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Writer Officina Blog
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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa,
teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana
di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, Non ora, non
qui, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri
sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese,
swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale
alcune parti dellAntico Testamento. Vive nella campagna romana dove
ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A
grandezza naturale", edito da Feltrinelli. |
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama
con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi,
attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano
Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di
ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera
(Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime
di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il
purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati
da Einaudi Stile Libero). |
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria,
si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata
alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice
emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre
Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato
a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus".
Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé,
conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo
libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio
Strega 2021. |
Altre interviste su Writer
Officina Magazine
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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L'ultima morte di Queenie D
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– Ma quanto può essere bella la vita – sospirò con avida soddisfazione Tarquinia D'Agapito trotterellando verso il centro del paese, in direzione opposta a “Villa Passerotto”. Tarquinia era una ragazzona imponente. Non grassa, ma col corpo dalla forma quasi cilindrica, impressione alla quale contribuivano gli abiti dritti, o come si dice a sacco, che indossava praticamente sempre. Le arrivavano sotto le ginocchia e cadevano a piombo nascondendo ogni forma, camuffandole tutte per ingannare lo sguardo, impedendo così di notare adipe e imperfezioni. Ne aveva l'armadio pieno, di quegli abitini, e parevano fatti tutti in serie, differenti solo per tessuto, colore e pochissimi altri dettagli. Il modello che portava quel giorno era rosso, con bordature bianche alle tasche, al collo e alle maniche corte. E, come del resto tutti gli altri capi ospitati dal suo armadio, costava uno sproposito. I capelli di Tarquinia erano ricci e nerissimi, folti ma non particolarmente lunghi. Il suo viso da un po' di tempo era più rilassato, ma le tracce delle sofferenze, e perfino della depressione, durate tanti anni non erano state cancellate via completamente. E forse non lo sarebbero state mai. Così come il suo animo, del resto, ne avrebbe portato per sempre i segni. Eppure, dimostrava molto meno dei suoi quarantaquattro anni: c'era ancora qualcosa di fanciullesco in lei, come se si fosse rifiutata di crescere fino a quando il momento giusto non fosse arrivato. E il momento propizio era giunto appena qualche tempo prima. E così ora non doveva preoccuparsi più di nulla. I problemi erano tutti alle spalle ormai, e poteva finalmente andare avanti con la sua vita. Andare avanti da dove l'aveva messa in attesa, decenni prima. – La vita è davvero sorprendente – ridacchiò tra sé. Era il ventitré di Settembre e finalmente, dopo un'estate torrida, quello era il primo giorno con temperature inferiori ai trenta gradi. Il primo giorno di autunno si poteva dire. Difatti un paio di giornate di pioggia, e i giorni che si accorciavano, avevano posto fine alla tremenda stagione estiva una volta per tutte. Oltre ad essere il ventitré di Settembre, quel giorno era anche giovedì. E il giovedì, come ogni giovedì, la sua piccola irrinunciabile consuetudine avrebbe avuto luogo presso la pasticceria, provvista di bar, del paese. Ogni giovedì, prestissimo, lasciava “Villa Passerotto” e raggiungeva le ragazze per una colazione assieme. Era lei naturalmente a offrirgliela, dato che ormai poteva ampiamente permetterselo. Eppure la ricchezza che le era piovuta addosso dal cielo non le aveva mai fatto abbandonare quella tradizione, perfino quando era inverno e faceva freddo, perfino quando doveva vincere con la forza di volontà la pigrizia di alzarsi dal letto così di primo mattino. Non era mai mancata a un appuntamento con quelle che erano le sue più care, nonché uniche, amiche. “Le ragazze”, le chiamava lei... Si trattava di cinque donne di età differenti: un paio di cameriere, due donne delle pulizie ed una badante. Del resto la stessa Tarquinia, fino a poco tempo prima, aveva svolto quelle professioni anche lei. Non in modo continuativo come loro, è vero, perché lei aveva dovuto anche occuparsi di suo padre malato. Eppure si sentiva ancora una di loro. Nonostante i soldi. Sentiva più affinità con le sue cinque compagne che con la sua famiglia, ad esempio. In quel momento qualcosa cadde dal cielo e si schiantò proprio un passo davanti a lei. Era un piccolo oggetto marroncino, che andò in pezzi, e Tarquinia capì che si trattava di una noce. Un corvo l'aveva lasciata cadere da un albero affinché si rompesse e potesse nutrirsene. – Chissà che significa! – mormorò Tarquinia. – Deve essere un segno, la noce ricorda il cervello, per cui... Dopo controllo su quel libro a quali numeri corrispondono e ci scommetto sopra: la noce... il cervello... e il corvo – concluse alzando lo sguardo al volatile che gracchiando con insistenza le domandava di allontanarsi per lasciarlo banchettare. Tarquinia aveva sempre creduto nella fortuna, nel destino e nelle lotterie. Anzi, in quei giorni cupi in cui era rimasta chiusa in casa a occuparsi del padre malato, giorni che erano divenuti mesi, e mesi che erano diventati anni... in tutto quel tempo le lotterie erano state la sua unica speranza di riscatto. Aveva sognato disperatamente che una vittoria l'avrebbe strappata a quell'esistenza deprimente. Si era sentita tremendamente sola, incompresa perfino dai suoi stessi fratelli... E alla sorte non aveva mai chiesto molto, in fondo, solo quanto sarebbe bastato per dare una piccola ma decisiva svolta alla sua vita. E la svolta c'era stata. Anzi addirittura una svolta doppia. Suo padre si era spento tranquillamente nel sonno, e una settimana esatta dopo lei aveva vinto il premio più alto alla principale lotteria nazionale. Il giorno dopo il funerale, difatti, il suo defunto padre le aveva fatto visita in sogno ringraziandola per tutto quello che Tarquinia aveva fatto per lui, e l'aveva ricompensata con una serie di numeri su cui scommettere. Quei numeri l'avevano poi resa una donna ricchissima! “Le ragazze” erano già sedute a uno dei tavolini esterni del locale, la pasticceria più rinomata del paese, che serviva dolci squisiti e caffè dall'aroma eccezionale. “Le ragazze” starnazzarono e agitarono le braccia per farsi notare dalla loro amica. – Queenie! – la chiamò a gran voce la più giovane, che faceva la cameriera in un ristorante giù in città. Una bella ragazza di circa venti anni, forse con qualche tatuaggio di troppo e con la passione per l'America e le serie televisive per adolescenti. Era stata lei a coniare quel nomignolo, in tempi non sospetti, per via dell'assonanza con il nome Tarquinia. E così Tarquinia era diventato Queenie. – Ely! – le rispose Tarquinia, americanizzando così il nome Elisabetta col quale la cameriera era stata battezzata. Queenie sorrise e baciò Ely; poi passò a Edna, la cameriera rumena di una tavola calda gestita da suoi compaesani, e quindi a Dana, la badante dell'est, e infine si dedicò alle due donne che si occupavano di pulizie presso alcune case signorili del paese: Rosa, la più anziana di loro, l'aria un po' rozza e trascurata da contadina, e Margherita, che invece aveva un aspetto curatissimo, tanto che nessuno, guardandola, avrebbe potuto intuire che si occupasse di pulizie domestiche. Dall'interno della pasticceria una donna di mezz'età si affrettò verso Queenie e si mise a disposizione con aria deferente. Voleva per caso un cuscino sotto la sedia? Gradiva un cornetto appena fatto, riempito al momento di crema al cioccolato? Gli occhi di Tarquinia si illuminarono. Se c'era una cosa di cui andava davvero ghiotta era il cioccolato fondente, e in quel posto usavano vero cioccolato fondente al settantacinque per cento per farcire i cornetti, /non quei preparati industriali di scarsa qualità ai quali ricorrevano quasi tutti gli altri locali. Prese posto al tavolo delle sue amiche e con un bel sorriso annunciò: – Sono proprio contenta quando arriva il giovedì, così possiamo finalmente rivederci! Le altre ricambiarono affettuosamente la dichiarazione, chi accarezzandole la mano, chi con un bacio sulla guancia e chi limitandosi ad un bacetto volante. – Allora, care... novità? – domandò Tarquinia in tono più serio, e le guardò una dopo l'altra. Le ragazze mormorarono qualcosa. – Solite cose. – Niente di che. – Non ci sono novità, Queenie! Tarquinia corrucciò leggermente le labbra. – Fa niente. Magari la prossima volta. E dopo poco iniziarono a parlare spensieratamente del più e del meno. Le novità sulle quali Queenie si era informata, non riguardavano la vita privata delle sue amiche, no di certo. Le ragazze, difatti, per via delle loro professioni, che le portavano quasi tutte ad entrare nelle case dei loro datori di lavoro, erano una fonte praticamente inesauribile di pettegolezzi, piccoli segreti ed indiscrezioni, di cui Tarquinia era continuamente a caccia. Le piaceva venirne a conoscenza, ed era disposta a sdebitarsi generosamente con chi di loro gliene fornisse di prima mano. Uno dei motivi di tanto interesse andava probabilmente ricercato nel fatto che in passato i genitori di Tarquinia si erano faticosamente conquistati in paese il ruolo di “signorotti”, perennemente in competizione con gli altri potenti del luogo per dimostrare di essere i più influenti, i più eleganti, i più amati dalla gente. E lei, da quando i suoi erano morti e il prestigio della famiglia era declinato, si nutriva avidamente delle maldicenze sulle altre famiglie, così da convincersi che anch'esse fossero afflitte da miserie e problemi, proprio come lei e i suoi fratelli. I coniugi D'Agapito, suoi genitori, una sessantina di anni prima, erano giunti lì dalla Sicilia animati da tanta ambizione. Non avevano potuto permettersi il lusso di vivere in città, e avevano dovuto accontentarsi di un modesto alloggio in quel paese. I primi tempi erano stati realmente duri per loro, ma sin dall'inizio avevano trovato impiego nella ristorazione, settore che non avevano poi mai abbandonato per tutta la vita. Avevano cominciato come sguatteri di cucina, naturalmente, ma non ci avevano impiegato molto a risalire la gerarchia fino a inaugurare il loro primo ristorante. Il Sicilia, lo avevano chiamato. Ed il successo non si era fatto attendere troppo, perché la madre di Tarquinia cucinava benissimo e il padre era un commerciante nato. Dopo alcuni anni erano riusciti ad aprire altri ristoranti in tutta la città. E tutti di successo. E fu così che il modesto alloggio in paese era divenuto una grande villa in paese, quella “Villa Passerotto” ammirata da tutti. I coniugi, per via del carattere allegro e socievole, si erano fatti benvolere dai loro nuovi compaesani. Avevano educato i loro tre figli (Tarquinia era l'ultima dopo altri due maschi) in modo rigoroso, e secondo valori solidi e un po' antiquati, e questo gli aveva procurato la fama di famiglia integerrima e rispettabile. Ma i tre figli non erano poi riusciti a mantenere florida l'attività dei genitori, forse anche a causa della concorrenza spietata delle flotte di nuovi ristoratori che erano scesi in campo in quegli anni. In conclusione, dopo la morte dei genitori e tanti fallimenti, ai tre fratelli D'Agapito era rimasta solo “Villa Passerotto” e poco altro ancora. Tarquinia non aveva mai lavorato veramente, e per tutti gli anni in cui si era occupata di suo padre non aveva lavorato affatto. Il fratello maggiore di Queenie, Leonardo, si era dedicato a tutt'altro ambito, ed era diventato ingegnere meccanico, finché un brutto giorno era morto in un incidente d'auto. Il figlio di età intermedia, Otto, era riuscito a tenere a galla uno dei ristoranti, che da anni però sembrava continuamente sul punto di dover chiudere per sempre. Ricevere dalle sue amiche indiscrezioni sulle famiglie potenti del luogo solleticava l'orgoglio familiare di Tarquinia. Ma quel giovedì le era andata male, a differenza del precedente. Trascorse con le ragazze una mezz'oretta circa e dunque il gruppetto si sciolse. Tutte andarono via tranne Margherita, che l'accompagnò per un tratto di strada. Si guardarono intorno e capirono che era il momento propizio perché non c'era nessuno in giro. Queenie tirò fuori una scatoletta dalla borsa e la porse all'amica. – Un piccolo premio, per le cose che mi hai riferito la scorsa settimana. Margherita la ringraziò e aprì la scatoletta, da cui trasse una collanina d'oro con un pendente a forma di sole. – Grazieeee! – esclamò la cameriera prima di abbracciare Queniee, la quale le disse che era stata brava e che doveva continuare a tenere gli occhi aperti e le orecchie tese. Margherita annuì e, guardando l'orologio della chiesa, si accorse di essere un po' in ritardo per il lavoro. La successiva fermata di Tarquinia era, naturalmente, la tabaccheria del paese dove avrebbe fatto le sue scommesse del giorno. A una decina di metri dal negozio, notò una figura singolare, e quasi bizzarra, che aveva l'aria agitata e sconvolta. Si trattava di una donnetta minuta, di un'età indefinita che poteva spaziare dai cinquanta ai sessant' anni, che Queenie non aveva mai visto in paese prima d'allora. Abbigliata in modo eccentrico, era truccata con delle lunghe linee sugli occhi e del rossetto azzurro. Per completare il quadro calzava un cappellino con la veletta. La donna la guardò insistentemente, alternando le occhiate al suo indirizzo ad altre dirette al contenuto della sua borsetta; era evidente che cercasse qualcosa. – Ha bisogno di aiuto, signora? – le domandò Tarquinia gentilmente. – Ah, che meraviglia! Lei deve essere un angelo venuto in mio soccorso, signorina! Stavo cercando il mio portafoglio nella borsa, ma devo averlo dimenticato a casa... Sono così distratta io, per quanto concerne le cose pratiche! – e si batté leggermente la mano sulla fronte. – Stanotte Aczur, la mia guida astrale, mi ha dato in dono dei numeri con la raccomandazione di giocarli proprio in questo paese, che io nemmeno conoscevo per giunta. Ed eccomi qui, senza nemmeno un soldo e con questi numeri da giocare! – e sventolò un foglietto davanti al viso di Tarquinia. – Sa cosa possiamo fare, cara? Questi numeri li giocherà lei, e se vinceremo faremo a mezzi, che dice? Ah, ma che sbadata, non mi sono nemmeno presentata – e le tese una mano. – Sono Vivian Cenciarelli. Tarquinia le strinse la mano, presentandosi a sua volta. Poi ripensando alla proposta di Vivian, balbettò: – Veramente, io... – Sono una veggente, mia cara. Questi numeri usciranno, mi creda! – Una veggente? – ripeté Queenie strabuzzando gli occhi per la meraviglia. – Una veggente autentica dice? – Prenda il mio biglietto da visita – tagliò corto Vivian, e glielo porse. – Così mi potrà chiamare per dividere la vincita. Allora, siamo d'accordo? – Ma sicuro! Sa che non avevo mai incontrato una veggente finora? Posso chiamarla Vivian? – Certo, cara. Mi spiace ma ho un appuntamento e devo scappare. Ma mi raccomando, giochi i numeri, non lo dimentichi. Io resterò in attesa di sue notizie – e con un piccolo inchino si dileguò, dopo averle lasciato il fogliettino di carta con le istruzioni per la scommessa. Tarquinia sembrava estasiata. – Che fortuna. Che fortuna! Non avevo mai conosciuto una veggente, ed ora ne incontro per caso una, e mi dà pure dei numeri vincenti da giocare... Gongolando, la donna entrò in tabaccheria e ottemperò alla richiesta della sconosciuta. “Villa Passerotto” sorgeva nella zona più elegante del paese, dove risiedevano le famiglie bene. Quelle famiglie che in quel luogo contavano o avevano contato qualcosa. Mentre Queenie percorreva il vialetto che dal cancello conduceva al portone d'ingresso, una nuvola intensa di profumo femminile la travolse e le fece arricciare il naso. Il profumo precedette di qualche istante la donna che ne era cosparsa, una figura che incedeva a falcate ampie e sicure, dal fisico piacevole nonostante appartenesse a una signora di mezza età. La donna indossava una gonna corta ed una camicetta di seta, entrambi capi di note sartorie, un paio di occhiali da sole scurissimi e aveva i capelli biondissimi. Quella tinta non era artificiale visto che la donna, di nome Maruska, era di origini russe. – Bellaaaa! – urlò Maruska all'indirizzo di Tarquinia non appena la vide, e accompagnò le parole a un sorriso smagliante che mise in mostra i suoi denti bianchissimi. Maruska era stata la moglie del defunto fratello di Tarquinia, Leonardo, e a suo modo lo aveva reso felice. Le donne si salutarono simulando dei baci sulle guance, ma senza toccarsi realmente. – Topolina – fece Maruska. – Diventi sempre più carina! Te lo dicevo io che dovevi solo curarti un po' di più, e ora guardati! – e le dedicò uno sguardo di eccessiva ammirazione. – Senti tesoro, – fece quasi subito abbassando il tono di voce – ho bisogno di parlarti, tesorino, sono di nuovo nei pasticci! Tarquinia volse velocemente gli occhi al cielo. – Maruska, l'ultima volta ti avevo detto che non ti avrei dato altri soldi! – No, amore non dirlo nemmeno! Mi devi aiutare. Non puoi essere così cattiva! Tarquinia passò oltre con decisione. – Mai quanto lo siete stati tutti voi con me quando mi occupavo di mio padre e non avevo tutti questi soldi. Mi ignoravate, mi avevate isolata, e mi prendevate perfino in giro per il mio aspetto! – esclamò avvampando. Maruska rimase a guardarla mentre Tarquinia si allontanava. Fu allora che il portone si aprì impetuosamente ed un giovane alto ed asciutto, col viso sbarbato e i modi risoluti, piombò fuori e quasi la travolse. – Attenta! – le fece Alex, figlio di Maruska e del defunto fratello di Tarquinia. – Attento tu! – ribatté lei urtandolo e sbattendo il portone con forza alle sue spalle dopo essere entrata. Alex era un bel ragazzo, dai modi strafottenti che gli impedivano di tenersi qualunque lavoro ma che le ragazze trovavano irresistibili. Compresa sua madre, che non riusciva mai ad essere veramente severa con lui e che era orgogliosa di farsi vedere in giro in paese in sua compagnia. Maruska lo prese sottobraccio. – Tua zia deve essere pazza, Alex! Tanti anni di clausura... – e si picchiettò la tempia due o tre volte. – Ma che le ha preso prima? Maruska sospirò. – Non vuole darci altri soldi, caro. Un' espressione severa, e quasi spietata, si disegnò sul volto del giovane. – Sarà meglio per lei essere generosa con noi! O... – e con queste parole prese la madre sottobraccio e si allontanarono.
Tarquinia salì la rampa di scale che portava al primo piano del palazzo. Al piano terra c'erano gli appartamenti dei suoi fratelli, uno ora occupato da Maruska ed Alex, e l'altro da suo fratello Otto e dalla moglie Marina. Anche al primo piano c'erano stati due appartamenti. Uno era quello di Tarquinia e l'altro quello appartenuto a suo padre. Ma avevano dovuto vendere quest'ultimo anni addietro a un estraneo per far fronte alle spese, quelle di ciascun nucleo familiare più quelle sostenute per le cure del loro genitore infermo, che era stato quindi trasferito a casa di Tarquinia. Dopo essere diventata ricca, Tarquinia aveva ricomprato l'appartamento del padre e l'aveva unito al suo, ottenendo un' unica soluzione di oltre trecento metri quadri con fantastiche enormi terrazze sui quattro lati dell'edificio. Aveva fatto mettere a nuovo l'appartamento, comprato nuovi mobili e ristrutturato le terrazze, dotandole di ogni lusso, dalle piante tropicali a una piscina e persino una zona palestra. Queenie aveva investito parte della vincita alla lotteria per realizzare questo progetto, e lo avrebbe rifatto senza pensarci un attimo. Suonò il campanello, perché quando Nausica era a casa Tarquinia non portava mai con sé le chiavi. Nausica Claps le aprì e le sorrise. – Cosa avevi da urlare prima? – Si è sentito addirittura da quassù? – chiese Tarquinia e le raccontò nei dettagli l'accaduto. Nausica e Tarquinia si conoscevano dai tempi delle scuole elementari. Erano state compagne di classe, e lo erano state anche alle scuole medie, mentre alle superiori le loro strade avevano iniziato a dividersi. Nausica aveva scelto il liceo classico e Tarquinia un istituto professionale, che aveva portato a termine con difficoltà ed estrema svogliatezza. Le due donne non si erano mai frequentate tanto a dire il vero, solo qualche caffè al bar le volte che si erano incontrate casualmente in paese. Ma le univa una specie di affetto, un legame formatosi quando erano piccole e per questo difficile da estirpare, anche in assenza di frequentazione assidua, difficile anche da capire per chiunque non lo abbia vissuto in prima persona. E così Tarquinia, quando aveva vinto tutti quei soldi, sapendo che Nausica non si trovava bene nell'azienda in cui lavorava, le aveva proposto di farle da segretaria, da amica, da cuoca, da autista, da consigliera, insomma tutto tranne fare le pulizie in casa sua. Perché Tarquinia amava farle da sé, e non solo perché aveva svolto saltuariamente la professione di donna delle pulizie in passato, ma soprattutto perché aveva un suo metodo, e in più era per lei un rituale quasi catartico. Nausica era una giovane donna intelligente, piuttosto equilibrata e molto carina, gli occhi azzurri ed i capelli biondo rame che portava pettinati indietro con l'aiuto di un gel fissativo. Aveva un carattere deciso, anche se i modi dolci lo mascheravano in gran parte. Era stata felice di accettare l'offerta di lavoro di Tarquinia, anche se all'inizio non lo aveva giudicato un vero lavoro. Ma presto si era accorta che le cose da fare erano tante, a volte troppe, e una buona parte di esse era collegata a tenere Tarquinia sui giusti binari, non farle sgarrare la dieta, correggerne certi giudizi troppo avventati, proteggerla dagli sciacalli... Così, da quel momento Nausica era diventata l'angelo custode della sua amica, prendendo quel ruolo a volte molto, persino troppo, seriamente. Del resto, erano tanti gli sciacalli da cui difendere Tarquinia. Eppure non aveva mai dovuto proteggerla dai suoi parenti, perché a quelli pensava benissimo Tarquinia da sola, tanto era profondo il risentimento che provava nei loro confronti per come l'avevano trattata fino a poco prima della vincita milionaria. – Non dovresti trattare tanto duramente i tuoi parenti, cara – cercò di rabbonirla Nausica. – Loro sono la tua famiglia, in fondo. Tarquinia scosse le spalle sprezzante. – Che vadano al diavolo tutti! Soldi, soldi e sempre soldi! Mi parlano solo di questo... Non li avranno mai i miei soldi, Nausica, mai! – Ah, a proposito, prima ha chiamato tuo fratello Otto. Dice se puoi scendere da lui, che deve parlarti. Tarquinia si rabbuiò ulteriormente. – Io? Scendere da lui? Se ha bisogno di parlarmi che salga lui! Nausica prese a trafficare col telefonino. – Scrivigli che venga lui! – Ho scritto a sua moglie, che è più ragionevole. – Indovina indovinello, cosa mai vorrà il mio caro fratello? – canticchiò Queniee. E lei e Nausica risero, perché entrambe erano certe di conoscere la risposta. Pochi minuti dopo il campanello suonò impetuosamente. Nausica fece entrare Ottone, detto Otto, il quale era ancora un bell'uomo nonostante non fosse più un ragazzo. Emanava una vibrante energia virile, spontanea, e non frutto di pose come invece quella di Alex. – Dov'è? – fece a Nausica, con voce profonda. Nausica si scostò consentendo all'uomo di vedere Queenie dietro di lei, e li lasciò soli. – Come va, sorellina? – le domandò lui, che era il tipo socievole capace di cavarsela in ogni circostanza facendo leva sulla simpatia. – Otto, sono appena rincasata e devo ancora cambiarmi, possiamo fare alla svelta? – Ma certo, certo! Cara... – e qui fece una pausa. – Tu sai che il ristorante in questo periodo non va molto bene. Anche se l'epidemia di covid è passata, i clienti sono diminuiti... Ma le spese fisse ci sono sempre, anzi sono aumentate. E i fornitori vogliono essere pagati subito, non aspettano... – Tagliamo corto, Otto. Vorresti altri soldi da me? Io ti avevo già detto che non ho nessuna intenzione di investire nel tuo ristorante. E' un'impresa in cui non credo. Se ti finanziassi significherebbe solo trascinare più avanti la vita di un moribondo... Non contare su di me! Otto batté forte un pugno sul tavolo del soggiorno. – Tu devi aiutarmi! Hai tanti di quei soldi che non sai cosa farci! – Io non ti devo niente! Non devo niente a nessuno di voi! Ti ricordi come mi chiamavi quando ero rinchiusa in casa a badare a nostro padre?... Barbona, mi chiamavi! – Per forza, portavi sempre quella tuta grigia, puzzavi di sudore, ed avevi i capelli sempre spettinati. – Ovviamente non ti è mai interessato capire perché vivevo in quelle condizioni. Venivi una volta ogni dieci giorni a trovare papà, cavolo una volta ogni dieci giorni ed abitavi al piano di sotto... E di me nemmeno ti curavi! Se non per dirmi cattiverie. Ed ora dovrei aiutare io te? Tu mi hai aiutato quando sprofondavo nella depressione e non sapevo cosa fare? – Ma se ti dicevo di tirarti su, di uscire un po' con qualcuno! Queniee ridacchiò. – Parole superficiali. Ed ora dico io a te le stesse parole. Tirati su tu, Otto, con le tue mani! Chiudi il ristorante e va a lavorare al nord, o all'estero. Perché tu e Marina non raggiungete i vostri figli in Inghilterra? Otto prese il braccio di sua sorella e glielo strinse con forza. – Capisci che non è un gioco, questo? C'è la mia famiglia di mezzo, i miei dipendenti, i miei figli che studiano all'estero! Io ho delle responsabilità grandi! Queniee si divincolò ed andò ad aprire la porta di ingresso. Proprio in quel momento, contattata da Nausica, Marina stava salendo l'ultimo gradino delle scale che portavano al primo piano del palazzo. Marina era una donna dall' aspetto curato, un po' austero forse, dal carattere piuttosto riflessivo, quasi sempre serio, e ai più sfuggiva la ragione che aveva spinto lei ed Otto a legarsi per la vita. Eppure il loro rapporto funzionava, perché l'impetuosità dell'uomo coloriva il velo di fredda compitezza di sua moglie, e lei donava equilibrio agli eccessi del consorte. E anche quella volta era dovuta intervenire lei per mediare... – Lo sai che mi ha stretto forte il braccio? – piagnucolò Queenie. Marina glielo prese e guardò le chiazze rosse che si erano create dove Otto aveva stretto. La accarezzò con dolcezza. – Povera cara. Ma non trovate sgradevole dover discutere di certe cose... e litigare? Due fratelli! Fu Marina a sistemare le cose con la sua diplomazia, per l'ennesima volta. La cifra richiesta da Otto non fu conseguita, ma almeno un assegno per pagare i fornitori più impazienti era stato assicurato. Rientrando nel loro appartamento Otto abbracciò la moglie. – Come farei senza di te? Lei gli accarezzò la testa, dai capelli cortissimi, come avrebbe fatto con uno dei suoi figli. – Anche questa volta ci siamo riusciti – gli rispose con uno strano tono, che gli altri non avrebbero riconosciuto in lei. Difatti, solo con suo marito Marina si mostrava per quella che era in realtà. Era una donna equilibrata, certo, ma la sua famiglia veniva prima di tutto, e di tutti, e non avrebbe mai permesso a nessuno di mettersi di traverso. Queste cose però, a parte a suo marito, non le avrebbe confessate a nessuno. La gente non la conosceva veramente, e per questo il suo matrimonio appariva agli occhi dei più qualcosa di singolare e di inspiegabile. – Dovremmo far invitare tua sorella da Gisela alla sua serata. Credo che coinvolgendola di più nelle nostre vite, Tarquinia si ammorbidirà un pochino. – Credi davvero? – domandò Otto, lanciandole un'occhiata scettica. – Provare non costa niente – rispose la donna, che non faceva troppo affidamento in quella soluzione lei per prima. 3
– Ho vintoooo! – strillò Tarquinia non appena quella mattina Nausica ebbe messo piede in casa. Contemporaneamente sventolava in aria il biglietto della scommessa vincente. Nausica prudentemente chiuse la porta prima di discutere della faccenda. – Hai vinto quanto? – Cinquemila euro! Ed è stata Vivian, la veggente che ho conosciuto ieri, a darmi i numeri. Non è incredibile? La felicità di Queenie però non parve contagiare Nausica, che si espresse in tono distaccato: – Ah sì? – Ma certo! E l'aveva detto che erano dei numeri vincenti! Era sicura che avremmo vinto, Nausica... Ah, ora devo assolutamente chiamarla per dividere i soldi con lei, e ringraziarla, ovvio... Ma... – e si guardò intorno facendo vagare lo sguardo verso posti casuali – ... dove ho messo il suo bigliettino da visita? Non mi ricordo mai niente io! – E' in questa rubrica – fece Nausica a malincuore, porgendole appunto un libretto rosso con su scritto “Rubrica Telefonica”. – Ma vorrei tu non la chiamassi, cara. Anzi strappa il biglietto da visita e scordati di lei, vuoi? – Non dire sciocchezze! – ribatté Queniee strappandole il volumetto dalle mani. – La chiamo subito, anzi! – e lasciò la stanza. Nausica la guardò sparire in camera sua, e scosse il capo più volte, prevedendo che da quella cosa non sarebbe venuto niente di buono. – Non la chiamare! Tarquinia tornò indietro col viso rabbuiato. – Perché non dovrei chiamarla? – Perché è solo una truffatrice, lo sono tutte le cosiddette veggenti. Come puoi crederle? – Eppure mi ha fatto vincere. Direi che questa è una veggente vera, no? – Non metterti con certe persone. Vivono di sotterfugi e di inganni e finirà per imbrogliarti. Queenie sbuffò rumorosamente. – Ancora! Ma lo hai capito o no che questa è diversa dalle altre? Che pensi, che sia così stupida da farmi fregare, io? Nausica sospirò. – Voglio solo proteggerti, cara. Tutto qui. Ma Queenie era già sparita un'altra volta.
Nei giorni seguenti le chiacchierate telefoniche tra Tarquinia e Vivian si fecero sempre più frequenti. Nausica, dal canto suo, non perdeva occasione per dire a Tarquinia che quella donna era un' imbrogliona, una truffatrice e una volpona. E ogni volta Tarquinia le rispondeva, difendendo Vivian, con maggiore asprezza della precedente. Venne anche il giorno in cui la veggente fu invitata a casa a ritirare la sua parte della vincita. – Perché la fai venire qui? – le domandò Nausica appena la telefonata, con cui era stato fatto l'invito, ebbe termine. – Verrà a prendere un caffè qui domani. – Ma non era meglio se vi vedevate fuori? – Come meglio! Dovrei darle duemilacinquecento euro al bar? – Ti ha proposto lei di vedervi qui? – Ma quanto sei sospettosa tu! – Certo che lo ha proposto lei. Vorrà vedere casa tua per farsi un'idea di quanto ricca sei. Non lo capisci? Tarquinia rimase in silenzio, pensierosa, per qualche secondo. – Adesso ho capito, Nausica. Tu sei semplicemente gelosa di lei! Ma che pensi, che se mi lego a lei perderai il tuo lavoro? – Che cosa sciocca hai detto – sbottò Nausica. – Io mi preoccupo solo per te, e lo sai. Questa donna, invece, vuole sicuramente approfittarsene. – Approfittarsi di me? Perché io sono una povera sciocca, vero? – Tu non conosci il mondo come lo conosco io, cara. Ci sono tante persone disperate e senza scrupoli in giro. Richiamala e dille che la incontrerò io al bar per portarle i soldi, ti va? – Adesso stai esagerando, Nausica! Io non mi faccio comandare da nessuno e ho notato che spesso tendi a voler comandare tu. Non mi piace, sappilo. Nausica si strinse nelle spalle. – Fai come credi, poi non dire che non ti avevo avvertita. – Smettila! – urlò Queenie.
Il giorno dopo Vivian si presentò a casa di Tarquinia indossando un completo giallo a pois bianchi, un cappellino con la veletta bianca, e portandole in dono un mazzo di fiori dai colori sgargianti e pacchiani. – Cara, che bello rivederci! Il mio spirito guida pensa che il nostro sia un incontro astrale molto importante, lo sai? Nausica, che la stava squadrando con attenzione come un cane da guardia, strabuzzò gli occhi e mosse qualche passo in avanti verso la veggente. – Questa deve essere la tua fedele amica! Nausica, vero? – fece Vivian con un sorriso ben soppesato, mentre le porgeva la mano per farsela stringere. Era evidente che anche Vivian avesse studiato Nausica dal primo momento, e che a gente come lei bastassero pochissimi attimi per inquadrare chi avevano davanti. Nausica, senza ombra di dubbio, era stata classificata come una nemica. – Molto lieta – fece Nausica con voce inespressiva, e per qualche ragione si convinse che i dubbi che aveva nutrito dall'inizio su Vivian non erano infondati. Queenie condusse Vivian sulla terrazza principale, quella con le piante esotiche, perché voleva impressionare favorevolmente la sua ospite, lasciando a Nausica il compito di occuparsi dei fiori e di servire il caffè. – Ti ho portato una sorpresina – fece la veggente tirando fuori dalla borsetta una lattina ghiacciata di cola. – Mi hai detto che è la tua bibita preferita e così non ho potuto non comprartela. Dopo qualche minuto Nausica arrivò con la caffettiera. Tutto era già stato apparecchiato in terrazza prima dell'arrivo dell'ospite, ma Queenie aveva preteso che il caffè venisse fatto al momento. Era una specie di religione per lei, quasi un rito, quello del caffè, forse perché per tanti anni gli incontri al bar con le sue amiche, di fronte ad una tazza di quella bevanda scura, erano stati l'unica consolazione della sua vita. Nausica si accorse che Queenie stava sorseggiando la cola e dopo aver posato rumorosamente la caffettiera in tavola, tolse il bicchiere dalle mani dell'amica, e si rivolse duramente a Vivian. – Tarquinia non può bere questa roba, non lo sa che è a dieta? Queenie avvampò. – Ma come ti permetti di mettermi in imbarazzo con la mia amica? – La tua amica? Ma se la conosci da pochissimi giorni. E poi lo sai anche tu che non puoi sgarrare con la tua dieta. E sai bene che se facciamo dei compromessi la dieta non funzionerà, ci siamo già passate... Dobbiamo riuscire ad essere ferme! – Ma no, non sia cattiva, cara, gliela lasci bere. Solo per oggi, suvvia! Tarquinia, perplessa, guardò ora l'una ora l'altra. Poi decise: – Lascia il bicchiere e va pure di là, Nausica. Nausica si allontanò senza proferire parola, ma l'occhiata severa che lanciò alla veggente fu molto significativa per tutte loro. – A volte si prende troppe libertà – spiegò Queenie alla nuova amica. Poco dopo l'episodio fu dimenticato e le due donne si ritrovarono a parlare piacevolmente di molti argomenti, a ridere e commuoversi come se si conoscessero da tutta una vita.
Quello era stato l'inizio di una frequentazione assai assidua. Vivian e Tarquinia si videro varie altre volte trovandosi sempre più in sintonia, o almeno questo poteva dirsi di sicuro per Queenie. E tanto più questo rapporto si consolidava, altrettanto velocemente andava logorandosi quello con Nausica, che non perdeva occasione per metterla in guardia da quella truffatrice, si dimostrava un' inflessibile dietologa, e qualunque cosa facesse per il bene di Tarquinia veniva da quest'ultima interpretata come un' arbitraria e sgradevole imposizione. Un giorno Vivian propose a Queenie di fare una passeggiata in paese per guardare se c'era qualche capo interessante nei tre negozi locali di abbigliamento femminile. Stavano passeggiando lungo il marciapiedi, quando la veggente improvvisamente si bloccò, portandosi le mani alla testa con uno scatto improvviso. – E' il mio spirito guida – sussurrò a Queenie con voce affannata. – Sta cercando di dirmi qualcosa... Tarquinia incuriosita rimase in attesa, finché la veggente quasi le urlò: – Attraversiamo la strada, subito! Mentre veniva praticamente trascinata attraverso la strada, un grosso vaso andò ad infrangersi sul marciapiedi che avevano percorso fino a un attimo prima. Con ogni probabilità, se avessero proseguito lungo quel percorso, Tarquinia sarebbe stata colpita in pieno dal vaso. Le due donne guardarono immediatamente in alto, cercando di capire da dove fosse arrivato l'oggetto, e videro un appartamento abbandonato, e un portavasi di ferro arrugginito... divelto. Doveva essere caduto da lì il grosso vaso, evidentemente dopo tanti anni di abbandono il portavasi aveva alla fine ceduto. Solo allora Tarquinia realizzò il pericolo appena scampato. – Se avessimo continuato a camminare su quel marciapiedi mi sarebbe arrivato in testa... E' caduto proprio dal lato dove camminavo io... – riuscì a dire con un filo di voce. Come al solito quando serve aiuto, non c'era nessuno là attorno che avesse visto o potesse dar loro un po' di conforto. – Andiamo al bar – suggerì la veggente. – Hai bisogno di qualcosa di forte per riprenderti, cara. – Stava per uccidermi... capisci? Se tu non mi avessi detto di attraversare la strada a quest'ora potevo essere morta! – Non io, cara. Tienilo sempre a mente, io non so nulla né posso niente senza il mio spirito giuda. Solo Aczur sa tutto! Dobbiamo ringraziare lui se sei ancora viva... |
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