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Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Autore: Candida Noise
Titolo: Flower
Genere Young Adult Narrativa
Lettori 2281 7 6
Flower
Non è un caso che io sia qui il trentuno ottobre; tra i trecentosessantacinque giorni del calendario, quello che precede la festa dei morti è malinconico come l'incedere pesante dell'autunno, e mi somiglia. Sin da quando ero bambina non era facile ottenere confidenza da parte mia: me ne stavo in un angolo a braccia conserte, sguardo basso, troppo impegnata a sfuggire i giudizi del mondo intero. I bambini sanno essere crudeli. Erano tanti a puntare il dito tra risate di scherno dicendo che portavo sfortuna, che ero una strega, convinti che non parlassi perché qualcuno mi aveva staccato la lingua appena nata. Sin da piccola ho imparato a tenere chiusi occhi ed orecchie, costringendomi a non sentire né provare più niente, fino a soffocare dentro i miei stessi silenzi. Ho sempre saputo di non destare interesse, nei coetanei come negli adulti. Di risultare invisibile, nel migliore dei casi, con la certezza di nessun aggettivo del vocabolario in grado di descrivermi senza scivolare nella banalità. Fin quando tu l'hai scelto per me: ‘'crepuscolare''.

«Sei una creatura crepuscolare», hai detto una notte mentre fumavamo affacciati alla finestra e, a pochi metri da noi, una falena continuava a corteggiare la luce del lampione, ignara di cosa le sarebbe successo a furia di insistere.

«Come le falene?Sono stupide, muoiono fulminate.»

Tu fumavi una delle tue sigarette sottili e dall'odore pungente che riempiva la stanza, si incollava ai tessuti, ai capelli, ovunque. «Non come una falena...è diverso.» «E come, allora?»

«Come qualcosa di struggente e poetico insieme.»

Quella stupida falena continuava a sbattere contro il lampione,

zigzagando, fin quando ha capito era meglio volare via, alla ricerca di una morte meno impegnativa.

Ci piaceva stare affacciati alla finestra, i nostri profili tratteggiati dalla luce di un antico lampione, puntato sulla facciata del palazzo di fronte altrettanto vecchio, con le mura talmente scorticate da sembrare sull'orlo del collasso. Eppure, nonostante l'aspetto decadente è un palazzo robusto, sopravvissuto alla guerra e affacciato su una piazzetta lastricata di sampietrini, stanotte frustati dalla violenza di una pioggia scrosciante e ghiacciata. Nell'abitazione di fronte qualcuno ha lasciato un lumino acceso sul davanzale, forse per guidare i morti durante la traversata in questa tetra notte di Halloween. Servirebbe anche a me una candela nel momento in cui spalanco la porta sull'ingresso buio dell'appartamento, facendomi strada un po' a tentoni, un po' guidata dall'abitudine di passi che conosco a memoria, che ho soltanto smesso di percorrere. Non mi spaventa questa nottata piovosa, la casa è familiare come le mie tasche e io ho l'istinto della falena: mi muovo nell'ombra attratta dalle luci pallide del lampione e della luna al di là delle finestre, che mi indicano la strada. Il buio si comporta come una rete, trattenendo in superficie ricordi che galleggiano e si rifiutano di lasciarsi cadere sul fondo. L'oscurità è il loro terreno fertile ma serve anche a me, per tenere gli occhi aperti e asciutti, soprattutto, anche se non serve guardare nel momento in cui gli altri quattro sensi si acuiscono. Non serve capire dove sto andando se a guidarmi ci sono sensazioni e odori, la scia di polvere che mi conduce sull'uscio di quella che è stata la nostra stanza, dove fumavamo osservando il volo delle falene abbagliate dalla luce.

Nei miei sogni mi sono affacciata tante volte da quella finestra e ti ho

trovato nella piazzetta, con una rosa in mano e i contorni sfumati dalla pioggia; non ho voluto credere a nient'altro, durante questi interminabili mesi, se non nel tuo ritorno.

La casa è rimasta sepolta sotto uno strato di polvere spesso un dito. Si respira un'aria satura di odori pungenti, frutto dell'incontro tra pareti umide e legno tarlato, che mi fa sentire protetta anche se l'appartamento

poco accogliente, con le sue stanze anguste e i muri rovinati. La vernice che li rivestiva ha visto giorni migliori, nessuno ha raccolto le briciole di intonaco a terra negli angoli, ai piedi dei battiscopa consunti. So che avresti voluto vendere l'appartamento ma sarebbe stato impossibile, per un'inguaribile nostalgica come me, chiudere la porta con la certezza di non aprirla mai più.

Detesto le separazioni e gli abbandoni così come l'oblio e le dimenticanze, per questo sono qui.

Sono l'ultima persona ad aver messo piede qui dentro e la prima a rientrare dopo mesi, sempre più convinta di non voler lasciare a nessun altro il privilegio di affacciarsi di notte sulla piazzetta, immobile come una fotografia rimasta sepolta in un cassetto per decenni. Vendere questa casa

fuori questione, non riesco a staccarmi dai ricordi delle pigre mattinate trascorse tra le lenzuola, o di notti piacevolmente insonni, quando sentivamo le risate soffocate dei ragazzi persi nel vicolo, ubriachi di vino e d'amore.

Arrivo in camera da letto con le ginocchia ridotte a macigni. La penombra mi accompagna fino al letto lasciato disfatto l'ultima mattina in cui sono stata qui, quando ho scelto di andarmene con l'intenzione di non tornare più, mai più, in queste stanze segnate dall'abbandono, dove mi ha lasciata

senza neppure un addio. I tuoi dipinti sono rimasti nell'angolo, sotto al lenzuolo a cui hai affidato l'ingrato compito di proteggere il ricordo, come se bastasse rivolgere lo sguardo altrove per non tornare a morire dentro. Su quelle tele ho conosciuto la forma più autentica di te, nuda espressione di un dolore spiegato dentro petali di fiori destinati a un prematuro inverno. Per i tuoi fiori non c'era rinascita, ma non si può impedire alla bellezza di sbocciare: il mio fiore -una rosa rossa- si è schiuso durante un autunno freddo e piovoso, e mi ha condotta qui.

Mi piace pensare che la mia rosa sia la stessa del tuo dipinto, non più ripiegata su se stessa ma dritta sullo stelo, pronta a schiudersi davanti al mondo dal quale, fino a poco tempo prima, si era lasciata sopraffare.

Tu sei ancora là fuori ma non sei scomparso, e io non ti ho perduto. Siamo soltanto in pausa, ognuno in un posto diverso, coi pensieri che si sfiorano e poi rimangono sospesi a mezz'aria fin quando con una mano li scacciamo via, come si fa con le mosche. Io sono in pausa da quando non ci sei più, aspetto il momento in cui potrò protendere il corpo verso di te e semplicemente ritrovarti qui, dentro il mio abbraccio.

Ti penso tutti i giorni e tutte le notti e vorrei solo ritrovarti per poterti toccare, tirarti su dalla melma dei ricordi o magari tirarmi su io stessa, facendo leva sulla tua forza come ho sempre fatto, per sentirla un po' mia. Risalire insieme, ecco cosa dovremmo fare, liberarci dei fardelli, lasciare le zavorre a terra e tornare a riappropriarci dell'aria, come palloncini liberati da un cesto.

Non so se stanotte è il momento giusto, se questo è il luogo giusto. Stanotte la pioggia è sferzante, inonda i canali di scolo e martella le grondaie, trascina la spazzatura fin dentro i tombini insieme alle foglie

secche. Il suo ritmo cadenzato e assordante mi assorbe all'interno di fantasie ovattate, dentro le quali immagino entrambi guariti, senza più ferite aperte sulla pelle, dentro al cuore.

*

I bambini sono specialisti nel porre domande: agli adulti, ai coetanei, a se stessi. I bambini vanno ascoltati, anche quando le domande sono scomode o complesse, anche quando le risposte sono troppo crude o troppo complicate, e richiedono spiegazioni su temi difficili come la vita e la morte. Da piccola mi chiedevo spesso perché esistessi: era un processo affascinante osservarmi allo specchio, per poi ripetere il mio nome fino a spogliarlo del suo significato, fino a trasformarlo in una parola priva di senso che qualcuno aveva scelto per me, che forse neanche mi calza, che è lo stesso di chissà quante altre persone nel mondo. Riducendo me stessa a un semplice nome riuscivo a trovare un senso alla mie presenza nello spazio tempo, mi sentivo legittimata a occuparlo. Ero solo un nome, il mondo non si aspettava nulla da me se non che esistessi nello stesso modo in cui fanno gli uccelli, gli animali o le piante.
Candida Noise
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