome di suo padre e di suo fratello apparvero nel buio. I loro volti erano sporchi di cenere e i loro vestiti puzzavano di fuoco. Tutti quanti rientrarono in casa e Caterina invitò Amedeo e Paolo ad andare nella stanzetta accanto alla cucina, adibita a una piccola lavanderia e s'immersero nella grande tinozza, che Caterina precedentemente aveva preparato riempiendola di acqua calda. Luisa si sentiva stanca e finché non arrivò nella sua camera, pregò il Signore di proteggere la sua famiglia. Salì la scala ed entrò nella sua camera e si chiuse alle spalle la porta. Si tolse il vestito sporco, gettandolo dentro una cesta e indossò la camicia da notte color malva. Era un po' consumata, ma se non altro era pulita. Sotto le lenzuola, rannicchiata trasse un profondo respiro e si addormentò. |
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