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Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Marco Lazzarini
Titolo: 5 storie di 1
Genere Distopico
Lettori 782 5 4
5 storie di 1
Fernando.

Aveva appena iniziato a leggere le pagine di un libro quando la corrente elettrica smise di alimentare la lampadina del soffitto e il buio lo avvolse. Si lamentò: aveva finalmente del tempo da dedicare alla lettura ed invece era costretto a fissare il nulla.

Il romanzo dal titolo L'infelicità della memoria, lo aveva acquistato qualche giorno prima, nell'ultima libreria rimasta in città, l'unica che ancora resisteva allo strapotere dei negozi online.
Il locale, situato nel quartiere vecchio, possedeva un fascino ammaliante. Appena varcava la stretta porta di legno scuro segnata dal tempo, Fernando veniva accolto dall'antico odore della cultura, un misto di carta, inchiostri e polvere. Il tempo di un respiro e un lungo corridoio stretto tra pile di libri accatastati senza una logica apparente lo invitava ad avanzare attraverso la luce ambrata di vecchie lampadine e spesso, quando raggiungeva la grande sala al termine del corridoio, non faticava a sentirsi un'altra persona e in un altro tempo.
Ad attenderlo, dietro una massiccia scrivania in legno massello di quercia dalla storia centenaria, trovava il proprietario divenuto suo amico, Mario, un vecchietto dal volto rugoso e dal fisico minuto che possedeva ancora l'acume di un ragazzo.
La libreria purtroppo non ospitava più i clienti che l'affollavano in un passato non tanto lontano. La società umana aveva mutato alcune abitudini e da quando bastava fare un click dallo smartphone per comprare un libro, quasi nessuno più passava a fargli visita.
A loro quella modernità non piaceva, se lo ripetevano l'un l'altro di sovente nelle loro interminabili e nostalgiche chiacchierate.
Si era consegnato alla storia il fascino della ricerca fisica di un libro tra gli scaffali e si era persa anche l'abitudine di chiedere un consiglio, per una buona lettura, al libraio. Così tutti erano finiti a leggere ciò che misteriosi algoritmi pubblicizzavano con insistenza in tutti i siti internet.

Un tempo, quel potere di consigliare una buona lettura era distribuito equamente tra tutti i librai del mondo e per questo era un potere anarchico, senza un padrone. Ma poi venne addomesticato e consegnato a poche enormi aziende, le stesse che stampavano e vendevano i libri.
Ai lettori era rimasta l'impressione di poter spaziare tra recensioni libere e oneste, ma era in un inganno, come mostrato ad un mondo distratto da numerose inchieste giornalistiche indipendenti.
Le recensioni erano da tempo una merce in vendita. Più un autore o una casa editrice erano disposti a pagare aziende specializzate, e migliori e più numerose erano le recensioni che ricevevano. Se poi si era disposti a pagare un extra, come per miracolo apparivano sui social migliaia di utenti osannanti l'opera.
All'inizio di questa perversa ma legale pratica, alcuni autori investirono più di altri e diventarono grandi, grandissimi, mentre tutti gli altri svanirono lentamente come stanche fiammelle al vento, e in poco più di dieci anni il 90% degli autori viventi era americano: dopo le bibite, le guerre ed i film, era arrivato il turno dei libri.

Con il libro ancora aperto tra le mani, Fernando aspettava impazientemente il ritorno della corrente elettrica. Infine, stanco di ignorare la vocina nella testa che gli sussurrava con sempre più insistenza che la sua era una attesa vana, chiuse il tomo e si recò alla finestra ad osservare quanto fosse esteso il blackout e rimase lì, sorpreso nel vedere che tutta la città era spenta. Il paesaggio da lui osservato tutti i santi giorni gli appariva sconosciuto. Neanche i grandi edifici della lontana zona finanziaria, normalmente protetti dai grandi generatori a gasolio, mostravano una qualche luce accesa. Tutto era nero.
Intanto l'orologio appeso alla parete lo avvertiva che era passata l'una di notte e stanco decise di coricarsi.

Quando la mattina successiva aprì gli occhi, non venne accolto dalla consueta luce verdastra della sveglia elettronica. Un silenzio irreale invadeva la stanza. L'acquario posizionato di fronte al letto non gorgogliava e l'odiata radio dell'anziana dirimpettaia, sempre sintonizzata sul canale religioso, taceva.
Dopo un lungo sbadiglio lasciò il tepore del letto e aprì le persiane della finestra permettendo alla luce dell'avanzato mattino di inondare la stanza.
Gli bastò uno sguardo fuori per accorgersi delle molte autovetture incolonnate nella via sottostante. Avvenimento mai verificatosi prima.
La sua abitazione sorgeva su di una piccola strada della periferia sud, percorsa esclusivamente dai residenti. Fernando guardò le auto senza particolare interesse mentre immaginava un qualche incidente poco lontano, poi andò a fare colazione. Ma l'usuale brioche di farro con lievito madre e pochi grassi saturi non era buona come quando veniva riscaldata nel microonde e la mangiò velocemente, quasi senza gustarla, mentre con un gesto automatico del pollice della mano destra digitava sullo smartphone l'indirizzo del sito delle news locali. Una smorfia gli apparve sul viso non appena si accorse che nessuna rete era disponibile.
Dopo un sospiro e la convinzione che quella sarebbe stata una giornata di merda, decise di anticipare la passeggiata quotidiana. Una routine nata dall'illusione di poter bilanciare la sua vita sedentaria, trascorsa sempre davanti al monitor, per lavoro o per svago.
Da quando aveva rotto con la sua, oramai ex, moglie aveva rinunciato a una qualsiasi vita sociale. Usciva di casa solo per lo stretto necessario e non frequentava più nessuno. Da anni nessun parente o amico veniva più a fargli visita.
Eppure la sua vita era stata felice sino a venticinque anni prima, poi il fato gli voltò crudelmente le spalle destinandogli un'inaspettata telefonata dalla scuola del figlio.
Erano le 12:44 di un giovedì, quando dall'altra parte della cornetta la voce singhiozzante della preside lo informava che il suo Marco di 5 anni era morto soffocato da un boccone di cibo andato di traverso. I paramedici erano accorsi velocemente dal vicino ospedale, ma inutilmente: il piccolo cuore non aveva ripreso a battere.
Lui e la moglie provarono a reagire al peggiore dei lutti, ma lentamente si allontanarono. Mentre lei veniva risucchiata nella spirale oscura della depressione, lui, forse per non fare altrettanto, non le offrì l'appiglio da lei sperato e si rifugiò in un mondo tutto suo. Con il tempo diventarono due estranei e dopo un anno lei lo lasciò solo, in quella casa dai mille tristi ricordi.
Fatima, questo era il suo nome, con il passare degli anni ritornò alla luce rifacendosi una nuova vita ed una nuova famiglia. Fernando invece rimase arroccato nel suo mondo solitario nel quale, almeno a sentire lui, si trovava bene.

Ma ritorniamo alla passeggiata.
Una volta uscito dal palazzo, Fernando percorse solo pochi metri prima di essere fermato dall'inquilino del secondo piano. Tra tutti i condomini il sig. Cantarella era quello che gli stava più simpatico, anche se ad ogni occasionale incontro desiderava parlare esclusivamente di pallone. Forse lo faceva perché si divertiva a stuzzicare Fernando a cui il calcio non interessava per niente. Però quella volta fu diverso: anche lui era rimasto sorpreso dal gran numero di automobili in strada. Così raccontò la sua interessante ipotesi sul perché di cotanto traffico: “Tutti i lavoratori della città per non perdere la paga, si recano al lavoro, senza riflettere bene su cosa comporta la mancanza totale e prolungata di corrente. Non sono solo i computer degli uffici o le lucine dei negozi a non funzionare: oggi non partiranno gli ascensori, non si alzeranno le sbarre dei parcheggi, i semafori rimarranno spenti e potrei continuare per ore... Quello che voglio dire è che tutto contribuirà a creare caos ed ingorghi”. Fernando sorrideva nell'ascoltare il racconto delle sventure altrui. “I mattinieri, quelli precisini che partono presto per accaparrarsi il parcheggio più comodo o quello più economico, rimarranno immobilizzati nel centro città, con chilometri di code tutt'intorno. Oggi andrà meglio ai ritardatari, che rimarranno bloccati nei pressi delle loro abitazioni e forse vi potranno ritornare a piedi. Quelli che vediamo qui” mentre indicava i conducenti dei mezzi immobilizzati a pochi metri da loro “probabilmente sono quelle persone che si credono più intelligenti delle altre. Quelli che si vantano con loro stessi di conoscere fantomatiche vie alternative, convinti di giungere alle loro mete senza nessun problema. Ma scopriranno di essere solo degli illusi, proprio come gli altri”.

Un saluto e Fernando riprese la passeggiata. Dopo dieci minuti raggiunse il piccolo parco del quartiere, l'ultimo brandello di una campagna oramai interamente cementificata. Si sedette accanto al grande platano solitario, il cui grosso tronco, segnato da numerose cicatrici, raccontava di mille amori adolescenziali.
Da quella posizione il suo sguardo viaggiava senza ostacoli nella via più larga della città e raggiungeva il mare, che lontano brillava al sole. Poi socchiuse gli occhi e immaginando l'invisibile brezza che ne increspava la superficie, pensò all'infanzia felice. Quando abitava in una bella villa affacciata sul blu e la sua vita era ancora tutta da scrivere.
Rimase immobile per una decina di minuti, con un sorriso appena accennato sul volto, a nutrirsi della dolce nostalgia, ma poi un qualche impulso lo riportò nel presente e afferrato il telefonino dalla tasca, tentò di chiamare la sorella. Ma l'apparecchio mostrava ancora l'assenza totale di segnale.

Riprese la passeggiata e raggiunse il negozio di alimentari di fiducia, ma lo trovò chiuso. Un grande cartello appeso alla porta invitava i clienti a ripassare più tardi. Il proprietario avvertiva che per la mancanza di corrente non era riuscito ad alzare la pesante saracinesca motorizzata. Fernando proseguì verso un'altra bottega.
Quando la raggiunse la porta spalancata lo invitò ad entrare ma una volta dentro la carenza di merci infondeva un'atmosfera deprimente. Samanta senza acca, la giovane proprietaria di origine cinese, seduta su una vecchia sedia di legno color aragosta, lo informava che nessun corriere era giunto per rifornirla, mentre tanti nuovi clienti avevano fatto incetta di merce. Tutto sommato era stato un buon giorno per lei. Per Fernando invece lo fu meno, perché la spesa che riuscì a fare non era quella da lui sperata.
Tornando verso casa con il piccolo sacchettino di plastica bianca, si accorse che respirare era diventato fastidioso. L'aria era pesante e odorava dei gas di scarico delle auto incolonnate. Seppur immobili da ore, nessun conducente aveva spento il motore. Anzi, per non sentire la puzza dello scarico di chi li precedeva, avevano tutti alzato i vetri e acceso l'aria condizionata, cosa che contribuiva a bruciare ancora più carburante e a rendere l'aria ancor più irrespirabile.
Fernando continuò a camminare senza una meta reale e rientrò a casa quando il sole era basso sull'orizzonte ma ancora capace di illuminare la sua cucina, e nel silenzio di quella piccola stanza si sforzò di mangiare tutto il cibo deperibile che aveva trovato in frigo. Poi, prima che l'ultima luce svanisse, lavò le stoviglie. Contento che l'acqua, seppur fredda, ci fosse ancora.

Entrato nel letto dedicò l'ultimo pensiero della giornata ad Oscar, il pesce dell'acquario. Un Astronotus Ocellaris, compagno della sua solitudine da oltre quattro anni.
Il termometro della vasca segnava 16 gradi, troppo pochi per lui.

Al secondo giorno senza corrente elettrica Fernando iniziò a preoccuparsi seriamente per la sua prolungata assenza e non era il solo: per le strade, mai così affollate da pedoni, era un continuo chiedere informazioni su cosa fosse successo all'elettricità, ma nessuno sapeva niente.
Intanto erano iniziati gli atti di sciacallaggio. Una delle prime vittime fu la vetrinetta del negozio di smartphone sotto casa, che nella notte venne frantumata nel silenzio degli allarmi. Alla luce del giorno i mille frammenti del suo cristallo scintillavano a terra, testimoni abbandonati del misfatto. Fernando li osservava mentre il negoziante urlava al mondo la sua rabbia verso gli artefici del misfatto.
Poi riprese il cammino verso la bottega di Samanta speranzoso di fare una spesa più abbondante di quella di ieri ma trovò la saracinesca abbassata. Fernando rimase immobile davanti al basculante imbrattato da mille scritte, indeciso se tornare a casa o cercare un altro negozio.
In quel momento una voce lo chiamò per nome e si voltò.
“Ciao Fernando come stai!?
Una vita che non ci vediamo! Saranno trent'anni! Ti devo dire che hai sempre la stessa faccia! Certo hai più rughe di quando ci vedevamo a scuola! Ah la scuola! Quanti bei ricordi! Ma dimmi sei rimasto sempre qui? Io sono tornato da Toronto il mese scorso dopo venti anni. Diciannove anni e sette mesi per l'esattezza. E sono tornato giusto in tempo per sorbirmi questo schifo, ma sai che è successo? Nessuno sembra saperne niente”.
“Ciao Giuseppe ma che piacere! Sì, sempre qui sono stato e dove dovevo andare? Mi spiace ma non so niente come te. Io sono alla ricerca di un negozio di alimentari. Ne conosci qualcuno aperto?”
“Ma che coincidenza! Anche io sono uscito a fare la spesa. Mi hanno detto che nel Viale delle Paggie c'è un supermercato che non chiude mai ed è pure ben fornito. Possiamo andare assieme”.
“Viale delle Paggie? Quale è?”
“Quello stradone largo, vicino a Piazza della Giorgona. Ci passava il 6, l'autobus 6, quello che prendevo io per andare a scuola o tu per venire a trovarmi”.
“Ah, sì sì ho capito! Però è bello distante! Ci metteremo almeno un ora per arrivarci!”
“E quale è il problema? Hai di meglio da fare? Ahahah!
Scommetto che sei apatico come da giovane! Ahahah!”
“Ma non sono mai stato apatico! ”
“Ahahah! Se lo dici tu!”
“Ma dimmi ti sei sposato? Figli?”
...
....... “Ehi mi hai sentito”?
Fernando rimase in silenzio mentre pensava a cosa rispondere ma poi ribatté con voce ferma e calma: “Sì, sì, ti ho sentito. No, non sono sposato e non ho figli.
Però acceleriamo il passo che non voglio far notte”.
Giuseppe capì che era un argomento da evitare e decise di parlare d'altro.
“Ti ricordi di Maria? L'ho incontrata fuori dall'aeroporto appena sono arrivato. Stava partendo per una vacanza solitaria in Mali. Ma come si può andare da soli in vacanza nel Mali? Non li vede i telegiornali? Comunque è sempre stata strana quella ragazza. Te lo ricordi quando è venuta con i capelli fuxia? Sembrava un evidenziatore! Ahah!
Tu hai visto qualcuno dei vecchi compagni di classe?”
Fernando con un semplice “no” cercò di interrompere la parlantina del suo amico ma senza successo e un interminabile fiume di parole lo travolse sino al Viale delle Paggie 54, sede del supermercato. Lo trovarono chiuso, con una cinquantina di persone che in ordine sparso ispezionavano il grande parallelepipedo di cemento, speranzosi di trovare un apertura. A loro si unirono Fernando e Giuseppe.

Al calar del sole, mestamente Fernando ritornò a casa, da solo.
Tolte le scarpe si sedette sul divano mentre il suo cellulare cinguettava il primo beep, cantando la morte prossima della batteria.

I raggi dorati del nascente sole colpivano Oscar. I suoi occhi non brillavano come avrebbero dovuto, sembravano infarinati, si erano ricoperti di minuscoli puntini bianchi. Segno che l'acqua ormai era davvero troppo fredda.
Fernando doveva riscaldarla, o meglio ancora, sostituirla con della nuova, considerato che il filtro era inattivo da tre giorni. Ma non poteva usare quella gelida del rubinetto, prima era necessario portarla alla temperatura adatta al pesce tropicale. Tuttavia utilizzare uno degli ultimi tre fiammiferi rimasti in casa non era una scelta facile.
Seduto sul letto osservava il povero pesce boccheggiare in superficie, mentre malediceva l'accensione elettrica dei fornelli. Poi con un improvviso slancio mise sul fuoco due pentole d'acqua: una per l'acquario e l'altra per la pasta.
Dopo una mezz'ora circa, mentre univa le penne rigate ad una profumatissima salsa di pomodoro, venne assalito da un altro dubbio: doveva lasciare la bluastra fiammella accesa? Oppure spegnerla e consumare un altro fiammifero per riaverla in futuro? Decise di spegnerla, certo che la corrente sarebbe senza dubbio ritornata e poi non voleva rischiare di incendiare l'intero palazzo.

Dopo l'atipica colazione a base di pasta e dopo aver lasciato Oscar immerso nella sua nuova acqua tiepida e cristallina, Fernando uscì per la sua quotidiana ricerca di cibo e di informazioni.
Un lungo girovagare lo portò in luoghi della città a lui sconosciuti ma non trovò nulla. Infine la vista di un lungo serpente di persone diligentemente ordinate accese in lui la speranza, che si tramutò in certezza al passaggio di un vecchio con un sacchetto colmo di pietanze, e si accodò.
Si trovava in un grande parcheggio e un capannone lontano reggeva numerose insegne spente di un noto hard discount. Le persone davanti a Fernando erano centinaia e si muovevano lentamente ma lui non aveva fretta. Il sole era ancora alto.

Dopo alcune ore finalmente raggiunse l'ingresso ma l'euforia che lo animava si esaurì bruscamente: conosceva bene le persone che alla porta regolavano il flusso degli affamati. Erano vestiti tutti uguali, avevano la medesima espressione sul volto e tutti portavano in bella mostra una spilla dorata dall'inconfondibile significato. Erano dei neo nazisti.
Fernando era combattuto tra il rimanere e l'abbandonare la fila. Non sapeva cosa fare, ma alla fine la paura di rimanere senza cibo decise per lui e accettò, da un uomo robusto e senza sorriso, il sacchetto con dentro alcuni viveri. Quell'uomo non disse una parola ma il depliant che Fernando trovò dentro il sacchetto parlava per lui.
Quelle merde avevano trovato un modo efficace per risultare simpatiche alla gente, pensò Fernando. Sebbene non fosse una persona politicamente attiva e non votasse da anni, non poteva certo ignorare dove le idee di questi uomini, in passato, avessero condotto l'umanità. Ma dovette ammettere a se stesso che averli incontrati per ricevere il sacchetto di viveri era stata una benedizione.
Due panini, tre scatole di legumi, una di tonno e due arance. Non molto, ma sarebbero bastati per qualche giorno.

Erano trascorsi dieci giorni dalla scomparsa dell'elettricità e Fernando aveva smesso di chiedersi il perché. La corrente non era più ritornata, mai, neanche per dare un sussulto alle lampadine dimenticate accese. L'acqua non usciva più dai rubinetti, così come il gas dalla cucina e l'unico pensiero che dimorava in lui era quello di trovare del cibo: la fame era insopportabile, lo tormentava di continuo, giorno e notte. Così un tardo pomeriggio, ritornato dall'ennesimo infruttuoso giro, incapace di resistere ai morsi della fame o stanco di osservare la consunzione del povero Oscar, che ormai giaceva immobile sul fondale di sabbia grossolana, lo tirò fuori dall'acqua e lo lasciò morire sul pavimento, in uno stanco balletto di silenzioso dolore. Il suo amico era diventato una misera cena.

Era ritornato anche dai suoi odiati neo nazisti per elemosinare del cibo ma questi, dopo aver svuotato il grande magazzino, erano andati via, chissà dove. Si era persino messo alla loro ricerca ma senza successo. Tutti i grandi negozi erano stati preda di criminali che vendevano le merci a prezzi sempre maggiori, ma Fernando aveva esaurito soldi e valori.

Il tempo passava lento con i giorni tutti uguali. Alla quarta settimana divenne chiaro a tutti che possedere del cibo era l'unica speranza per sopravvivere a quell'inspiegabile blackout ed ogni bottega o supermercato da luogo di spaccio era diventato un fortino da difendere. Non si vendeva più nulla e a nessuno era permesso avvicinarsi. I soldi e gli ori avevano perso il loro valore.
Così, senza più la possibilità di accedere al cibo, le persone diventarono sempre più egoiste e violente. Le liti, per frustrazione o per rapina, diventarono comuni.

Alla sesta settimana Fernando vide il primo corpo senza vita abbandonato in una via. A giudicare dalla pozza di sangue secco che lo circondava probabilmente era la vittima di una rapina. Ma poi le cose peggiorarono ancora di più e assieme ai morti ammazzati, iniziarono a vedersi i corpi scheletrici di chi era morto di stenti: persone decedute nei letti di casa e abbandonate in strada come spazzatura dai familiari.
La puzza dei corpi in decomposizione iniziò a diffondersi per le strade e la morte, che nell'era moderna, quella antecedente al blackout, era immaginata come un qualcosa che visitava sempre gli altri e mai se stessi, iniziò ad aleggiare su tutti. Mentre ad alcuni questa sua onnipresenza dava il tormento, ad altri donava la speranza della liberazione dalle sofferenze terrene. Sensazioni che Fernando provava in modo alterno tutte le volte che si osservava in un riflesso. Il suo corpo era deperito, era magro come mai era stato prima.
Doveva mangiare qualcosa e doveva farlo al più presto.
Marco Lazzarini
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