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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Serena Gucci
Titolo: Forte e libera come il vento
Genere Avventura
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Forte e libera come il vento
Sul campo di battaglia la situazione stava volgendo a vantaggio del Paese di Nerìla.
Quando il Luogotenente Datoli oltrepassò al galoppo un gruppo di soldati nemici armati di lance, uno di loro riuscì a colpire il suo cavallo e l'animale, con un nitrito disperato, cadde improvvisamente in avanti proiettandolo a terra. Un forte dolore alla schiena lo lasciò senza fiato. Impacciato dal peso della corazza e dal mantello rimasto impigliato chissà dove, dava fendenti alla cieca agitandosi come una tartaruga finita pancia all'aria, nel vano tentativo di rialzarsi. Col sole in faccia non riusciva a capire se si trovava vicino ai suoi soldati, oppure in mezzo ai nemici del Regno di Shebber.
Facendo forza a terra con la punta della spada, si rimise in piedi giusto in tempo per notare con la coda dell'occhio il luccichio di una lama vicino a lui. Ma avendo ancora il mantello intrappolato, non poteva difendersi e attese il peggio.
Il rumore di due lame che cozzavano tra di loro lo fece voltare. Un ragazzo in divisa da Arciere stava incrociando la spada con un soldato nemico, il suo intervento tempestivo lo aveva salvato.
«Nat!» Gridò il Luogotenente. Benedetto figliolo, così giovane e così coraggioso!
Ogni ufficiale di Nerìla aveva l'appoggio di un abile arciere, perché potesse difenderlo in qualunque momento con l'arco o la spada. Quando gli avevano assegnato Nat, il Luogotenente aveva storto il naso: avrebbe preferito un uomo adulto e con maggiore esperienza. Ma sul campo si era dovuto ricredere: il ragazzo era molto bravo con l'arco, sapeva maneggiare la spada e non si tirava indietro davanti ai pericoli. La battaglia non era prevista, l'esercito del Regno di Shebber aveva passato i confini a nord all'improvviso. A Nerìla erano stati avvisati giusto in tempo per riuscire ad armarsi e partire in tempi brevi, affrontando il nemico prima che raggiungesse i centri abitati.
«Luogotenente Datoli venite, presto! Maledetti mantelli sono solo un inutile orpello!»
Disse Nat lacerando con la spada il mantello dell'ufficiale, sorreggendolo poi per aiutarlo a camminare. Il dolore alla schiena era intenso, il Luogotenente ce la faceva però a sopportarlo. Combattendo fianco a fianco i due raggiunsero il proprio esercito.
Il ragazzo rinfoderò la spada, prese l'arco e, insieme agli altri arcieri, riprese a sfoltire le linee nemiche ormai allo stremo. Il Luogotenente vide il Capitano degli Arcieri andare incontro a Nat con uno sguardo che non lasciava intendere niente di buono. Quando se lo trovò davanti gli mollò un manrovescio. «Questo è mio figlio! Cosa ci fa qui?» Gli domandò indicando il ragazzo.
«Capitano Saedi dovreste essere orgoglioso di lui. Questo giovanotto è pari a voi per abilità e coraggio. Perché lo punite?»
«Mio figlio non ha l'età minima e il mio permesso per arruolarsi, questo non è il suo posto!»
Rispose, poi mollò uno scappellotto a Nat spingendolo avanti a sé.
«Hai finito di combattere, rientrerai subito in città. Devi smettere di fare di testa tua!»
Nat il volto sporco di polvere, tratteneva a stento le lacrime. Mentre si allontanava al seguito del padre, l'ufficiale gli gridò dietro: «Nat Saedi ricordati del Luogotenente Ren Datoli. Ti sono debitore per avermi salvato la vita. Appena avrai l'età giusta, arruolati. Ti aspetto!»
Nat gli rivolse un sorriso triste.

Nerìla non era un Paese molto vasto ma fiorente e pacifico, il loro esercito infatti scendeva in battaglia solo per difenderlo dai nemici. Il confine a nord era costituito da un'ampia catena montuosa, mentre a sud il mare lambiva i loro porti famosi per i commerci con terre straniere.
La sola minaccia veniva dal Regno di Shebber, situato a occidente: Nerìla rappresentava una sorta di ostacolo naturale che impediva loro di invadere e conquistare il Regno di Hidgyor a oriente.
A differenza dei due Regni, Nerìla era retta da un governo eletto dal popolo.

Viva adorava la sua città, Nerìla, capitale del Paese omonimo.
A nord il Forte torreggiava sull'abitato e sulla grande pianura coltivata cinta da verdi colline e, dal punto in cui si trovava in quel momento, le bastava alzare lo sguardo per vedere stagliarsi alte e compatte le mura in pietra chiara che circondavano la città.
Appena abbassò gli occhi, incrociò quelli del fornaio che stava servendo i clienti dall'altro lato della strada. Le rivolse un'occhiataccia che la fece sentire in colpa, anche se non stava facendo niente di male. Girò di scatto la testa e, facendo finta di niente, si distrasse osservando quello che le accadeva intorno. Lungo la via passavano senza sosta carri trainati da muli e cavalli, uomini e donne di varia estrazione sociale, alcune Guardie Cittadine nelle loro corazze lucenti con la spada al fianco e molti servi e domestiche, in giro per spese e commissioni per conto delle case dove erano a servizio.
Si strinse nel suo scialle a disagio. Anche lei lavorava come domestica da alcuni anni e stava per prendere servizio presso il suo nuovo padrone, guarda caso proprio il fornaio dallo sguardo torvo.
La vita era ingiusta, pensò, si era dovuta adattare alla più umile delle occupazioni. Era brava nel suo lavoro, ma non era certo quello che voleva dalla vita. E neanche tutto quello che le era accaduto, pensò passandosi una mano prima sul viso e poi sulla lunga treccia bruna che le ricadeva sul petto. Sapeva di essere ancora pallida e magra dopo la convalescenza, e i vecchi abiti che indossava la facevano sentire a disagio. Sperò che i passanti non la scambiassero per una mendicante.
Era stato il sacerdote del Tempio della Madre a trovarle lavoro presso il fornaio, ma da almeno due ore stava ferma a ridosso di una casa senza avere il coraggio di attraversare la strada e avvicinarsi al forno. Lungo le mura il suono del corno che annunciava il mezzogiorno la riscosse dai suoi pensieri.
Coraggio - disse tra sé. Raddrizzò le spalle e, cercando di assumere un'espressione decisa, raggiunse il fornaio che stava chiudendo lo sporto della bottega.
«Buongiorno signore, mi manda il nostro sacerdote. Sono la vostra nuova domestica.»
Disse tutto d'un fiato. Il fornaio si voltò, guardandola infastidito. Viva deglutì a vuoto, accidenti era davvero un uomo grande e grosso! Chi prepara il pane dà l'idea di una persona allegra e di buon carattere, invece lui sembrava arrabbiato col mondo intero! Ripensò al tempo passato ad osservarlo: al contrario degli altri commercianti, non aveva mai rivolto la parola ai suoi clienti. Li aveva serviti in perfetto silenzio senza neanche un Buongiorno.
L'uomo si avviò alla porta di casa che si trovava a fianco della bottega, facendole cenno con la testa di entrare. Lo seguì in una grande cucina che aveva un bel focolare, un tavolo con quattro sedie, un acquaio in pietra, una madia, la dispensa e tanto vasellame, pentole e tegami da fare invidia a un ricco signore. Ma a cosa gli servivano se era solo? Il sacerdote le aveva detto che non era sposato e non aveva figli o apprendisti.
Come leggendole nel pensiero, il fornaio disse: «Se hai delle domande tienile per te, non devo dare spiegazioni a nessuno di cosa faccio a casa mia! E tu saresti...?» Domandò in tono autoritario, chinandosi all'altezza del suo viso. Viva lo fissò intimorita a bocca aperta, senza sapere cosa rispondere. Il fornaio aveva gli occhi piccoli, labbra sottili e naso importante, connotati che accentuavano un carattere difficile come le aveva accennato il sacerdote, che al contrario era gentile e vedeva il bello e il buono in tutti .
«Allora ragazzina? Vuoi rispondere oppure hai perso la lingua?» Insistette.
«Scusate. Mi chiamo Viva, sono figlia di un artigiano... »
Lui la interruppe con una risata di scherno. «So che sei orfana, quindi per me non sei figlia di nessuno. Ricordati che sei qui solo perché il nostro sacerdote ha tanto insistito! Fino ad oggi ho mandato avanti tutto da solo, penso però che non sarà male avere qualcuno che mi tenga pulita casa e bottega, faccia il bucato, prepari i pasti e così via! Tu sai come fare? Il sacerdote mi ha detto che prima lavoravi come domestica presso ricchi signori.» Senza darle il tempo di rispondere proseguì il discorso scrutandola da capo ai piedi. «Avrai vitto, alloggio e salario, ma bada ragazzina che ti farò sudare i tuoi soldi! Qui nessuno regala niente!» La ammonì agitandole l'indice davanti al viso.
«E in più ho bisogno di qualcuno che mi scaldi il letto!»
Viva arrossì, aveva capito bene? Vedendo la sua espressione sconvolta, il fornaio rise di gusto.
«Ma cosa hai capito? Se volevo qualcuno che mi desse piacere, avrei preso moglie da anni! Peccato che non voglia nessuno tra i piedi. Tu sei la prima eccezione. Prova a raccontare qualcosa in giro su di me e questa casa e ti butto fuori! Detesto i pettegoli e gli impiccioni, chiaro?»
Lei annuì senza riuscire a dire una parola, il tono del fornaio sembrava quello di un cane arrabbiato.
«Tornando al letto: io ho una sola camera. Per lavoro sto in piedi tutta la notte, quindi potrai dormire lì. All'alba ti sveglierò e, dopo la colazione, prenderò il tuo posto nel letto fino all'apertura della bottega. Almeno non dormirò tra lenzuola fredde. A proposito: voglio lenzuola fresche di bucato ogni settimana, tengo molto all'ordine e alla pulizia. Preparerai la colazione e pulirai forno e bottega, all'apertura e alla vendita ci penso io. Terrai in ordine casa, preparerai i pasti e farai la spesa. A mezzogiorno chiudo bottega. Di solito non avanza pane, in caso contrario usalo per cucinare, non voglio sprechi. La cena deve essere pronta subito dopo il tramonto, perché poi comincio a impastare e cuocere il pane. Ti anticipo la paga così puoi comprare un po' di stoffa per farti nuovi abiti e cambiare quegli stracci che hai addosso. E soprattutto, fatti un bagno! Come ti ho già detto, tengo molto alla pulizia!» Concluse guardandola schifato.
«Sì signore, ho capito.» Rispose Viva, stringendo al petto a mo' di scudo il fagotto che conteneva le sue poche cose.
«No, non signore! Devi chiamarmi padrone oppure padron Berge. E guai a prenderti la libertà di chiamarmi solo per nome!»
Davvero un bell'inizio. Purtroppo doveva ingoiare il boccone amaro e fare il proprio dovere, se voleva tenersi stretto il lavoro. Mentre padron Berge arrangiava qualcosa per il pranzo, le comunicò che avrebbe cominciato il servizio dal giorno seguente.
Dopo il pasto Viva andò ai bagni pubblici, poi al mercato per comprare della stoffa, rimanendo sveglia gran parte della notte per potersi cucire un paio di gonne. Per fortuna nel fagotto che conteneva i suoi pochi averi aveva ancora un paio di tuniche in buono stato, dono dei Servi del Tempio della Madre, gente che aveva consacrato la propria vita ad aiutare bisognosi e malati.

Al mattino dopo colazione padron Berge andò a riposare, così Viva poté pulire la bottega, disporre il pane nelle ceste per la vendita e riordinare la stanza del forno. Un breve corridoio univa quest'ultimo alla cucina e alla bottega. In questo modo da una stanza all'altra era possibile vedersi e comunicare. Sia il forno che la cucina avevano una porta che dava sull'ampio cortile posteriore, chiuso da un grande portone in legno da cui accedevano i carri per le consegne di legna e farina, completamente lastricato e dotato di un pozzo che le avrebbe evitato la fatica di fare la fila alle fontane per prendere l'acqua. Finì di sistemare poco prima che il padrone scendesse le scale.
«Ben svegliato, padrone. Ho pulito il forno e la bottega e il pane è già pronto per la vendita.»
Padron Berge si guardò intorno in silenzio. Aprì bocca solo per dire che il pavimento era troppo bagnato e non sarebbe asciugato per tempo.
«Avete ragione padrone, la prossima volta starò più attenta. Il resto della casa lo pulirò nel pomeriggio, se permettete andrei a fare un po' di spesa. La dispensa è vuota.»
«Eccoti il denaro e spendilo con giudizio, non sono un ricco signore come quello per cui lavoravi prima. E guai se provi a fare la cresta, perché me ne accorgerei!» Disse allungandole alcune monete accompagnate da un'occhiataccia.
«Sì signore! Anzi no, scusate: sì padrone.» Viva si trovò a scattare come un soldatino.
Uscendo di casa vide che c'erano già molti clienti in attesa fuori per comprare il pane. Quindi a dispetto del caratteraccio, padron Berge doveva essere un fornaio davvero bravo.

Entusiasta come una bambina girò a lungo tra botteghe e banchi, facendo acquisti per la casa approfittò per esplorare il quartiere. Comprò legumi secchi, verdura e frutta, eludendo le domande curiose dei venditori e dei vicini di casa, che avrebbero voluto saperne di più sul fornaio, un tipo molto riservato. Anche lei attirò l'attenzione, perché nel quartiere nessuno ancora la conosceva.
Se padron Berge non amava i pettegolezzi lei non faceva eccezione, non voleva far sapere niente del suo passato.
Per pranzo comprò del pesce. Una volta a casa lo pulì, lo pose in una casseruola su un letto di cipolle bianche, lo cosparse con erbe, sale e olio e lo fece cuocere sulla brace del focolare. Poi cominciò a pulire le verdure per il minestrone. Per mezzogiorno il pranzo era pronto.
Il fornaio chiuse bottega e sedette a tavola. Quando notò che era apparecchiato per una persona sola, chiese spiegazioni.
«Io mangio dopo. Da oggi sono a servizio presso di voi, devo saper stare al mio posto.»
«Non esiste! Forse nella casa dove lavoravi prima usava così, ma qui si mangia insieme. Siediti!» Ordinò battendo la mano sul tavolo. Viva apparecchiò un secondo coperto, servì il pranzo e si accomodò pure lei. Provando a fare un minimo di conversazione chiese al padrone se fosse avanzato del pane, per poterlo servire abbrustolito col minestrone quella sera. Lui senza una parola indicò un filone appoggiato all'altro capo del tavolo.
Senza scoraggiarsi riprovò: «Padrone pensavo che da ora in avanti potrei pulire la bottega dopo pranzo. Così la mattina mi occuperei solo del forno.»
«Fai come vuoi, organizzati come meglio credi.» Rispose in tono indifferente.
«Vi è piaciuto il pranzo?»
«Hai preso del pesce, costa troppo!»
Queste furono le uniche risposte che ottenne. Se non altro il padrone apprezzò il pasto, perché del pesce rimasero solo le lische e finì tutto il contorno. Dopo pranzo si appisolò sulla sua sedia.
«Padrone?» Lo chiamò Viva.
«Mm?» Borbottò lui in risposta.
«Posso chiedervi di andare in camera? Devo lavare il pavimento.»
«Io dormo in cucina dopo pranzo. E per quel che riguarda il letto, cambia e lava le lenzuola. Fino alla scorsa settimana le davo a una lavandaia, da ora in avanti devi pensarci tu.»
«Scusate padrone è il mio primo giorno di lavoro, sto cercando di organizzarmi.»
«Muoviti!» Ordinò, facendola sobbalzare.
Salì al piano superiore: lì si trovavano l'ampia camera da letto, uno stanzino che fungeva da ripostiglio e l'accesso alla terrazza sul tetto.
Mentre tirava fuori dalla cassapanca le lenzuola pulite, pensò a come coordinare il lavoro: sveglia all'alba, vestirsi, preparare la colazione, pulire il forno e disporre il pane per la vendita.
Il padrone apriva bottega dopo un riposo di due ore. Perciò se la sera lasciava pulita e in ordine la cucina, tanto più che a quell'ora lui era già a panificare, dopo colazione poteva riordinare la camera, uscire per le varie commissioni, preparare pranzo e cominciare magari qualcosa per la cena. E dopo il pasto riordinare velocemente la cucina e pulire la bottega. Poi avrebbe potuto dedicarsi al bucato, cucito o altro e riuscire a mettere la cena in tavola per tempo.
Una volta sistemata la camera uscì sulla terrazza: le corde per stendere i panni erano vecchie e malridotte. Dopo aver fatto il bucato si sarebbe fermata a comprarne di nuove.
Quando arrivò ai lavatoi, essendo una faccia nuova, attirò l'attenzione delle donne presenti.
Timida com'era ebbe la tentazione di tornare indietro, ma che spiegazione avrebbe dato al padrone? Si presentò dicendo di chiamarsi Viva Veni, e che lavorava come domestica presso il fornaio Berge. Alle domande sul padrone rispose sinceramente che aveva un caratteraccio come tutti dicevano, altro non poteva dire perché lui le aveva proibito di raccontare i fatti suoi. Una ragazza le sorrise maliziosa. «Ah! Fra una settimana ce ne saprai dire di belle!»
«Perché?» Chiese ingenuamente.
«Il tuo padrone non credo ti abbia presa a servizio solo per tenergli pulita casa, vorrà anche altro da te !»
«Gioa smettila!» La redarguì una delle presenti. Lei invece proseguì imperterrita.
«Guardalo bene il tuo padrone! Anche quando è vestito si vede bene che razza di arnese ha nei pantaloni! Peccato si veda poco in giro. È l'unica cosa interessante che c'è addosso a lui!»
Concluse ridendo sguaiatamente. Confusa e rossa in viso Viva finì in fretta il bucato e dopo aver comprato la corda per i panni, tornò di corsa a casa.
A cena il fornaio fu silenzioso come al solito e aprì bocca solo per dire: «Ragazzina il minestrone è poco saporito.» Ma a dispetto della critica, ne prese ben due porzioni.

La mattina seguente il padrone la svegliò scrollandola energicamente, per poi uscire dalla stanza dicendole di darsi una mossa e alzarsi. Una volta in piedi Viva scoprì di avere le spalle indolenzite, a causa dello sforzo fatto il giorno prima per lavare i panni. Non lo faceva da tempo, il precedente datore di lavoro aveva una lavandaia a servizio presso la sua casa, al bucato pensava lei.
A colazione chiese a padron Berge il permesso di recarsi il giorno seguente alla cerimonia settimanale presso il Tempio.
«Ho dimenticato di dirti che il giorno della cerimonia settimanale è anche il tuo giorno libero perché il forno è chiuso. Al Tempio potremmo andarci insieme. Cos'è quella faccia stupita? Ci vado sempre a pregare la Madre e gli Dèi Creatori!» Concluse infastidito.
«Posso parlarvi sinceramente? Pregare va bene, però i sacerdoti invitano ad aiutarci l'un l'altro, voi come fate se tenete tutti a distanza col vostro caratteraccio ?»
«Faccio donazioni per i poveri, può bastare? E ti ho già detto che detesto gli impiccioni!»
«Scusate padrone non volevo offendervi. Cambiando discorso, oggi andrei ai bagni pubblici e poi al mercato. E mi servirebbe un po' di impasto del pane per preparare il pranzo.»
«Non c'è problema. Sono proprio curioso di vedere cosa cucinerai oggi! Stasera dopo aver preparato gli impasti per il pane di inizio settimana, vorrei fare il bagno anch'io.»
A quelle parole Viva ricordò quello che le aveva detto Gioa.
«Ragazzina basta che mi prepari in cucina la tinozza con l'acqua calda. So lavarmi da solo, non ti chiederò di insaponarmi la schiena!» Aggiunse lui come leggendole nel pensiero.
Per pranzo preparò una torta salata ripiena di verdure, uova e formaggio.
«Non l'avevo mai provata. È buona.» Commentò padron Berge.
«Grazie. La cucinava sempre mia nonna. Io sono cresciuta presso di lei in campagna, le verdure non ci mancavano.»
«Non mi ringraziare. Intendevo che è commestibile, non ti stavo facendo un complimento.» Rispose sgarbato. Sospirando rassegnata finse di non averlo sentito.
«Certo Padrone che cucinare qui è un vero piacere! Nemmeno il mio precedente datore di lavoro aveva una cucina così bene attrezzata. E pensare che voi siete solo, a cosa vi servono così tante pentole e stoviglie?»
«Ragazzina ti ho già detto che detesto gli impiccioni!»
«Avete ragione, è una considerazione che dovevo tenere per me. Scusatemi.»
Lui sorrise beffardo. «Certo che sei strana. Di solito le serve litigano con i padroni, rispondono a tono, ficcano il naso dappertutto e spettegolano. Invece tu sei fin troppo arrendevole e taciturna.»
Lei rispose a occhi bassi che non era una serva. Era stata una domestica presso una famiglia di ricchi commercianti, dove aveva imparato come si comporta la servitù delle classi altolocate.
«Ma davvero? Allora me ne ritrovo proprio una di prim'ordine a servizio! C'è da chiedersi cosa sia successo perché finissi a lavorare per me, che non sono certo un gran signore!»
Con voce incerta rispose che anche a lei non piacevano i curiosi. «Ci sono cose di cui non voglio e non posso parlare. E ora se volete scusarmi...» Disse cominciando a riordinare. Il padrone però non volle rinunciare a un'ultima frecciatina.
«Ragazzina parli di serve quasi fossi superiore a loro. Eppure mi hai detto che vieni dalla campagna, non sei esattamente di buona famiglia.»
«La mia era una buona famiglia perché sono stata educata a portare rispetto a chiunque, non c'entrano niente la classe sociale e i soldi. E le buone maniere si possono imparare senza sforzo se si vuole. Non mi vedrete mai comportare sguaiatamente o dire parole sconvenienti.»
Padron Berge rimase in silenzio. In poche parole la ragazzina, come la chiamava lui, gli aveva impartito una bella lezione. Si alzò da tavola e, borbottando tra sé, raggiunse il forno per preparare l'impasto. Viva finì di pulire la cucina, poi cominciò a prendere l'acqua dal pozzo e a scaldarla per il bagno. Da ultimo aggiunse all'acqua della tinozza rosmarino e fiori secchi di lavanda.
Quando il fornaio entrò in cucina per farsi il bagno e vide i fiori, chiese infastidito cosa fosse quella roba.
«Ho aggiunto rosmarino e lavanda all'acqua perché tolgono la stanchezza e aiutano a rilassarsi, quello che ci vuole prima di andare a letto...» Viva si interruppe. «Padrone voi stanotte non lavorate! Come facciamo per il letto?»
«Non vedo il problema.»
«Non voglio dormire con voi!»
«Ragazzina l'unica alternativa è dormire per terra, e la notte fa ancora freddo se non te ne fossi accorta!»
Lei rimase a bocca aperta, non sapendo come ribattere lasciò cadere il discorso e andò in camera a prepararsi per la notte. Quando dopo il bagno il padrone salì in camera, la trovò addormentata tutta rannicchiata sul bordo del letto col rischio di cadere di sotto. Sorrise divertito, prima di spegnere la candela e mettersi a letto a sua volta.
Viva venne svegliata da grida disperate. Accanto a lei il padrone si agitava in preda a un incubo. «Padrone svegliatevi!» Allarmata, lo scosse per una spalla. Lui aprì gli occhi guardandosi intorno confuso. «Perché gridavate così? Mi avete spaventata.»
Il padrone rivolse lo sguardo altrove prima di risponderle: «Ricordi di guerra. Quando dormo ho gli incubi.»
«Guerra?» Ripeté lei.
«Sì, sono stato un soldato, ho visto cose orribili e spesso me le sogno ancora la notte. E ora che lo sai, guai se lo racconti in giro.» Rispose prima di alzarsi dal letto, dato che era già l'alba. Finalmente comprese la causa dei malumori del Padrone. Persa in questi pensieri si vestì, pettinò i lunghi capelli infine scese, senza scordare lo scialle. Quando entrò in cucina padron Berge aveva appena finito di vestirsi. Indossava una casacca di buona fattura che però non riusciva a ingentilirne la figura. Fosse stato almeno una sorta di Dio greco, invece era massiccio e muscoloso grazie al suo mestiere e ai trascorsi di soldato. Gli si avvicinò per aiutarlo a sistemarsi, ma quando fece per lisciare le pieghe della casacca sulle spalle, lui si voltò di scatto afferrandole un polso con forza.
«Cosa pensavi di fare?» Chiese rabbioso.
«Padrone mi state facendo male.» Piagnucolò lei per il dolore. Lui strinse ancora.
«Ti ho chiesto: cosa pensavi di fare?» Ripeté scandendo le parole.
«Vi sistemavo il vestito prima di uscire di casa, così siete in ordine. Lasciatemi vi prego.»
Padron Berge la allontanò da sé in malo modo. «Guai se provi di nuovo a toccarmi!»
Viva si tastò il polso indolenzito, lacrime di frustrazione le punsero gli occhi. «Scusate, non lo farò più.» Poi si ricompose per uscire di casa al seguito del padrone.
Lungo la via incontrarono altre persone che si recavano al Tempio e lei salutò tutti augurando loro il buongiorno.
«Ti piace proprio sprecare il fiato, neanche li conosci!» Borbottò lui.
«Augurare il buongiorno è buona educazione e fa sentire importante ognuno di noi. Provate.»
Il padrone fece per replicare, quando alle loro spalle esplose una risata sguaiata.
«Chi vedo? Berge come va?» Nemmeno il tempo di capire che un uomo irruppe tra loro due, appioppando una formidabile pacca sulla schiena del padrone. Quest'ultimo soffocando un grido di dolore, si voltò di scatto con il pugno alzato pronto a colpire. Anche se sbalordita per la scena, Viva d'istinto si slanciò a trattenerlo goffamente per un braccio, nel tentativo di impedire una probabile rissa. Padron Berge la guardò stupito come se si fosse svegliato improvvisamente da un sogno. Poi ignorando l'uomo, l'afferrò per un gomito trascinandola via con sé.
«Quel cretino! Ogni volta che mi incontra è la stessa scena! E tutto per farsi offrire un bicchiere di vino!» Disse furioso.
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