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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Valeria Rita Marchese e Alessia Regolini
Titolo: La Famiglia Lancaster
Genere Romanzo Storico
Lettori 358 6 10
La Famiglia Lancaster
Londra 1840, Buckingham Palace.

Finalmente erano arrivati al Palazzo reale della Regina Vittoria. Il gran ballo avveniva come ogni anno, nella grande sala da ballo del Buckingham Palace.
L'enorme portone si aprì, vennero accolti dal valletto di corte, un giovane uomo con la sua livrea, che si occupava di presentare gli ospiti alla Regina.
L'uomo chinò il capo «Diamo il benvenuto al Conte di Nottingham, Lord Lancaster insieme alla sua consorte la Contessa Victoria Woodville e alle sue due figlie, Clarissa e Cassandra Lancaster» si scostò facendoli entrare, dopo averli annunciati in sala.
Henry stava in testa, di fianco alla propria consorte, tenendola sotto braccio. Dietro di loro c'erano Cassandra e Clarissa, leggermente nervose, ma restando composte, entrando con eleganza.
L'intero ambiente era illuminato da scintillanti candelabri appesi e un enorme lampadario al centro della sala, decorato da cristalli colorati che riflettono la luce.
Alle pareti erano appesi svariati dipinti dei vari discendenti della famiglia della sovrana, la quale era in piedi di fronte al suo trono. Era di una bellezza indescrivibile. Aveva un corpo perfetto, con ampie spalle larghe e vita fine. I lunghi boccoli castani, raccolti dietro la nuca, nessuna imperfezione scaturiva dal suo aspetto. Indossava un bellissimo abito color panna che conferiva forma alle sue forme sinuose e prosperose. Portava degli orecchini di diamanti che brillavano sotto la luce del lampadario fatiscente. In testa aveva la sua bellissima corona di oro bianco, tempestata di diamanti. Accanto alla Regina, vi era il suo amato marito, il Principe Alberto nel suo redingote.
Henry con il suo bastone da passeggio, si avvicinò alla sovrana «Vostra maestà, vi porgiamo i nostri ossequi» chinò il capo in segno di riverenza, mentre Victoria fece un inchino formale, tenendo basso il capo e stringendo i lembi dell'abito piegandosi in avanti.
La Regina Victoria, sorrise con le sue labbra carnose e rosse «Benvenuto mio caro Conte. Non ci deludete mai e sono sicura che anche le vostre figlie non lo faranno» scorse con il suo sguardo da cerbiatta, con i suoi occhi castani, Cassandra e Clarissa, le quali si stavano apprestando a fare l'inchino quando la Regina le fermò con un gesto della mano «Fate un passo avanti giovani fanciulle» disse con la sua voce flebile e soave.
Cassandra deglutì così velocemente che quasi si sentì soffocare, non si aspettava che la Regina prestasse attenzione a loro due.
Clarissa mantenne il controllo e si fece avanti, dopo che i suoi genitori si erano scostati di fianco, aprendo un varco per lei e la sorella.
Cassandra la seguì con timore. La Regina non toglieva gli occhi di dosso da entrambe, le stava osservando con uno sguardo scrutatore e curioso, finché non allungò il braccio e con la mano sollevò il mento di Clarissa, la quale provò una strana sensazione, un misto tra timore ed entusiasmo, anche se non era convinta di essere contenta di essere stata adocchiata dalla Regina in persona. Sollevò lo sguardo mentre la sovrana la osservava da ogni angolazione. Quest'ultima fece un ampio sorriso di soddisfazione e ritirasse la mano «Bene, bene» fece segno ai presenti di stare in silenzio. Il chiacchiericcio intorno a loro improvvisamente si placò. La sovrana stava per fare un annuncio importante. Clarissa si irrigidì, sapeva esattamente cosa stava per accadere e adesso quell'entusiasmo era svanito.
«Clarissa Lancaster, figlia del Conte di Nottingham Henry Lancaster e della sua consorte la Contessa Victoria Woodville, sarà il Gioiello della Regina di questa stagione» annunciò a tutti gli ospiti in sala.
Clarissa sussultò, non se lo aspettava di essere il Gioiello della Regina. Doveva essere un onore esserlo. Molte fanciulle della sua stessa età ambivano ad essere nominate preferite della Sovrana. Ma questo implicava più doveri e soprattutto più corteggiatori. Ogni stagione la Regina, designava la sua preferita e fino a quel momento era riuscita a deviare la sua attenzione da sé, ma a quanto pare questa volta le toccava e non aveva molta scelta. Doveva fare buon viso a cattivo gioco, così sorrise anche se avrebbe voluto solamente fuggire via ma si limitò a chinare il capo «Vi ringrazio, vostra maestà. È un immenso onore essere il vostro gioiello di questa stagione» rispose educatamente con riverenza.
La Sovrana sorrise, incitando i presenti ad applaudire «Spero che non mi deludiate» aggiunse sottovoce, così che solo Clarissa potesse sentire le sue parole. Ed effettivamente solo lei sentì quelle parole che gli fecero balzare il cuore in gola. Era la seconda persona che si aspettava da lei grandi cose, oltre a suo padre. Per l'ennesima volta si sentiva soffocare e sottopressione. Tutti erano colmi di aspettative nei suoi confronti anche se lei non voleva tale responsabilità. Non stava chiedendo chissà cosa, ma solo di essere libera. Nessuno però comprendeva a pieno il vero significato della libertà. Libertà di amare e di vivere. L'unica che lo comprendeva appieno era sua sorella. Entrambe volevano la stessa cosa.
In sala ci fu un enorme applauso di approvazione per la scelta della sovrana, la quale congedò lei e la sorella.
Henry guardò Clarissa, mentre si allontanavano raggiungendo gli altri invitati «Sei il Gioiello della Regina, non deludermi» dichiarò con tono autoritario, guardandola di sottecchi come se si aspettasse il peggio da lei. Quelle parole la colpirono nuovamente come un pugno al cuore. Tutti che si aspettavano chissà cosa da lei, cose che lei non desiderava, ma a nessuno importava ciò, agli altri interessava semplicemente che lei trovasse marito e si sistemasse.
Abbassò lo sguardo, con gli occhi lucidi sentendo una fitta al cuore «Certamente padre» rispose volendo solo scappare via da quella situazione «Se volete scusarmi, mi congedo per andare alla toilette a sistemarmi» disse con voce tremante evitando di far notare le sue lacrime a suo padre.
Henry la guardò sorridendo lasciandola andare.
Victoria fece un respiro profondo, aveva notato gli occhi lucidi della figlia e l'ultima cosa che desiderava era che lei soffrisse. Non poteva sopportare tutto ciò, sorrise dolcemente «Vostra grazia, vado a dare una mano a Clarissa» disse notando che Cassandra era rimasta in silenzio. Anche lei era scossa anche se evitava di darlo a vedere.
Henry annuì «Andate pure, avrà bisogno del vostro aiuto» disse mentre Victoria si congedava raggiungendo sua figlia.
Nel frattempo Cassandra era rimasta insieme al padre «Non preoccuparti, anche se non sarai il Gioiello della Regina, sono sicuro che troverai marito» sorrise con un sorriso smagliante. In qualche modo stava ottenendo ciò che desiderava, pensò Cassandra accennando un sorriso. Come poteva essere così crudele e come poteva anteporre la felicità delle figlie? Poi si ricordò che lui era malato, che la vita gli stava per essere strappata via e gli si gelò il sangue nelle vene. Forse non era crudele ma determinato a dare in matrimonio le figlie, proprio perché stava per morire? Lei comprendeva che lui fosse ansioso che le figlie trovassero marito, ma questo non gli dava diritto di costringerle ad un matrimonio senza amore. Lui per primo si era sposato per amore, come poteva non desiderare la stessa cosa per le figlie? Se le amava, così come affermava, avrebbe dovuto capire ciò che il cuore diceva loro e avrebbe dovuto approvare le loro scelte. Non sapeva più cosa pensare, non riusciva più a vedere suo padre come quando era una semplice bambina. Adesso era come se lui portasse una maschera che lo rendeva illeggibile e imperscrutabile. Era difficile cercare di capire a cosa stesse pensando veramente. E detestava quando diceva loro “Non deludetemi” come se fossero un eterna delusione per lui. Forse lo eravamo veramente, ma faceva male sentirlo dire dal proprio padre «Come desiderare padre, perché è solo ciò che vi preme di più, no? Voglio dire, il benessere e la felicità delle vostre figlie, non contano per voi e forse mai conteranno. A voi importa solamente che sposiamo qualche uomo altolocato, di buona famiglia e anche se non siamo innamorate e saremo intrappolate in un matrimonio senza amore, cosa importa? Ci odiate e detestate fino a questo punto? Voi avete sposato nostra madre per amore, e l'unica cosa che desideriamo io e mia sorella è avere ciò che avete avuto voi, ma a quanto pare non ci è concesso averlo, perché voi avete deciso così» disse mentre le sue guance prendevano fuoco. Per la prima volta aveva risposto a suo padre e lo aveva fatto con determinazione. La sua voce non era tremolante me decisa, ad eccezione del suo cuore che aveva ripreso ad accelerare dalla rabbia e dal timore della reazione del padre. Ormai aveva gettato benzina sul fuoco e non poteva più spegnerlo. Fece un passo indietro istintivamente come se si aspettasse un manrovescio per il suo atteggiamento presuntuoso e arrogante. Ma rimase sorpresa quando suo padre abbassò lo sguardo, come se l'avesse pugnalato al cuore con una lama tagliente e affilata. La freccia che aveva scoccato era andata a segno, dritta al cuore di suo padre. Stava per aprire la bocca e chiedere scusa per la sua irruenza, soprattutto in quel momento poco consono ad una discussione del genere ma Henry prese la parole «Io non vi detesto e non vi odio. Di certo non desidero la vostra infelicità, perché siete le mie uniche figlie. Siete il futuro della nostra Casata, e da sposate manterrete il vostro cognome» si soffermò, era deciso a dire tutta la verità. Le parole di Cassandra lo avevano davvero colpito. Le sue figlie pensavano veramente che lui le odiasse e facesse di tutto per distruggerle e renderle infelici. Ma non era questo ciò che voleva. Desiderava che fossero felici e che quando lui fosse morto, non si trovassero sole e abbandonate. Se fossero state sposate, avrebbero avuto una famiglia a cui aggrapparsi e il dolore della perdita sarebbe stato più lieve. Forse Victoria aveva ragione, stava facendo un pessimo lavoro e le stava spingendo nel baratro. Si rese conto che quello non era il momento di intraprendere quell'argomento doloroso e difficile da affrontare così alzò nuovamente la maschera che portava ogni santo giorno «Voglio la vostra felicità, e proprio perché vi amo, che desidero che vi sposiate entro questa stagione e non voglio più sentire lamentele a riguardo, sono stato abbastanza chiaro?» la guardò dritta negli occhi, con sguardo glaciale.
Cassandra si irrigidì, in quello sguardo poteva sentire il gelo avvolgerla completamente. Per un istante pensò di star per congelare, come se si trovasse sotto la neve. Per qualche istante gli era sembrato di vedere dolore e dispiacere nelle parole e nello sguardo di suo padre, ma era bastato un attimo affinché lui recuperasse la sua maschera di gelo e distanza, che Cassandra perse ogni speranza. Si rese conto che non sarebbero mai riuscite a convincerlo in alcun modo «Si, siete stato molto chiaro» rispose alzando anche lei un muro di fronte a sé. Non gli avrebbe più permesso di spezzargli il cuore, non più ormai.


Clarissa, si era chiusa dentro la toilette. Si sentiva sopraffatta da quella situazione, da tutte quelle attenzioni che da ora in avanti avrebbero condizionato la sua vita. Si era aspettata di tutto ad eccezione di ricevere le attenzioni della Regina in persona. Adesso era in trappola come un topo in gabbia. Avrebbe voluto urlare e piangere, ma non riusciva nemmeno ad esprimere quella sofferenza. In cuor suo era consapevole che la sua vita era appena finita, e nel peggiore dei modi. Adesso aveva dei doveri d'innanzi alla società e non poteva più tirarsi indietro. Era sconvolta e allo stesso tempo devastata, si appoggiò alla parete strizzando gli occhi, trattenendo le lacrime. Anche se bramava disperatamente far sgorgare le lacrime, non riusciva in alcun modo. Si sentiva come se gli avessero strappato via l'anima. Il suo stato d'animo era in costantemente contraddizione con se stessa, con la sua vera natura. Da un lato provava disillusione, si era illusa di poter avere una vita felice con l'uomo di cui si sarebbe innamorata, ma non sarebbe mai accaduto e se fosse accaduto avrebbe dovuto avere molta fortuna ad incontrare l'uomo dei suoi sogni, dall'altro non provava nulla. Qualcosa in lei si era spenta, una parte di sé si era nascosta sprofondando negli abissi dell'anima. Forse era l'unico modo per sopravvivere e andare avanti. In qualche modo inconsciamente stava proteggendo se stessa dal dolore e dal tormento.
Mentre contemplava immersa nei propri pensieri più profondi, venne risvegliata da quel torpore dal bussare costante alla porta. Si staccò dalla parete, riprese fiato, sistemò l'abito addosso, stirandolo con le mani e si ricompose o almeno ci stava provando. Doveva immaginare che qualcuno avrebbe bussato, in fondo di trovava nella toilette del palazzo e in sala c'erano tante nobildonne che desideravano darsi una sistemata prima che il ballo avesse inizio.
Andò alla porta e l'aprì, quando vide sua madre fu un sollievo, con lei non doveva fingere, non doveva mentire. Sua madre la conosceva abbastanza da sapere come si sentisse in quel momento. La guardò dolcemente «Madre, cosa fate qui?» domandò incuriosita dalla sua presenza, sicuramente l'aveva seguita dopo che lei era andava via dalla sala. Avrebbe voluto correre, ma non poteva non con quel vestito pomposo che gli impediva anche di muoversi.
Victoria accarezzò la sua guancia ed entrò dentro. Le pareti erano di un colore rosso rubino brillante, e c'era una finestra che dava al giardino. C'era un lavabo in porcellana color oro, decorato con disegni concentrici a spirale. Erano presenti una serie di oggetti per la cura personale, come pettini, spazzole, specchi e flaconi per profumi, tutti realizzati con materiali pregiati come argento, avorio o porcellana. Erano coordinati in set da toilette , che erano esposti su un mobile con cassetti e ripiani per contenere tutti gli accessori.
Vi era un set di asciugamani ricamati, saponette profumate, e vasetti per creme e polveri. Gli asciugamani, anche a distanza si poteva scorgere che erano in seta, personalizzati con lo stemma reale, composto da uno scudo inquartato che rappresentava le nazioni costitutive del Regno Unito.
Al di sopra dello scudo si trovava un elmo reale coronato dalla corona tudor, sormontato da un leone d'oro fermo con la testa in maestà, anch'esso coronato. Ai lati dello scudo c'erano i supporti: a destra un leone d'oro, simbolo dell'Inghilterra, e a sinistra un unicorno d'argento, simbolo della Scozia. L'unicorno era raffigurato incatenato.
Sotto lo scudo si trovava il motto reale "Dieu et mon droit" (Dio e il mio diritto), che esprimeva il diritto divino dei sovrani di governare. Lo scudo era circondato dalla giarrettiera, l'ordine di cavalleria più elevato del Regno Unito.
Victoria dopo aver ammirato qualche istante la bellezza intorno a sé, si rivolse a sua figlia: «Bambina mia non essere triste. Ho fatto una promessa a te e a tua sorella, e farò in modo di mantenerla. Non permetterò che tu sposi un uomo che non ami» la confortò o almeno ci provò in qualche modo. Conosceva bene Clarissa, fin da bambina aveva lo stesso atteggiamento del padre. Quando qualcosa non andava come lei voleva, alzava un muro così come aveva fatto negli ultimi anni suo marito. Ma Cassandra riusciva sempre a far crollare quella barriera che non durava mai allungo. Ma Victoria, da madre premurosa e amorevole era stata l'unica a notare questo piccolo particolare e forse anche Cassandra lo aveva notato, ma non ne aveva mai fatto parola «Sei bellissima e meravigliosa, non voglio che tu sia diversa da ciò che sei, mi hai capito? Non devi cambiare per alcun motivo e per nessuno. Devi essere sempre te stessa, anzi direi che devi esserlo ancora di più in questo momento. So che pensi di non essere adeguata come Gioiello della Regina, ma io sono sicura che darai tutta te stessa» gli disse dolcemente con voce gentile e amorevole «Clarissa, so che per te tutto questo è una sofferenza profonda e intensa, e lo comprendo ma forse non sarà male come immagini tu. Non devi cambiare e modificare il tuo modo di essere per piacere a qualcuno, se qualcuno deve innamorarsi di te, deve farlo per la tua vera natura, per il tuo vero io. Non devono innamorarsi del fantasma di te stessa o della tua maschera o di ciò che non sei, ma devono amare la vera te, il tuo vero io, il tuo cuore, il tuo spirito e la tua anima. Non preoccuparti di tuo padre, ti ho fatto una promessa e la manterrò quindi ora rimettiti in sesto, ed esci a testa alta da qui con la sicurezza che hai sempre avuto, sicura di te e determinata per ottenere quello che vuoi, perché è questa la Clarissa che voglio vedere. Non voglio vederti triste e infelice, mia piccola Rissy» la chiamò con il nomignolo che aveva dato fin da bambina. Lei era sempre energica e solare, vivace e allegra, soprattutto determinata e sicura di sé. Fin da piccola sapeva esattamente ciò che desiderava il suo cuore e l'avevano soprannominata Rissy, nomignolo adatto a lei e alla sua forte personalità.
Clarissa sorrise a quelle parole, gli occhi divennero lucidi, era commossa dal profondo discorso di sua madre. Si ricordò quel nomignolo, anche suo padre lo usava e spesso scherzava dicendo che Rissy era perfetto per lei perché riusciva sempre a creare scompiglio. Gli ricordò quella volta in cui, suo padre gli insegnò a cavalcare. Quella era stata la sua prima volta, aveva cinque anni suppergiù. Lui l'aveva presa e adagiata sulla sella del puledro, il piccolo Thinky. Era un piccolo puledro nero, testardo come lei e suo padre lo aveva scelto appositamente. Quel giorno però lei cadde giù dalla sella. Suo padre era corso da lei, spaventato e preoccupato che si fosse fatta male, ma lei invece di piangere era scoppiata a ridere. Lo aveva trovato divertente. Alla fine si era solo sbucciata il ginocchio, e suo padre la portò dentro, per medicare la ferita. Lui era stato dolce e amorevole ricordando ancora le sue parole “Piccola Rissy, spero che tu non smetta mai di provare. Oggi sei caduta, ma domani è un altro giorno. Ricorda piccola mia, la vita è come la caduta da un cavallo. Farà di tutto per buttarti giù e spezzarti il cuore, ma devi essere abbastanza forte da rialzarti, leccarti le ferite e riprovare con più determinazione del giorno prima” gli aveva detto. Quelle parole adesso risuonavano nella propria mente, come una cantilena altisonante. Era il canto della speranza e della forza interiore. Grazie a sua madre si ricordò di quanta forza aveva dentro, abbastanza da affrontare la stagione e ottenere ciò che il suo cuore bramava.
La guardò dolcemente «Lo farò, sarò me stessa, ve lo prometto madre» istintivamente si gettò tra le sue braccia, così come quando faceva da bambina.
Victoria sorrise ricambiando l'abbraccio, baciando il suo capo dolcemente «Ecco la mia piccola e determinata Rissy» sussurrò sorridendo, felice di rivedere nel volto di sua figlia la determinazione e la testardaggine che l'aveva sempre distinta dagli altri bambini.


Clarissa e Victoria tornarono in sala insieme. Quest'ultima aveva provato a calmare sua figlia, e sperava con tutto il cuore di esserci riuscita in qualche modo. Quando giunsero in sala, con lo sguardo notò Henry che stava conversando con un gentiluomo dall'aria gentile, era un giovane uomo dai capelli biondi e occhi chiari, indossava il frac con giacca nera con code lunghe sul retro con bottoni in raso, pantaloni neri con bande di raso lungo i lati e una camicia bianca con papillon. Sotto la giacca del frack portava un panciotto nero in raso. In testa portava un cappello a cilindro. Rivolse lo sguardo a sua figlia «Te la caverai da sola? Raggiungo tuo padre» gli domandò non tanto sicura e convinta di lasciarla da sola.
Clarissa sorrise «Certo madre, vado a cercare Cassandra» rispose lasciando che sua madre raggiungesse suo padre. Cercò con lo sguardo sua sorella, osservando la maestosità della sala da ballo. Le pareti erano decorate con stucchi elaborati, specchi e lampadari sontuosi, con soffitti alti e le luci scintillanti.
Improvvisamente vide Cassandra, si trovava vicino al grande tavolo posizionato vicino all'ingresso. La raggiunse velocemente sorridendo «Cassandra, eccoti sorella» disse felice di vederla. Era contenta che sua sorella fosse lì insieme a lei.
Cassandra sorrise: «Scusa, volevo venire da te, ma nostra madre mi ha preceduta e ho lasciato che ti raggiungesse. Come ti senti adesso?» gli domandò leggermente preoccupata, quando era uscita dalla sala, anche se lei lo aveva fatto con eleganza, Cassandra aveva intuito che ci fosse qualcosa che non andava e che si sentisse sopraffatta.
Clarissa sorrise dolcemente «Sto meglio, nostra madre sa sempre cosa dire e ha ribadito che manterrà la parola, ed io gli credo» rivolse lo sguardo verso l'enorme tavolo, coperto con una tovaglia di seta, elegantemente piegata e stirata. Sopra vi erano dei candelabri a braccia con candele di cera, vassoi d'argento, fiori freschi e della frutta. Sui vassoi, vi erano dolci di ogni genere, cioccolatini, confetti e biscotti. In un altro c'era della frutta fresca, come uva, mele e arance. Afferrò un cioccolatino, era ricoperto di cioccolato al latte e gli diede un piccolo morso «Dovresti assaggiare, sono buonissimi» sussurrò mentre si gustava il sapore dolce del cioccolato.
Cassandra non gli rispose, era intenta a rivolgere il proprio sguardo e le proprie attenzioni verso la porta d'ingresso. Proprio in quell'istante stava entrando un uomo, alto e di pelle nera. Era elegante e affascinante. Indossava il suo frac, con un panciotto rosso brillante che risaltava il suo torace. In testa portava un cappello a cilindro. Il valletto di corte lo presentò e annunciò in sala «Diamo il benvenuto al Duca di Lancashire, Christopher Spencer». L'uomo sorrise debolmente, entrò e si tolse il cappello, inchinandosi di fronte alla Regina, che gli porse la mano e lui da gentiluomo la baciò, sfiorando a malapena con le labbra il suo palmo. Dopo qualche convenevole con la Regina, Christopher si guardò intorno con sguardo guardingo, come se stesse ispezionando la situazione o stesse cercando qualcosa o qualcuno che attirasse la sua attenzione.
Cassandra da quando lui era entrato, non era riuscita a togliergli gli occhi di dosso. Era davvero bellissimo, quando si tolse il cappello poté vedere i suoi capelli ricci e neri. Aveva delle labbra carnose, degli occhi castano chiaro penetranti. Le sue braccia erano muscolose. Cercò e provò di darsi un contegno, ma era davvero difficile non notare quel gentiluomo. Sicuramente non si sarebbe mai accorto di lei, piccola e minuta. Non l'avrebbe mai guardata e di certo avrebbe avuto moltissime pretendenti al suo cospetto. Il duca aveva il suo fascino e nessuna sarebbe riuscita a resistergli.
Clarissa finì di gustare il cioccolatino «Cassie, mi stai ascoltando?» disse notando che sua sorella stava guardando altrove e non la stava nemmeno ascoltando. Stava per afferrare un altro cioccolatino quando improvvisamente, quell'uomo appena entrato la notò. La guardò con uno sguardo intenso e Clarissa quasi soffocò mentre deglutiva a fatica. Aveva sentito il valletto annunciarlo come un Duca. E quel Duca l'aveva vista e adocchiata. Adesso si stava dirigendo verso di loro.
Cassandra che non stava assolutamente ascoltando sua sorella, continuò ad osservare il Duca. Quando notò che si stava dirigendo nella sua direzione, stupidamente pensò che l'avesse notata. Le guance si infiammarono di un rosso acceso. Il cuore cominciò a palpitare più velocemente. Sentiva il cuore in gola. Non poteva essere vero che il Duca l'avesse notata. Ma poi quell'emozione e quell' imbarazzo svanì completamente quando l'uomo si avvicinò a sua sorella.
Christopher fece un inchino «Siete davvero bellissima, contessa. Vorrete concedermi un ballo?» gli propose di ballare al centro della sala in mezzo a tutti gli altri invitati che danzavano.
Clarissa incredula rivolse lo sguardo a sua sorella e poi a quell'uomo «Beh io, si perché no?» rispose con titubanza, avendo un attimo di esitazione. Ma poi si ricordò che non poteva tirarsi indietro e accettò.
Cassandra, guardò sua sorella, era felice per lei. Era dispiaciuta che quell'uomo non l'avesse degnata nemmeno di uno sguardo. Era invisibile ai suoi occhi, ma sapeva che era lui l'uomo della sua vita. Era folle pensare ad una cosa del genere, senza aver conosciuto il Duca, ma era come se sentisse una certezza in fondo al cuore e l'anima. Quell'uomo l'aveva colpita profondamente a tal punto da immaginare già un futuro insieme a lui. Però era consapevole che questa volta toccava a sua sorella, così rimase in silenzio e li lasciò andare al centro della sala.
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