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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Daniele Missiroli
Titolo: Annabel
Genere Romance
Lettori 4499 363 273
Annabel
Sabato.

Il pugno del buttafuori colpì Jack in pieno viso, scagliandolo a terra.
Scosse la testa per riprendersi dal colpo, e con la coda dell'occhio spinse lo sguardo fino in fondo al salone del Bellagio.
Nessuno lo stava osservando.
Quelle scene non erano tanto rare nei Casinò e non generavano poi molta curiosità.
Quando il gorilla lo afferrò di nuovo, probabilmente per buttarlo fuori dal locale, Jack fece resistenza e l'uomo piegò le gambe per caricarselo addirittura sulle spalle.
Jack riuscì a sorprenderlo cedendo di colpo, senza fare resistenza alla forza del pachiderma, così da spingerlo all'indietro con tutto il suo peso.
I due rovinarono sopra a un tavolo da roulette, rovesciandolo e facendo volare i gettoni tutto intorno.
Due giocatori ruzzolarono sul pavimento e finalmente la maggior parte delle persone, incluse le telecamere di sorveglianza, s'interessarono alla scena.

Quella sera Jack aveva già perso parecchio senza trovare la donna che stava cercando. Ormai aveva conosciuto tutte le hostess e nessuna gli era sembrata quella giusta, a parte una stangona mai vista prima che si aggirava tra i clienti sorridendo, senza però fermarsi a parlare con nessuno. Quando l'aveva incrociata, aveva avuto il dubbio di essere trasparente: lei non l'aveva degnato nemmeno di uno sguardo.
Era un mese che frequentava quel Casinò e aveva anche controllato tutte le slot machine. Niente di anomalo. Le macchine restituivano in media il novanta percento di quello che ingurgitavano, anche se la legge impone di restituire come minimo solo il settantacinque. Doveva darsi da fare o lunedì avrebbe perso un altro milione di dollari.
Jack era un bel ragazzo di trent'anni.
Capelli neri ben curati e un accenno di baffetti, appena sufficienti a dargli un'aria leggermente trasandata. Troppo curato vorrebbe dire scarso di portafogli, troppo disordinato significherebbe averlo vuoto.
Lui stava nel mezzo. Giacca nera con pantaloni grigi, camicia bianca con gemelli dorati, cravatta color argento, scarpe di vernice. E il nodo simmetrico. Era importante il nodo simmetrico nella cravatta: una donna lo nota subito e pensa che se l'uomo ha il tempo di annodarsi la cravatta in quel modo, allora non è un impiegato che deve rispettare un orario e attendere la tredicesima trattenendo il fiato. Probabilmente è uno che le tredicesime le paga.
- Con il nodo simmetrico ti porti a letto il doppio delle ragazze - , gli aveva detto una volta suo padre. Per questo, prima di avvicinarsi a una donna, Jack aveva l'abitudine di darsi una sistemata alla cravatta per convogliare l'attenzione della potenziale vittima sul suo nodo perfetto, nel caso fosse stata distratta dagli occhi tenebrosi o dal portamento.
Era difficile non restare colpiti dal suo metro e ottanta e dalla sua muscolatura, frutto di un'ora di palestra tutti i giorni da quando aveva diciassette anni.
Il padre, pace all'anima sua, gli aveva insegnato anche altri princìpi e Jack li ricordava tutti. Soprattutto la regola d'oro di chi, come lui, frequentava i Casinò: - Quando sei sotto di un milione di dollari, o ti spari o continui a giocare - . Lui era già sotto di un milione di dollari e non aveva intenzione di spararsi.
Era andato al bar e si era fatto servire un doppio whisky. Ne aveva bevuto un sorso e se ne era versato la maggior parte sulla giacca e sui pantaloni. Poi si era diretto verso la sala Vip al centro del grande salone da gioco, quella con le slot da cento dollari.
Sapeva che i buttafuori lasciavano entrare in quella zona solo i clienti conosciuti e accompagnati da una hostess, ma era la sua ultima speranza per smuovere le acque.
Quando si era incamminato verso quell'area, la nuova ragazza gli aveva lanciato un'occhiata distratta e a quel punto era stato lui a ignorarla.
Teneva gli occhi sul bicchiere, avendo cura di passare davanti ad alcune colonne rivestite di lamine riflettenti, in modo da osservarla senza farsi notare.
Prima di arrivare vicino alla sala Vip, lei l'aveva studiato con attenzione per parecchi secondi, ma in quel momento Jack non poteva essere certo che fosse interessata proprio a lui, o se si trattasse solo della conseguenza dell'avvicinamento alla sala Vip.
Forse l'idea di Jack era giusta. O forse no.

– Dove pensa di andare, signore? – lo aveva apostrofato uno dei due gorilla piazzati ai lati dell'ingresso.
– A giocare, non lo vedi? – aveva risposto lui, fingendo di barcollare.
L'uomo, un pachiderma calvo di almeno centoventi chili con gli occhiali scuri, aveva fatto una smorfia, sentendo l'odore del whisky sui suoi vestiti.
– Questa sala è riservata, mi dispiace, signore.
– Lo so, è riservata a me. Ho ancora molti soldi e voglio giocarmeli tutti qui.
– Signore... si allontani, per favore – gli aveva detto il compare del primo gorilla, prendendolo gentilmente per un braccio.
Calvo pure lui, stessa stazza e occhiali scuri. Jack li fissò entrambi, prima uno e poi l'altro, per essere sicuro di non vederci doppio a causa del whisky.
Anche i vestiti erano uguali: neri, con scarpe lucide di marca, con gli arti insaccati nel completo da man in black.
– Credete che sia ubriaco? – aveva replicato Jack. – Metà delle persone presenti in questo momento lo sono, ma voi non le mandate via finché non sono spennate a dovere. Voglio giocare nella sala Vip e voi non potete impedirmelo.
– Glielo ripeto per l'ultima volta – aveva detto il primo gorilla, sbuffando. – In questa sala si entra solo accompagnati da qualcuno che la conosce.
– Piacere di conoscerti – aveva detto Jack, liberando il braccio e porgendogli la mano – mi chiamo Jack Wilson.
L'uomo aveva ignorato la presentazione, fissandolo torvo negli occhi. Era vicino al punto di rottura, ma non l'aveva superato.
Jack allora aveva detto: – Adesso tu mi conosci e posso entrare. Fatti da parte, prima di farti male, sono cintura nera e potrei stendere entrambi senza nemmeno toccarvi.
Poi aveva tentato di oltrepassare con decisione la linea virtuale formata dai due, al fine di entrare nella zona riservata.
Nel farlo, aveva pestato un piede alla guardia che l'aveva fermato, la quale si era chinata per controllare se la scarpa si fosse sporcata. Purtroppo, con questa mossa gli erano caduti gli occhiali, che Jack subito aveva schiacciato, dimostrando una goffaggine un po' sospetta.
A quel punto era partito il pugno del gorilla che aveva scagliato Jack a terra e il successivo tafferuglio. Tutte le telecamere nelle vicinanze erano adesso orientate su di lui.
Mentre i giocatori del tavolo verde si rimettevano in piedi e le hostess, prontamente accorse, raccoglievano i gettoni cercando di ripristinare la situazione, Jack si sentì afferrare per l'ennesima volta dai due buttafuori.
Senza scomporsi, tenendolo saldamente per le braccia, uno da una parte e uno dall'altra, lo sollevarono di peso e iniziarono a dirigersi verso uno dei tanti bagni.
Jack si rese conto che il suo piano non aveva funzionato e che appena sarebbe stato fuori dalla vista dei clienti avrebbe ricevuto una bella lavata di capo.
L'addestramento gli avrebbe permesso di tenere testa a uno di quei buttafuori, soprattutto perché grosso e lento, ma due erano troppi. Il pugno che aveva ricevuto glielo aveva confermato: un paio di quei colpi l'avrebbero spedito nel mondo dei sogni.
Guardò a destra e a sinistra, cercando un modo per salvarsi, quando incrociò lo sguardo della nuova hostess, che nel frattempo si era avvicinata.
La commedia poteva continuare.

– Solo gli amici dei potenti Santini possono giocare in quella sala? – disse Jack mentre lo stavano trascinando. – Tutti i soldi sono per loro e noi dobbiamo accontentarci dell'elemosina, vero? Anche voi due siete degli schiavi e non ve ne accorgete. Ribellatevi ai padroni, prima che sia troppo tardi!
Le sue urla, come aveva sperato, attirarono ancor di più l'attenzione della donna, che intercettò il gruppo a pochi metri della porta dei servizi.
Appena i due la notarono, si fermarono sbuffando e lasciarono che Jack poggiasse i piedi a terra, pur tenendolo stretto in una presa d'acciaio.
Quando li raggiunse, disse: – Frank, Wolf, che cosa sta succedendo?
– Questo signore è caduto perché ha bevuto troppo e non si sente bene – disse Wolf.
– Lo stiamo accompagnando al bagno – aggiunse Frank.
– Non è vero, io volevo solo usare la Triple Diamond nella sala riservata – sottolineò Jack. – Uno scemo mi ha urtato e mi sono rovesciato il drink addosso, ma non sono ubriaco.
La donna guardò il vestito bagnato di Jack, poi i suoi occhi e infine i gorilla.
– Va bene, lo accompagno io.
Gli uomini si guardarono in faccia, abbassarono gli occhi e lo lasciarono andare.
Jack si sistemò il bavero della giacca e il nodo della cravatta, poi si presentò: – Piacere di conoscerti, bellezza. Jack Wilson.
– Io mi chiamo Annabel – disse lei, senza sorridere – ma puoi chiamarmi Ann.
– Grazie di avermi tolto dai guai, Ann.
Annabel era una giovane donna molto attraente. Aveva trentadue anni e lunghi capelli scuri che le scendevano sulle spalle, lasciate scoperte dall'elegante divisa da hostess del Casinò. Jack pensò che di sicuro doveva essere una hostess speciale, incaricata di prendersi cura solo dei clienti più facoltosi. Infatti, le altre si fermavano a parlare con tutti e portavano da bere a chi lo chiedeva; lei no.
Occhi scuri e viso ovale, grazie ai tacchi era alta quanto lui; portamento e andatura rivelavano una passata esperienza come modella. Il seno era prosperoso e Jack le assegnò con certezza la quarta misura. La divisa nera, sbracciata e con la gonna del vestito ventotto centimetri sopra al ginocchio, era attillata al punto giusto e ne metteva in risalto fianchi e sedere.
A Las Vegas la lunghezza delle minigonne doveva essere sufficiente a rendere piacevole la vista, ma non poteva essere eccessiva, per non distogliere i clienti dall'obiettivo principale dei locali: il gioco! Questo problema era stato studiato a tavolino da esperti di fama mondiale e il risultato era stato ventotto centimetri sopra al ginocchio.
Mentre entravano nella saletta riservata, Jack le disse: – Come mai non hai continuato la carriera?
– Quale carriera?
– Fotomodella. Da come indossi quel vestito e da come cammini, lo sei stata di sicuro.
– Ho fatto solo un paio di sfilate, poi mi sono annoiata. Quella vita non era adatta a me. Inoltre, non avevo il fisico.
Jack si fermò e osservò Annabel da capo a piedi. Aveva tutte le curve al posto giusto.
– Ci sono donne che ucciderebbero per un corpo come il tuo.
– Ora le modelle devono essere piatte.
– Gli stilisti non capiscono niente. Hai un corpo perfetto per qualsiasi utilizzo. Nel settore della moda, intendo, non fraintendere.
– Sì, certo. Adesso, se vuoi giocare qui, devi tirar fuori delle banconote da cento, oppure dei ticket.
– Ho qualche pezzo, vediamo se la tua presenza mi porterà fortuna. Vengo qua da un mese e sono sempre tornato in albergo ripulito. Mi restano solo oggi e domani, ma se perdo anche questa sera... be', non importa. Ho trent'anni e la vita me la sono goduta fino in fondo, che cavolo. Nessuno mi aspetta a casa o dipende da me, quindi... se finisce male, che importa?
– Sei di pessimo umore o mi sbaglio?
– In effetti è strano che faccia questi discorsi così su due piedi. Di solito vedo sempre il bicchiere mezzo pieno.
– Dimostramelo – disse Ann, abbozzando un sorriso.
– Forse sarai proprio tu il mio mezzo bicchiere pieno.
– Poiché abbiamo la stessa altezza e la stessa età – mentì Ann – potresti aver ragione. Il nostro incontro potrebbe essere un segno del destino.
Lei mentiva sempre sull'età, tanto nessuno osava mai contraddirla. A volte si toglieva due anni, a volte anche cinque e la sua pelle, priva di nei o imperfezioni, per chi la osservava era la testimonianza evidente che diceva la verità.
Jack infilò una banconota da cento dollari nella famosa slot machine Triple Diamond e abbassò la leva. La macchina fece girare i rulli e si fermò quasi subito.
Non aveva vinto.
– La prima è andata.
A Jack restavano solo due banconote da cento. Diede un bacio alla penultima, la infilò nella macchina e abbassò la leva con più forza. Questa volta i rulli girarono a lungo, ma il risultato fu lo stesso.
– Resta l'ultima – disse, guardando intensamente gli occhi di Ann.
Voleva che si rendesse conto che ora non gli importava niente dei soldi o della vincita. In quel momento voleva solo stare con lei il più a lungo possibile.
– Hai detto che nessuno dipende da te – disse lei – quindi non sei sposato.
– Lo sono stato. Ora come ora, niente moglie e niente figli: sono libero come l'aria.
– Parenti?
– Potrei scomparire dalla faccia della Terra in questo momento e a nessuno dispiacerebbe.
– A me sì – disse la donna, sorridendo maliziosamente.
Jack stava per infilare l'ultima banconota nella slot, quando lei gli trattenne il braccio. Gli prese la mano con cui teneva i soldi, se la portò alle labbra e baciò il denaro. Un po' di rossetto rimase impresso sulla bocca di Benjamin Franklin. Il contatto con quella mano, calda e morbida al tatto, fu elettrizzante e Jack dovette sforzarsi di controllare il respiro per mantenersi calmo.
Lei lo accompagnò verso l'ultima macchina della fila e gli disse: – Credo che questa sia più fortunata delle altre.
A Jack brillarono gli occhi. Infilò lentamente la banconota nella slot, poi avvicinò il volto a quello di lei. La donna non indietreggiò di un centimetro, sostenendone lo sguardo. Lui appoggiò le labbra sulle sue, chiudendo gli occhi, senza tentare di baciarla davvero, mentre contemporaneamente faceva forza sulla leva.
Quando i rulli si fermarono, udì la classica campana delle vincite. La conosceva bene: aveva realizzato un tris di sette sulla linea centrale.
Jack aveva vinto diecimila dollari.

– Avevi ragione: questa era più fortunata – disse ad Ann, mentre si metteva in tasca le banconote uscite dalla slot.
– I miei baci fanno la differenza.
A Jack piacevano quelle vecchie macchine che mangiavano i soldi e li sfornavano, in caso di vincita, come un bancomat, con un fruscio regolare che ipnotizzava.
Il segreto era quello di non guardare quanto avevi vinto, ma aspettare che la macchina smettesse di scodellare fogli da cento. Più il tempo passava, senza che lei si fermasse, più il giocatore si entusiasmava, perché si rendeva conto di aver vinto una piccola fortuna. C'erano persone che, dopo trenta secondi di fruscio, arrivavano addirittura all'orgasmo.
– Non ti chiedi come sia successo? – disse Ann.
– I giochi servono a far guadagnare il Casinò, non i giocatori. Questa è stata solo una conferma di ciò che pensavo. Ti ringrazio, Ann, mi hai salvato la vita. Però una domanda ce l'ho: perché io?
– Eri molto depresso e volevo farti un regalo per tirarti su il morale. Ma non credere che sia sempre così. Le macchine di questo posto restituiscono il 95% di quanto ci mettono dentro i clienti e non sono tutte uguali. A una come me basta saper contare per capire quando sarà la volta buona. Quella era pronta, ma non ci gioca mai nessuno, perché è in fondo alla saletta. Ora che ne farai di quei soldi? Li giocherai tutti e tornerai a casa povero, oppure...
– Parlami di quell'oppure.
– Non ho proposte – disse Ann, scuotendo la testa. – Dicevo così per dire.
– Ti offro una cena? – disse Jack, speranzoso, alzando un sopracciglio.
Ann scosse la testa.
– Mi piacerebbe, ma devo lavorare.
– Ti aspetto.
– Ci vorrà un bel po' di tempo. E se poi dopo ti conducessi alla perdi¬zio¬ne? – Ann sorrise ancora, in modo così sfrontato e malizioso da far ribollire il sangue di Jack.
– Con te mi perderei volentieri in qualsiasi posto.
– Non mi conosci, stai rischiando...
– È un rischio che corro volentieri.
– Lo dici per - orgoglio - o per - pregiudizio - ?
– Sono sicuro che la Austen stesse pensando a te per il personaggio di Jane...
– Ehi, non sono così vecchia!
Si misero a ridere; Ann apprezzò quella schermaglia verbale e soppesò l'idea di proseguire la serata con Jack.
– Che macchina hai? – disse, insinuando volutamente una speranza in Jack.
– Una vecchia Buick rossa.
– Be'... ok, ma non ti prometto nulla. Con me è come giocare a una slot machine. Può darsi che esca un tris, oppure che non esca niente e tu abbia solo perso tempo. Ci stai?
– Ci sto.
Lo disse lentamente, continuando a guardarla. Jack pensava che Ann fosse fuori posto in confronto alle altre colleghe, tutte semplicemente ragazze giovani e carine; lei era invece una donna con la D maiuscola. Ne aveva conosciute molte, anche in senso biblico, ma ora che l'aveva potuta osservare da vicino, che si erano parlati e toccati, si era reso conto che nessuna era alla sua altezza.
Il portamento fiero, gli occhi penetranti, gli zigomi regolari, le labbra carnose, la sicurezza che le dava la sua bellezza. Tutto faceva di lei una creatura da favola.
Ann gli diede un bacio di commiato sulle labbra, lo sfiorò appena. Fu allora che lui la sorprese, stringendola a sé e baciandola davvero. Le teneva la sinistra tra i capelli, mentre con la destra le accarezzava le spalle nude. Quell'abbraccio era delicato, ma deciso.
Ann avrebbe potuto interrompere lo scambio di effusioni non richiesto, ma rimase immobile, a occhi chiusi, scoprendo sensazioni che non sapeva esistessero nei baci. Quell'attimo di dolcezza le sembrò durare un'eternità e si trasformò in qualcosa di diverso. Jack ci mise tutto l'impegno che lo aveva reso famoso nella cerchia delle sue conquiste, sognando già la notte che poteva seguire se fosse riuscito a imprimersi a dovere nella mente di Ann.
Entrambi si ritrovarono sospesi su una nuvola di puro piacere mentale. In molti casi il vero rapporto sessuale risulta meno stimolante di un bacio dato in quel modo. Con tenerezza e passione.
Quando Jack decise di staccarsi, lei abbassò lo sguardo e si allontanò in fretta. In uno degli specchi del locale vide Ann fermarsi immobile, frastornata.
Si era portata una mano alle labbra, e gli occhi di Jack brillarono. 

Era l'una passata e Jack aspettava Annabel, seduto sulla sua Buick Century del ‘73, nel parcheggio del Bellagio. Non era sicuro che sarebbe venuta all'appuntamento, ma non poteva mandare tutto all'aria per impazienza. C'erano due uscite di servizio e dalla sua postazione le poteva controllare entrambe, anche se doveva aguzzare la vista quando qualcuno usciva da quella più lontana per capire se si trattasse di lei o di qualche sua collega.
Finora erano uscite solo ragazze più basse di Ann e una coppia.
Mentre aspettava, tornò con il pensiero alla sensazione che aveva provato baciandola. Jack aveva avuto molte donne e secondo il suo metro di giudizio le aveva amate tutte. Non era mai stato solo sesso: le ascoltava, si interessava a ciò che dicevano e in definitiva le faceva star bene in sua compagnia.
Inoltre, per quanto possibile per via del suo "lavoro", diceva sempre la verità. Forse leggermente offuscata, distorta, addomesticata, quello sì, ma comunque la verità.
- In arte sono veri anche i contrari delle verità - diceva spesso suo padre. Fece alcuni profondi respiri per rilassarsi.
Improvvisamente dei rumori provenienti da una zona del parcheggio più distante rispetto a dove si trovava attirarono la sua attenzione. Forse la coppia che era uscita pochi minuti prima stava litigando.
I rumori e le grida femminili aumentarono. Quelle situazioni lo infastidivano molto; non era un salvatore di fanciulle in pericolo, ma non sopportava di veder maltrattare una donna.
Poi, nel silenzio della notte, si udì chiaramente il rumore di uno schiaffo.
Era troppo.
Scese dall'auto e corse verso l'area da cui provenivano i rumori. Parzialmente nascosta fra due auto, intravide subito una donna a terra e un uomo robusto che la fissava incollerito. Quando lui si avvicinò con il chiaro intento di intervenire, l'uomo si girò e si allontanò in fretta.
– Aiuto – piagnucolò la ragazza.
Jack si inginocchiò per aiutarla ad alzarsi e si accorse, con grande stupore, che era proprio lei.
– Ann, che cosa è successo? Chi era quell'uomo?
– Jack...
– Non ti ho riconosciuto senza la divisa.
– Luke vuole che mi cambi, prima di lasciare il lavoro.
– Perché ti stava picchiando? Ora lo inseguo e gli insegno l'educazione.
Jack si alzò in piedi e si guardò intorno, fece alcuni passi di corsa per tentare di capire se era ancora nelle vicinanze o se avesse usato una delle auto parcheggiate per allontanarsi.
– Lascia stare, ti prego – disse Annabel, rialzandosi.
Jack tornò subito indietro per sorreggerla.
– Mi puoi dire chi è per te questo Luke?
– È... è mio marito!
La rivelazione fu come una bastonata. Gli aveva fatto meno male il pugno del gorilla che aveva ricevuto poche ore prima.
– Anche se è tuo marito, non ha il diritto di trattarti in questo modo.
– Ogni sera devo portargli dei soldi, altrimenti diventa una furia.
– Dov'è andato?
– A ubriacarsi da qualche parte, come fa di solito.
– Se mi dici il nome del locale, lo raggiungo e gli faccio passare per sempre la voglia di comportarsi così.
Jack si rese conto che era inutile continuare a parlare di quell'uomo e disse: – Vuoi che ti accompagni a casa?
– Non importa, ma ti ringrazio. Per fortuna, quando ha visto che ti stavi avvicinando, è scappato via, altrimenti avrebbe potuto mandarmi all'ospedale.
– Quante volte è già successo?
Ann non rispose, ma una lacrima le scese sulla guancia.
– Senti, Ann – le disse Jack, togliendosi la giacca e poggiandola sulle sue spalle – stai tremando e sei ancora sconvolta. Adesso andremo in un locale a mangiare qualcosa e solo quando ti sarai ripresa ti porterò a casa.
– Mi dispiace di averti rovinato la serata.
– A me dispiace che tu sia in questa situazione. Sono sempre stato contrario alla violenza, ma in questo momento avrei proprio voglia di avere fra le mani tuo marito.
Il volto di Jack si era rabbuiato e aveva aggrottato la fronte. La decisione che leggeva nei suoi occhi colpì Ann, che a quel punto non era sicura se fossero solo le parole di uno sbruffone che vuole far colpo su di lei, oppure quelle di una persona in grado davvero di lottare con un uomo come Luke, uscendone vittorioso.
– Grazie per il tuo conforto, Jack.
– Ti va di mangiare un panino con me?
La donna annuì e si lasciò accompagnare verso la macchina.
Appena lui mise in moto l'auto, lei si accovacciò sulla sua spalla e disse: – Ti do fastidio così?
Jack non rispose, perché in quel momento era sicuro di aver sbagliato persona.

– Un Big Mac per me e un Cheeseburger per la mia amica – disse Jack al cassiere del Mc Donald.
– Da bere? – chiese lui.
– Coca light – disse Annabel in un sussurro.
– Una birra scura e una coca light, grazie – disse Jack.
L'aveva portata in quel locale come da copione, anche se ormai aveva perso ogni speranza. Chi vuole portarsi a letto una donna come lei, cerca di ammaliarla con un ristorante costoso, non con un panino e una coca. Lui ci teneva a chiarire con le sue potenziali conquiste che non era quel tipo d'uomo.
Mentre mangiavano, Jack non staccava gli occhi da quelli di Ann, cercando di leggervi delle risposte. Le domande che gli giravano per la testa erano decine, ma la maggior parte non poteva certo fargliele. Voleva almeno capire che cosa stesse succedendo. Quello che era accaduto nel parcheggio era in contrasto con l'idea che si era fatto di lei.
Quando finirono, finalmente Ann iniziò a parlare.
– So che cosa stai pensando, ma io non sono una di quelle. Il bacio che ci siamo dati non voleva dir niente. Mi hai colta di sorpresa e sono solo stata gentile con te. Gli uomini possono diventare violenti se sono rifiutati.
– Ti sbagli, non pensavo a quel bacio. O meglio: ci pensavo perché mi hai trasmesso qualcosa, ma non ho cambiato opinione su di te solo perché ho scoperto che hai un marito.
– Io non sono più sposata con Luke da diversi mesi. Purtroppo il matrimonio resterà valido finché lui non acconsentirà a firmare i documenti del divorzio. Potrei dire di essere divorziata, ma ufficialmente sono ancora sua moglie, ecco.
Aveva fatto l'ultima affermazione mentre sovrapponeva delicatamente la mano a quella di Jack e lo guardava con occhi smarriti.
Jack riprese a respirare, molto sollevato dalla notizia. Senza accorgersi di quello che faceva, si ritrovò con le dita intrecciate con quelle di Ann.
– Ho fatto bene.
– A fare cosa?
– A darti quel bacio.
Ann rise; gli occhi erano tornati quelli della donna forte di poche ore prima, e in quello sguardo Jack trovò molte delle risposte che cercava.
Il suo treno stava tornando sui binari giusti.
– Che cosa vuole il tuo ex marito per lasciarti andare? Soldi, immagino.
– In questa città funziona tutto grazie ai soldi. Dalle slot ai tavoli verdi, fino alle persone, che perdono di vista il senso della vita o lo vendono per qualsiasi cifra.
– Io ho diecimila dollari. Sono tuoi se possono servire a risolvere il problema.
– Grazie, ma quella somma Luke la realizza in una settimana. Quando ne abbiamo parlato, mi ha detto che non firmerà mai per meno di un milione. E tutte le sere, come acconto, devo versargli quello che ho guadagnato durante la giornata. Ci vorranno anni, ma alla fine riuscirò a liberarmi di lui.
– E nel frattempo ti farai mandare all'ospedale. Brava, hai ideato un'ottima strategia – gli disse Jack in tono sarcastico.
– Non ho alternative.
– Questo mi offende un po'.
– Ti ringrazio, ma è meglio se i diecimila li tieni tu. Dovrei anche spiegare a Luke come li ho avuti, ed è meglio non fargli sapere che frequento uomini fuori dal lavoro. Uomini che addirittura mi danno somme del genere. Sarebbe troppo difficile da capire per un imbecille come lui.
– Non parlavo di quei soldi. Sono disposto a fare di più per aiutarti a uscire da questo tunnel. Tu sei in un circolo vizioso, una piccola miniera d'oro per lui... e le miniere si sfruttano fino a quando non sono esaurite. Vuoi continuare a fare quel lavoro, consegnandogli tutti i tuoi guadagni, oppure vuoi liberartene davvero?
– Che cosa hai in mente?
Jack finì la sua birra e questo gli diede il tempo di scegliere le parole più appropriate.
– L'unico posto nel quale ci sono parecchi soldi è il Casinò. Tu mi hai dimostrato di essere sveglia, infatti sai quando una slot è pronta per rilasciare la sua vincita. Non conosci un modo per vincere di più?
– Una volta l'anno esce il Mega Jackpot – disse Ann, dopo una breve riflessione. – Può uscire anche due volte, dipende da diversi fattori. Il problema però è un altro.
– Parlamene e vediamo se si può fare qualcosa.
– Quel Jackpot vale venti milioni di dollari ed è riservato alla famiglia Santini. Sono i maggiori azionisti del Casinò e uno dei sistemi per intascare i proventi del locale senza pagare una follia di tasse è proprio quello.
– Vuoi dire che possono farlo uscire a comando?
– È complicato, ma io lavoro lì da tre anni e ho visto come fanno.
– Sono curioso, ti ascolto.
– Sei scemo? A Las Vegas anche le mosche hanno orecchie – disse Ann, allarmata.
– Ne parliamo in un posto più riservato, allora.
–Io non ti conosco, Jack. Forse sei uno di loro e vuoi solo mettere alla prova la mia fedeltà.
– Giusto, non ti puoi fidare. Scusa se sono stato invadente. L'ho fatto perché mi piaci davvero e vorrei aiutarti.
– Comincia a parlarmi di te, allora – disse lei, finendo la coca cola.
Era la domanda che Jack aspettava.
– Be', non saprei da dove cominciare – finse.
– Dall'inizio? – disse Ann, facendo spallucce.
– Okay. Negli anni trenta i miei nonni vennero in America e qui nacque mio padre Samuel. Papà era un uomo straordinario, mi ha insegnato tutto quello che so. Aveva studiato psicologia, aveva una dote naturale di notare ogni più piccolo dettaglio. In pochi minuti era in grado di tracciare il profilo della persona che aveva conosciuto, che poi si rivelava esatto nel 99% dei casi. Il suo lavoro lo portava a viaggiare molto, soprattutto in Europa, e negli anni '80 si ritrovò in Spagna a fare da consulente per un'importante azienda farmaceutica. A Barcellona conobbe mia madre Isabel, un'insegnante di lingue che parlava spagnolo, francese, inglese e anche un po' di italiano. Questa facilità di comprendere le lingue me l'ha trasmessa, penso: mi sono sempre piaciute. Si spostarono in Francia e trent'anni fa, a Saint-Malo, è nato il bel ragazzo che hai davanti.
– Sei francese? Non l'avrei mai immaginato. Anch'io sono stata in Francia, ma non ho mai visitato quella città.
– Ti sei persa uno spettacolo unico al mondo: le spiagge di Saint-Malo sono il teatro di una delle più grandi maree d'Europa. Quando l'acqua dell'Atlantico entra nella Manica, l'onda sopraggiunge con una forza incredibile e l'acqua sale fino ai bordi delle mura di contenimento. I turisti rabbrividiscono rendendosi conto di quanto siano piccoli in confronto alla forza della natura.
– Nella tua descrizione c'è una punta di nostalgia.
– Hai ragione. Ho potuto apprezzare pienamente quello spettacolo solo quando ci sono tornato da grande, perché sono rimasto in Francia solo fino ai tre anni e poi la famiglia si è trasferita in Inghilterra, dove è rimasta fino a quando non ho compiuto sedici anni. A quel punto siamo tornati negli Stati Uniti, ci siamo stabiliti a Phoenix e a diciotto anni mi sono iscritto all'università.
– Che hai studiato?
– Scienza in Business, con certificato di gestione delle risorse umane.
Ann ascoltava con interesse.
– Dopo la laurea mi sono preso un periodo di riflessione e di crescita interiore: sono tornato in Europa, ho visitato il mio paese di origine, la città natale di mia madre e anche un bel po' di altre città. È stato il periodo più bello della mia vita. Poi, cinque anni fa... uno stupido incidente d'auto mi ha privato di entrambi i genitori.
Ann non fece domande sull'incidente, limitandosi a un – Mi dispiace. Per un attimo il suo viso si rabbuiò. Poi riprese colore e cambiò argomento: – Avevi detto di esserti sposato.
– Sì, durante il viaggio in Europa. Ho incontrato Dolphine in un Pub a Marsiglia, siamo finiti a letto la sera stessa e dopo un mese era mia moglie.
– Ti aveva proprio conquistato.
– In quel periodo agivo d'impulso. Dopo sei mesi ci siamo lasciati di comune accordo e ho ripreso a girovagare, finché la tragedia mi ha costretto a tornare a casa e a mettere la testa a posto. Grazie a qualche conoscenza ho trovato lavoro nella filiale della banca vicino casa e per ora va bene così.
– Che lavoro fai in banca?
– Sono uno dei cassieri, ma non sto allo sportello.
– Un cassiere senza portafoglio...
– Apro conti in paradisi fiscali per clienti facoltosi e sposto i loro soldi in modo che il fisco non li trovi. So che non è del tutto legale, ma la cosa non mi riguarda.
– Lavoro interessante... e anche proficuo, suppongo.
Annabel strizzò gli occhi con malizia. Jack capì che la sua affermazione di non badare troppo alla perfetta legalità l'aveva colpita.
– Non mi posso lamentare dello stipendio, ma io voglio di più dalla vita. Dopo la morte dei miei mi sono arrangiato a fare diversi lavori, prima di trovare il posto attuale. In tutti ho trovato corruzione e persone disoneste, che si arricchivano senza scrupoli. Intendiamoci: non accetterei mai di fare del male a qualcuno, per nessuna cifra. Mi vedo piuttosto come Lupin III, hai presente?
– Certo che ho presente!
– Da piccolo avevo tutte le cassette. Forse quello che sono diventato oggi l'ho preso da lui.
– C'è altro che devo sapere?
– Mi piacciono le ragazze alte, con le misure 90–60–90 e i capelli neri che scendono giù per le spalle.
– Di solito mi fanno complimenti più volgari.
Il locale si stava vuotando.
– Quando devi tornare al lavoro?
– Domani ho il turno serale: dalle dieci fino alle due di notte.
– Abbiamo tempo per divertirci, allora. Ti porto fuori. Facciamo un giro per i locali, beviamo, balliamo e non pensiamo a niente fino a domani. Puoi scegliere fra: - Ok, andiamo - oppure: - Mi piacerebbe molto - .
– Non mi lasci molta scelta – disse Ann, con un sorriso.
– Voglio aiutarti a prendere la decisione giusta.
– D'accordo: hai un viso gentile che ispira fiducia.
– Non sono un serial killer, lo giuro.
– Prima ho bisogno di fare una doccia e cambiarmi. Sono impresentabile.
– Ti accompagno a casa.
– Non ho una casa, vivo in albergo. Fra i benefit che abbiamo, c'è quello del vitto e dell'alloggio gratis. Tu dove stai?
– Ho preso una Tower Luxury Suit al Luxor. Il nome è un po' ambiguo, ma la stanza è molto bella e spaziosa.
– Anch'io ho una camera lì. Da quando sono stata in Egitto, adoro le piramidi. A me passano solo la Player Deluxe Room, non una suite come la tua, però mi trovo bene.
– Mi accontenterò – disse Jack ridendo, mentre si alzava e metteva entrambi i vassoi negli appositi contenitori.
Poi salirono in macchina e presero la Strip, in direzione della grande piramide nera. 

Parcheggiarono nel garage sotterraneo del Luxor e salirono nella camera di Ann grazie agli inclinator, gli unici ascensori al mondo che si muovono in diagonale lungo le pareti del Resort a forma di piramide.
Jack entrò dopo di lei e subito si accomodò sul letto.
– Ci metto un minuto – disse Annabel – e dopo possiamo andare a divertirci.
– Dubito che il tuo minuto sia inferiore alla mezz'ora, ma ti aspetto volentieri – disse Jack, baciandole una mano come un cavaliere dei tempi antichi.
La camera era grande, con il bagno subito a sinistra, lungo e stretto, e gli armadi sulla destra. La testata del letto era collocata contro la parete esterna dei servizi. In questo modo l'ospite poteva osservare il panorama anche stando a letto grazie al finestrone sul fondo. A lato c'era un divanetto, una poltrona e un tavolino basso. Il letto era il classico matrimoniale a tre piazze; aveva quattro cuscini bianchi di morbide piume d'oca e un salsicciotto blu per sostenere il collo, in caso di problemi cervicali. Nella parete sopra la testata del letto c'era una magnifica foto di Annabel a grandezza naturale, insieme a tutte le altre hostess del Casinò.
– Prendi pure quello che vuoi dal frigo – gridò Ann dal bagno – è tutto offerto dal Bellagio.
Jack lo aprì e prese due bottigliette di Jack Daniel's etichetta nera, il suo whisky preferito.
La stanza era immersa nella penombra. L'unica luce accesa era quella del bagno, mentre dalla tenda della finestra filtravano debolmente le luci della città.
Mentre stava sorseggiando la prima, steso comodamente sul letto per provarne la comodità in caso di futuri sviluppi della serata, avvertì una presenza fuori dalla porta. Si rese conto che il letto era girato proprio in modo che non si potesse vedere chi entrava.
L'intruso non aveva fatto rumore, o se lo aveva fatto era stato coperto dallo scroscio dell'acqua in bagno. La luce del corridoio che filtrava sotto la porta si era interrotta un attimo ed era stato quello a mettere in allarme Jack.
Con un balzo scese dal letto, si impadronì del coltello a serramanico che teneva in un calzino e si appostò dietro la porta. Il tutto in tre secondi: il tempo che ci mise lo sconosciuto ad attivare la serratura con una chiave elettronica, ovviamente un passe-partout, ed entrare con circospezione, mentre Ann continuava a far scorrere l'acqua.
Un uomo corpulento entrò senza fare rumore. I suoi passi erano coperti dalla moquette del pavimento, ma questo agevolava anche Jack, che si mise a seguirlo a poca distanza. Quando raggiunse il letto, rimase sorpreso nel trovarlo vuoto. Guardò a sinistra, poi a destra e in quel momento Jack ne approfittò per afferrargli un braccio e torcerlo con forza dietro la schiena, mentre gli teneva il coltello premuto sulla gola.
Poi gli sussurrò: – So perché sei qui e non so cosa mi trattenga dal tagliarti la gola subito. Il vostro trucco per ripulire i gonzi era vecchio già prima che io nascessi, e da quando sono entrato in polizia, ho imparato a trattare i vermi come te.
Jack fece un'ulteriore pressione sul braccio, e l'uomo pronunciò un sommesso lamento, facendogli capire che insistendo glielo avrebbe rotto.
L'intruso non era tanto alto, ma era grosso e vestiva di nero. Jack pensò che fosse lo stesso uomo che aveva minacciato Ann nel parcheggio, quindi gli domandò: – Sei Luke?
– S-sì – rispose lui, balbettando.
– Fino a quando resterò in città, non ti voglio più vedere – gli disse. – Se ti avvicinerai a lei a meno di un chilometro, ti farò incontrare alcuni miei amici. Conosco persone molto cattive, capaci di frantumare a una a una le più di duecento ossa che ti ritrovi. Non farti vedere in giro o quando uscirai dall'ospedale, fra sei mesi, ti sbatterò in galera.
L'uomo fece un cenno di assenso con la testa e Jack sentì che stava tremando. Aveva esagerato un po', attribuendosi un incarico in polizia, ma aveva considerato il suo avversario stupido abbastanza da credere a qualsiasi cosa.
Sempre tenendogli il coltello appoggiato alla gola, lo accompagnò alla porta. Quando fu sulla soglia, gli diede un potente calcio nel didietro, mandandolo per terra in corridoio. Poi aspettò che si rialzasse e lo seguì con lo sguardo, puntandogli contro un dito, finché non sparì in uno degli ascensori.
Richiusa la porta, mentre riponeva la piccola arma nel calzino, Jack pensò ancora una volta che tutti i suoi piani erano andati al diavolo. Ann era un'esca per sprovveduti e aveva solo perso tempo.
Be', perso non era la parola giusta, considerando che la donna gli piaceva molto e che le probabilità di passare la notte con lei erano notevolmente aumentate, dopo quello che era successo.
Quell'idea però non lo confortava. Domani sarebbe tornato al Casinò e avrebbe ricominciato da zero. Eppure le informazioni davano per certo che ogni tanto la - donna del mistero - scendeva in sala. Una persona come lei non poteva aver a che fare con un idiota simile, per cui... non era possibile che fosse Annabel.
Jack si sedette sulla poltrona, nella parte della stanza più in ombra, accavallò le gambe e aspettò.

Quando Ann uscì dal bagno, avvolta solo in un grande asciugamano bianco, si guardò intorno, sorpresa di non vedere nessuno. Jack aspettò di sentire se avrebbe chiamato per nome lui o il marito, confermando in questo caso che tutte le sue attese erano andate in frantumi.
Lei all'inizio non disse nulla, poi esclamò: – Jack!
– Brava, Annabel. Hai capito che per ogni evenienza sarebbe stato meglio chiamare me, invece di tuo marito.
– Che cosa stai dicendo? Perché avrei dovuto chiamare Luke?
– Credi che lui non sia ancora venuto? Mi dispiace per te, ma non è andata così. Mi sono accorto subito della trappola, e quando è entrato di soppiatto, l'ho spaventato e messo in fuga. È bastato raccontargli una balla ed è scappato come un topo. Perché mi hai fatto questo, Ann? Credevo ci fosse qualcosa fra noi.
– Hai ragione a essere arrabbiato – piagnucolò lei – ma ti posso spiegare tutto, se mi lasci parlare.
– Io non sono arrabbiato, sono deluso. Talmente deluso che avevo pensato di lasciarti i diecimila sul tavolo e andarmene, ma poi ho preferito aspettare che tu uscissi dal bagno. Volevo vedere il tuo volto e capire, se era possibile, il motivo di un comportamento così meschino. Posso comprendere, anche se non giustificare, che tu sia abituata a questo genere di vita per i motivi che mi hai raccontato, ma non riesco a credere che tu l'abbia fatto anche con me. Dopo quel bacio, Annabel, mi tratti in questo modo? Mi sono confidato con te mentre tu stavi pianificando di farmi rapinare da quell'animale?
Jack si alzò per lasciare la stanza, ma lei lo fermò, abbracciandolo da dietro e scoppiando in lacrime.
– Lui mi costringe – gli disse singhiozzando. – Sono ricattata per via del divorzio, te l'ho detto. È un bruto, e se non faccio ciò che dice, mi picchia con quello che capita. Io mi proteggo il volto, perché con dei lividi in faccia non potrei lavorare. Se non guadagno abbastanza, diventa anche più cattivo. Non puoi immaginare come mi riduca quando perde il controllo. Un mese fa sono dovuta andare al pronto soccorso. Non avrei voluto portarti qui, ma ho avuto paura. Perdonami Jack, ti prego. Non sopporto la disapprovazione che leggo nei tuoi occhi. Prima hai detto che credevi fosse scattata una scintilla tra noi ed era vero. Qualcosa è successo anche a me, dopo quel bacio. Se al tuo posto ci fosse stato un altro, avrebbe preso uno schiaffo e me ne sarei andata, ma... c'eri tu.
– Senti, Ann – le disse a quel punto Jack.
– No, hai ragione – lo interruppe la donna, lasciandolo andare e allontanandosi da lui. – Non mi sono fidata di te e ho sbagliato. Avrei dovuto dirti nel Mc Donald che cosa sarebbe successo qui e insieme avremmo trovato la soluzione. Peggio per me, in fondo me lo merito. Vattene via, scappa da questa stupida donna. Come hai detto tu, sono in un circolo vizioso da cui non uscirò mai. Non da sola, almeno. Chissà, forse un giorno incontrerò qualcuno che mi aiuterà e a cui potrò donare il mio cuore, ma fino ad allora, tutto quello che mi capiterà sarà stata colpa mia. Sono stata sciocca e ti chiedo solo di ricordarti ogni tanto del bacio che ci siamo dati, così come rimarrà stampato per sempre nella mia mente.
– Stai zitta e ascolta – disse Jack, raggiungendola e prendendola per le spalle.
Lei si girò verso di lui, tenendo gli occhi bassi.
– So che cosa vuol dire aver paura delle conseguenze e posso capirti, anche se non ti giustifico. Però... se è vero ciò che hai detto... se quella scintilla è scoccata veramente e non stai recitando una parte...
– Te lo giuro – disse Ann, appoggiando la testa al suo petto e stringendolo forte a sé. – So che dopo quanto è successo ti è difficile credere alle mie parole, ma ti giuro che è solo il terrore che ho di quell'uomo che ci ha portati a questo.
Jack sentì il calore del suo corpo attraverso l'asciugamano e la abbracciò delicatamente.
– Devi lasciare quel lavoro. Andremo via insieme, se vuoi. Faremo perdere le nostre tracce e quella bestia non ti infastidirà più.
– Non posso, mi serve la sua firma su quel documento. Capisci che cosa significa per me essere veramente libera? Voglio essere libera accanto all'uomo di cui mi sto innamorando.
– Ti stai innamorando di qualcuno? Devo sapere chi è il fortunato, non credi?
– Cretino! – disse Ann.
– Ecco la donna che conosco – disse Jack, appoggiando di colpo le labbra alle sue.
Lei chiuse gli occhi, socchiuse la bocca e si diedero un bacio identico a quello della sala Vip. Aveva la stessa intensità, e Jack l'accarezzò nello stesso modo. Ad Ann parve di perdere il contatto con il terreno e si abbandonò completamente a lui.
Quando si separarono, lei disse: – Che lavoro potrò svolgere, una volta finito tutto? So fare solo la hostess, oppure la cassiera al bar.
– Devi lasciare questo mondo. Vieni, ti faccio vedere una cosa.
Jack staccò dalla parete il quadro con l'immagine di Annabel e la trascinò in bagno, davanti allo specchio.
– Confronta ciò che vedi in questa foto con quello che ti mostra lo specchio. Ora non hai il fondotinta, né l'ombretto sugli occhi; non hai il fard, il mascara e nemmeno il rossetto. A me non importerebbe se una donna come te facesse la commessa di un negozio qualsiasi, ti farei la corte senza esitazione. Devi smettere subito di fare questa vita, non puoi aspettare di sfiorire anno dopo anno. Il tempo passa in fretta, soprattutto quando sei infelice. Ti sto offrendo l'occasione di lasciarti tutto alle spalle: coglila, altrimenti lo rimpiangerai per sempre.
– Sei un bravo ragazzo Jack, vorrei averti incontrato prima. Ci conosciamo da poche ore, ma sento già che potrei innamorarmi di te – disse Annabel, stringendo il suo viso tra le mani e cercando nuovamente le sue labbra.
Jack le sorrise e la ricondusse in camera.
– Questa sera hai vissuto troppe esperienze spiacevoli, piccola, e sento che sei ancora agitata. Stai tremando tutta.
Jack allargò le braccia in modo invitante, Ann si avvicinò e lui la strinse a sé con calore. Era sempre avvolta dall'asciugamano con cui era uscita dalla doccia. Il suo corpo premeva contro quello di Jack e lui lo sentiva attraverso i vestiti. Avvertiva soprattutto la sua quarta misura, e qualche effetto su di lui stava già manifestandosi.
Dopo averla tenuta stretta qualche minuto, il respiro di entrambi diventò pesante. Jack le accarezzò delicatamente le spalle scoperte, mentre lei faceva altrettanto con la sua schiena. Poi raggiunse il suo viso. Le sfiorò le guance e la fissò negli occhi. Quello che gli sguardi comunicavano era evidente a entrambi.
Con studiata lentezza avvicinò le labbra a quelle di Ann; lei chiuse gli occhi e si baciarono. La mente della donna volò via.
Jack sperò con tutto il cuore di essersi sbagliato nel pensare di essersi sbagliato.
Daniele Missiroli
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