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Writer Officina Blog
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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa,
teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana
di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, Non ora, non
qui, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri
sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese,
swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale
alcune parti dellAntico Testamento. Vive nella campagna romana dove
ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A
grandezza naturale", edito da Feltrinelli. |
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Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama
con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi,
attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano
Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di
ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera
(Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime
di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il
purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati
da Einaudi Stile Libero). |
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Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria,
si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata
alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice
emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre
Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato
a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus".
Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé,
conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo
libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio
Strega 2021. |
Altre interviste su Writer
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |
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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Montagne che uccidono
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Colle Rocca, sabato 9 aprile 2022, ore 19.00.
Come d'abitudine, Franco Romiti uscì dal comando della polizia municipale alle 19:00 in punto. L'aria era pungente, segno di una primavera sonnolenta che tardava ad arrivare. Sentiva l'umidità penetrargli nelle ossa, e dopo una lunga giornata alla scrivania non desiderava altro che tornare a casa. Discese la rampa lastricata della rocca e, superata la farmacia, notò alle sue spalle un uomo in impermeabile scuro e cappello a tesa larga, in perfetto stile “Humphrey Bogart”. Fingendo disinteresse, manteneva le distanze: ma un agente di polizia della sua esperienza capiva sempre quando qualcuno provava a seguirlo. Doveva anticiparlo, per scoprire cosa volesse da lui. Cambiò bruscamente direzione, infiltrandosi in un vicolo poco illuminato con l'intenzione di sorprenderlo alle spalle. Ci riuscì. — Chi diavolo sei? — latrò minaccioso, la mano sulla pistola. — Perché mi stai seguendo? — Gli rispose una voce impaurita, camuffata ma familiare: — Franco, sono io! Fermo! Ho bisogno di parlarti urgentemente. — Romiti si strofinò gli occhi, avvicinandosi con cautela. — Per parlarmi è sufficiente salire al comando negli orari d'ufficio. — lo rimproverò. L'uomo, sorpreso dal tono eccessivamente duro, si giustificò: — Non potevo. Mi spiano, Franco... e credo sorveglino anche te, in ufficio. — Romiti aggrottò la fronte, confuso. Gli sembrava una tesi ardita, al limite della paranoia. — Di chi stai parlando, scusa? — — Lo scoprirai presto. — Estrasse dalla giacca una chiavetta USB e un taccuino, che gli consegnò nervosamente. — Cosa c'è qui dentro? — gli chiese Romiti, iniziando lentamente a prenderlo sul serio. — La tua unica chance di risolvere il “caso Malè” e di salvarmi la vita. — Romiti era sbigottito, ma cercava di salvare le apparenze. — Quel caso è stato archiviato mesi fa. — obiettò. — È chiuso. — — Allora temo che bisognerà riaprirlo. — replicò, senza fare concessioni. — Compra un telefono usa-e-getta e chiamami, dopo che avrai guardato il video. Il mio numero è nel taccuino. — Romiti stava per ribattere, quando un lampo illuminò la scena e lo distrasse per qualche istante. L'uomo ne aveva approfittato per scappare, già lontano quando il tuono rimbombò per le vie di Colle Rocca. Lo aveva lasciato solo, al riparo dalla pioggia incessante ma non dai suoi dubbi. — Crede di essere in pericolo... — sussurrò tra sé, mentre si avviava inquieto verso casa sua. Salutò distrattamente moglie e figlia, chiudendosi nel suo studio nonostante le loro proteste: — Cominciate a mangiare, arrivo tra poco! — Si promise che, se fosse stato uno scherzo, lo avrebbe arrestato quella sera stessa. Con le mani tremanti inserì infine la chiavetta nel computer, riuscendoci a fatica solo al terzo tentativo. Ciò che vide lo sconvolse: non era affatto uno scherzo. Tirò il cassetto della sua scrivania e, recuperato un suo vecchio cellulare, compose subito il numero segnato sul taccuino.
L'eclissi di luna
Colle Rocca, venerdì 19 novembre 2021, ore 06:30
Quel giorno Gregorio si era svegliato con una certa euforia. Il giorno prima, aveva letto sui giornali articoli entusiastici sull'eclissi di Luna più lunga degli ultimi seicento anni, che lo avevano incuriosito al punto di volerci essere. Nemmeno il gelo del mattino presto lo aveva fermato: dopo una doccia veloce e una colazione frugale – caffè di moka e giusto due biscotti – era uscito di casa in tutta fretta per andare verso Monte Neve. Il manto stradale era abbastanza pulito, con le foglie raccolte di lato a comporre mucchietti vivaci e colorati. Un mese prima, quegli stessi alberi erano avvolti in splendidi abiti rossi, gialli e marroni; ora, spogli, erano per lui tutti uguali: querce, faggi, castagni... nessuna differenza. Dopo dieci minuti di guida sportiva, Gregorio era giunto a Monte Neve intorno alle 6:40. Era soddisfatto delle condizioni meteorologiche: il cielo era limpido e perfettamente adagiato sugli Appennini, una rarità per la stagione. Avvolto nel suo consumato cappotto di pelle, solitario come sempre, sorrideva mentre guidava la sua vecchia Kia Picanto rossa su per i tornanti. Sapeva che da lassù avrebbe potuto assistere all'eclissi dall'inizio, e non vedeva l'ora. La macchina, nonostante fosse del 2010, fischiava e scricchiolava ad ogni dosso, ma Gregorio non l'avrebbe cambiata per nulla al mondo. Era legato a quel pezzo di ferraglia per via dei ricordi che ci aveva accumulato. Il gracchiare di due corvi neri spezzò temporaneamente il silenzio quando si aggiunse anche la suoneria del cellulare. Papà. Gregorio attivò il vivavoce, rallentando poco prima di stringere la curva. — Ciao, papà. Sì, tutto bene. La spesa? La faccio dopo, prima passo da Tommaso. Come dici? No, non berrò troppo, promesso. Ciao anche a te. — Quel tono paternalistico lo irritava ogni volta. Non era più un ragazzino, anche se capiva che i suoi problemi costituivano per i suoi genitori vere e proprie paturnie. Trentacinque anni compiuti quel marzo e un passato editoriale di discreto successo, con il bestseller La morte risolve. Ma quel trionfo del 2015 era stato tanto insperato quanto effimero. Aveva in seguito pubblicato altri due romanzi, senza però riuscire a ripetersi: né come vendite né come opinione della critica. Ora, ricaduto nell'anonimato e in ristrettezze economiche, aveva lasciato Milano e i suoi sogni di gloria per ritrovare ispirazione tra le montagne. Da tre anni il “figliol prodigo” era stato riaccolto dai suoi genitori a Colle Rocca, un piccolo comune di seicento anime sull'Appennino Ligure. Ma i suoi progetti avevano preso tutt'altra direzione. Gregorio non avrebbe mai immaginato di finire così in basso: triste, frustrato e infine vittima della sua stessa rabbia logorante. L'alcol, “musa degli artisti”, era solo uno dei suoi problemi, anche se era il primo (se non l'unico) che tutti notavano. — Povero papà. — borbottò, rivolgendosi a un fantasma nella solitudine: un po' come Clark quando parlava all'ologramma di Jor-El. — Capisco che sei preoccupato, ma sono un adulto ormai. Non puoi farci niente. — Aggiunse quest'ultimo commento con una punta di amarezza, mentre parcheggiava l'auto a pochi centimetri dalla staccionata. Alle 7:00 in punto, Gregorio era già sulla terrazza del “Bar Olimpo”. La fase iniziale dell'eclissi era appena cominciata. La Luna stava entrando nella penombra della Terra, e l'unico cambiamento visibile era un leggero calo di luminosità: ci sarebbe voluto ancora del tempo prima che il disco lunare fosse completamente inghiottito dall'oscurità. Gregorio si sedette su una panca, posizionò il binocolo e si preparò a osservare il fenomeno. La Luna stava tramontando rapidamente all'orizzonte, e solo in quel momento Gregorio si rese conto che non avrebbe mai visto il culmine dell'eclissi. — Maledetti giornali! — pensò tra sé. — Non avevano mica specificato che in Italia si sarebbe visto solo l'inizio... oppure sì? Gli venne in mente il mito norreno del Ragnarok, in cui la Luna veniva divorata dal gigantesco lupo Fenrir. Ma questa volta, la fine del mondo era rimandata, pensò con un sorriso amaro. Mentre rifletteva su questo, ordinò un Vin Brûlé da Giovanna. Il calore dell'alcol lo scaldò, come sempre, e il lieve stordimento amplificava le sue sensazioni. Nel cielo, alcune nuvolette iniziarono a comparire, creando quella che suo nonno chiamava una "tela perfetta". Anche se, pensò, non era sicuro che valesse durante un'eclissi. Allontanò il binocolo, sfregandosi gli occhi: un piccolo granello di polvere. Mentre metteva del collirio, notò un gruppo di persone avvicinarsi dal sentiero che collegava il santuario al Passo Neve. Ci volevano circa quindici minuti a ritmo sostenuto per arrivare in cima. Non era certo una passeggiata per tutti, soprattutto per via della pendenza; ma molti, tra escursionisti e pellegrini, non si lasciavano intimorire e tentavano lo stesso di compiere l'impresa. Gregorio strinse gli occhi, cercando di mettere a fuoco quel gruppo indistinto. Rimase quasi incredulo nel vederla avanzare. Piccola e proporzionata, Mina aveva i capelli color del fuoco, mossi, che Gregorio aveva sempre trovato irresistibili. Gli occhi grigio-verdi facevano risaltare la sua pelle chiara e morbida, così delicata che sembrava potersi ferire al minimo sguardo. Era ormai quasi giunta al santuario, ma invece di proseguire dritto assieme al gruppo aveva deviato a sinistra, seguendo la scalinata che portava giù alla terrazza panoramica. Gregorio si stava già alzando per andarle incontro, ma lei lo aveva preceduto. — Greg, non mi aspettavo di vederti qui! E hai pure un binocolo! — gli disse lei, con occhi curiosi e provocanti. — Ciao, Mina! — rispose lui, un po' sorpreso. Non pensava di incontrarla lì. — Non immaginavo che ti interessasse questo genere di cose. Sei qui per l'eclissi anche tu? — Rise, passandosi le mani tra i capelli scombinati dal vento. Gregorio la trovò sexy. — Eclissi? Ma va', non sapevo nemmeno che ci fosse! Sono venuta solo per una passeggiata, ma se vuoi posso restare a farti un po' di compagnia... mi passi il binocolo, per favore? — Gregorio le sorrise e glielo diede. Mina, guardandolo con un sorrisetto provocatorio, aggiunse: — Sai, Greg... se non passassi il tempo a fare il “cascamorto”, magari scopriremmo di avere qualcosa in comune, no? — Gregorio rise: adorava il suo spirito arguto, anche quando gli costava fare la figura del babbeo. Il tono di Mina, comunque, non era così tagliente come il contenuto: la ragazza provava a metterlo a suo agio. — Sono un uomo semplice. — ribatté lui, cercando di stare al gioco. — Prima usciamo e poi parliamo, dici che sbaglio? — Mina sospirò. — Sono sposata, Greg. Non fare ogni volta finta di non saperlo, alla lunga stanca. — Aveva alzato l'anulare, mostrandogli l'anello d'oro su cui il sole faceva rifulgere i suoi raggi con solennità. Gregorio si coprì il volto, fingendo di esserne abbagliato. — Lo sai che Tommy sopporta le nostre battute da tre anni. O almeno, le mie. Perché non sono sicura che tu stia davvero scherzando... ho ragione? I due abbozzarono una risata, ritornando seri a poco a poco. Mina allora, un po' infreddolita, ordinò una tazza di caffè nero, accostandosi a Gregorio per osservare il cielo assieme a lui. — Greg, ma non si vede quasi niente. E poi è davvero piccola! Come mai? — Lo scrittore non voleva ammettere di aver sbagliato, e per salvare un po' di orgoglio provò a spiegarle in tono compiaciuto (e una grande faccia tosta) che si doveva tutto all'apogeo, ovvero alla massima distanza tra la Luna e la Terra. Mina, intuito che non ci fosse alcuna eclissi da vedere, ridacchiò. Lo spettacolo che le si offriva era comunque emozionante... Immersa nella quiete e circondata da montagne brulle, il Sole si scambiava di posto con la Luna, irradiando il cielo di toni caldi e avvolgenti che sembravano poter donare un po' di tepore. — Ho fatto la figura del fesso, non è vero? Tanto vale ammetterlo: l'eclissi non è praticamente visibile dall'Italia. Sono un grullo. — Lei rise nuovamente, limitandosi a una risposta sibillina. — Lo dici tu, non io. — Avevano continuato a scrutare il cielo e l'orizzonte, così come le persone e le macchine che, novelli Sisifo, si incamminavano fin lassù. Il binocolo passava da lui a lei con rapidità, spesso strappato senza preavviso; non di rado, tuttavia, le mani di Gregorio sembravano più interessate ai suoi fianchi che non al Konus. Mina, mostrandosi indispettita, gliele toglieva ad ogni occasione; Gregorio però pensava che recitasse solo la parte della “moglie devota”, sospetto in parte giustificato dalle sue costanti risatine nervose. L'anello, Gregorio. Ricordati dell'anello. Il campanile del santuario aveva da poco battuto otto rintocchi e mezzo, quando il telefono di Mina squillò ad alto volume, sovrastando il rumore di fondo. L'espressione della donna si era fatta subito più dura e accigliata. Aspettò che la suoneria, un estratto della Toccata in La Maggiore di Domenico Paradisi, si ripetesse per tre volte; al termine dell'ultima nota, Mina premette il tasto verde. Rimase in attesa che il suo interlocutore iniziasse la conversazione, scuotendo il capo mentre faceva segno a Gregorio di allontanarsi un attimo. — D'accordo, comincio a scendere. Sì Tommy, il tempo di farmela a piedi. Mina sembrava decisamente infastidita da quella telefonata, ma Gregorio non si faceva illusioni che c'entrasse quel loro momento di intimità. C'era sempre l'anello, tra di loro. Lei avrebbe voluto evidentemente rimanere ancora un po', ma doveva essere sopraggiunto qualche imprevisto. — Greg, — gli disse lei quasi scusandosi — Tommaso ha bisogno del mio aiuto in albergo. Sta tornando da Barzi, con un grosso carico di provviste. La reazione di Gregorio fu perentoria. — Ma ti passa a prendere, spero... ci vuole almeno un'ora a piedi, da qui all'albergo! — Mina alzò gli occhi al cielo, rassegnata. — Dice che non riesce... perché al supermercato ha trovato un vecchio amico che gli ha chiesto un passaggio fino a Colle Rocca e di conseguenza ora l'abitacolo è tutto pieno. Ma doveva proprio dirgli di sì, mi chiedo? Il “buon samaritano” Tommaso Vela, che ha perfino dormito lì pur di sbrigarsi prima e tornare subito in albergo... ma poi, oh, incontra un amico! E non si può certo negargli un favore, ti pare? Vaffanculo, Tommaso. — Terminato lo sfogo, Mina prese un fazzolettino e si soffiò il naso. Finì il suo caffè e si alzò dalla sedia, decisa a incamminarsi per non farsi prendere dalla pigrizia. Gregorio non era a suo agio in queste circostanze. Senza alcun freno, espresse ad alta voce l'opinione che aveva verso suo marito, un “vero idiota, baciato dalla fortuna”. Mina, contrariamente a quanto si sarebbe aspettato (era già capitato uno scenario simile), non se la prese. Anzi, gli sorrise. — Peccato, mi stavo divertendo. Ma ora che so che ti piace l'astronomia... se ti va, si può anche fare una vera osservazione prima o poi. — Gregorio, disinibito dall'alcol, terminò la frase al posto suo. Fu una saetta, rapidissimo. — Potremmo “tele-scopare”, no? — Mina cercò in prima battuta di restare indifferente a una battuta tanto volgare; vedendolo così soddisfatto, tuttavia, non riuscì a trattenersi. Gli disse scherzando che era un “vero idiota”, un po' come suo marito, ma che almeno aveva senso dell'umorismo. Gregorio sorrise e ne approfittò per offrirsi di riaccompagnarla all'albergo. Aveva fatto due conti e forse poteva iniziare a sfilarle quel dannato anello. Era un inizio, no? Mina lo ringraziò ma rifiutò decisa, avviandosi lungo il sentiero. Non resistette, però, quando Gregorio la raggiunse dieci minuti dopo con la sua Picanto, minacciandola scherzosamente di accompagnarla a passo d'uomo fino all'albergo. Gregorio temeva di risultare viscido, ma lei non poteva di certo leggere nei suoi pensieri. Valeva la pena provare. Mina salì a bordo della Picanto, che tremava nei tratti di sterrato e sobbalzava ad ogni buca. Sì, pensava Gregorio in quel momento, prima o poi avrebbe dovuto perlomeno portarla a riparare. La radio intanto passava Diavolo in me di Zucchero e Gregorio girò la manopola del volume al massimo: anche se per poco, Mina si abbandonò dolcemente alla sregolatezza dell'amico romanziere, dimenticò suo marito e cantò a perdifiato. Gregorio pensò che perdersi la parte finale dell'eclissi – la tanto attesa eclissi! La più lunga degli ultimi seicento anni! – in cambio di quel momento così spensierato con Mina fosse un buon affare. E che sarebbe davvero stato stupido se l'avesse fatta andare via senza nemmeno provarci. Le avrebbe sfilato l'anello. Tommaso non lo sapeva ancora, ma poteva già cominciare a firmare i documenti del divorzio.
Monte Neve, venerdì 19/11/2021, ore 16.01
Superato il cartello toponomastico “Benvenuti a Monte Neve, 960 m.s.l.m.”, un automobilista in arrivo da Cozzallo sarebbe ancora un po' distante dal centro abitato. Dopo aver lasciato sulla destra un campo da tennis, potrebbe svoltare a sinistra, salire lungo un pendio moderatamente ripido e raggiungere una spianata di cemento sulla sommità di una collinetta. Maestoso e solitario, si troverebbe davanti all'albergo-ristorante “Monte Neve”: tre piani (più mansarda) di cemento, legno e ferro battuto, edificato sul finire degli anni Sessanta da un imprenditore della Valle. A ricordare la sua natura montana, non di rado messa in discussione da qualche ambientalista troppo estremo, il solo tetto a spioventi. Fino alla metà degli anni Novanta, l'albergo era stato il punto di partenza degli impianti di risalita fino al Passo Neve; alti costi di gestione e neve sempre più sporadica, tuttavia, avevano portato alla loro dismissione. Gregorio stava parcheggiando l'automobile quando pensò ancora al “muso lungo” del padre. Avvicinandosi alla facciata, pose lo sguardo sul vecchio dondolo di ferro accanto alla porta, che gli ricordava tempi sereni e più felici. Quando la nonna ancora c'era, e lui nel primo pomeriggio aspettava con impazienza la nuova puntata di Dragon Ball Z assieme ai suoi amichetti. Gregorio entrò nel piccolo atrio dell'albergo, che separava la sala ristorante (alla sua destra) dalla sala bar (alla sua sinistra) tramite due pannelli vetrati. Davanti a lui, un terzo divisorio in legno conduceva alla tromba delle scale. Per cominciare, decise che si sarebbe concesso una dissetante bottiglietta di birra. Amava soprattutto le birre alla spina a dire il vero, ma Tommaso, temendo un ricambio insufficiente, non aveva mai voluto acquistare botti ed erogatori. Dopo essersi dissetato, sarebbe andato a rilassarsi sul divano della saletta TV. Non era come in estate, quando gli anziani in villeggiatura “dettavano legge” su che programmi guardare: di solito il Tour de France, gli uomini, o qualche telenovela spagnola, le donne. Gregorio svoltò a sinistra, dirigendosi verso il bar. Pochi volti, sempre gli stessi, a sottolineare che si era in bassa stagione: Tommaso Vela, il gestore; Massimo Crespi, il maître; Denisa Stanciu, l'infaticabile cameriera. Vide poi anche un paio di clienti abituali: una signora che non conosceva, seduta da sola a bersi un caffè macchiato, e Gastonpietro Gelli, uno dei migliori amici di Tommaso. Non mancava infine Mina Malè, la proprietaria. La trovò ancora più bella quel pomeriggio, quasi radiosa: come se il poco tempo passato assieme quella mattina l'avesse già plasmata e migliorata. Sì, pensò: la sua presenza le faceva bene. Doveva toglierla dalle grinfie di Tommaso quanto prima. — Buonasera a tutti, — esordì Gregorio, senza che nessuno lo ricambiasse con particolare enfasi. Tommaso gli aveva lanciato un'occhiata gelida; Mina invece, dopo averlo salutato distrattamente, aveva ripreso a sfogliare dei documenti. Nonostante i suoi impulsi, si costrinse ad aspettare: d'altronde forse non era saggio avventarsi su di lei in presenza del marito... poteva anche avergli raccontato del loro incontro fortuito. Dopo un sorriso poco convincente, iniziò a parlare al bancone con Gastonpietro, ordinando al contempo una birra mescolata con gazzosa. Una clara, come la chiamavano a Barcellona, dov'era stato pochi anni prima per le vacanze. Tommaso, intanto, aveva detto qualcosa alla moglie e se n'era andato via dal bar, introducendosi in cucina. — Allora Greg, come va con il lavoro? — gli chiese Gastonpietro terminando il suo bianchino. — Insomma, Gas. Per quanto ci sbatta la testa, non riesco a trovare un buon soggetto. Forse dovrei uscire con te, qualche volta... facendo il giardiniere in quella villa così misteriosa, ti sarà sicuramente capitato di sentire delle storie interessanti... — — Non proprio, — lo contraddisse — l'ingegner Viole è spesso via, per lavoro. E io mi limito a lavorare... e ad apprezzare quel “bel culetto” di Nausica! Hai presente di chi parlo, no? — Gregorio rise, facendo segno a Massimo di portargli un'altra birra. Certo che conosceva Nausica Mele, la sensuale domestica di Giacomo Viole. Dopo aver battuto la bottiglietta sul bancone (un piccolo rituale giovanile che aveva mantenuto negli anni), Gregorio lo incalzò ulteriormente, probabilmente per vincere la noia. — E me la dovrei bere? Dai, Gas: che combini davvero in quella villa, con quel “riccone da strapazzo”? Mi sembra un'ottima location per traffici illegali, non è così? — Gastonpietro rise, un po' disilluso. — Magari, Greg. Magari. La verità è che non succede mai niente di interessante e che la gente conta su voi scrittori per un po' di evasione. Se ti aspetti il contrario, buonanotte! — — Immagino che tu abbia ragione, — concesse Gregorio — non so più nemmeno io ormai come ho fatto a scrivere in passato. — — Ed eri anche piuttosto bravo! Non ti scoraggiare — provò a rincuorarlo Gastonpietro. — In quel momento, Mina aveva riposto gli ultimi documenti nel cassetto, avvicinandosi a Denisa e Massimo dietro al bancone. Gregorio l'aveva seguita con la coda dell'occhio, ma esitava. Non sapeva se avvicinarsi e dirle qualcosa: quella situazione così incerta lo metteva molto a disagio. Dopo che Mina le aveva nel frattempo sussurrato qualcosa, Denisa si era avvicinata con prudenza alla porta a ventola della cucina, per sbirciare. Al suo via libera, Mina si era precipitata dentro spingendo con irruenza le due ante della porta. — Quindi è così! — tuonò Mina, accusando il marito con rabbia. Le parole uscirono dalla cucina come ovattate, quasi in dissolvenza. — Non te ne frega niente di me! Ammettilo! — proseguì Mina, prima che si iniziassero a sentire, di rimando, anche le urla di Tommaso. E un fragore metallico, come di una casseruola scagliata per terra. La signora seduta al bar si spaventò, facendo strabordare quanto rimaneva del suo cappuccino. Probabilmente, non sarebbe più tornata in quella gabbia di matti. Anche Gastonpietro e Gregorio sussultarono. Addirittura, Gregorio era già pronto a irrompere in cucina con la bottiglia in mano. — Fermi voi due, non vi agitate! — li aveva pregati Denisa nel tentativo di riportare l'ordine. Spiegò loro che i litigi della coppia, negli ultimi tempi, erano diventati sempre più frequenti e “rumorosi”; non c'era però da preoccuparsi troppo, almeno secondo lei. Tommaso, sosteneva risoluta, “sbraitava ma non picchiava”. — Sono molto nervosi. Penso che sia per la situazione economica dell'albergo. Sapete, no, questa maledetta pandemia: siamo stati chiusi per mesi. — La spiegazione di Denisa risultò plausibile, stemperando in parte gli animi ancora scossi. La pandemia di Covid-19, a dispetto di quello che ci si attendeva, non era ancora finita. Secondo i media, i contagi erano ancora alti e solo quel giorno si riportavano ancora più di 10.000 nuovi casi. Il “Monte Neve”, come tantissimi altri esercizi commerciali non di prima necessità, aveva risentito pesantemente delle restrizioni imposte dal governo. Si diceva che le entrate del primo anno fossero precipitate (Tommaso aveva confidato a qualcuno che si erano proprio dimezzate) e vi era stato solo un lieve recupero l'anno successivo, non ancora sufficiente a ripianare le perdite. La ripresa era lenta e difficile, complicata anche dal clima di sfiducia e di sospetto che si era insinuato progressivamente nella popolazione della Repubblica, ormai “fondata sul complottismo”. Mentre Denisa cercava di salvare le apparenze, sembrava che il litigio tra Mina e Tommaso si fosse un po' sgonfiato. Gastonpietro era ancora un po' turbato, ma quale che fosse il loro problema non lo riguardava: meglio farsi gli affari propri. Inoltre, l'orologio segnava le 16.30: doveva essere di ritorno alla villa entro mezz'ora, forse prima, per cambiarsi e prepararsi al suo turno di lavoro serale. Alzò le mani, quasi scusandosi per doversene già andare; in tutta franchezza, però, non importava granché a nessuno. Salutato “Gas”, Gregorio chiese a Denisa, sempre con l'orecchio teso verso la cucina, un'altra birra. Era la terza in meno di mezz'ora. Dopo aver pagato rimase in silenzio per un attimo, osservando il tempo fuori dalla grande finestra dietro il bancone della reception. Era salita lentamente la foschia, e dalla sua posizione si vedevano distintamente solo i profili scuri di quattro abeti. “I cavalieri dell'Apocalisse”, li ribattezzò, prima di iniziare a sorseggiare la bottiglia e intravedere le figure di Mina e Tommaso che rientravano in sala. Sembravano ancora tesi, ma considerò che era normale dopotutto: avevano litigato come dei pazzi fino a cinque minuti prima, chi potrebbe mai rasserenarsi in così poco tempo? Tommaso era salito sulla pedana dietro il bancone del bar, riponendo stancamente nei ripiani le stoviglie già asciugate. Poi, si era riempito un bicchiere d'acqua per scolarselo con avidità. Sembrò calmarsi, come se avesse spento il fuoco della rabbia. Il suo viso era tornato roseo, privo della tensione di poco prima. Fu allora che cercò sua moglie con lo sguardo, offrendole un amaro con un sorriso imbarazzato. Scrollate le spalle e abbassato lo sguardo, Gregorio sentì il bisogno impellente di uscire: quella scena di rappacificamento – quell'ipocrisia da parte di entrambi – lo disgustava. La luce del giorno stava nel frattempo sfumando: gradualmente, ma con costanza. La nebbia, sempre più fitta, si protendeva lungo la discesa occultando qualsiasi cosa ne fosse avvolta. Inglobava ormai persino lo steccato, alla fine della collinetta, oltre il quale si poteva solo immaginare la presenza della Statale A214. Come ipnotizzato da quella desolazione, lo scrittore di Colle Rocca peregrinava nei suoi pensieri senza un ordine preciso, guidato dal subconscio. |
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