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Writer Officina Blog
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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa,
teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana
di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, Non ora, non
qui, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri
sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese,
swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale
alcune parti dellAntico Testamento. Vive nella campagna romana dove
ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A
grandezza naturale", edito da Feltrinelli. |
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama
con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi,
attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano
Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di
ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera
(Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime
di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il
purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati
da Einaudi Stile Libero). |
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria,
si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata
alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice
emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre
Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato
a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus".
Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé,
conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo
libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio
Strega 2021. |
Altre interviste su Writer
Officina Magazine
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Il padre delle femmine
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10 ottobre 2019. I turisti si riversavano ancora sulla spiaggia alla ricerca dell'ultima debole tintarella. Il mare, nelle ore più calde della giornata, accoglieva gli ultimi ritardatari che entravano timidamente in acqua per fare una nuotata, forse l'ultima della stagione. Durante la settimana qualche ombrellone veniva ancora piantato su quella distesa dorata, per aumentare nel fine settimana grazie all'arrivo di famiglie con bambini che approfittavano di quell'estate che pareva infinita. I più romantici, per la maggior parte coppie, si trattenevano fino a tardo pomeriggio in attesa che il sole si coricasse e regalasse alla sabbia e al mare i colori più svariati del tramonto. Ma non quel giorno. Qualcosa era cambiato a metà mattinata, quando il cielo si era improvvisamente fatto violaceo e tuoni e fulmini avevano iniziato a fare capolino all'orizzonte di quella distesa d'acqua salata. Nel giro di due ore la temperatura si era abbassata di quindici gradi e i pochi presenti avevano raccolto in fretta e furia le loro cose ed erano fuggiti. Le previsioni avevano parlato di un lieve peggioramento nel fine settimana, ma niente che facesse presagire un cambiamento tanto repentino in quel venerdì. Le prime gocce erano cadute in modo sparso intorno all'ora di cena e nel giro di dieci minuti la precipitazione era diventata così intensa da provocare diversi black-out in tutto il litorale di Marina di Pisa e Tirrenia. Lui aveva trascorso l'intero pomeriggio a girovagare in quell'enorme casa che si tramandava di generazione in generazione. Le poche persone che vi entravano si rendevano subito conto che negli anni passati non era stata abitata da cittadini qualunque: imponenti specchi incastonati in maestose cornici dorate, quadri di gran valore e tappeti di pregio, oltre a mobili di buona fattura e un'infinità di soprammobili in argento che spiccavano in ogni angolo, ne erano la riprova. Era un ambiente abbastanza grande. Al piano terra si trovavano una spaziosa sala da pranzo con annessa una cucina super attrezzata, un salotto arredato con una grande libreria colma di libri antichi, varie vetrine piene di oggetti di valore, due divani e tre poltrone, posizionati di fronte a un enorme camino, e due bagni. C'era anche un altro salone, nel quale non entrava da molto tempo, la cui porta era chiusa a chiave senza un apparente motivo. Sulla parte posteriore dell'edificio, leggermente interrati, c'erano un garage e un'ampia cantina, le cui pareti erano tappezzate da portabottiglie in legno, contenenti vini pregiati. Al piano superiore si contavano quattro camere, ognuna con il proprio bagno privato, anche se ormai ne venivano usate solo due. Infine, come in tutte le dimore storiche, c'erano le stanze segrete, quelle che ormai erano diventate le sue stanze, che aveva in parte ristrutturato qualche anno prima, per poi dotarle di ogni comfort e arredarle di tutto punto. Finì di assaporare il rum che si era versato nel bicchiere poco prima. Avrebbe atteso l'arrivo della notte per essere certo che non ci fosse nessuno in giro, poi si sarebbe mosso. Per fortuna, nonostante la temperatura fosse calata, non faceva ancora così freddo e lei non avrebbe sofferto. Inoltre l'aveva sistemata a dovere, in modo che non si bagnasse e non soffrisse in quelle poche ore che la separavano da una nuova vita. Una vita che lui non le avrebbe offerto. Ma non per mancanza d'amore. Ne aveva tanto da dare, lo sapeva, ne era convinto. Ma gli avevano insegnato che oltre agli affetti andava considerata anche la razionalità. Anzi, quella veniva prima di tutto. E quell'insegnamento era stato parte della sua vita, in tutto. Studi, amicizie, amore. Trascorse le poche ore successive a guardarla. Era bella, con quel colorito roseo e quello sguardo innocente, ignara di cosa il mondo nascondesse fuori da quelle mura. Poco prima della mezzanotte scese in garage, si mise i guanti in lattice ed estrasse il palloncino rosa dal sacchetto. Prese la bomboletta a elio e iniziò a gonfiarlo, fece un nodo perché non si sgonfiasse e vi legò intorno il nastrino rosa. Era di pura seta, lo aveva scelto appositamente perché quella pelle così delicata non si rovinasse. Alle una del mattino iniziò a spiovere. Guardò sul cellulare, le previsioni assicuravano qualche ora di tregua. Era il momento giusto per agire. La sistemò con cura nel vano posteriore del furgoncino che aveva preso a noleggio e uscì dal garage, facendo ben attenzione a non essere visto da nessuno. Sapeva che nel giro di due ore il panificio avrebbe aperto e tutto sarebbe finito. Almeno per lei. Appoggiò il contenitore proprio davanti all'entrata del negozio, leggermente rientrata rispetto al marciapiede. Lì l'acqua non sarebbe arrivata, nel caso avesse iniziato nuovamente a piovere. Aveva studiato ogni mossa ed era risultato più semplice del previsto. Inoltre non era la prima volta che si trovava a gestire una situazione del genere e si era mosso con più scioltezza. Si allontanò senza fare rumore, dopo aver lanciato un ultimo sorriso a quell'essere prezioso, e si fermò qualche chilometro più avanti ad assaporare l'aria di mare che aveva assunto un profumo autunnale. Adorava quel profumo, adorava il vento umido sul viso, la sabbia ormai appiccicosa che entrava nelle scarpe e che non usciva neppure dopo averle scosse. C'era la sua infanzia in quei ricordi, e c'era suo padre, che lo conduceva in riva al mare dopo la burrasca. È ora che si trovano gli oggetti più belli, gli diceva sempre, ed era vero. Il mare restituiva le cose perdute nel tempo, qualche anellino, dei braccialetti, qualche spicciolo, e alcuni oggetti curiosi, sicuramente i più interessanti, che si era sempre chiesto come fossero finiti in mare. Forse caduti da qualche imbarcazione o abbandonati sulla spiaggia per poi essere risucchiati dalle onde e restituite con la prima mareggiata. Ma quegli oggetti andavano trovati subito, prima che qualcun altro ne entrasse in possesso. A suo tempo il padre aveva creato una piccola bacheca dove aveva riposto le cose più impensate. Aveva etichettato tutto, indicando, oltre al giorno, l'ora del ritrovamento e il luogo esatto. Sorrise a quel pensiero e al fatto che ogni anno, alla fine della stagione estiva, si recava sul litorale per mettere in atto quella che ormai considerava una tradizione. Nei giorni a venire avrebbe fatto la stessa cosa. Doveva solo attendere che il tempo si rimettesse un po', poi avrebbe fatto la sua passeggiata lungo la battigia. Intorno alle quattro e trenta del mattino le luci blu delle pattuglie della polizia svegliarono buona parte degli abitanti delle case nei pressi del Panificio Breschi. Al loro arrivo, attirati dalle sirene in piena notte, alcune persone si erano svegliate ed erano scese in strada, qualcuno era addirittura riuscito a scorgere il contenuto di quella scatola, restandone sconvolto. Il proprietario dell'attività era arrivato da una ventina di minuti, aveva parcheggiato l'auto e si era avvicinato al portoncino. Era stato in quel momento che aveva notato lo scatolone. Si era avvicinato con cautela, incuriosito da un cellophane piuttosto pesante che lo ricopriva, lasciandone però visibile il contenuto. L'uomo era rimasto impassibile per qualche istante, poi senza esitare aveva estratto il telefono e chiamato la polizia, che era accorsa nel giro di pochi minuti. Avvolta in una calda coperta, una bambina di pochissimi giorni dormiva come se niente fosse, tant'è che Breschi aveva temuto che fosse morta. Attaccato al piccolo polso, un palloncino rosa con su scritto: perdono. Nel giro di poco la piccola fu caricata sull'ambulanza per essere trasportata al reparto pediatrico dell'ospedale di Pisa e sottoposta agli esami di routine, sotto lo sguardo ammutolito dei pochi presenti, ancora sotto shock per quel ritrovamento. 14 ottobre 2019 L'ispettrice Stefania Rosati entrò in ufficio scrollandosi l'acqua di dosso. Nonostante avesse l'ombrello, aveva ripreso a piovere ininterrottamente ed era tutta fradicia. “Ci sta facendo scontare tutto il sole che ci ha regalato fino a qualche giorno fa” reclamò non appena mise piede in ufficio. Il caffè fumante preparatole come di consuetudine dall'agente Luciano Marri era sulla sua scrivania e lei lo sorseggiò dopo essersi tolta l'impermeabile. “Credo tu debba indossarlo di nuovo” intervenne lui prima ancora che la Rosati si sedesse. “Hanno chiamato poco fa dall'ospedale di Pisa per quella bambina ritrovata sabato.” “Non sarà mica...?” “No sta bene” la interruppe subito. “Ma sembra che sia emerso qualcosa sui cui lavorare. Non mi hanno detto altro al telefono, tranne che vorrebbero che seguissimo noi il caso.” Senza aggiungere altro i due entrarono in auto e si diressero all'ospedale, che per fortuna non distava molto dalla centrale. Una volta a destino furono raggiunti dal dottor Brani, il pediatra che si era occupato della piccolina. Dopo le dovute presentazioni il medico arrivò subito al punto. “Ho chiamato voi perché mi è stato detto che siete fra i migliori.” “Facciamo solo il nostro lavoro” ribatté l'ispettrice, orgogliosa però dell'affermazione dell'uomo. Sapeva di essere ben quotata in tutta la zona, negli anni lei e Marri erano riusciti a risolvere i casi più intricati. “La bambina sta bene, crediamo non abbia più di una settimana di vita ed è stata alimentata con latte artificiale. Abbiamo eseguito vari esami e una cosa ci è saltata all'occhio. In questi casi facciamo subito un test del DNA per cercare eventuali corrispondenze con qualche paziente del nostro ospedale o di altre strutture, ciò potrebbe essere utile per un'eventuale ricerca della madre. Questo è il risultato.” Brani mise due fascicoli sul tavolo, ai quali erano attaccate due foto. Entrambe mostravano due bambine molto piccole. La Rosati lo guardò con aria interrogativa. “Vede?” Il medico indicò dei valori su entrambi i fogli. “Da questo esame possiamo risalire al profilo genetico materno e paterno, che viene ereditato dai figli al cinquanta per cento da ognuno di loro. Vi chiederete perché vi sto dicendo questo. Ebbene, questa bambina risulta essere la sorellastra di un'altra bambina abbandonata poco più di un anno fa, della quale disponiamo degli esami fatti a suo tempo.” “Quindi una madre ha abbandonato ben due figlie?” Chiese la Rosati non nascondendo la sua disapprovazione a quel pensiero. Brani scosse la testa. “Hanno solo il padre in comune. Il DNA mitocondriale ereditato dalla madre non corrisponde, e quello rimane invariato di generazione in generazione.” La Rosati e Marri erano sbigottiti. “È attendibile questo risultato?” Chiese al medico, quasi augurandosi di ricevere una risposta negativa. Viceversa, il caso sarebbe stato più complicato. “Se avessimo anche il DNA del genitore sarebbe meglio, ma l'affidabilità è alta. Spero che possiate trovare un collegamento dalle vostre indagini. Noi ovviamente restiamo a disposizione.” La Rosati quasi non aveva parlato durante tutto il tragitto. Marri non aveva fatto domande. Sapeva quanto l'ispettrice fosse sensibile a ogni caso che coinvolgeva bambini, in questo caso si trattava di ben due neonate, quasi sicuramente abbandonate dallo stesso padre. In effetti quelli erano i suoi pensieri, che ogni volta la riconducevano alla sua vita privata, alla sua decisione di non sposarsi, di non mettere su famiglia. Non se ne era mai pentita, per ben due volte non aveva accettato di lasciare il suo lavoro per seguire un uomo che voleva vederla dietro una scrivania fino alle diciassette e poi di corsa a casa per dedicarsi alle faccende domestiche e cucinare. Due uomini che non l'avevano ritenuta all'altezza del ruolo che ricopriva, che le avevano chiesto di lasciare quel lavoro, considerato troppo pericoloso per una donna, che per lei aveva il valore della sua stessa vita e dai quali, seppur con molto dolore, aveva deciso di separarsi. Ma i casi che riguardavano piccoli innocenti le facevano comunque più male di tanti altri. Col tempo si era abituata a tutto, anche se provava molta tristezza nel pensare che in ogni strada che percorreva ogni giorno, c'era almeno una casa in cui abitava una famiglia con qualche pena nell'anima che riguardava un bambino. Quando Marri svoltò per entrare nel parcheggio, i pensieri dell'ispettrice si dissolsero. Ricordava di un caso di abbandono avvenuto mesi prima, la denuncia era arrivata alla loro centrale ma se ne erano occupati i colleghi. La Rosati si fece subito portare il fascicolo, era fortunatamente rimasto un caso isolato e nel giro di pochi minuti aveva tutto sulla scrivania. La denuncia di ritrovamento era datata 9 maggio 2018, ore sei e venti. Una neonata era stata abbandonata sotto il loggiato di una Chiesa a Pisa. Come iniziò a leggere la relazione ebbe un tuffo al cuore. “Guarda qui” indicò una foto a Marri, il quale sgranò gli occhi. Le prime foto scattate all'arrivo della polizia sul luogo del ritrovamento, ritraevano una bambina di pochissimi giorni, avvolta in una copertina di cotone e poggiata in una cesta, sopra un morbido cuscino. Ma un aspetto inquietante l'accomunava con l'altra bambina appena ritrovata: anche al suo polso era attaccato un palloncino rosa con su scritto: perdono. “Forse Brani non era a conoscenza di questo particolare” disse subito Marri per infrangere quel silenzio quasi assordante che si era creato. “No, anche perché la foto in suo possesso è stata scattata dopo il ricovero. Questo significa che sono state abbandonate dalla stesa persona e rafforza il fatto che siano sorelle. Se hanno il padre in comune, mi viene da pensare che sia stato lui ad abbandonarle. Mi chiedo però che ruolo abbia la madre in tutto questo. Anzi, le madri, visto che sono due.” L'ispettrice e l'agente iniziarono a cercare tutto ciò che poteva in qualche modo essere collegato all'abbandono di due neonate, girando intorno alle date più prossime a quelle del ritrovamento. Cercavano donne uccise che avessero partorito da poco, denunce di scomparsa di donne incinte, rapimenti di neonate, insomma qualsiasi cosa che potesse avere una qualsiasi correlazione, anche minima, con quelle due bambine. La Rosati contattò molti centri di recupero per drogati, strutture specializzate che accoglievano ragazze madri o in pericolo, assistenti sociali, nella speranza di ottenere qualche indizio. Estese quel tipo di ricerca anche nei comuni limitrofi e il lavoro proseguì per diversi giorni, senza purtroppo arrivare ad alcuna svolta. Perfino i reparti di maternità di molti altri ospedali nelle vicinanze furono chiamati in causa, chi aveva fatto nascere quelle due creature sapeva il fatto suo, dato che il taglio e il clampaggio del cordone ombelicale erano stati effettuati da una mano esperta. Ogni neonata era stata consegnata ai genitori dopo essere stata registrata e ogni famiglia era stata contattata e aveva fornito prova che la figlia conviveva con loro. Un totale buco nell'acqua. La Rosati non poteva escludere che le due bambine fossero nate grazie all'aiuto di un operatore sanitario compiacente, il quale aveva fatto venire al mondo quelle due piccoline dietro compenso, senza interessarsi al loro destino. In tal caso non sarebbero mai arrivati a una svolta. La scritta su quei palloncini era stata fatta a mano, il che rendeva inutile qualsiasi ricerca su chi potesse averli venduti. Era chiaro che non avevano a che fare con uno sprovveduto e alla metà di novembre, dopo un lavoro immane, le indagini su quelle due piccoline furono chiuse. 20 dicembre 2019 Quei due mesi erano stati lunghi, troppo lunghi, e non poteva permettersi di attendere ogni volta tutto quel tempo. Anche perché tutto quel tempo non ce l'aveva. Così aveva deciso di apportare qualche modifica al suo programma. Non avrebbe avuto problemi a gestire la novità, ad avere il pieno controllo della situazione. Uscì dall'ultimo locale con tutte le informazioni che gli necessitavano. La festa di capodanno era alle porte e lui non aveva ancora deciso dove trascorrerlo. Non perché non avesse idee, di quelle ne aveva anche troppe. Doveva solo fare una scelta. Così, nelle ultime settimane, aveva trascorso le serate di venerdì e sabato in alcune discoteche di zona. Aveva scattato molte fotografie che poi aveva riportato su PC e migliorato grazie agli strumenti dei tanti software che permettevano di ritoccare e schiarire le immagini. Gli era capitato di adocchiare più volte le stesse ragazze. In alcuni casi aveva dovuto abbandonare l'idea, era chiaro che la giovane avesse un fidanzato e non poteva permettersi di compiere passi falsi. Non si era perso d'animo, poiché si era ripromesso di non fissarsi solo su una. Le sue visite a quei locali avevano lo scopo di individuare la tipologia di ragazze che li frequentavano, come si muovevano, gli orari, dove abitavano, il tipo di famiglia da cui provenivano. Gli era stato insegnato che la fretta era cattiva consigliera e che ogni vittoria era preceduta da uno studio accurato. Era cresciuto seguendo un protocollo, come lo chiamava suo padre. Non si agisce a caso, si pensa, si decide come muoversi e poi si procede. Quella frase gli era stata ripetuta milioni di volte e lui aveva imparato. Non si era mai pentito di aver seguito alla lettera quel protocollo, che lo aveva condotto al successo fino a quel momento. Anche se il suo era stato un successo parziale, ma prima o poi ce l'avrebbe fatta. Desiderava che suo padre fosse orgoglioso di lui. Era figlio unico e sulle sue spalle gravava il futuro del suo buon nome. Quella sera, dopo aver adocchiato alcune ragazze che facevano al caso suo, si sedette nei loro paraggi nel tentativo di captare qualche discorso che riguardava la serata di San Silvestro. Purtroppo quell'escamotage non gli fu d'aiuto, perché non riuscì a origliare niente in merito. Non escluse che i giovani ormai decidessero all'ultimo minuto. Così decise di rimettersi al destino. Secondo la legge dei grandi numeri, chi frequentava in modo assiduo un certo tipo di ambiente, con grande probabilità ci avrebbe trascorso anche la serata di fine anno. E se anche quel tentativo fosse risultato non veritiero, avrebbe scelto a caso, sempre con l'accortezza di non commettere qualche passo falso. Appena rincasò, andò in camera e scrutò con attenzione gli abiti che aveva selezionato e tirato fuori dall'armadio per quella serata. Infine si orientò su due, anche se era molto indeciso nella scelta finale. Non doveva dare troppo nell'occhio, doveva indossare qualcosa che non fosse né troppo classico né troppo giovanile. Doveva essere invisibile. Dopo varie elucubrazioni, scelse come si sarebbe vestito. Finalmente la sera di San Silvestro arrivò. Aveva parcheggiato a metà pomeriggio per essere certo di accaparrarsi un posto vicino alla terrazza del locale, nella parte dove, anche in inverno, si poteva uscire per fumare o semplicemente per respirare un po' d'aria fresca. Aveva in mente un piano ma, se non fosse andato a buon fine, aveva previsto tutto. Anche dover entrare in azione tramite quella terrazza. Aveva atteso l'arrivo di quelle ragazze girando indisturbato nel parcheggio, alla loro ricerca. Sicuramente avrebbero partecipato alla cena e lui doveva essere al corrente di ogni loro mossa. Si era ben camuffato, indossando un berretto invernale con tesa, il bavero alzato fin sopra le labbra e un paio d'occhiali da vista, in modo da celare il suo vero aspetto. Alla fine ne erano arrivate solo due delle cinque che aveva notato. Era un bel risultato, dato che a lui ne sarebbe stata sufficiente una. Aveva preso nota del punto in cui avevano parcheggiato e poi aveva riposto il suo travestimento nel bagagliaio della sua auto. L'ingresso ai non partecipanti alla cena di fine anno era consentito a partire dalle ore ventitré e lui si era presentato puntualmente, in modo da perdersi nella folla che da un po' si era accalcata all'ingresso e passare quindi inosservato. Mentre attendeva il suo turno rimase affascinato dai colori delle luci che roteavano all'interno della pista e si infrangevano sulle pareti a vetro. Fece ingresso nel locale scelto, il Vistamare, noto, come si intuiva dal nome, per la sua splendida terrazza sul mare di Calambrone, completamente apribile in estate. L'intero edificio in cui era ubicato era stato ricavato grazie alla ristrutturazione di una delle famose colonie costruite nell'epoca fascista all'inizio degli anni '30. Si trattava di una struttura ormai decaduta da anni, acquistata nel 2010 e adibita a hotel di lusso con annessa discoteca. Senza perdersi oltre, iniziò a tenere sott'occhio le due giovani, per poi fare la sua scelta. Era da poco passata la mezzanotte quando la musica venne leggermente abbassata per un annuncio. Un'auto stava intralciando l'uscita di un'altra e veniva chiesto che fosse spostata. La proprietaria del mezzo, una bionda molto giovane, aveva appena finito di brindare il nuovo anno ed era intenta a farsi trascinare fra un trenino musicale e l'altro, quindi finse di non sentire. Si recò a ritirare il cappotto al secondo appello, sbuffando e chiedendosi chi se ne stava andando appena a mezzanotte e un quarto, interrompendo il suo divertimento. Quando arrivò vicino alla macchina si guardò intorno. Non c'era nessuno e di nuovo imprecò, pensando a uno sciocco scherzo dei suoi amici. Come si girò per tornare sui suoi passi fu attirata da un rumore proveniente proprio dalla parte posteriore della sua auto. L'istinto la indusse a voltarsi per guardare cosa stesse succedendo. |
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