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Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Raffaele Antorino
Titolo: Elcoche
Genere Romanzo
Lettori 891 1 1
Elcoche
Più conosco gli uomini più parlo con le donne.

Anche quella sera entrò nello studio e si mise al computer, come faceva ormai da una settimana. Non sarebbe riuscito a prendere sonno se prima non avesse dato una sbirciatina a quel sito. Dopo la doccia, gli era caduta addosso una gran spossatezza, ma non al punto di volersi coricare, sarebbe rimasto con gli occhi sbarrati nel vuoto; detestava quel senso di inconcludente attesa.
Dopo che Camilla aveva messo in moto e se n'era andata, lasciandosi dietro solo la scia del suo profumo, Paolo si era sentito terribilmente solo. Solo e risollevato. Era riuscito a non cedere a quelle lusinghe, seppur appetitose, al suo sguardo monello, all'abitino corto che aveva intravisto dall'impermeabile lasciato volutamente aperto.
Aveva sbagliato con lei? Si sarebbe più fatta sentire la donna dai capelli rossi?
“Faccia quel che vuole, è grande a sufficienza e io non mi posso occupare anche dei suoi casini” si era detto collegandosi a quel sito.
Lechat. Qualche sera prima ci era capitato quasi per caso e si era messo a leggere i commenti dei naviganti; una profusione di sfoghi, consigli, lamentele.
I più vomitavano disagi personali, delusioni amorose e lavorative. Fratture, c'era sempre qualcosa che si era rotto: un amore, un'amicizia, un progetto. Un destino.
Allora non era l'unico a sentirsi tanto solo? Solo e deluso. Sì, ma deluso da chi? Da cosa? Chi era il colpevole questa volta? Si era messo a cercarlo tra l'ondata anomala di quelle risposte, alcune molto concitate, altre più prudenti.
Tutti quei messaggi erano accomunati da qualcosa: richieste di aiuto, gente che stava boccheggiando e gridava “Ma non vedi che sto affogando?!”.
Nessuno sembrava fosse in grado di consegnare una risposta sensata a nessuno; c'era chi rincuorava e basta vestendo i panni della crocerossina; chi tergiversava e chi mazzolava con risposte ciniche e insolenti, della serie “tu non hai capito niente, ti insegno io a vivere”.
Paolo, i sensi ottenebrati da un bicchiere di buon Chianti, aveva anche provato ad immaginare i volti di quelle persone che nel cuore della notte tentavano di sostenersi; una catena invisibile di cui forse avrebbe ben presto fatto parte anche lui.
Si era astenuto dal dire la sua a riguardo di una discussione che vedeva la solitudine come protagonista assoluta: il vuoto interiore, il senso di abbandono, l'incapacità di sentirsi parte di qualcosa. Si era astenuto anche dal raccontare qualcosa di lui. Di lui e di Camilla, per esempio. Di lui e di Virginia. Di lui e di un lavoro di merda che lo stava logorando. O di lui e del suo amico Sergio che lo aveva deluso e ora, a causa sua, non credeva più nell'amicizia.
Sarebbe risultato lamentoso e scontato, e non era certo quella l'immagine che voleva consegnare di sé stesso a quei naviganti stranieri. Sì, perché per le prime tre sere, si era sentito come un pellegrino che arriva in una città forestiera e non conosce nessuno. Era necessario guardarsi attorno, ascoltare, tastare il terreno prima di scoprirsi.
E se mai lo avesse fatto, cosa avrebbe raccontato di sé?
“Ciao, sono Paolo, ho poco più che trent'anni e non ho nulla di veramente mio. Voglio dire, qualcosa di cui andare fiero. Fino ad oggi sono riuscito a sopravvivere, mai a vivere veramente”.
Restò a leggere i commenti degli altri, accanto ad un altro bicchiere di vino, non era solito bere, ma quella notte gli andava così. L'orologio alla parete indicava le 2 e 40, si accese una sigaretta, non fumava da parecchi mesi.
Un nome lo colpì più degli altri, lo lesse un paio di volte a voce bassa: Elcoche. Come gli era venuto in mente un nickname simile? Non che il suo fosse niente di sensazionale: MisterX1172.
In verità, non era solo il nome ad averlo colpito ma quello che scriveva. Nulla di scontato o di lasciato al caso; nulla per sorprendere quella gente, elevarsi al di sopra degli altri, perché era evidente che i naviganti si rivolgessero soprattutto a lui e da lui attendevano risposte.
Elcoche, digitò: “FiordiLoto21 parli sempre e tanto di sofferenza, rischi di confonderti con lei, di diventare tu stessa Sofferenza. Probabilmente ancora molte persone ti feriranno, chi più, chi meno. Ma solo tu puoi scegliere per chi vale la pena soffrire”.
Andò a rileggere i messaggi di questa FiordiLoto21, fece qualche collegamento, tutto sommato aveva ragione Elcoche che, poco dopo, scrisse di nuovo: “Ma perché FiordiLoto21 devi sopportare? La vita non deve essere una lunga sopportazione. Impiega quella energia che ti resta per prendere le distanze da questa persona. Ci hai provato e riprovato, giusto? Bene, se una cosa non funziona, avrà le sue ragioni perché non funzioni. Hai già battagliato abbastanza e inutilmente, ora mettiti a riposo da te stessa”.
A chi stava parlando, Elcoche, a FiordiLoto21 o a lui?
E poi, chi era Elcoche veramente?
Cercò su Google questo nome evocativo e trovò un paio di definizioni; in spagnolo è il carro, ovvero l'auto. Poteva anche essere inteso come colui che trascina: El coach, il leader. Esattamente quello che Paolo stava cercando.
Paolo seguitò a leggere i messaggi, soffermando l'attenzione soprattutto sulle risposte di Elcoche; ora si stava rivolgendo a un certo Pioppino29 che, tanto per cambiare, si lamentava; questa volta di una fidanzata troppo presa da sé “mi sembra di essere diventato il suo animaletto domestico, due coccole e ciao, chi s'è visto s'è visto. Attendo sempre un suo riconoscimento, un'attestazione del suo affetto. Io ho fatto tutto per lei, ma lei cosa ha fatto per me? É solo un'ingrata”.
Quel Pioppino gli apparve così patetico, povera la sua fidanzata, pensò Paolo astenendosi dal commentare; per quanto, a quel giro, gli fosse venuta una gran voglia di cantargliene due al cagnolino da compagnia. Attese la risposta di Elcoche: te le suona lui adesso, caro il mio Pioppino. E fa bene.
“Avere coscienza di sé è ciò che fa sentire meglio un uomo, in qualità di uomo”.
Fu come un pugno nello stomaco. Ancora una volta Paolo ebbe la sensazione che Elcoche si stesse rivolgendo a lui. Allora, significa che sono come quel poveretto, quel... Pioppino-zerbino-cagnolino?
Non s'intromise tra Pioppino ed Elcoche, cosa avrebbe potuto aggiungere dopo quella risposta? “Su Pioppino, riprenditi, devi imparare ad avere rispetto di te stesso?”. Mandò giù un altro sorso di scotch e decise di scrivergli un messaggio in privato.
“Ciao Elcoche, sono Paolo, ti ho seguito sul forum. Mi piacciono le tue modalità di confronto, i tuoi commenti sinceri. Ho percepito un intuito particolare, la tua prima necessità non è certamente quella di dire ad ogni costo la tua, semmai quella di fornire dei consigli concreti a chi ti chiede aiuto. Ho seriamente bisogno di una guida in questo momento della mia vita, potresti aiutarmi tu? Ovviamente non sto parlando di un aiuto gratuito, ti corrisponderei la cifra che riterrai opportuno chiedermi”.
Scolò l'ultimo sorso di scotch, si lavò i denti, preparò gli indumenti per l'indomani, mutande, camicia, pantaloni, cintura, calzini, e si mise a letto. Nel giro di pochi minuti precipitò nel buio.
I giorni che seguirono quel messaggio furono di fervente attesa. Paolo fremeva come se stesse attendendo una risposta di lavoro, qualcosa che potesse rivoluzionargli l'esistenza. In fondo, non si trattava che di un forum in cui la gente dirottava per qualche sfogo serale e quell'Elcoche, per quanto gli fosse apparso una persona intelligente, probabilmente era troppo indaffarato. O uno stronzo.
E se fosse stato semplicemente uno che si stava divertendo a illudere i suoi pseudo seguaci? Perché stava riversando su di lui tante aspettative?
Paolo, non ricevendo alcuna risposta, decise di riscrivergli. Forse la sua mail era finita in qualche spam o, tra le tante in arrivo era stata inavvertitamente ignorata.
Doveva giocarsi una seconda possibilità e, se questa volta non avesse risposto... Fanculo a Elcoche e a tutti i guru del web!
Non sono abbastanza interessante, si disse, la mia storia è del tutto ordinaria, ne avrà sentite mille uguali. Fu preso dal solito sconforto: Paolo l'ordinario. Persino il guru invisibile se n'era accorto?
“Ciao Elcoche, attendevo una tua risposta, anche solo un cenno, e invece: niente. Mi auguro di non esserti sembrato ambiguo, intendo dire interessato a te come uomo. Sgombro subito il campo da equivoci: a me non piacciono gli uomini e non sono in cerca di avventure ma di qualcuno che mi possa aiutare.
Dall'inizio di quest'anno ho deciso di cambiare totalmente vita, mi sento insoddisfatto e inquieto. Ho vissuto per anni nell'inerzia facendomi andare bene le cose ma ero del tutto infelice. Ora, da qualche tempo, mi sto dando da fare per cambiare almeno qualcosa. Devo ammettere di non aver raggiunto grandi risultati ma qualcosa si sta muovendo. Sento la necessità di un aiuto più concreto, al di fuori di me.
Mi hai dato la sensazione di essere la persona giusta e io, sempre più, credo nei segnali che la vita ci riserva. Nulla avviene per caso. È già da un po' di tempo che ti seguo ed ho imparato ad ammirarti tenendomi da parte. Sto cercando un punto di riferimento forte, quella persona affidabile e concreta che mi è sempre mancata e sono convinto che tu lo possa essere. Ci sono cose che non si possono spiegare, ma sento di potermi fidare di te, Elcoche. Il tuo spirito di osservazione mi ha molto colpito, le tue parole mi hanno aiutato a riflettere su certe mie questioni lasciate in sospeso.
Mi riferisco soprattutto al tuo senso dell'intuito, è quello di cui ho più bisogno in questo momento considerando che io ne sono totalmente sprovvisto. Ribadisco la mia intenzione di retribuirti tempo e operato, non solo con la stima ma in termini materiali, a scadenze fisse, con una quota che magari concorderemo. Aspetto una tua risposta. In caso contrario, non ti disturberò più”.
Paolo riscrisse quel messaggio più e più volte, togliendo, inserendo e rileggendolo a voce alta. Se Elcoche gli avesse voluto rispondere non sarebbe stato a guardare le virgole.
Dopo qualche giorno, Elcoche si fece sentire. “Caro Paolo, ho letto entrambe le tue mail e prima di darti una risposta mi piacerebbe tu leggessi attentamente questo racconto. A seguito gradirei ricevere una tua impressione sincera, quindi ti risponderò in maniera più dettagliata. Ecco il brano.

Disteso sulla chaise longue osservo la Katana appoggiata sul mobile cinese, mi era stata regalata pochi mesi prima, l'avevo vista in un negozio di antichità orientali mentre ero con degli amici ed avevo espresso ammirazione per quell'oggetto.
Mi perdo ad osservare la sua linea essenziale che, nelle rifiniture, non si concede al superfluo.
Si tratta di un oggetto portatore di valori e di princìpi a me una volta sconosciuti, mi sono stati rivelati da alcuni documentari ambientati lontano nel tempo e nello spazio. Erano esistite veramente quelle genti incorruttibili disposte a dare la vita per i loro princìpi?
Chiudo gli occhi, mi passano nella mente spezzoni della mia vita, uno più sgradevole e drammatico dell'altro. Tento di cancellare i ricordi spiacevoli per far spazio ad altri meno dolorosi ma questo non avviene: il bilancio della mia vita è un disastro, non c'è nulla di piacevole, di sereno ed io sono molto stanco.
Rivedo il giorno in cui i carabinieri e l'assistente sociale portano via mio fratello e me, fradici di cacca. Ho cinque anni, nessuno si premura di tenermi pulito, anche mio fratello è un ammasso di residui organici e cattivi odori, tutto intorno a noi è sporco, trasandato. Mia madre è ubriaca fradicia, urla frasi incomprensibili; io ormai non l'ascolto nemmeno più per via della fame, quella morde più delle sue urla.
Quel giorno è un ricordo in bianco e nero, non riesco a colorarlo e non riesco a cancellarlo. A questo flash se ne sostituisce un altro: i lunghi corridoi freddi delle suore; la rigidità e il loro disprezzo come una sferza sulla pelle nuda.
Mi vedo accovacciato e poi a ginocchioni passare lentamente sotto la guardiola, uscire da quella prigione verso la libertà. Quale libertà? La libertà di prendere botte e insulti da una prostituta alcolizzata, isterica e paranoica, qual era mia madre.
A diciassette anni, in un impeto d'ira, cerco di strangolarla dopo le solite urla e le botte che mi aveva riservato; la vedo con la bocca spalancata, gli occhi dilatati, allora la mollo, cade a terra. Mentre me ne vado per sempre la sento tossire. É' ancora viva.
Con me ho solo i vestiti che indosso, è primavera, la notte è fredda, trovo rifugio in uno scatolone di cartone e mi addormento con lo stomaco che si contorce per la fame.
Vengo svegliato da voci e rumori di motori, uscito dal rifugio cammino in mezzo a donne poco vestite che mi sorridono, mi chiamano, mi dileggiano, una macchina si ferma, l'uomo chiede: “Quanto vuoi?”. Non capisco cosa intenda.
“Sali” mi dice.
Salgo e quando mi fa la stessa domanda, rispondo “quello che vuoi tu”.
Mi interessa solo andare via da lì e mangiare. La fame è insostenibile, mi mancano le forze.
Il tempo scorre, la vita procede e io non posso mai rilassarmi perché il mio orribile film mi si ripresenta, sempre.
Mi rivedo mentre, sanguinante e senza soldi, faccio ritorno nella baracca in cui vivevo, ho bisogno di una compagnia, di un sostegno, di un affetto, quello che mia madre non mi ha mai saputo dare. Comincio a desiderare di essere donna. Le donne sono belle, sono forti, hanno un parco clienti molto più vasto, è più facile la vita di una prostituta che quella di un transessuale. È stata la lacerante solitudine, un dolore che non mi dava tregua, a farmi decidere di cambiare sesso.
Mi ci sono voluti otto anni per decidere, tra tormenti e nuove insicurezze, altri tormenti e insicurezze. Ed ora eccomi qui, in un ospedale di Londra, non sono completamente solo, una folla di pensieri mi tiene compagnia.
In aereo, al ritorno, ho un foulard in testa. Il mio aspetto femminino non si addice al taglio dei miei capelli, ho già delle offerte di lavoro in discoteca e qualche chiamata per la televisione. Nel giro, la voce si è già sparsa. I primi soldi che guadagno dirottano nella ricostruzione del mio corpo. Senza pormi dei freni inseguo l'immagine perfetta che ho dentro la testa. Se divento così sarò finalmente felice, non faccio che ripetermi.
Ma ora... guardandomi allo specchio vedo una donna alta, slanciata, una massa di capelli biondi, lunghi, un seno perfetto; ho cinquantacinque anni e ne dimostro trentacinque.
Sono diventata famosa e ho cominciato a guadagnare per davvero, mi sono tolta molte voglie: una bella casa, tanti vestiti firmati, posso permettermi i migliori ristoranti, hotel di lusso, ma l'amarezza non mi abbandona mai.
Così, come sono, mi piaccio di più ma ancora non riesco a farmi accettare; credo che sia perché in fondo non mi accetto io per prima. Quello che volevo non è più quello che voglio adesso.
Quanto mi piacerebbe essere un uomo! L'uomo che non sono stata, che non mi sono concessa di poter diventare. È da un po' che mi assale l'angoscia per la mia età, la vita pubblica delle donne è più corta, temo di cadere nel ridicolo a rifarmi nuovamente. Sono stanca di lottare, vorrei che tutto fosse finito.
Apro gli occhi, mi alzo, prendo la Katana, la sfodero, ammiro la lama affilata, appoggio la punta sotto lo sterno e con forza la infilo nel torace.

˂˂Che brutta storia! Poveretta, poveretto. Sì, ma cosa diavolo centra con me?˃˃ sussurro, confuso. Perché Elcoche gli aveva inviato quel racconto? E ora, per giunta, lo avrebbe anche dovuto commentare. Cosa c'era da dire? Aveva provato compassione per quel bambino dimenticato dall'amore. Da ogni forma di amore, anche la più rudimentale.
La vita era stata ingiusta con lui, troppo ingiusta. Si era sentito coinvolto anche dalla scelta che aveva fatto di diventare donna, poteva essere così disperato? ...Le donne sono belle, sono forti, hanno un parco clienti molto più vasto.
Coinvolto anche dalla successiva delusione che aveva provato, rendendosi conto che quei dolorosi interventi erano stati del tutto inutili. Cosa gli voleva dire Elcoche con questa storia, che non si è mai soddisfatti di quello che si ha? Che non sempre la risposta è distante da noi ma ce l'abbiamo dentro? Dentro e non fuori? Insomma, la solita diatriba tra forma e sostanza?
Doveva comunque dargli una risposta e cominciare a fidarsi di qualcuno.
“Grazie Elcoche per avermi considerato, almeno ora so che ti posso parlare. Veniamo alle mie considerazioni. Il bambino cresce in assenza di affetto e compie scelte sbagliate dettate da un disperato vuoto interiore, non ha nessuno che lo possa consigliare, decide di cambiare sesso per poter lavorare e guadagnare soldi, ma arrivato alla mezza età, capisce che l'apparenza, ovvero le tette nuove, l'operazione per il cambio di sesso e tutti gli altri interventi di chirurgia estetica, non sono serviti a dargli la serenità. I suoi problemi sono ancora lì, dentro di lui, oltre la forma in apparenza perfetta. Sono macchie indelebili, sofferenze che l'hanno definito dall'interno.
La sua storia, infatti, continua a tormentarlo perché non ha fatto nulla per ricostruire anche la sua interiorità. Tutto l'amore che non ha ricevuto dalla madre, la solitudine e l'afflizione che hanno accompagnato quel bambino, non sono spariti con un paio di bellissime tette e una bocca a cuore. Nel vuoto interiore lui, diventato lei, ci è ancora immerso, esattamente come quel bambino perennemente affamato. Ora è una bella cinquantenne ma non si piace come individuo.
Questo è quello che ho capito. Non so se ho risposto nella maniera corretta o come ti aspettavi. Spero di risentirti presto, Paolo”.
Quanto tempo ci avrebbe impiegato questa volta Elcoche per dargli una risposta? Ne avrà avute valanghe di risposte da dare. Tentò di immaginarselo: uomo di mezza età, stempiato, barba incolta, sguardo profondo. O era uno dei tanti cliché in cui era facile cadere? Magari era un punk tatuato dalla testa ai piedi. Certamente uno che sapeva bene quanto l'attesa facesse parte del percorso in cui Paolo si sarebbe voluto inserire. Ormai gli era chiarissimo che fosse Elcoche a detenere il comando, ma e lui stava bene così.
Mettendo piede in ufficio, quella mattina, si era sentito più leggero, risollevato, non aveva avuto la solita sensazione di entrare in una gabbia grigia da cui ne sarebbe uscito più demotivato. Il solo fatto di sapere che qualcuno lo avrebbe potuto aiutare lo faceva sentire meglio.
I volti dei suoi colleghi, per una volta, non gli erano sembrati tanto scontati; nel volto di Federica aveva colto un tratto affascinante e le battute trite e ritrite di Alberto lo avevano fatto sorridere.
Aveva pranzato fuori, nel solito bar accanto all'ufficio, un'insalatona di pollo arricchita con gherigli di noce e olive, niente pane, niente vino. Dieta. Si era messo in testa che doveva perdere peso, rientrare nei jeans dei suoi venticinque anni, e forse anche quel perenne senso di pesantezza alla bocca dello stomaco, si sarebbe allentato.
Era rientrato al lavoro; aveva fatto quello che doveva controllando, di tanto in tanto, la casella della sua mail privata, alle 19 aveva staccato. Proprio prima di spegnere il pc la risposta di Elcoche gli aveva strizzato l'occhio ma era riuscito a resistere alla tentazione.
L'autunno era sempre stata la sua stagione preferita, purché non piovesse troppo; in quell'atmosfera ovattata, quasi sospesa, tra il tappeto di foglie ocra e rossicce, il cielo pacato e l'aria fresca, si era sempre sentito al posto giusto.
La giornata sembrava ottimale per sgranchirsi un po' le gambe, si era messo a camminare nel parco pubblico lasciandosi distrarre dai runner, gli anziani sulle panchine e le persone a passeggio coi loro cani. Gli sarebbe piaciuto averne uno, chissà se si sarebbe sentito meno solo. Più che un cane, un gatto. Non credeva affatto a chi diceva: “i cani sono fedeli, i gatti sono opportunisti”.
Da bambino aveva avuto un gatto e lo aveva molto amato. Rosso, morbidissimo e affettuoso; nessuno sapeva capirlo come Arthur, nessuno in casa si occupava in quel modo delle sue cadute, dell'altalena degli umori. Ecco, fosse stato un animale, sarebbe stato indubbiamente un gatto: sempre un po' sulle difensive, a tratti affettuoso, a tratti sfuggente.
Una volta a casa, aveva lanciato la giacca sulla poltrona e si era fiondato nello studio, aveva resistito già abbastanza. Seduto davanti al computer aveva letto la mail di Elcoche, tutto d'un fiato.
“Ciao Paolo, ho inviato questa stessa mail in molte occasioni a persone che, come te, hanno richiesto il mio aiuto e che considero a tutti gli effetti come dei miei alunni.
In alcuni casi questa mail ha suscitato comprensibile e giustificato disappunto, in altri ha rappresentato l‘inizio di un periodo di collaborazione. Starà a te valutare da che parte stare.
Caro seguace, si è avvicinato a te il richiamo della coscienza e finalmente hai deciso di ascoltarlo. Intanto ti faccio i complimenti per come ti sei comportato, per le cose che hai fatto e per come hai deciso di seguire le mie discussioni e quindi condividere i miei pensieri. Sono convinto che in sei mesi, cioè da quando avrà inizio e termine il nostro rapporto, potrai raggiungere progressi che mai avresti immaginato.
Sei una persona molto intelligente e sensibile, in te è vivo e pulsante un animo buono e spero che con il tempo ti verranno offerte sempre più occasioni per mostrarlo e alimentarlo.
L'aspetto che più mi colpisce della tua personalità è l'attaccamento che hai dimostrato verso di me; al di là dei miei meriti personali, tu mi hai fin da subito considerato un importante riferimento, una guida da cui ricevere indicazioni, un vero Maestro. A volte ho l'impressione che, voi seguaci, siate degli angeli che la Divina Provvidenza mi ha inviato dal cielo per sorreggermi nelle fatiche quotidiane di questa vita spietata, ricca di figure tanto inutili.
Continuate sempre così, continuate a volere bene al vostro Maestro e di conseguenza a voi stessi Ora è il momento di prendere visione di quelle che saranno le condizioni dell'accordo.
1. Il pagamento mensile di una somma pari a 150,00 € con scadenza al 28 di ogni mese, tramite bonifico bancario. Nel caso si verifichi un ritardo superiore ai 5 giorni, l'accordo sarà ritenuto disatteso con immediata cessazione del nostro rapporto.
2. Tutto ciò che ti sarà ordinato di fare, anche se esula da quel che è considerato nell‘ambito del rapporto, dovrà essere eseguito senza addurre alcuna forma di rifiuto o giustificazione.
3. Dovrai mantenere sempre un rapporto diretto e costante con il tuo Maestro relativamente a qualsiasi situazione piacevole o spiacevole ti possa accadere. Dovrò essere a conoscenza di ogni minimo particolare della tua vita, anche il più intimo e segreto.
4. Di tanto in tanto, al fine di verificare la tua incondizionata disponibilità, esigerò dimostrazioni fattive.
5. Al termine dei sei mesi se non vi sarà alcun cambiamento riscontrato ti sarà restituita l'intera somma versata.
6. D'ora in avanti ti creerai un nuovo nickname per chattare con me, che dovrà essere: Iamelcoche, e un nuovo account mail: Cicciopolito.
Ciao Paolo, rispondi nel giro di tre giorni a questa comunicazione, in caso contrario non vi sarà più modo di creare qualsiasi forma di collaborazione. Elcoche”.

La faccenda si stava facendo seria. Certi passaggi l'avevano messo sull'attenti, risuonavano come minacce. Non proprio come minacce, era qualcosa di diverso. L'idea che lui si sarebbe dovuto attenere scrupolosamente a tanti obblighi non l'aveva infastidito, anzi, e quel senso di soggezione provato gli aveva fatto sentire tutto il potere che Elcoche sapeva esercitare su di lui.
Si mise al computer e digitò su quei quadratini rumorosi.
“Ho letto ogni passaggio, Elcoche, e sono qui a ribadirti con molta convinzione di aver bisogno di te, di un mentore, quella guida che mi è sempre mancata nella vita.
Ho assoluto bisogno di comprendere il motivo per cui ogni mia azione non porta ad alcun frutto. Cazzo, ho più di trent'anni e non ho nulla di veramente mio, nulla che io abbia costruito con il mio talento e di cui andare fiero.
In tutta sincerità ammetto che i punti 3 e 4 mi spaventano un po', ma non voglio tirarmi indietro; mi disturberebbe rinunciare a questa grande occasione che mi stai offrendo per qualche mio timore.
Accetto dunque tutte le condizioni, sono pronto a cominciare una collaborazione con te, Maestro.

Raffaele Antorino
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