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Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Lanfranco Pesci
Titolo: Grimori - Il Risveglio del Male
Genere Fantasy
Lettori 3731 41 60
Grimori - Il Risveglio del Male
Rinnovamento dello Spirito.

Rimini, 1° maggio 2019.
Laureen era impaziente, attendeva con ansia che le cerimonie iniziassero, questa era la prima volta che partecipava ad una Convocazione Nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo, le erano stati promessi grandi prodigi ai quali non vedeva l'ora di assistere.
Quando aveva cominciato a frequentare la parrocchia del Santissimo nome di Gesù non avrebbe mai immaginato che un giorno il suo cuore si sarebbe sentito così pieno di gioia.
Quella gioia che per lunghi anni non aveva più provato.
Forse il ricordo più bello della sua infanzia perduta era il suo quindicesimo compleanno, quando finalmente i suoi genitori le avevano regalato quel cellulare che tanto aveva desiderato di avere.
Quel cellulare che le avrebbe permesso di parlare con le sue amiche restando comodamente sdraiata sul letto della sua camera. Che le avrebbe permesso di condividere i propri segreti con l'amica del cuore che alcuni mesi prima era dovuta partire per seguire suo padre e il suo nuovo lavoro a mezza giornata di distanza.
Non si erano più viste da allora, l'ultimo gesto di Stephanié era stato consegnarle quel biglietto con il suo numero di cellulare.
Il suo dolore era stato grande, sapeva che non l'avrebbe più sentita fino a quando non ne avesse avuto uno.
Più volte Laureen aveva chiesto a suo padre di prestarle il suo per chiamare la sua amica, ma il permesso le era stato sempre negato.
Suo padre voleva darle una gioia più grande, comprargliene uno tutto suo, che le permettesse di restare in contatto con Stephanié e chiamarla ogni volta che volesse.
Quel momento finalmente era arrivato.
Il suo quindicesimo compleanno, un traguardo che le avrebbe permesso di avere una vita virtuale al pari delle sue amiche che frequentavano i social da anni, e che lei aveva sempre invidiato.
Si era divertita molto alla sua festa, le amiche le avevano fatto dei bei regali, un costume da bagno, un bracciale, un paio di scarpe rosse con il tacco, perfette da sfoggiare nelle serate e alle feste.
Ma la gioia fu ancora più grande quando vide suo padre consegnarle un pacco con una coccarda.
- Così non dovrai più chiedermi di prestarti il mio - le aveva detto così.
Davvero un padre splendido.
Laureen aprì in fretta il pacchetto, scoprendo che finalmente avrebbe avuto la possibilità di entrare in un mondo in cui, al pari delle proprie amiche, avrebbe avuto un'identità virtuale.
Si erano precipitate sul divano ad avviare subito il dispositivo per inserire la scheda con il suo nuovo numero da copiare in tutte le rubriche.
Una giornata memorabile.
Fu proprio quel telefono però, che due giorni dopo, mentre stava guardando la sua serie TV preferita distesa sul divano, le diede la notizia più terribile della sua vita, almeno fino a quel momento.
Dall'altro capo c'era suo zio, Leonard, le aveva detto di restare a casa perché sarebbe passato a prenderla dopo pochi minuti. Non le diede alcuna spiegazione, le disse soltanto di prepararsi.
I tentativi di chiamare i suoi genitori al telefono furono vani, risultavano entrambi non raggiungibili.
Leonard era il fratello di sua madre, per lei aveva sempre manifestato simpatia e a lei non dispiaceva. Si era sempre dimostrato affettuoso e le aveva fatto molti regali.
Cinque anni prima aveva perso sua moglie per un tumore al seno, una tragedia che lo aveva colpito profondamente, aggravata dal fatto che nonostante i quindici anni di matrimonio non erano mai riusciti ad avere figli, seppur sottoponendosi a cure mediche mirate.
Suonò al citofono e le disse di scendere.
Appena la vide, lo zio Leonard la strinse in un forte abbraccio, conscio che da quel momento la vita di quella quindicenne sarebbe cambiata radicalmente.
Il suo alito puzzava di vino ma lei non disse nulla, non riusciva ancora a capire il motivo di quell'uscita frettolosa.
Leonard salì in macchina senza dire una parola.
Laureen cercò di chiedere delle spiegazioni senza ricevere risposta, poi decise di tacere, rassegnata. Un senso di paura stava iniziando a pervadere il suo giovane cuore.
Una paura che divenne ancora più forte quando vide la macchina imboccare il viale dell'ospedale.
A nulla servirono le sue domande sempre più insistenti.
Un'auto della polizia li aspettava sul vialetto che portava all'ingresso dell'obitorio.
Quella notte i suoi genitori avevano perso la vita in un incidente stradale. La loro auto si era andata a schiantare contro il muro laterale dell'ingresso di una galleria mentre rientravano da una visita di cortesia a casa di un'amica di famiglia.
I testimoni avevano affermato di aver visto l'auto sbandare improvvisamente, prima che si andasse a schiantare contro il muro ad una velocità sostenuta.
Quel giorno Laureen aveva chiesto ai suoi genitori di poter restare a casa, non aveva alcuna voglia di sprecare la sua serata con una noiosa visita di cortesia, soprattutto perché in TV c'era la sua serie preferita.
Sua madre le aveva dato il permesso, raccomandandosi che si chiudesse a chiave in casa durante la loro assenza, dicendole che non sarebbero rientrati tardi.
Per giorni aveva desiderato di tornare indietro nel tempo e di non aver chiesto di non andare con loro, magari con la sua presenza avrebbe potuto evitare quel terribile incidente. Nei momenti di maggiore sconforto, in preda al dolore e tra le lacrime, aveva anche desiderato di essere lì con loro nell'incidente, per non dover vivere quell'inferno e restare sola con ancora tutta una vita davanti a sé.
Ma il calvario non era finito.
Andò a vivere con il parente più prossimo che le fosse rimasto, suo zio Leonard, che inizialmente si dimostrò affettuoso e premuroso, ma che dopo pochi mesi si rivelò il mostro peggiore che lei avesse potuto conoscere.
In preda ai fumi dell'alcool aveva dapprima cominciato a molestarla, fino a divenire sempre più insistente, per arrivare al culmine della sua perversione durante una fredda notte di febbraio.
Abusò di lei per quasi un anno, fino a quando Laureen non prese coraggio e raccontò tutto a Stephanié.
In quel periodo Laureen si convinse che sarebbe stato molto meglio morire in quell'incidente, piuttosto che continuare a vivere in quell'incubo.
Dopo che lo zio Leonard venne arrestato lei fu affidata ad una casa famiglia, seguita giornalmente da una psicologa del consultorio comunale.
Dopo essersi totalmente integrata nella comunità, gli incontri con la psicologa si erano fatti sempre meno frequenti, fino a quando con il compimento del diciottesimo anno, la relazione medica dichiarò che Laureen si era totalmente ripresa dai terribili traumi che avevano indelebilmente segnato la sua gioventù.
Con la maggiore età le fu possibile scegliere se restare nella casa famiglia o farsi una propria vita.
Così decise di restare con i suoi nuovi amici, almeno fino a quando non avesse terminato gli studi, per poi decidere se proseguire o meno.
Le donne della parrocchia del Santissimo Nome di Gesù l'avevano aiutata molto nel suo percorso di recupero, si erano dimostrate sempre presenti e lei spesso le aiutava a riassettare la chiesa dopo le celebrazioni più affollate.
Si trovava bene con loro, si sentiva amata e coccolata, un amore che la vita le aveva tolto troppo precocemente.
Un giorno la direttrice le aveva chiesto di accompagnarla ad una riunione del gruppo di Rinnovamento nello Spirito Santo.
- Sarà un'esperienza davvero gratificante - le disse.
Fu proprio così.
Laureen aveva scoperto un nuovo percorso, ed aveva deciso di seguirlo con convinzione.
Partecipò a tutte le riunioni successive, le piaceva condividere le proprie esperienze negative con gli altri membri della comunità. La facevano sentire più libera, il peso del suo passato non era più così insopportabile.
Scoprì che le piacevano le messe animate e le messe cantate. Partecipò a diversi incontri di effusione dello Spirito Santo. Quelle esperienze la facevano sentire molto inquieta, e la ragione di quest'inquietudine la ritrovava nel suo passato da dimenticare, e negli incubi che erano sempre molto frequenti.
La notizia di quella Convocazione Nazionale presso Rimini l'aveva rallegrata, finalmente avrebbe potuto assistere ad un evento che l'avrebbe cambiata, che avrebbe rinnovato il suo spirito e le avrebbe fatto recuperare quella gioia di vivere che ormai aveva perso.
Le avevano promesso grandi cose, che si sarebbero di lì a poco manifestate in tutta la loro grandezza.
Il programma prevedeva il saluto di benvenuto a tutti i presenti da parte del presidente nazionale ed una serie di celebrazioni animate dalle comunità di tutta Italia.
Verso sera si sarebbe celebrata la cerimonia di effusione delle Spirito Santo, un rito attraverso il quale si ravviva il sacramento del battesimo, e in cui con l'esposizione dell'ostensorio del Santissimo Sacramento e l'imposizione delle mani del celebrante e dei presenti si invoca lo Spirito Santo, affinché ravvivi nei presenti la loro iniziazione cristiana.
É proprio in quel momento che l'assemblea avverte una straordinaria forza permeare nell'ambiente attorno ai fedeli, una forza che risveglia le entità estranee che si mescolano tra gli astanti.
Gruppi di animazione si erano succeduti in canti e preghiere collettive, sotto la direzione di un abile oratore che sapeva coinvolgere i presenti.
Laureen era contenta, si guardava attorno sorridendo, osservando tutta quella gente colma di amore per Cristo e desiderosa di dimostrare il suo amore con la partecipazione alle animazioni. Il tutto sembrava quasi surreale.
Nella folla aveva visto molti gruppi numerosi di ragazzi, che si abbracciavano e si volevano bene.
Appena arrivata a Rimini, prima di raggiungere il capannone era andata con gli altri verso l'immensa area attrezzata che era stata allestita per accogliere i convenuti. Era passata tra una moltitudine di tende da campeggio montate da ragazzi e ragazze che si erano trasferiti lì per qualche giorno, per vivere a pieno il raduno, senza la difficoltà di trovare un parcheggio o un posto in albergo dove dormire.
Alcuni ragazzi le avevano sorriso, ormai non era più una bambina e la sua femminilità stava sbocciando giorno dopo giorno. Uno di loro le aveva persino inviato un bacio con la mano.
Aveva sentito un senso di disagio.
Purtroppo le sue uniche esperienze sessuali erano state le orribili violenze subite da parte di suo zio Leonard. Nella sua mente, fino a quel momento il sesso non era stato altro che un'esperienza orribile che aveva cercato di rimuovere dai suoi pensieri.
Ogni volta che le era capitato di pensare ad un ragazzo, le si era presentata davanti agli occhi l'orribile figura di suo zio che si stendeva sopra di lei. Le tornava alle narici persino il puzzo del suo sudore e le sembrava addirittura di sentire ancora i gemiti di quell'uomo.
In più di un'occasione aveva pensato di afferrare un coltello e piantarglielo nella gola, oppure piantarselo nella sua.
Non aveva mai trovato il coraggio.
Dopo aver visitato l'area di ristoro ed aver incontrato i rappresentanti di altri gruppi di rinnovamento nello spirito, si erano avviati in fretta al capannone dove si sarebbe tenuto il raduno.
Ormai erano lì da ore, e nel suo corpo non sentiva affatto un briciolo di stanchezza.
L'ultimo evento della giornata sarebbe stata la cerimonia di effusione dello Spirito Santo.
Ci furono lunghi minuti di silenzio in cui il celebrante e gli altri chierici prepararono l'altare e l'ostensorio del Santissimo Sacramento.
Il momento tanto anelato era giunto.
L'oratore annunciò l'inizio della cerimonia. I musicisti che si trovavano a sinistra dell'altare, disposto nella parte centrale di uno dei lati corti del grosso capannone allestito per l'evento, cominciarono a suonare con le loro chitarre, un ritmo piacevole e ripetitivo.
Poi il celebrante iniziò la sua processione tra la folla seguito dai chierici con l'ostensorio e i turiboli dell'incenso, ripetendo a gran voce frasi liturgiche, esortando i presenti a fare lo stesso al ritmo delle chitarre.
- Gloria a te, vieni a salvarmi, tocca il mio corpo - queste frasi venivano ripetute innumerevoli volte facendo aumentare il trambusto e le vibrazioni nel grande capannone.
Il celebrante aveva le sue braccia distese al cielo con i palmi delle mani rivolti verso le folle, lo stesso facevano tutti i presenti, invocando lo Spirito Santo affinché si effondesse in ognuno di loro.
Laureen cominciò a sentire una strana forza vitale pervadere il suo corpo, dai piedi fino ad arrivare alla testa.
I prodigi che le avevano annunciato stavano davvero accadendo vicino a lei.
Si guardava attorno, la copertura blu del grande capannone sembrava quasi aprirsi al cielo sotto la forza di quelle vibrazioni. La luce dei faretti disposti su tutta la superficie della volta si faceva sempre più intensa ai suoi occhi. Gli schermi che trasmettevano immagini del volto di Cristo divennero quasi accecanti.
Improvvisamente il profumo dell'incenso emesso da uno dei turiboli arrivò alle sue narici, ne restò inebriata.
Sentì una strana energia svilupparsi nel suo petto, divenne così forte da essere insopportabile.
Straziata da quel dolore cominciò ad urlare e dimenarsi in tutte le direzioni con sgomento dei presenti che cercavano di calmarla.
Le sue urla attirarono gli sguardi di tutti, anche i più distanti. Sembrava in preda alle convulsioni.
Quattro uomini con lunghe tuniche marroni, dai lati della grande navata, cominciarono a muoversi verso di lei.
Altre urla cominciarono a provenire dal fondo del salone mentre la processione del Santissimo Sacramento continuava a muoversi tra la folla e i canti proseguivano al ritmo delle chitarre.
I quattro l'afferrarono per le braccia e fecero quasi difficoltà a trattenerla. L'accompagnarono verso una stanza che era stata appositamente allestita sul perimetro del capannone e la costrinsero a sedersi su una poltrona. Con una spessa fune le legarono i polsi, la schiena e le caviglie alla sedia, per impedirle di muoversi liberamente.
Mentre la cerimonia continuava, altri due individui vennero portati nella stessa stanza. Avevano manifestato i suoi stessi sintomi.
Una volta legati anche gli altri, i dodici uomini presenti chiusero le porte a chiave e si sfilarono le lunghe tuniche scure, rivelando il loro sai di un colore bianco candido, con una grossa croce bianca e rossa ricamata sul petto e gli stivali di cuoio ai piedi.
L'esorcismo poteva cominciare.
Quattro di loro accesero i carboncini d'incenso contenuti in quattro secchielli disposti agli angoli della stanza, mentre un quinto ne afferrò uno ricolmo di acqua santa e vi intinse l'aspersorio.
Iniziò ad aspergere il liquido per tutta la camera, sui suoi confratelli e sui tre individui legati alle sedie.
Al tocco di quelle gocce benedette i tre posseduti si dimenavano ed emettevano gemiti di dolore, mentre i loro volti si facevano sempre più cupi e i loro occhi carichi di odio.
Undici sacerdoti dei dodici presenti, con il capo chino e le mani giunte davanti al petto, cominciarono a pregare con voce bassa ma insistente.
L'ultimo teneva un libricino premuto contro la sua fronte e formulava frasi con una voce che si sovrapponeva a quella degli altri.

Formula di esorcismo in circostanze particolari.

- O glorioso San Michele Arcangelo,
principe dell'esercito celeste,
difendici nella lotta contro i dominatori
di questo mondo di tenebre e contro
gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.
Vieni in aiuto agli uomini
che Dio ha creato a propria immagine
e riscattato a caro prezzo dalla tirannia del demonio.

La santa Chiesa ti venera come suo custode e patrono.
Il Signore ti ha affidato la missione
di accogliere nella felicità del cielo le anime dei redenti.
Prega il Dio della pace
perché schiacci Satana sotto i nostri piedi,
impedendogli di continuare a tenere gli uomini in
schiavitù e di nuocere alla Chiesa.

Porta le nostre preghiere al cospetto dell'Altissimo,
perché presto ci venga incontro la sua misericordia.
Incatena il drago, il serpente antico,
colui che è diavolo e Satana:
legalo e gettalo nell' abisso,
così che mai più seduca gli uomini.
Amen. -


Dopo aver terminato la preghiera si avvicinò a Laureen, guardandola negli occhi che ormai avevano le pupille di un colore arancio.
- Dimmi il tuo nome demone immondo, che strazi il corpo di questa povera ragazza indifesa - .
Le labbra della ragazza cominciarono a muoversi lentamente, poi la sua voce cupa e possente si udì come un tuono.
- Ti dirò il mio dopo che tu ti sarai presentato al mio cospetto - .
- Io sono Lucius, Grande Araldo cacciatore di demoni - .
Il demone esplose in una sonora risata.
- Cacciatore hai detto? Potrei schiacciarti con un solo passo. Il mio nome è Asraél, demone del fuoco e sono qui per dimostrarvi la potenza del mio signore - .
Uno dei sacerdoti tirò fuori dalla tasca del saio un sacchetto, con due dita prese una pietra dal colore rosso acceso e si portò dietro Laureen, ponendole una mano sul capo.
Il Grande Araldo si spostò verso il secondo e ripeté la stessa domanda.
- Eshùn, questo è il mio nome. Demone dell'acqua e signore delle piane di Tenehel - .
Un altro sacerdote tirò fuori dal suo sacchetto una pietra blu e si posizionò dietro di lui imponendogli una mano sul capo.
Toccava all'ultimo.
- Il tuo nome! Immondo venuto dalle tenebre - , la sua sola voce bastava a fiaccare la forza dei tre abomini che aveva davanti.
- Amantaél, premiato per la fedeltà dimostrata al mio signore - .
- Sei tu un demone dell'aria? - .
- No - .
- Sei tu in demone del fuoco? - .
- No - .
- Sei tu un demone della terra? - .
- Si. La terra è il mio dominio, e vi schiaccerò con le mie mani - quel demone dimostrava arroganza, anche se sapeva di essere in una posizione di netto svantaggio.
Un altro sacerdote prese uno smeraldo dal suo sacchetto e si posizionò dietro al terzo uomo, ponendogli una mano sul capo.
Lucius impose le mani davanti a sé, mentre gli altri che si trovavano dietro i demoni pronunciavano formule a bassa voce, premendo le pietre che avevano in mano contro la nuca dei posseduti.
Dai corpi dei tre ragazzi legati alle sedie cominciarono ad uscire filamenti di luce, che confluivano verso le pietre saldamente tenute dai sacerdoti. Venivano inglobate nelle strutture cristalline una per una, fino a quando anche l'ultima venne assorbita.
I tre con le pietre in mano guardarono Lucius e fecero un cenno con la testa. I demoni erano stati imprigionati.
Finalmente Laureen e gli altri due malcapitati sarebbero potuti tornare nuovamente alle loro vite, senza temere più le forze delle tenebre.
Come sempre, quei raduni di fedeli, organizzati da molte comunità in tutto il mondo, erano occasioni preziose per scovare dove si fosse insinuato il male, estirparlo dai corpi dei malcapitati e infonderlo nelle pietre preziose per poterne sfruttare il potere.
Gli araldi chiamarono nuovamente gli accompagnatori di quei giovani, per invitarli a riaccoglierli nelle loro comunità e gioire per loro, grazie a quel raduno erano stati liberati dal maligno che li aveva afflitti fino a quel momento.






2
IL PROCESSO

Torino, Palazzo di Giustizia, 27 aprile 2020

William era pronto a fare il suo ingresso nell'aula del tribunale, quel giorno si sarebbe deciso se il suo calvario finalmente sarebbe giunto a conclusione o si sarebbe dovuto protrarre ancora per molto tempo.
Erano ormai quasi tre anni che la sua vita si era trasformata in un inferno, da quando la polizia aveva suonato al campanello della porta della sua abitazione nella periferia di Torino, arrestandolo con l'accusa di omicidio.
Due mesi prima, durante un'escursione sulle colline nei pressi della cittadina di Pavullo nel Frignano, nel modenese, la sua fidanzata era misteriosamente scomparsa in una situazione alla quale nemmeno lui seppe dare una spiegazione convincente.
Lui e la sua fidanzata, Elèna Lamas, avevano organizzato quel weekend nella provincia modenese per visitare i luoghi della zona intrisi di mistero e di leggende.
Sin da quando si erano conosciuti avevano manifestato la comune passione per l'occulto e i misteri che avvolgevano numerose città e luoghi turistici d'Italia.
Non era il loro primo viaggio condotto per coltivare questa loro passione. Avevano visitato Roma, con i suoi mille misteri e leggende, Firenze, Napoli e molte altre zone turistiche d'Italia. Quel viaggio a Modena però, sicuramente fu l'ultimo che poterono affrontare insieme. Da quella escursione infatti, soltanto William aveva fatto ritorno, dopo essersi risvegliato disteso per terra, con la faccia nella terra e numerosi graffi sulle braccia e sul volto.
Vagamente ricordava cosa fosse accaduto nei suoi ultimi momenti di coscienza.
Dopo essersi risvegliato confuso e con indosso i suoi abiti ed uno strano amuleto appeso al collo, aveva cercato Elèna per più di un'ora, tra gli alberi, nelle radure e nelle valli circostanti, senza ottenere alcun risultato.
Nell'intento di cercare aiuto, si era diretto nuovamente verso la sua auto parcheggiata in un'area attrezzata poco distante dal punto in cui si era risvegliato, nelle immediate vicinanze di un luogo molto suggestivo presente nella zona: il Ponte del Diavolo.
Una meta turistica frequentata da semplici appassionati di escursioni e dagli amanti del mistero e dell'occulto. Quel luogo infatti, era noto per una misteriosa leggenda riguardante una roccia di formazione naturale che sembrava proprio essere un ponte, lungo una ventina di metri, che univa le due rive di un fiume immaginario, che da ricerche svolte dai geologi, non era mai esistito.
La leggenda narrava che un pastore che pascolava il suo gregge a pochi chilometri da lì, non riuscendo ad attraversare un fiumiciattolo, strinse un patto con il diavolo, chiedendogli di costruire un ponte in cambio della sua anima.
Nella stessa notte, mentre il diavolo stava trasportando quella struttura per onorare il suo accordo con il pastore, sorvolò un gruppo di streghe che stavano celebrando un sabba. Sentendosi invocato, dovette fermarsi per partecipare al rito che si prolungò ben oltre le sue aspettative, fino a quando non si fece l'alba.
Non potendo più onorare il suo accordo alla luce del giorno, fu costretto ad abbandonare il ponte in quel punto, sciogliendo il patto che aveva stretto con il pastore.
Quella struttura era rimasta avvolta nel mistero e negli anni era diventata meta degli amanti dell'occulto. Tutti gli appassionati che si recavano da quelle parti cercavano indizi che potessero fornire le prove che in quelle zone si praticassero riti alquanto particolari.
In molti avevano persino giurato di aver visto delle streghe accendere fuochi per celebrare sacrifici rituali di bestie e persino di esseri umani.
Gli inquirenti in passato avevano condotto delle indagini riguardo a quelle dicerie, al termine delle quali non fu trovato alcun riscontro a quanto fosse stato sostenuto dai cacciatori e dai fungaioli, quindi il caso era stato chiuso con un nulla di fatto.
Dopo essere giunto alla stazione dei carabinieri di Pavullo nel Frignano, William aveva raccontato la sua storia al carabiniere di servizio, che immediatamente aveva allertato il Comandante.
La macchina dei soccorsi si era subito messa in moto, e mentre un medico a bordo di un'ambulanza, giunta dinanzi alla stazione dei carabinieri, curava le ferite superficiali di William, i carabinieri del posto, aiutati dalla Guardia Forestale e dagli uomini della Protezione Civile, si erano recati nel punto indicato per svolgere una sommaria ricerca prima che calasse il buio.
I risultati furono negativi.
Alcuni testimoni incontrati nella zona, avevano confermato di aver visto due ragazzi, uno di sesso maschile e una di sesso femminile passeggiare in quei boschi. La descrizione fornita dell'aspetto del ragazzo corrispondeva con quello di William, ma della ragazza non vi era più alcuna traccia.
Le ricerche proseguirono per più di una settimana, ma non fu possibile individuare indizi che facessero presumere cosa fosse accaduto, se non le duplici tracce delle impronte lasciate dai due ragazzi, che si interrompevano esattamente nel luogo in cui William si era risvegliato, per poi riprendere singolarmente nel terreno circostante fino ad aree più distanti, e interrompersi nel punto in cui lui stesso era risalito a bordo della sua auto.
I sospetti nei confronti del ragazzo erano stati formulati sin dall'inizio, fino a quando, con l'acquisto di un biglietto aereo per Parigi, venne conclamata la sua presunta colpevolezza, che fece scattare l'ordine di custodia cautelare per pericolo di fuga.
Il suo avvocato difensore lo aveva rimproverato duramente per non averlo interpellato riguardo alle sue intenzioni di recarsi a Parigi. Se lui avesse saputo che voleva muoversi verso l'estero, lo avrebbe sicuramente informato della possibilità che potesse essere arrestato per pericolo di fuga, facendolo desistere dal viaggio.
Così venne portato nella casa circondariale di Alba senza più alcuna possibilità di poter svolgere le sue ricerche liberamente.
Durante uno degli estenuanti interrogatori ai quali era stato sottoposto, aveva commesso un altro grave errore. Confessare di ricordare vagamente di aver visto una strana figura che egli stesso definì una - strega - , ma di aver ritrattato durante gli interrogatori successivi.
Nel periodo di custodia cautelare, le autorità avevano perquisito la sua abitazione a Torino ed avevano requisito i suoi effetti personali, inclusi cellulare e computer, dai quali era stato immediatamente possibile verificare l'interesse del ragazzo per il mondo dell'occulto.
William, su consiglio del suo avvocato, si era persino sottoposto alla perizia psichiatrica, dalla quale scaturì la conferma della sua totale capacità di intendere e di volere. Lo psichiatra si era inoltre espresso riguardo a quella presunta visione della strega, definendola soltanto una visione che era stata generata dal suo cervello che in quel periodo era stato sottoposto ad un eccessivo stress.
La sua mente, per dare una spiegazione a quanto fosse accaduto alla sua fidanzata, si era appigliata alle sue credenze e a ciò da cui era stata suggestionata, generando quella visione fantasiosa della strega.
Le indagini erano proseguite per circa due mesi e William, consigliato dall'avvocato nominato per la difesa, aveva dichiarato di volersi sottoporre al rito abbreviato, conclusosi con una sentenza di colpevolezza ed una pena di reclusione a trenta anni per omicidio preterintenzionale e occultamento di cadavere.
L'avvocato difensore giudicò inammissibile una sentenza così formulata in quanto, a parere suo, le prove in possesso degli inquirenti non erano sufficienti a conclamare la colpevolezza del ragazzo, appellandosi anche al fatto che la sentenza fosse stata formulata da un giudice donna.
Nel frattempo William aveva cominciato a scontare la sua pena presso la casa circondariale di Alba, dove aveva addirittura stretto amicizia con altri detenuti e si era impegnato nell'estenuante tentativo di dare una spiegazione a ciò che era accaduto.
Presso la biblioteca del carcere aveva prelevato numerosi libri che parlavano di occulto e paranormale ed aveva avuto anche il permesso di poter utilizzare la postazione PC messa a loro disposizione per collegarsi ad internet ed effettuare ulteriori ricerche. Non era però riuscito a ottenere materiale a sufficienza a causa delle restrizioni imposte dal nuovo protocollo sperimentale, che da una parte autorizzava i detenuti a collegarsi ad internet dalla postazione della biblioteca, ma dall'altra li limitava alla navigazione esclusivamente su una lista di siti autorizzati.
Trascorsi i tempi burocratici, finalmente era giunto il momento del giudizio in appello.
L'aula del Palazzo di Giustizia era pressoché deserta, in quanto entrambi i ragazzi, vittima e presunto colpevole, erano orfani e non avevano parenti prossimi che potessero essere interessati al procedimento penale. L'interesse era stato manifestato perlopiù dalle testate giornalistiche e da altri individui che per motivi di carattere privato avevano deciso di seguire la vicenda.
Una ragazza in particolare, qualificatasi come Sophie, aveva deciso di prendere parte all'udienza, dopo aver scritto numerose lettere private a William, dichiarandosi vicina alla sua situazione e convinta della sua innocenza, senza però ottenere alcuna risposta da parte del ragazzo.
Scortato da due agenti del Palazzo di Giustizia, William andò a sedersi al banco degli imputati. Lui, così come il suo avvocato difensore, era molto fiducioso. In quella seduta finalmente sarebbe stato scagionato dall'accusa di omicidio.
Dopo alcuni minuti anche la Corte fece il suo ingresso in aula e tutti i presenti si alzarono, attendendo che il magistrato desse inizio all'udienza.
- Buongiorno signori della Corte, Pubblico ministero, avvocato e presenti tutti. In questa sede si deciderà della colpevolezza o meno del signor William Gregor De Foe, accusato di omicidio e occultamento del cadavere della signorina Elèna Lamas - .
Nel sentire quella frase, sul viso di William si delineò una leggera smorfia di disappunto. Da ormai troppo tempo si sentiva accusato di quel delitto che non aveva mai commesso.
L'unico a non avere alcun dubbio sulla sua colpevolezza era il Pubblico ministero, che si ostinava a voler dimostrare che fosse stato lui l'autore di quel gesto.
L'avvocato difensore fu invitato a prendere la parola per illustrare i motivi di quel ricorso in appello.
La strategia difensiva era fondata su due fatti fondamentali, il corpo della presunta vittima non era mai stato ritrovato e la sentenza di primo grado era stata formulata da un giudice donna, pertanto era stato viziato da pregiudizi di natura sessuale non applicabili al procedimento.
D'altro canto, dalla prima sentenza di colpevolezza, il giudice non aveva raccolto nuovi elementi fattuali che avessero potuto provare la colpevolezza dell'imputato, né tantomeno era stato rinvenuto il corpo della vittima, pertanto ne veniva richiesta l'immediata scarcerazione perché il fatto non sussisteva.
Prima di far ritirare la Corte in seduta privata per definire le decisioni del caso, il giudice voleva togliersi dei dubbi.
- Dall'esame del carteggio leggo che lei nutre una particolare curiosità per l'occulto. Mi spieghi verso cosa è rivolta questa curiosità - .
William si scambiò una rapida occhiata con il suo avvocato, che gli fece cenno di rispondere.
- Veda Vostro Onore, questa passione, per altro nutrita anche dalla signorina Lamas, consiste in null'altro che nell'interesse verso quei luoghi e quegli uomini la cui storia è avvolta nel mistero, in vicende non spiegabili dalla normale comprensione umana - .
- Così come è inspiegabile il motivo per cui lei abbia ucciso la signora Lamas e ne abbia occultato il cadavere. Magari l'ha costretta a sottoporsi a chissà quale sacrificio rituale e poi ha inscenato quella ricerca sulle colline - irruppe il Pubblico ministero alzandosi in piedi e con voce altisonante.
William restò calmo al suo posto, mentre l'avvocato difensore si alzò a sua volta.
- Vostro Onore. L'accusa del Pubblico ministero è infondata e non è possibile conclamarla con prove certe - .
I due si scambiarono un'occhiata di sfida.
Il giudice guardò il Pubblico ministero e lo invitò a mantenere la calma e a limitarsi alla constatazione dei fatti.
- Obiezione accolta. La prego continui signor De Foe - .
- In altre occasioni abbiamo visitato posti avvolti nel mistero e tutto era sempre filato liscio, fino a quel weekend sulle colline modenesi, in cui purtroppo non sono in grado di spiegare cosa sia accaduto - .
- In un rapporto degli inquirenti leggo che lei avrebbe dichiarato di ricordare vagamente di aver visto una strega prima di perdere conoscenza - .
Il difensore prese la parola prima che William potesse parlare.
- Vostro Onore. Mi consenta di rappresentarle che questo fatto è già stato preso in esame. Il mio assistito ha pronunciato quelle parole perché la sua mente, in maniera involontaria, non potendo dare una giustificazione all'accaduto, ha montato una spiegazione di comodo, confacente a quelle che sono le sue credenze. Ipotesi dichiarata plausibile dagli psichiatri interpellati e confermata dai rapporti assunti agli atti, relativamente ad altri casi similari - .
- Signor De Foe, lei crede che le streghe esistano? - la domanda del giudice risultò alquanto tendenziosa.
- Non lo escludo, così come non escludo che possa esistere un Dio creatore di tutto l'universo. Ma purtroppo non ne ho alcuna prova - .
L'avvocato difensore fece un sorriso, forse nemmeno lui sarebbe riuscito a dare una risposta così arguta. William aveva paragonato la sua credenza nelle streghe alla credenza condivisa da centinaia di milioni di persone su tutto il pianeta nel Dio creatore dell'universo.
- Come darle torto. Cosa mi dice invece dei graffi che aveva sulle braccia e sul volto? - .
- Non so darle una risposta - .
L'avvocato difensore si alzò e chiese la parola.
- Signor giudice, in merito ai graffi, le analisi condotte dai medici hanno appurato che non erano stati causati da unghia, in quanto risultavano prodotti da oggetti con una punta acuta, simile alle spine di un rovo. É plausibile che il mio assistito se li sia procurati durante una caduta - .
Il giudice già conosceva quei particolari, così come ogni altro membro della Corte.
Dopo altre domande sugli eventi che avevano caratterizzato quella giornata, dal momento in cui l'imputato si era recato dai carabinieri alla conclusione delle ricerche a notte inoltrata, dichiarò il termine della seduta, invitando tutti i presenti a tornare in aula dopo un'ora. La Corte avrebbe avuto il tempo necessario per concordare la sentenza.
Uscendo dall'aula accompagnato dalle due guardie per la breve pausa, William incrociò lo sguardo di quella ragazza seduta in quarta fila. Si domandò se fosse lei quella Sophie che gli aveva scritto in numerose occasioni, certa della sua innocenza.
Cosa avrebbe potuto spingere una ragazza a mandargli delle lettere mentre lui era in carcere? E perché tutta quella comprensione per la sua situazione?
Se avesse avuto elementi oggettivi per i quali essere convinta della sua innocenza avrebbe fatto prima a interfacciarsi con gli inquirenti. Non aveva alcun senso.
Passò poco più di un'ora, tutti gli interessati a quella vicenda avevano già ripreso il loro posto in aula. Mancava soltanto la Corte.
Finalmente la porta che dava accesso alla giuria si aprì. I membri entrarono e si posizionarono ai loro posti, restando in piedi.
Lo stesso fecero tutti i presenti, ansiosi di conoscere il verdetto.
Il giudice, con indosso gli occhiali da vista, dopo aver letto integralmente tutta la parte dell'intestazione, delle parti processuali, dell'oggetto del giudizio, l'antefatto e le motivazioni, arrivò a conclusione.
- La Corte pertanto, accoglie totalmente l'appello e riforma la sentenza n. 748/20 del Tribunale di Torino dichiarando l'imputato non colpevole perché il fatto non sussiste. Con questo, signori abbiano concluso, l'udienza è sciolta - .
Udendo queste parole l'avvocato difensore esultò dalla gioia. William si limitò a rivolgere lo sguardo al cielo, poi chiudendo gli occhi fece un lungo respiro. Finalmente avrebbe potuto riconquistare la sua vita.
Sophie sorrise, finalmente anche lei sarebbe riuscita ad avvicinare quel ragazzo e spiegargli il motivo per cui si era interessata alla sua vicenda.
Dopo che la Corte lasciò l'aula, William si avvicinò al suo avvocato e gli diede una forte stretta di mano, seguita da un abbraccio liberatorio.
- Il prossimo passo sarà la quantificazione del risarcimento per il periodo passato in carcere. Non preoccuparti William, avrai quello che meriti - .
- Nessun risarcimento potrà ricompensarmi più della libertà riconquistata. Comunque va bene, procedi in autonomia e avvisami quando ci saranno delle novità - .
I due si strinsero nuovamente la mano, poi un agente si avvicinò a William.
- Bene signor De Foe, quando vuole possiamo rientrare ad Alba per la procedura di scarcerazione - .
Il ragazzo sorrise e abbracciò anche il poliziotto.
- Non vedo l'ora - .
Insieme uscirono dall'aula dirigendosi verso la zona riservata alle autorità giudiziarie.
Sophie cercò di avvicinarsi il più possibile per potergli parlare.
- William, sono Sophie. Ti aspetterò davanti casa tua. Ho un sacco di cose da dirti - .
William la osservò un po' infastidito, senza dire una parola.
Nonostante quella ragazza fosse decisamente carina non riuscì ancora a comprendere il motivo per cui lo stesse molestando, prima con le lettere in carcere, ora addirittura personalmente.
In tutte le lettere che gli aveva mandato si era dichiarata convinta della sua innocenza. Gli aveva detto che non appena sarebbe stato dichiarato innocente l'avrebbe incontrato per spiegargli secondo lei come fossero andate le cose.
A lui non interessava come le cose fossero andate secondo lei, una sconosciuta di cui non sapeva nulla se non che fosse molto insistente. A lui interessava capire come fossero andate realmente le cose, per capire che fine aveva fatto la donna che amava.
Dopo quasi tre anni di reclusione non avrebbe di certo voluto impelagarsi in situazioni scomode, per il momento desiderava soltanto rimettere in ordine la sua vita e dedicarsi alle ricerche che non era riuscito a svolgere in carcere. Aveva le idee molto chiare su ciò che avrebbe fatto nei giorni seguenti. Per gli appassionati di occultismo e misteri era noto che di lì a qualche giorno si sarebbe celebrata una ricorrenza molto particolare: la notte di Valpurga.

3
LA CACCIA ALLE STREGHE

Labourd, Paesi Baschi, anno 1609

Pierre de L'Ancre era giunto nella cittadina di Labourd da soli pochi giorni, ma la notizia si era diffusa in fretta in tutta la provincia.
Enrico IV di Borbone volle che il magistrato si recasse in quelle terre per estirpare il demonio che ormai, secondo quanto gli era stato riportato dai suoi emissari e consiglieri, si era radicato in quella zona.
Pierre aveva già condotto cacce alle streghe in altri territori francesi ed italiani, con ottimi risultati. Soltanto in Italia aveva fatto giustiziare trentadue donne accusandole di stregoneria, unitamente a sei uomini che si erano opposti con la forza all'esecuzione di alcune condanne.
Manifestando opposizione alla sua opera di epurazione per rendere monde le anime di quelle donne, avevano essi stessi dimostrato di venerare il maligno, pertanto erano stati meritevoli della stessa condanna.
L'ideologia di Pierre de L'Ancre era molto radicale, per questo motivo era apprezzato dai potenti e temuto dai deboli. Si diceva che sulle streghe e sui loro riti ne sapesse più degli ecclesiastici. Dopo aver studiato giurisprudenza in Italia si era dedicato agli studi sulla stregoneria, viaggiando tra Torino e Praga, dove ebbe modo di conoscere molti alchimisti. Da loro apprese i segreti della materia e degli elementi, ed il modo in cui il mondo delle forze oscure esercitasse la sua influenza sul mondo terreno.
Al seguito di alcuni frati domenicani, in Italia, aveva preso parte a numerosi esorcismi in qualità di ausiliario, manifestando in più di un'occasione la sua fermezza di spirito e volontà di proseguire questa opera purificatoria attraverso il suo operato da magistrato.
In quel tempo i principali artefici della caccia alle streghe erano proprio i magistrati, che forti dell'influenza della Chiesa e degli ammonimenti che gli stessi papi formulavano a danno di governatori locali per le abitudini dissolute dei propri sudditi, venivano inviati a normalizzare la situazione, per evitare che il maligno si diffondesse tra la popolazione.
Le indagini erano state protratte per diversi giorni e Pierre, coadiuvato dai soldati che lo stesso Enrico IV gli aveva messo a disposizione, aveva condotto numerosi interrogatori, in cui la popolazione locale aveva manifestato le proprie impressioni sulle dicerie che si erano diffuse riguardo a quelle terre.
Le modalità di indagine condotte dal magistrato seguivano un copione ben preciso, che egli stesso aveva messo a punto nel corso del tempo.
Dapprima sentiva tutte le cariche importanti del posto, per circoscrivere i sospetti su determinate zone della provincia o quartieri delle città, poi, restringendo sempre di più la cerchia dei sospetti, procedeva ad effettuare interrogatori più mirati, nei quali ricorreva anche all'utilizzo di erbe e incensi.
Nel suo periodo trascorso in Italia aveva più volte constatato che gli spiriti maligni erano sensibili ad alcune essenze, come il sambuco, lo zenzero, l'erica e la ginestra, in presenza delle quali diventavano irrequieti e si manifestavano con più facilità.
La presenza di spiriti maligni a sua volta rivelava che l'individuo aveva avuto contatti con una strega, pertanto diventava più semplice individuare l'eventuale responsabile.
Dopo aver interrogato quasi duemila persone nel giro di poche settimane era pronto per passare alla seconda fase, circoscrivere l'area di ricerca dei sospettati e cercare di individuare i luoghi in cui venivano svolti i riti di evocazione del maligno.
Nulla poteva dare più soddisfazione che cogliere le streghe in fragranza di reato e portarle direttamente al patibolo, in quel modo avrebbe potuto procedere senza doversi scontrare con eventuali oppositori, perché avrebbe di certo agito con il consenso della popolazione.
Il suo piano era stato studiato fin nei minimi particolari.
Alcuni testimoni, durante gli interrogatori gli avevano raccontato di aver visto strani rituali essere celebrati nelle notti di luna piena nei pressi di alcune campagne.
Dopo aver visitato di persona quei luoghi con l'aiuto di altro personale di fiducia, aveva identificato esattamente i punti in cui con tutta probabilità dovevano essere celebrati i sabba.
Con l'avvicinarsi delle notti di luna piena fece credere agli abitanti della cittadina di Sare di aver terminato le indagini in quella zona e di essersi spostato nei pressi della cittadina di Ustaritz, dove aveva già fatto costruire un patibolo con una catasta di legna, dichiarando di aver già abbastanza materiale da poter avviare l'opera di purificazione.
Sentendosi più libere di agire, ora che il magistrato aveva levato le tende, le streghe della zona di Sare, l'area in cui erano state più numerose le testimonianze di riti perpetrati da parte di donne che si nascondevano nelle campagne, ripresero le loro cerimonie ed organizzarono diversi sabba, per celebrare il pericolo scampato.
Il demonio meritava di essere ringraziato per averle tutelate in quelle indagini che avrebbero potuto sancire la loro condanna a morte.
Pierre aveva messo in piedi quattro squadre da venti uomini, con i soldati che Enrico IV gli aveva reso disponibili e con uomini delle autorità locali, in modo da renderli direttamente testimoni nel caso in cui avessero avuto la fortuna di imbattersi direttamente in rituali di stregoneria.
Le squadre di ricerca si erano posizionate nei pressi dei siti in cui, dalle testimonianze della gente ascoltata negli interrogatori, e da ciò che avevano potuto constatare direttamente, con tutta probabilità dovevano svolgersi i riti. Due vicini alle campagne della periferia di Sare e due nei boschetti limitrofi, posti appartati e lontani dagli sguardi indiscreti di gente poco incline all'adorazione del maligno.
I primi segnali che qualcosa di importante stava per accadere non avevano tardato a manifestarsi.
In due dei siti segnalati e presidiati, stavano confluendo alcune donne dagli aspetti sospetti, intente nel preparare grossi falò per celebrare i loro sabba.
Pierre venne avvisato da due staffette così diede l'ordine di continuare a presidiare quei due luoghi, e di abbandonare i presidi da cui non erano giunte novità, in modo da aver maggior personale disponibile per procedere agli arresti.
Era molto contento di come si erano svolte le indagini, non aveva avuto grosse difficoltà ad individuare dove si fosse annidato il demonio, conferma che il Signore gli aveva affidato questa prestigiosa missione e lui si sentiva lusingato di questa responsabilità.
Negli anni passati in Italia, al seguito dei frati domenicani, aveva avuto modo di osservare con i propri occhi i prodigi del Signore, e purtroppo, anche di poter constatare la potenza del maligno, che si annidava tra le genti, non facendo alcuna distinzione tra poveri e ricchi, uomini e donne, giovani o anziani.
Con il calare della notte, in entrambi i siti, i riti erano iniziati, i falò erano stati accesi e i canti evocatori del maligno avevano cominciato a farsi sentire nell'area circostante.
In entrambe le cerimonie, le streghe avevano condotto un giovane ragazzo, sbarbato, puro e dalla pelle candida, che non si era ancora accostato con alcuna donna, il cui ruolo purtroppo era ben noto.
Nell'evocazione del maligno, le streghe avrebbero concesso il corpo di quel ragazzo al demonio in modo che potesse impossessarsi di lui, per poi avere rapporti sessuali con loro per tutta la notte fino all'arrivo del mattino.
Con la prima luce dell'alba, il ragazzo sarebbe stato sacrificato con una pugnalata al cuore, in modo da liberare il demone evocato. Il cuore poi sarebbe stato arso nei bracieri dei falò e mangiato dalle streghe.
Non era la prima volta che Pierre si imbatteva in riti così macabri, nelle sue esperienze passate aveva avuto il dispiacere di constatare che in alcune cerimonie si era giunti fino a sacrifici di bambini e di giovani vergini, quanto di più abominevole potesse accadere.
Aveva studiato molti trattati di magia e molti libri che riguardavano la caccia alle streghe, ma senza dubbio quelli che più risultavano di valore in quella perpetua lotta contro il maligno erano il Formicarius e il Malleus Maleficarum.
Il primo, redatto in volumi dal frate domenicano Johannes Nider, era composto in forma di dialogo tra un teologo ed un contadino ignorante, in cui il contadino stimolava l'intelletto del teologo con le domande più disparate su argomenti che manifestavano curiosità verso un mondo sconosciuto e pericoloso.
Il secondo, redatto dai frati domenicani Heinrich Kramer e Jacob Sprenger, dava precisissime istruzioni su come procedere agli interrogatori contro i sospettati di stregoneria, valutando anche i sistemi per individuare le menzogne e difendersi dagli effetti delle magie.
In uno dei due siti, dopo la prima fase di danze e canti, le streghe erano pronte per l'evocazione del demone che avrebbe posseduto il ragazzo.
Il giovane aveva le braccia dietro la schiena, legate ad un palo conficcato nella terra a poca distanza dal falò. Il calore in quel punto era molto alto ed avrebbe permesso al demone di infondersi con più facilità nel suo corpo.
Nel seguito di Pierre erano presenti anche due monaci domenicani, il loro compito sarebbe stato quello di esorcizzare i giovani, vittime di malefici e possessioni, subito dopo la cattura delle streghe.
Il magistrato aveva dato precisi ordini alle squadre di ricerca. Nel caso avessero sorpreso le streghe nelle celebrazioni dei sabba, le avrebbero acciuffate a rito inoltrato, poco prima dell'inizio dei rapporti sessuali con i malcapitati giovani condotti per quello scopo, in modo da dimostrare alle autorità locali presenti, di quali abomini fossero capaci quelle donne.
I soldati si attennero scrupolosamente alle sue disposizioni.
Non appena i riti di evocazione del maligno e di infusione nei giovani fossero terminati, fecero irruzione sui luoghi delle cerimonie, con grande sgomento delle streghe presenti, che immediatamente cominciarono a mandare malefici sui soldati e a lanciargli tizzoni di legno infuocati.
Pronti e addestrati non si fecero cogliere impreparati, riuscendo ad immobilizzare le megere e ad incatenarle per condurle al cospetto del magistrato.
Pierre era già giunto nella piazza centrale di Ustaritz, dove era stato avvisato da staffette a cavallo che gli interventi si erano conclusi in entrambi i siti con diversi arresti e che i membri delle autorità locali erano entusiasti del loro operato.
Aveva dato mandato ad alcuni uomini di correre a bussare alle porte di tutti gli abitanti della cittadina per avvisare che qualcosa di grande sarebbe presto accaduto nella piazza centrale. Presto le streghe sorprese a compiere rituali di stregoneria sarebbero state arse al rogo e la provincia avrebbe riconquistato la sua pace e la grazia in Dio.
Una folla di cittadini si era già radunata nella piazza del paese, dove enormi cataste di legname erano state ammucchiate attorno a pali piantati nel terreno. Patiboli perfetti per epurare quelle terre di confine.
Tutte le strade erano in fermento, la gente parlottava ed era curiosa di conoscere chi fossero coloro che si erano macchiati di terribili peccati agli occhi di Dio.
La vista di guardie a cavallo preannunciò l'imminente arrivo dei carretti con le celle che trasportavano i colpevoli.
Si fermarono a ridosso delle cataste di legna ed aprirono i pesanti cancelli. Dal primo carretto scesero tre donne e un ragazzo, mentre dal secondo quattro donne e un ragazzo. I due frati domenicani che erano al seguito del magistrato si avvicinarono ai due ragazzi. Già sapevano quale terribile trattamento doveva essere stato riservato a quegli sventurati e quale sarebbe stata la loro sorte se i sabba fossero giunti a conclusione.
Una delle sette streghe, appena scese dal carretto, provò a scagliarsi contro quell'uomo tutto impettito che aspettava al centro della piazza, senza riuscirci a causa delle pesanti catene con cui era trattenuta dalle guardie.
Ogni sorta di maledizione cominciò a fuoriuscire dalla sua bocca e da quella delle altre streghe, ma Pierre sapeva perfettamente che, in quanto strumento di Dio, quei sortilegi non avrebbero sortito alcun effetto su di lui.
Il governatore della provincia salì su un palchetto che era stato costruito quella stessa mattina a breve distanza dai patiboli.
- Guardate! Guardate quali abomini ha partorito la nostra terra! Queste donne sono state sorprese a venerare il diavolo nei boschi e nelle campagne di Sare! Hanno maledetto la nostra terra! Le ho viste con i miei occhi mentre celebravano i loro riti per sacrificare al maligno questi due giovani - .
I cittadini presenti ed accorsi numerosi si indignarono dinanzi a quelle parole.
Alcuni uomini cominciarono ad urlare a gran voce.
- Bruciatele vive! Maledette! - .
Pierre de L'Ancre si guardava attorno compiaciuto. La sua opera di purificazione stava per compiersi.
In passato era accaduto che la sua sentenza di condanna a morte non fosse stata accolta con favore da fazioni del popolo, invece in quel momento era il popolo stesso a chiedere che quelle donne fossero bruciate vive.
Gli aguzzini sapevano già cosa dovevano fare.
Incatenarono le streghe ai pali piantati nel terreno, alla sommità delle cataste di legna preparate per i roghi.
Lo stesso Pierre si avvicinò alle cataste di legna per porgere agli aguzzini le sentenze di condanna che aveva appena firmato sotto gli occhi dei cittadini, vistate anche dal governatore della provincia.
Una copia sarebbe rimasta agli atti, mentre l'altra sarebbe stata affissa al palo del patibolo, per essere bruciata insieme alle streghe.
Per dimostrare a tutto il popolo che quelle donne fossero adoratrici del diavolo, avrebbero rivelato che possedevano lo stigma diaboli, il marchio del diavolo.
Una prima verifica consisteva nel cercare quel marchio, nell'interno coscia di una delle due gambe, segno dei rapporti sessuali che aveva avuto con i demoni.
Ad una ad una, le donne furono costrette ad aprire le gambe e mostrare gli interni coscia. Alcune di esse si rifiutarono e furono prese con la forza e tenute a gambe aperte davanti agli astanti.
Soltanto due portavano il marchio, le altre cinque si lasciarono andare in lunghe risate di derisione nei confronti di quella folla che si era radunata tutta per loro.
- Pensate che bruciandoci su queste cataste di legna potrete allontanare il male da queste terre? Il male è ovunque! Tutto il mondo è suo, non siete altro che poveri burattini nelle mani del diavolo! - la strega continuava a ridere e urlare con la sua voce stridula, incurante di cosa sarebbe accaduto di lì a poco.
Uno degli aguzzini prese un lungo spillone e cominciò a pungolare le donne per dimostrare che non provassero dolore, segno che fossero possedute dal demonio.
Un altro, con una torcia ardente tra le mani, cominciò a sfiorarle con le fiamme, costringendole questa volta a contorcersi dal dolore.
Nel vedere cosa stava accadendo, alcuni presenti distolsero lo sguardo da quelle scene abominevoli.
I capelli di due delle donne cominciarono a prendere fuoco, lasciando le loro teste calve e ustionate.
Quando gli aguzzini furono soddisfatti del supplizio al quale avevano sottoposto le sette streghe, le legarono in maniera ancora più stretta ai pali, assicurando le braccia e il ventre con le catene, in modo che non potessero dimenarsi eccessivamente con il divampare delle fiamme.
Spingendo la loro schiena contro i pali, ne legarono tre su una catasta e quattro sull'altra.
I cittadini presenti, intanto, si erano presi la libertà di lanciare pietre nella loro direzione, oltre naturalmente ai peggiori insulti che le loro menti fossero in grado di generare.
Un uomo, con una vistosa pancia che gli fuoriusciva dai pantaloni, si avvicinò alla catasta di legna. Si abbassò le braghe e liberò la vescica dal suo contenuto, riversandolo sulle frasche tenute insieme dalle funi.
Improvvisamente una delle streghe sputò nella sua direzione, inveendo contro di lui.
- Tu sia maledetto! Porco bastardo! - .
Nel tentativo di evitare di essere colpito dallo sputo, si mosse rapidamente a sinistra, inciampando nei suoi piedi, cadendo rovinosamente a terra e bagnandosi con il suo stesso piscio.
Si rotolò nella terra per rialzarsi, sotto lo scherno dei presenti e delle stesse streghe che ridevano senza curarsi della sentenza che sarebbe stata eseguita di lì a poco.
Le loro vite maledette sarebbero presto finite, sotto l'effetto di quelle fiamme purificatorie.
Il governatore assistette all'esibizione di quel goffo cittadino, cogliendo l'occasione per rimarcare i poteri di quelle donne incatenate sulle cataste di legna.
- Avete visto di quali abomini sono capaci queste donne? Con una sola maledizione sono in grado di manipolare le vostre azioni e farvi deridere da tutto il popolo. Pensate a cosa siano in grado di fare con i loro riti, le loro evocazioni e le loro pozioni maledette - .
I presenti mormorarono sentendo quelle parole.
All'unanimità cominciarono ad urlare, incitando gli aguzzini ad appiccare le fiamme.
Pierre stesso, si avvicinò al governatore della provincia e lo invitò a raccogliere una delle fiaccole che i soldati avevano portato sul posto.
Con un gesto fermamente convinto e senza alcuna esitazione afferrò la torcia ardente e la passò sulle frasche esterne che circondavano le cataste di legna.
Rapidamente, facendo attenzione che nessuna di esse gli mandasse un sortilegio, appiccò il fuoco attorno ai cumuli.
Ben presto le cataste diventarono pire ardenti e avvolsero nelle fiamme i corpi di quelle streghe che si erano macchiate di delitti inenarrabili.
Le donne cominciarono ad urlare e a dimenarsi, pronunciando le loro maledizioni verso quelle terre. Le loro anime presto avrebbero subito il giudizio divino, avrebbero finalmente ottenuto quella dannazione eterna che non avevano temuto venerando il maligno.
L'aria della piazza si era impregnata del fumo intenso sviluppatosi con le fiamme, assieme all'odore acre della pelle e dei loro capelli bruciati.
In alcuni momenti, si poté sentire distintamente persino lo sfrigolio della pelle di alcune di esse, che scoppiettava tra le lingue di fuoco.
I presenti inneggiarono alle guardie, al governatore e al magistrato, benedicendoli per la loro opera purificatoria in quelle terre.
Alcune donne inorridirono dinanzi alla visione dei corpi delle streghe che si intravedevano tra le fiamme. Le loro gambe erano già carbonizzate mentre loro ancora si contorcevano dal dolore, sorrette dalle catene che le tenevano vincolate ai pali.
Le urla ben presto cessarono e il volto del magistrato manifestò tutta la sua soddisfazione per come erano andate le cose.
Sette streghe avevano appena ricevuto la punizione che meritavano e due giovani ragazzi erano stati salvati da una morte atroce.
La sua opera in quella provincia non era ancora finita, già sapeva quali sarebbero state le attività della mattina successiva. I membri delle autorità locali erano stati convocati per discutere dei casi sospetti di possessioni che erano stati riscontrati anche nella zona di Ustaritz, segno che i sabba erano pratiche molto comuni tra la popolazione. Si era ripromesso di svolgere un lavoro impeccabile, che sarebbe rimasto nella memoria degli uomini per i secoli avvenire.


4
UNA NUOVA VITA

William era appena sceso dal treno regionale che da Alba lo aveva portato a Torino. Erano da poco passate le 12:00 e già assaporava la sua nuova vita da uomo libero.
Quella stessa mattina alla casa circondariale gli avevano restituito le poche cose che indossava quando era stato arrestato tre anni prima.
A nulla erano servite le sue giustificazioni in merito a quel biglietto acquistato per recarsi a Parigi, dove avrebbe voluto incontrare l'esperto di occultismo Bezard Lamanten, che sicuramente avrebbe saputo spiegargli cosa fosse quella strana figura che ricordava vagamente di aver visto sulle colline modenesi.
Per svariati giorni era andato alla ricerca di informazioni che lo avrebbero portato da qualcuno a cui chiedere informazioni su quella che lui ricordava essere proprio una strega.
Il suo aspetto trasandato e ricurvo, con un bastone di legno nodoso e i lunghi capelli lisci. Ricordava soltanto di averla vista in lontananza avvicinarsi frettolosa, mentre lui cercava di proteggere Elèna tirandola a sé. Poi soltanto il buio.
Quando finalmente era riuscito a trovare il contatto della posta elettronica di quell'uomo, era intervenuta la polizia a rovinargli i piani. Le autorità sostenevano che quel biglietto per Parigi gli sarebbe servito per far perdere le sue tracce e sottrarsi alle indagini.
Finalmente, a distanza di tre anni, era giunto il momento di riprendere la ricerca dal punto in cui era stata interrotta bruscamente.
Non vedeva l'ora di arrivare a casa e rimettersi a lavoro, c'erano ancora molti dubbi sui quali voleva fare chiarezza. Nonostante tutti pensassero che fosse stato lui a far sparire la sua fidanzata, lui ancora non riusciva a darsi pace.
Per molte notti aveva sognato quella figura, e per molte altre aveva sognato Elèna che implorava il suo aiuto per essere liberata dalle grinfie di quella megera. Nel suo cuore sentiva che lei era ancora viva, ed avrebbe fatto di tutto per trovarla.
Per prima cosa si sarebbe recato in banca per prelevare del denaro, durante gli anni di reclusione il bancomat aveva perso la sua validità e non avrebbe più potuto usarlo. Poi avrebbe rimesso in moto la sua Alfa 147, necessaria per spostarsi indisturbato a tutte le ore del giorno e della notte. Sperava di ritrovarla ancora nel garage dove l'aveva lasciata tre anni prima.
Tramite il suo avvocato era riuscito ad accordarsi con il padrone di casa per mantenere l'appartamento in affitto, di certo non gli avrebbe fatto piacere sapere che sconosciuti avrebbero potuto raccogliere tutti i suoi averi per consegnarli alla polizia, che li avrebbe sbattuti sotto sequestro in chissà quale magazzino.
Oltre all'avvocato, che naturalmente agiva per interesse, purtroppo non c'era nessuno che potesse aiutarlo in quella situazione.
Dopo che erano state formulate le accuse di omicidio nei suoi confronti, tutti gli amici erano scomparsi, colleghi e conoscenti erano diventati soltanto un lontano ricordo. Nessuno era più disposto a dargli una mano per paura di essere accusato di favoreggiamento.
Da un lato li biasimava, ma dall'altro il loro comportamento era assolutamente comprensibile.
Non c'erano neanche parenti prossimi che potessero quantomeno dargli una mano per sbrigare le faccende economiche tramite delega. Pagare l'affitto per conto suo, effettuare le manutenzioni programmate della sua auto, addirittura comprare un paio di pantaloni nuovi, erano diventate attività ad esclusiva esecuzione del suo avvocato, naturalmente sotto lauta retribuzione.
Il lato positivo stava nel fatto che l'avvocato lo faceva molto volentieri. Estremamente convinto del fatto che non fosse possibile confermare la colpevolezza di William e che prima o poi sarebbe stato scarcerato e dichiarato innocente per insufficienza di prove, effettuava quelle operazioni inserendole in parcella a costi esorbitanti, che sarebbero stati un giorno risarciti dallo Stato stesso, che con William stava commettendo un grave errore procedurale.
Secondo lui, sin dall'inizio, quella condanna emessa in primo grado con rito abbreviato, era stata viziata dal fatto che il giudice, agendo istintivamente e basandosi sulle proprie convinzioni ideologiche in merito all'occulto e su una sorta di solidarietà femminile, pur di non dichiarare innocente William, lo aveva condannato nella speranza che scaturissero nuove prove a suo sfavore da presentare in appello.
Fortunatamente per lui, non erano mai state raccolte prove ulteriori e il procedimento si sarebbe presto concluso in suo favore.
In quei tre anni di carcere non c'era mai stato alcun parente che fosse potuto andare a fargli visita. La giornata delle visite, che per gli altri era motivo di gioia e di svago, per lui era semplicemente come le altre, triste e monotona.
William non aveva mai conosciuto i suoi genitori, era stato abbandonato davanti all'Istituto Provinciale dell'Infanzia di Torino quando era ancora in fasce, avvolto in una morbida copertina all'interno di un cesto in vimini.
Questo era stato quello che le suore dell'istituto gli avevano sempre raccontato, ogni volta che avesse domandato quali fossero le sue origini.
Nell'istituto era stato educato bene ed aveva ricevuto insegnamenti cristiani, era stato battezzato nella chiesetta privata del comprensorio e insieme alle suore e agli altri ragazzini che vivevano nella struttura, aveva celebrato la prima comunione e la cresima. Si era diplomato a pieni voti e non aveva mai avuto difficoltà negli studi, quindi aveva deciso di proseguire iscrivendosi all'università di Torino. La materia che lo aveva da sempre attirato era la chimica.
Fu proprio al dipartimento di chimica che apprese le leggende sull'alchimia e sui grandi alchimisti della storia.
Ne fu subito affascinato, tanto da approfondire la materia e interessarsi anche all'occultismo. I suoi insegnamenti cristiani gli avevano fatto conoscere una faccia della medaglia, quella della retta via, quella della luce del Signore e del perdono. Ma lui non era soddisfatto, sosteneva che una conoscenza a metà non fosse conoscenza. Per questo si era interessato anche a quel mondo esoterico che gli era sempre stato descritto come un tabù negli anni all'orfanotrofio, il mondo dell'oscuro, del male e dell'eterna dannazione.
Dopo essersi laureato in chimica era stato assunto dalla Advanced System Polymers, dove, dopo solo due anni, aveva già partecipato attivamente allo sviluppo di un biopolimero che gli aveva permesso di ricevere un grosso introito con la vendita del brevetto.
Purtroppo quel capitolo, dopo l'arresto, si era dovuto interrompere bruscamente, in quanto l'azienda lo aveva licenziato, come previsto dai termini del contratto in caso di pendenze penali.
Lui aveva comunque continuato a percepire la sua parte di introiti per il brevetto, quindi aveva accumulato una discreta somma di denaro che gli avrebbe permesso di vivere in attesa di una nuova occupazione.
Dopo la sosta in banca ed un pranzo fugace in un bar di passaggio, era finalmente riuscito a raggiungere la propria abitazione. Non era cambiato molto rispetto a quando aveva lasciato quel palazzo.
Prese l'ascensore e arrivò al quinto piano. Sulla serratura vide evidenti tracce di manomissione, segno che la polizia aveva perquisito quell'appartamento. Sperava quantomeno che non avessero fatto troppi danni all'interno.
Tutto era come lo aveva lasciato, anche il pc portatile sistemato sulla scrivania della sua camera, insieme ai carteggi delle bozze dei progetti di ricerca dei polimeri dell'azienda per cui lavorava.
Tornò in cucina e osservò la parete della porta d'ingresso, gli inquirenti non avevano trovato il suo nascondiglio segreto.
Immediatamente sotto la cassetta del contatore, era stata ricavata una piccola nicchia, alla quale si accedeva tramite un pannello che si poteva rimuovere infilando due dita sotto la base del contatore.
L'amuleto era ancora lì.
Grosso poco più di una moneta, quel ciondolo circolare era l'unica cosa che gli restasse di Elèna, o perlomeno dell'ultima volta che erano stati insieme, anche se non era assolutamente sicuro che fosse stata lei ad appenderglielo al collo. Di quei momenti aveva pochi ricordi, molto confusi.
Lo afferrò e lo tenne nella mano, poi allargò il laccio in cuoio e se lo appese al collo. Sicuramente doveva avere un significato in tutta quella storia.
Tirò fuori dalla tasca una fascia per capelli e se la posizionò sul capo, in modo da raccogliere la sua chioma fluente, nera e con le ciocche ondulate. Indossare quella fascia ormai era diventato un rito, lo faceva ogni volta che avesse bisogno di concentrazione.
Avviò il pc e prese posto alla scrivania.
Si rese conto che lo schermo a malapena si riusciva a leggere, delle fitte righe ondulate scorrevano dall'alto verso il basso rendendo incomprensibile qualunque cosa fosse proiettata.
Sgranò gli occhi incredulo. Non poteva crederci. Gli investigatori glielo avevano rotto.
Si alzò in preda alla rabbia e si allontanò dal dispositivo per evitare di prenderlo e sbatterlo contro il muro. Non poteva essere possibile che fossero stati così maldestri.
Voltandosi nuovamente verso lo schermo, vide che ora l'immagine era nitida e che le strisce erano scomparse.
Forse era stato soltanto un disturbo momentaneo, magari dovuto al lungo periodo in cui non era stato acceso.
Si avvicinò nuovamente, ma le righe cominciarono a riapparire, identiche a prima.
Non ne capì il senso.
Fece di nuovo qualche passo indietro. Immagine nitida.
Qualche passo avanti. Righe sullo schermo.
Guardò l'amuleto che aveva al collo, se lo sfilò e lo posò sul letto. Si avvicinò nuovamente allo schermo, vedendo che l'immagine non subiva alcuna alterazione. Doveva essere un disturbo causato proprio da quell'oggetto.
Lo afferrò e lo avvicinò al pc tenendolo con una mano. Le righe riapparvero sullo schermo.
Ripensò al fatto che nei numerosi documenti che aveva letto su eventi paranormali, una caratteristica comune erano i disturbi elettromagnetici. Gli stessi disturbi che cercavano di individuare i cacciatori di fantasmi.
Con tutta probabilità quell'amuleto creava un disturbo elettromagnetico che interferiva con lo schermo del pc.
Un altro aspetto sul quale doveva fare chiarezza.
La casella di posta elettronica segnava duecentotrentadue messaggi non letti. Provò ad accedervi ma l'unica cosa che riuscì a leggere fu il messaggio di avviso del blocco della casella per inattività. Per riavviarla doveva creare una nuova password e recuperare i messaggi che aveva ricevuto fino a prima di essere bloccata.
Tra i tanti messaggi di spam e pubblicitari, ne individuò immediatamente due che destarono il suo interesse.
Il mittente era Bezard Lamanten. Ricordava di avergli scritto ma di non aver ricevuto risposta per almeno due settimane prima dell'arresto, per questo aveva deciso di raggiungerlo direttamente a Parigi.
Da ciò che aveva letto sul web, questo Bezard era un francese esperto di occultismo che aveva molti fan virtuali. Alcuni blog parlavano di lui e del fatto che si trovasse a Parigi. Persone che a loro dire lo avevano contattato per chiedere informazioni su entità con cui avevano avuto a che fare nelle loro esperienze di vita comune. Ogni loro dubbio aveva ricevuto risposta e tutti erano estremamente soddisfatti della loro esperienza.
Nei messaggi che aveva letto sui blog si parlava di djin, spiritelli e persino fatine di piccola dimensione, oltre naturalmente a streghe. Un utente ne dava l'indirizzo email sul quale era possibile contattarlo.
Gli aveva scritto per descrivergli ciò che ricordava di quella figura che aveva visto sulle colline modenesi e di essere poi svenuto. Chiedendogli se in qualche modo potesse dargli una mano per individuare cosa fosse quell'essere. Non ricevendo risposta gli aveva scritto nuovamente dicendogli che avrebbe preso un volo per Parigi per incontrarlo di persona.
Nel primo dei messaggi ricevuti, Bezard si scusava per la risposta tardiva, ma i suoi impegni purtroppo lo tenevano a lungo lontano dal mondo virtuale. Riteneva molto interessante la sua segnalazione e lo invitava a raggiungerlo a Parigi, nei pressi del Cimitero di Praga, all'Impasse Maubert.
In quel vicolo non avrebbe avuto difficoltà a trovarlo.
In un altro messaggio, chiedendogli come mai non avesse risposto alla sua comunicazione precedente, gli dava alcune informazioni sulla figura che gli aveva descritto, indicandogli che probabilmente si trattava di un'orghalia, in tutto e per tutto una strega che lui definiva reclutatrice. Un'emissaria delle forze del male che si occupava di reclutare adepti per le forze oscure. Gli prometteva maggiori informazioni al loro incontro parigino. Gli indicava persino un indirizzo web dove avrebbe potuto vedere un video interessante su una di quelle figure che era stata misteriosamente filmata.
William rimase un po' scettico dinanzi a quella risposta. Un'orghalia? Una reclutatrice delle forze del male?
Per un attimo ebbe il dubbio che si trattasse nient'altro che di un ciarlatano, ma comunque provare ad aprire quel link non gli sarebbe costato nulla.
Copiò e incollò l'indirizzo nella barra del browser e fu indirizzato su un filmato di YouTube.
Il titolo diceva: Witch found in Saudi Arabia.
Immediatamente il suo pensiero balzò al fatto che in Arabia Saudita la stregoneria veniva citata persino nel loro sistema legislativo statale, e che ogni anno venivano perpetrate decine di condanne a morte nei confronti di donne e uomini accusati proprio di stregoneria.
Quel Bezard, o era un abile ciarlatano, oppure uno che poteva veramente saperne qualcosa in più su quell'essere.
Il filmato cominciò a scorrere. Nel vedere quella figura fece un balzo e scattò in piedi, facendo cadere la sedia alle sue spalle.
- Mio Dio! - .
Si mise le mani nei capelli e provò un senso di inquietudine nel suo cuore.
Quella figura era realmente identica a quella che aveva visto tre anni prima sulle colline modenesi.
Nel video si vedeva nitidamente che quella strega, nel buio della notte, in una strada di campagna, stava correndo incontro ad alcuni individui in un'auto, che si affrettavano a guidare in retromarcia per sfuggirle, tra urla e frasi in arabo.
Davvero raccapricciante.
I commenti al video ovviamente segnalavano che si trattasse di un fake, ma un utente arguto faceva notare che in uno stato in cui la stregoneria viene punita con la decapitazione nessuno si sarebbe mai permesso di architettare un simile scherzo.
Reale o non reale, quella strega era assolutamente identica a quella che ricordava di aver visto in quel weekend con Elèna.
Così si trattava di un'orghalia, una reclutatrice delle forze del male.
Cercò quel termine sul web, non c'era molto materiale, solo alcuni riferimenti su un sito di occultismo, in cui venivano elencati alcuni tipi di streghe e si richiamava il fatto che avessero l'abitudine di celebrare i sabba in occasione delle loro festività.
Guardò la data impressa sullo schermo, 28 aprile. Mancavano solo due giorni ad una di quelle ricorrenze. Quelli che precedentemente erano stati solo i pensieri che occupavano la mente di un detenuto, si stavano trasformando in realtà. Nella notte di Valpurga, avrebbe perpetrato la sua personale caccia alle streghe.
Improvvisamente sentì qualcuno bussare alla sua porta.
- Dannazione! - .
Chi poteva essere?
Forse un vicino di casa che aveva sentito dei rumori e si era affacciato per controllare chi fosse?
Sicuramente la vecchietta del piano di sotto. Non era la prima volta che veniva a farsi gli affari dei vicini.
Si avvicinò allo spioncino per dare un'occhiata.
La ragazza bionda che aveva incontrato all'udienza del giorno prima. Sophie. Impossibile.
Come aveva fatto a trovarlo?
- Avanti apri. Lo so che sei lì dietro - .
William provò un senso di rabbia. Non voleva che quella ragazza si intromettesse nella sua vita, ora che aveva trovato una nuova strada da seguire per ritrovare Elèna.
- Allora apri o no? - .
William fece un profondo respiro e cercò di mantenere la calma. Quella ragazza sarebbe di certo tornata a tormentarlo, quindi tanto valeva togliersi subito quel dubbio.
- Che cosa vuoi? Perché mi stati tormentando? - .
- O avanti! Non avrai paura di una ragazza indifesa? Voglio soltanto parlare con te della vicenda che hai vissuto negli ultimi tre anni - .
- Sappi che non ho nessuna intenzione di perdere tempo con una curiosa che non sa farsi i fatti suoi - William fu piuttosto chiaro.
- Non ti molesterò. Voglio parlarti di Elèna - .
Quelle parole rimbombarono nella sua mente.
Cosa poteva saperne lei di Elèna?
Aprì la porta e la lasciò entrare. Rimase a guardarla in silenzio.
- Finalmente! Possibile che sei così difficile? - .
La ragazza si guardò attorno, poi tese la mano verso di lui.
- Piacere, Sophie. Bella casetta. Ti sta bene quella fascia sui capelli - .
William le strinse la mano.
- Allora? Cosa vuoi? - .
- Non essere così frettoloso. Conosciamoci. É da un po' che seguo la tua vicenda. Hai tutta la mia comprensione. Io sono sempre stata convinta della tua innocenza - .
- Non mi interessano i convenevoli. Cosa vuoi dirmi di Elèna? - .
- Elèna. Già, Elèna. Ho modo di pensare che lei abbia abbracciato le forze del male. Ma non parliamo di lei, piuttosto parliamo di te. Da dove vieni? - .
William la guardò in malo modo.
- Vattene! Ti avevo detto che non volevo perdere tempo - .
- Ma aspetta. Che fretta hai? - .
- Ti ho detto di andartene! Non ho tempo da perdere! - .
Con queste parole la strattonò verso la porta e la spinse all'esterno.
- Oh andiamo! Ma che modi sono? Non si tratta così una ragazza! - Sophie fu alquanto irritata da quel comportamento.
- Addio! - .
William non usò mezzi termini, la salutò e le chiuse la porta in faccia.
Lei rimase qualche momento a pensare. Il suo primo incontro con quel ragazzo non era certo stato dei migliori. Avrebbe dovuto escogitare un modo meno traumatico per metterlo dinanzi alla realtà. Forse era stata troppo brusca nel dargli quell'informazione su Elèna.
- Se resti lì davanti ancora per molto chiamerò la polizia - .
Sophie udì quella voce provenire dall'interno dell'abitazione.
- Non preoccuparti. Sto andando via - .
William la vide allontanarsi e scendere dalle scale. Finalmente quella ficcanaso aveva capito che non doveva tormentarlo.
Era piombata in casa sua senza alcun invito, sostenendo di conoscere come fossero andate le cose in quel fatidico giorno sulle colline modenesi e poi aveva esordito con un - conosciamoci un po' - .
Aveva proprio sbagliato approccio.
Se solo si fosse ripresentata alla soglia della sua porta, la prossima volta ci sarebbe stata la polizia ad accoglierla in fondo alle scale.

5
IL MAGO

Nonostante quel primo incontro non fosse andato come lei sperasse, Sophie era ottimista. Dopo essere uscita dal palazzo aveva deciso di fare una passeggiata per le strade di Torino. Adorava vagare per quella città senza una meta.
Gente che camminava frettolosa sui marciapiedi con lo sguardo puntato sui cellulari, cani che scodinzolavano felici al guinzaglio dei loro padroni, le strade in fermento e i negozi con la merce esposta nelle vetrine. Una confusione all'interno della quale lei adorava mescolarsi e diventare una ragazza qualsiasi, lontana dal suo mondo di segreti che le aveva portato via quanto di più prezioso potesse avere, un padre che l'adorava e che avrebbe fatto qualunque cosa per lei, incluso dare la propria vita.
Non era ancora riuscita a farsene una ragione, seppure fossero passati già svariati anni da quel tragico giorno, del quale aveva un ricordo sempre chiaro e vivido, nonostante la sua giovane età.
La guerra era finita e i colpevoli erano stati sconfitti, le città ricostruite più splendenti e rigogliose di prima e tutto aveva ripreso la sua normalità in un equilibrio precario.
Era cresciuta molto da quel giorno, fisicamente e spiritualmente, e si sentiva pronta ad affrontare il mondo senza più alcuna paura.
Passeggiò a lungo, doveva mettere insieme i pensieri ed escogitare una strategia per convincere William a starla a sentire. Aveva molte cose da dirgli, ma non poteva di certo mettergliele davanti tutte insieme. Lo avrebbe portato nel suo mondo gradualmente, e accompagnato mano nella mano incontro al suo destino.
Pensò a Solomon, ricordò che spesso anche lui faceva un giro in città per ricavare informazioni. Decise di passare a trovarlo, se fosse stata abbastanza fortunata lo avrebbe trovato lì, dietro la sua scrivania studiare i suoi manuali. Le aveva raccontato tante volte delle sue giornate passate in città.
Dopo soli dieci minuti si trovava già davanti all'ingresso della sua bottega. Osservò la locandina che era stata attaccata alla vetrina: Solomon Noor, la risposta ai tuoi dubbi.
Sorrise.
La porta era aperta, era stata fortunata.
Entrò cercando di non farsi sentire e attraversò il corridoio che portava al suo studio.
Avanzò lentamente, allungando il collo per vedere se lui era dentro.
- É inutile che ti nascondi. Riconoscerei il tuo profumo ad un miglio di distanza - .
Sophie alzò gli occhi al cielo, Solomon non era certo il tipo che si faceva fregare con così poco.
Avanzò più velocemente ed entrò nella stanza sorridendo.
- Fiuti il pericolo da molto lontano - .
Solomon si alzò dalla poltroncina ed andò ad abbracciarla.
- Ma tu non sei affatto un pericolo mia cara. É un piacere rivederti. Ogni volta che sparisci tuo zio è molto preoccupato - .
- Se non ha ancora capito che non deve preoccuparsi e che so badare a me stessa non è un problema mio. Dovrà convincersene prima o poi - .
- Cosa ti porta nella mia umile bottega? - .
- Ho bisogno di un tuo consiglio - .
Sophie si guardò attorno, c'erano scaffali ricolmi di libri, trattati di magia e di alchimia. Poi notò delle strane statuine sulla sua scrivania. Erano trolls, tre figuri sistemati in posizioni differenti, con le loro facce buffe, i capelli lunghi e i foruncoli sul naso.
- Non riesci proprio a separartene? - .
Solomon li osservò.
- Perché dovrei? Sono i miei fidi informatori. Quando ho bisogno di tenere d'occhio i clienti gliene regalo uno e gli spiego come devono comportarsi con loro. Loro sono felici della nuova compagnia e io sono soddisfatto perché ho un paio di occhi in più su questa società - .
- Contenti voi - .
- Di quale consiglio hai bisogno? Ti sei cacciata in qualche guaio? - .
- No, o almeno non per ora. Su segnalazione di Bezard Lamanten sto seguendo da tre anni le vicende di un ragazzo - .
Sophie proseguì raccontando a Solomon la storia di William, della scomparsa della sua fidanzata e del fatto che aveva raccontato di aver visto un'orghalia, che con ottime probabilità era stata la responsabile della scomparsa della ragazza. Che si era risvegliato in mezzo al bosco ed era stato accusato di omicidio.
- Bezard dovrebbe smetterla di divertirsi a mandarvi in giro a tenere d'occhio i dormienti, esistono altri metodi sicuramente più efficaci. Com'è che vi fate chiamare? La Gilda dei Segugi? Quanto al ragazzo nulla di strano se non nel fatto che l'orghalia non abbia preso anche lui - .
- Appunto. Lui ha sempre detto di non ricordare nulla sull'accaduto, ma è verosimile che abbia combattuto per cercare di salvarla. Al risveglio aveva mani e volto pieni di graffi e sappiamo che le orghalie hanno le unghie appuntite. Se non lo ha preso e non lo ha ucciso ci deve essere un motivo. Bezard mi ha chiesto di indagare e io ho deciso di portarlo alla Dimora Eterna. Così da scoprire anche che fine abbia fatto quella ragazza - .
Solomon sorrise.
- Non ti sarà facile convincere tuo zio a tenere il ragazzo lì. Lo sai come la pensa sui dormienti - .
- Quel ragazzo è diverso. So che non si fermerà senza aver fatto luce sulla vicenda e finirà per mettersi in un brutto guaio - .
- Lo stesso in cui ti metterai tu se continui a fare di testa tua - .
- Probabilmente sì. Ma concordi anche tu che bisogna capire per quale motivo l'orghalia lo abbia lasciato andare? - .
- Si, su questo mi trovi d'accordo. Potrebbe avere delle potenzialità. Ma resta il fatto che dovrai convincere il consiglio - .
- Beh, riuscirò a trovare il modo - .
Sophie ammiccò, facendo capire a Solomon che probabilmente aveva già escogitato il modo per poterlo tenere alla dimora eterna.
Continuarono a parlare di lui, del loro incontro in tribunale, della visita che gli aveva fatto a casa e di come l'avesse mandata via in malo modo senza stare ad ascoltarla.
- Devi capire anche la sua posizione. É stato scarcerato dopo tre anni ed è l'unico convinto del fatto che quella Elèna sia scomparsa senza alcuna spiegazione. Povera ragazza, non voglio neanche immaginare dove sia finita - .
- Quindi cosa dovrei fare? - .
- Lascia passare qualche giorno, poi fa in modo che vi incontriate per caso e provaci di nuovo. Vedrai che prima o poi si convincerà ad ascoltarti. Quando non avrà trovato alcuna risposta altrove si affiderà a te, sarai l'unica da cui potrà attingere qualche informazione in più. Devi essere paziente - .
Proprio in quel momento qualcuno bussò sul vetro della porta di ingresso.
Sophie si fece da parte e si accomodò ad una delle sedie che si trovavano accanto alla scrivania in legno massello.
- Avanti. Non abbia paura. Si accomodi - .
Entrò una ragazza sulla trentina, con fare timoroso. Nel vedere la presenza di Sophie si fermò.
- Mi scusi. Mi era sembrato di sentire avanti. Non pensavo fosse già impegnato - si voltò per uscire, mostrando lo zainetto che portava dietro la schiena.
- Nient'affatto. Piacere di conoscerti, Miriam - Solomon si sporse dalla scrivania per stringere la mano a quella ragazza.
Lei rimase meravigliata.
- Come fa a conoscere il mio nome? - .
- Sono un veggente. Se io non lo avessi saputo non sarebbe stato un bel biglietto da visita. Non trova? Lei è la mia apprendista, Sophie - .
Miriam sorrise stringendo la mano ad entrambi.
- Si ha ragione, mi scusi - .
- Non si preoccupi. Tutti restano interdetti per qualche secondo prima di capire che non sono un ciarlatano. Mi parli di suo marito. Da quanto va avanti questa storia? - .
Miriam rimase sempre più affascinata dall'uomo che aveva di fronte. Non era la prima volta che si rivolgeva ad un mago, ma lui era differente da tutti gli altri. Sembrava davvero che possedesse dei poteri.
Gli parlò della travagliata storia che stava vivendo con suo marito. Del fatto che da qualche mese era cambiato e che a causa di una nuova prospettiva lavorativa aveva dovuto riprendere a studiare e la stava trascurando. Era tormentata dal forte dubbio che la stesse tradendo con un'altra donna ed aveva deciso di rivolgersi a lui per conoscere la verità, magari leggendo le carte o cercando la risposta con un pendolo.
- Capisco signora. Vediamo cosa si può fare. Mi dica la sua data di nascita - .
Sophie lo guardò incuriosita. Non aveva mai assistito ad una delle sue sedute. Sembrava proprio che quell'uomo sapesse perfettamente come rapportarsi con i dormienti e loro pendevano dalle sue labbra.
Solomon era un uomo sulla cinquantina, che sapeva ispirare fiducia anche semplicemente con l'aspetto. I suoi modi pacati e riflessivi lo rendevano davvero affascinante. Lei aveva imparato molte cosa da lui e ancora doveva impararne, ma avrebbe sicuramente avuto il tempo e il modo per farlo.
- Certo. Sono nata il 4 marzo del 1990 - .
- Bene. Del segno dei pesci - .
Dicendo queste parole raccolse un mazzo di tarocchi che era sul bordo della scrivania e lo dispose in maniera sparsa davanti a sé.
- In lei vedo paura e incertezza. Le darò dei consigli utili, vedrà. Raccolga queste carte e ricomponga il mazzo senza guardarle - .
Dopo pochi secondi la ragazza aveva fatto quanto gli aveva chiesto.
- Ora divida il mazzo in due parti - .
Solomon raccolse la parte meno corposa e mise da parte le carte restanti.
Cominciò a girarle una per una e a disporle in maniera ordinata sulla scrivania.
Miriam e Sophie lo guardavano interessate.
Ad ogni carta che girava faceva delle smorfie e si dimostrava pensieroso.
- Vede qualcosa? - Miriam glielo domandò perché lui aveva cominciato a fissarla.
- Vedo molte cose. Non si deve preoccupare. Suo marito non la sta tradendo. É molto stressato perché ci tiene molto al nuovo lavoro e ce la sta mettendo tutta per non fare brutta figura - .
Miriam tirò un sospiro di sollievo.
- Cosa posso fare? - .
- Deve avere pazienza. Questa fase di incertezza non durerà ancora per molto. Lei sia affettuosa e cerchi di essere più sicura di sé. In questi momenti gli uomini hanno bisogno di compagne forti che sappiano dargli certezze e siano punti di riferimento. Il matrimonio ha reso la vostra famiglia un tempio sacro e lei deve fare in modo che lo spirito di questo tempio sia forte e vigoroso. Gli dica che è convinta che lui riuscirà a dare il meglio di sé e farà sicuramente un figurone col suo nuovo lavoro. Le cose si rimetteranno a posto - .
Dicendo queste parole Solomon si alzò dalla poltroncina e si diresse verso la libreria, raccogliendo da un ripiano una boccetta contenente un liquido di colore rosso.
- É la prima volta che un mago mi parla del matrimonio in questi termini. Pensavo che i sacramenti cristiani non facessero parte delle vostre credenze - Miriam era davvero stupita.
- Forse non fanno parte delle credenze degli altri maghi, ma stia sicura che io do un'importanza fondamentale ai sacramenti. Rappresentano i sigilli sui quali si deve fondare la nostra spiritualità e vanno coltivati affinché essa sia solida e incorruttibile. Faccia cadere una sua lacrima in questa boccetta e la mescoli con l'infuso, poi lo faccia bere a suo marito versandolo in una tisana prima di andare a letto, ritroverete la passione che avete perso - .
Miriam si abbandonò ad un pianto liberatorio.
- Lei è davvero un grande uomo. Non so come ringraziarla. Quanto le devo per il consulto e per la boccetta? - .
- Non mi deve nulla. Usi quei soldi per farsi un regalo, cambi acconciatura, si faccia bella per suo marito. Lui apprezzerà - .
Miriam uscì dallo studio salutando Solomon e Sophie. Era davvero felice e stringeva nelle mani la boccetta che aveva appena ricevuto.
- E così è questo che fai qui in città? - .
- Certo, cosa credevi? Mi piace aiutare la gente in difficoltà. Il mondo ha già tanti problemi, se posso aiutare a risolverne qualcuno perché no. Non mi costa nulla - .
- Devi insegnarmi a leggere i tarocchi. Non sapevo che tu fossi in grado di farlo - .
- I tarocchi? Non so mica leggerli - .
- Ma come? E Miriam allora? - .
Solomon si mise a ridere.
- Ho visto il suo nome sulla targhetta che aveva appesa allo zaino quando si è voltata. Aveva la fede al dito e si è presentata qui senza trucco ed evidentemente stressata. Quando una donna non si vede bella agli occhi di suo marito decide di non esserlo per nessun altro. Era evidente che fosse qui perché aveva problemi nei rapporti con suo marito. Le ho letto i tarocchi perché era quello per cui lei era venuta. Era quello che voleva sentirsi dire. Qui non uso mai la magia, mi esercito nelle mie capacità psicologiche e manipolatorie - .
- E l'infuso? - .
- Beh quello no, quello era vero. Le ho dato un filtro d'amore. Non so se suo marito la tradisce, ma sicuramente con quello non avrà occhi che per lei. Ora penso proprio che chiuderò bottega. Anche oggi ho fatto del bene - .
- Si ma William. Cosa devo fare? - .
- A già William. Tieni, dai un filtro d'amore anche a lui. Vedrai che ti darà ascolto - le porse un'altra boccetta con quel liquido rosso.
- Andiamo! Non voglio farlo innamorare di me, devo solo convincerlo a darmi ascolto. Questa però la tengo, potrebbe sempre servirmi - infilò la boccetta nella tasca della giubba.
- Devi avere pazienza. Va da lui tra qualche giorno. Lasciagli rimettere in ordine i pezzi della sua vita e ti darà ascolto - .
- E cosa farò se mio zio non vorrà tenerlo alla fortezza? - .
Solomon si voltò nuovamente verso di lei, tralasciando le scartoffie che stava sistemando sulla scrivania.
- Non avevi detto che hai già un piano per questo? Di certo non potrai aspettarti alcun aiuto da parte mia. Non mi metto contro tuo zio per i capricci di Bezard Lamanten - .
- Ma William ha davvero delle potenzialità, lo sento. Non è la prima volta che Bezard mette gli occhi su qualcuno che poi si rivela un ottimo arcimago - .
- Ascoltami Sophie - Solomon le posò entrambe le mani sulle spalle e le parlò francamente - io sono convinto che tuo zio non sia affatto uno stupido. Se quel ragazzo meriterà di restare alla fortezza, lui non se lo farà di certo sfuggire. Ma se riterrà che non ci sia alcuna ragione per tenerlo lì, allora non riuscirai a convincerlo neanche con la forza. Lo sai com'è fatto. Ha vinto mille battaglie combattendo con la testa e non con la spada. Non ha bisogno di un dormiente che porti inutili problemi in città - .
- Su questo hai perfettamente ragione. Spero soltanto che capisca quanto sia importante la ricerca del Protheos. Sembra che stia proprio sottovalutando la questione - .
Solomon scoppiò a ridere.
- Sottovalutando la questione? Tuo zio conosce più di tutti l'importanza delle profezie. Semplicemente sa che non bisogna fasciarsi la testa prima di essersela rotta. E io concordo pienamente con lui. È inutile dedicarsi ad una disperata ricerca di questo fantomatico eroe che salverà il mondo dal male. Quando arriverà il momento della sua rivelazione ce ne accorgeremo. Le profezie non dicono cosa dobbiamo fare, dicono cosa accadrà, quindi perché preoccuparsi - .
Sophie sbuffò. Tutti quei discorsi sull'inutilità di agitarsi per la ricerca del Protheos l'annoiavano.
Lei sentiva che doveva impegnarsi attivamente per individuare questo eroe che avrebbe sconfitto il male e non aspettare passivamente che si rivelasse stando semplicemente a guardare.
C'erano molti modi per ottenere una vittoria. Un solo soldato rimasto in vita sul campo di battaglia, avrebbe sì dato la vittoria al suo esercito, ma solo, in mezzo ad un campo di cadaveri, non sarebbe servito a molto.
Al contrario un esercito con un condottiero pronto a combattere le forze del male, avrebbe affrontato la battaglia con più consapevolezza ed avrebbe ridotto drasticamente le perdite.
Uno stratega di fama leggendaria come suo zio avrebbe dovuto saperle quelle cose.
Passava le sue giornate a combattere battaglie immaginarie con il suo sterminatore di eserciti. Quel gingillo era il suo orgoglio. Per ogni battaglia registrava i risultati e li accumulava per ottenere delle statistiche quanto più attendibili possibile.
Le leggende relative a quel marchingegno avevano fatto il giro del mondo. C'era gente che sosteneva che fosse stato in grado di combattere già la battaglia dell'apocalisse tra le legioni demoniache e le legioni angeliche, e che avesse ottenuto una vittoria schiacciante dispiegando sul campo qualcosa come quattrocentomila soldati per entrambi gli eserciti contrapposti. Qualcosa di assolutamente delirante.
Solomon nel frattempo aveva finito di sistemare le sue scartoffie e stava accompagnando Sophie fuori della porta.
- Quando tornerai alla fortezza? - .
- Non appena William si deciderà a seguirmi. Tutto dipende da lui - .
- Beh, allora in bocca al lupo. Spero di rivedere presto entrambi - .

6
LA NOTTE DI VALPURGA

La giornata era passata velocemente, dopo che Sophie era andata via, William si era messo immediatamente all'opera per studiare il piano da attuare per il giorno successivo.
In un'armeria poco distante da casa sua aveva acquistato una balestra professionale con venti dardi da utilizzare per la caccia, un visore notturno con camera termica e altri accessori, una pistola per razzi di segnalazione, un kit di pronto soccorso, una fune, dei moschettoni, dei cyalume, un machete, delle bottiglie di benzene e un coltello trancia cavi, oltre ad un'uniforme mimetica con stivaletti da trekking che gli avrebbero permesso di mimetizzarsi nell'oscurità del bosco e muoversi rapidamente nella vegetazione.
Un equipaggiamento degno di un soldato di ventura.
Aveva condotto delle ricerche su quale tipo di equipaggiamento potesse rivelarsi utile durante una missione esplorativa in un territorio boschivo molto impervio con pericoli non meglio identificati. Di certo quello che era riuscito ad acquistare gli sarebbe servito molto, ma non era riuscito ad ottenere la cosa più importante.
Il gestore dell'armeria non aveva voluto saperne di vendergli un'arma da fuoco senza regolare porto d'armi, neanche le laute somme di denaro offertegli gli avevano fatto cambiare idea. Una carabina con caricatore da sei colpi sarebbe di certo stata meglio di una balestra a ricarica manuale.
Negli anni trascorsi in cella, aveva passato notti insonni cercando di immaginare cosa sarebbe accaduto nel giorno in cui avrebbe rincontrato quella strega. Quale attrezzatura gli si sarebbe rivelata utile e quale sarebbe stato il modo migliore per uccidere quell'essere. Tutte le ricerche effettuate avevano rivelato che l'unico modo per eliminare una strega era bruciarla in un rogo, assicurandosi che ogni frammento del suo corpo fosse ridotto in cenere, per evitare che potesse rigenerarsi o che il suo corpo in putrefazione generasse chissà quale meccanismo di vendetta.
Aveva passato tutta la serata a cercare informazioni su altri avvistamenti nei dintorni delle colline modenesi, ma nulla. Non riusciva a credere che fosse stato l'unico uomo a vederla. Nello storico delle notizie sul web c'erano stati altri casi di gente scomparsa in quella zona, ma nulla che potesse far pensare al rapimento da parte di una strega.
Era andato a dormire a notte inoltrata per esercitarsi nel ricaricare velocemente la balestra, in modo tale da ridurre il tempo da impiegare per essere pronto a scoccare un dardo dopo l'altro appena scoccato.
Sapeva bene che i sei secondi che intercorrevano tra un colpo e un altro sarebbero stati un grosso rischio, ma non potendo acquistare un'arma da fuoco, non avrebbe potuto fare altrimenti.
Al mattino seguente si era svegliato riposato e concentrato, con un po' di fortuna quella giornata sarebbe stata memorabile. Il timore che quella strega non fosse più in quella zona non riusciva ad offuscare il suo desiderio di vendetta.
Con la sua auto era partito alla volta di Modena.
Fece una sosta nei boschi delle valli di Asti per esercitarsi a tirare con la balestra, scoprendo con sorpresa che possedeva una dote naturale per quel tipo di tiro. Ogni colpo andava a segno a non più di dieci centimetri dal punto mirato, fino ad una distanza di cento metri. Si riteneva molto soddisfatto del risultato ottenuto.
All'imbrunire si trovava già nei pressi delle colline di Pavullo del Frignano. Lui purtroppo sapeva che quei boschi e quella natura impervia nascondevano dei misteri e dei pericoli di natura malvagia.
Avrebbe desiderato tanto poter condividere quell'esperienza con qualcuno, ma chi sarebbe stato disposto a credergli?
Chiunque avesse sentito storie di streghe e rapimenti lo avrebbe scambiato per un pazzo, con il rischio di riaprire nuovamente la vicenda della sparizione di Elèna per infermità mentale. Non avrebbe potuto rischiare.
Da quel che ricordava, il ponte del diavolo si trovava in una posizione più elevata rispetto ad una delle strade dalle quali si accedeva alle aree attrezzate per i turisti.
Raggiunse quel punto e cominciò a predisporre il proprio campo di battaglia.
Vincolò dei cavetti in ferro ad alcuni alberi creando una rete di fili d'inciampo, poi in corrispondenza di ogni filo attaccò un cyalume avvolgendolo con dello scotch, lo avrebbero aiutato a riconoscere le trappole al buio, in modo da non rimanerne vittima lui stesso.
Lo stesso fece con alcuni alberi, man mano che si addentrava nel bosco vincolava dei cyalume ai tronchi, in modo che gli indicassero la via di fuga al buio.
L'aria era umida e la primavera aveva nuovamente fatto esplodere la vita nella natura, il cinguettio degli uccelli gli ricordava quanto fosse bello e piacevole godere dell'accoglienza del bosco.
Quello stesso bosco che tre anni prima era stato tutt'altro che accogliente con lui ed Elèna, a causa di una presenza malvagia, che aveva trasformato il loro sogno in un incubo.
William tirò fuori dalla tasca la sua fascia per i capelli e se la sistemò sul capo.
Era arrivato il momento di ricognire l'area in cui si sarebbe appostato in attesa che calasse il buio nella notte di Valpurga.
Perlustrò differenti colline e pendii, in modo da memorizzare la conformazione dell'area ed individuare eventuali zone dalle quali sarebbe stato meglio stare alla larga.
Quando ormai il sole era basso sotto l'orizzonte, decise di dare inizio al piano di eliminazione della strega.
Ripercorse i propri passi dall'inizio del tragitto che dall'auto lo portava alla zona di appostamento e attivò ciascun cyalume che aveva precedentemente posizionato.
Avrebbero svolto tranquillamente la loro funzione fino all'alba, sarebbero stati i suoi occhi in mezzo a quell'oscurità in caso di fuga veloce.
Meno di venti minuti più tardi si era già posizionato sull'albero che aveva individuato in serata, lì avrebbe aspettato l'oscurità più completa, quell'oscurità che avrebbe svelato eventuali riti proibiti celebrati nella zona.
Avrebbe persino avuto tutto il tempo di farsi un pisolino.
Prese posto sul robusto ramo di un castagno dalla chioma folta, appoggiando la schiena al tronco nodoso e temprato dai decenni di intemperie sopportate.
Improvvisamente sentì qualcosa pungerlo all'altezza dei reni. Non poteva essere un riccio, sui rami a malapena erano spuntate le gemme che si sarebbero poi trasformate in quegli involucri spinosi.
Si voltò notando alcuni strani segni presenti sulla corteccia, ricordavano vagamente una linea orizzontale alla base e una spirale che si propagava in alto verso destra. Doveva essere un segno lasciato da qualche animale, un picchio, o uno scoiattolo, non gli diede troppo peso.
Era ora di mettersi tranquilli e attendere il calare della notte che avrebbe rivelato le oscure presenze operanti nell'area.
Dopo alcuni minuti di inquietudine finalmente riuscì a prendere sonno, con il machete saldamente vincolato sul fianco destro e la balestra tra le braccia.
Aveva avuto un gran fegato a presentarsi in quel luogo così isolato in una notte così particolare. Dopo che la sua vita era stata distrutta dall'intervento di quell'essere, che Bezard Lamanten aveva definito un'orghalia, riteneva che la vendetta nei suoi confronti avrebbe avuto un valore di gran lunga superiore alla perdita della propria vita in caso di sconfitta. Inoltre si sarebbe tolto il dubbio sull'esistenza o meno di quell'essere. Dopo che gli psicologi della casa circondariale gli avevano continuato a ripetere che era stato soltanto il frutto della sua immaginazione, quasi quasi se ne era convinto anche lui.
Mentre restava lì seduto a una decina di metri d'altezza sdraiato sul tronco di un castagno, qualcosa di assolutamente incredibile stava accadendo a poche centinaia di metri di distanza.
Sul pendio di una collina si era misteriosamente materializzato l'ingresso di una caverna, dalla quale a passo lento, stava venendo fuori una figura femminile con indosso una lunga tunica bianca, ricurva sulla schiena e con lunghi capelli neri che le nascondevano il volto. Per molto tempo non fece altro che raccogliere tronchetti e rami di alberi nella zona circostante, accumulandoli ordinatamente in un punto. Quando furono abbastanza da formare una piccola catasta, pronunciando alcune parole sottovoce, fece in modo che prendessero fuoco.
Le fiamme avvolsero tutta la legna ammucchiata e l'orghalia cominciò a lanciare strane polverine tra le fiamme. Ad ogni lancio corrispondeva una vampata di fuoco che si liberava verso l'alto con colori sgargianti dal giallo all'azzurro.
William improvvisamente ebbe un sussulto. Era giunto il momento di entrare in azione.
Guardò l'orologio che portava al polso, trentacinque minuti dopo le due, un orario di tutto rispetto per condurre un sabba.
Attivò il visore notturno con camera termica e cominciò ad osservare il territorio circostante, neanche l'ombra di una fonte di calore. Solo a poche decine di metri di distanza era riuscito ad individuare una civetta che dormiva appollaiata sul ramo di un albero, emettendo il suo verso caratteristico, continuo e ripetitivo.
Ad un certo punto gli venne l'idea di dare un'occhiata sul versante opposto, alle spalle della direzione verso cui si era seduto sul castagno.
Attivò il visore e fu colto da una grande sorpresa. Un bagliore che si intravedeva in lontananza generava sullo schermo davanti ai suoi occhi un'aura di colore giallo e rosso, segno che in quel punto veniva sviluppato molto calore.
Adesso doveva essere cauto.
Finalmente aveva un nuovo tassello da aggiungere al puzzle della propria vita, non avrebbe dovuto farselo sfuggire così facilmente.
Scese dall'albero e si fece strada tra i tronchi, cercando di produrre il minor rumore possibile.
Quando raggiunse il pendio dal quale avrebbe avuto buona visuale del punto in cui si era sviluppato il bagliore, si stese per terra e continuò a procedere strisciando.
Raggiunse la cresta ed osservò rimanendo in silenzio.
L'orghalia si trovava vicino al fuoco intenta a recitare litanie e a gettare strane polverine tra le fiamme.
A poche decine di metri da lei c'era l'ingresso di una caverna. William giurò a sé stesso di non averla vista durante il giro di perlustrazione condotto nel tardo pomeriggio. Poteva essere l'ingresso di un covo sotterraneo, magari un luogo di prigionia in cui teneva rinchiusi tutti coloro che erano stati rapiti.
Improvvisamente un sibilo attraversò l'aria nel silenzio della notte. Un dardo d'acciaio andò a conficcarsi nel cranio della strega, che si accasciò sul fianco destro a poche decine di centimetri dal falò.
William era in piedi, aveva già ricaricato la balestra ed era rimasto in puntamento aspettando il minimo movimento di quell'essere per scoccare il suo secondo dardo.
Nulla.
Aveva agito d'istinto, attendendo il momento giusto per far partire quel colpo che si era rivelato di una precisione formidabile.
Quella megera non se n'era neanche accorta. Improvvisamente si era ritrovata il cranio trapassato da un dardo mentre era intenta a gettare le sue polverine nel fuoco.
Con il cuore che gli batteva forte nel petto, avanzò verso il punto in cui era distesa per terra.
Da quella distanza ravvicinata e con il bagliore del falò riusciva a vedere il volto della donna, scuro e arcigno, consumato dagli anni e dall'oscurità. Le diede alcuni calci nei fianchi per verificare se fosse ancora viva. Nessuna reazione.
La sua attenzione si spostò sulla caverna.
Tenendo saldamente tra le mani la sua balestra, varcò l'ingresso, alcune luci provenivano dal fondo. Accelerò il passo speranzoso di trovare qualcosa di vivo.
Nulla.
Soltanto un ampio locale con alcuni tavoli ricoperti di boccette di vetro e qualche manoscritto, candele accese, radici allineate sulle mensole, un braciere al centro ed una struttura con dei travetti disposti a treppiedi, con un pentolone che penzolava sui carboni. In un angolo un tavolaccio in legno tenuto sospeso da quattro piedi e un pagliericcio secco.
Il covo dell'orghalia.
Decise di portarsi dietro qualche souvenir. Raccolse i manoscritti aperti sui tavoli e se li infilò nella bisaccia che portava a tracolla. Raccolse anche le boccette, ne avrebbe studiato il contenuto nella calma e sicurezza della propria abitazione.
Improvvisamente avvertì una strana presenza dietro di lui, a una decina di metri di distanza. Si voltò di scatto.
- Merda! - .
Fu l'unica parola che riuscì a pronunciare in quell'antro.
La strega cominciò a camminare con passo frettoloso verso di lui.
William sollevò la balestra e scoccò un nuovo dardo.
Si conficcò esattamente al centro del petto di quell'abominio, facendola fermare sul posto.
Lei aprì lentamente la bocca ed emise un suono stridulo simile ad un urlo, continuo e sempre più acuto.
Scoccò un altro dardo, trapassandole la spalla destra.
L'urlo cessò, la strega sollevò la testa e lo guardò dritto negli occhi.
Sul suo volto vide i solchi dell'età e delle innumerevoli maledizioni scagliate a danni di vittime inconsapevoli. Gli occhi neri non lasciavano trasparire alcun barlume di speranza di poterla far desistere dalle proprie intenzioni.
- Muori cane bastardo! - .
Spiccò un balzo e cominciò a muoversi rapidamente verso di lui a quattro zampe. Il suo corpo deforme si inclinava sbilanciato dai salti scoordinati e goffi.
William rovesciò uno dei tavoli della sala a formare una sorta di barriera.
La strega si fermò aggrappata ad esso.
La balestra puntata esattamente verso il suo volto lasciò scoccare l'ennesimo dardo, che si conficcò nella sua gola fuoriuscendole dalla nuca.
Un ruggito stridulo raggelò William, il pavimento tra lui e la strega cominciò a congelarsi sotto l'urlo continuo di lei.
William spiccò un salto passandole accanto, riuscendo ad evitare una lingua di ghiaccio che gli aveva sfiorato la scarpa sinistra. Corse verso l'uscita, sperando di avere il tempo di lasciare indenne quell'antro.
Una fune gli si attorcigliò al piede e lo fece cadere rovinosamente per terra. Si voltò puntando la balestra e facendo scoccare un altro dardo, che andò a conficcarsi nel soffitto.
Vide che quella che aveva attorno al piede non era una fune, ma nient'altro che la lingua della megera che aveva cominciato a cambiare aspetto trasformandosi in un essere maledetto. La faccia ricoperta di sangue e gli occhi trasbordanti di un liquido nero putrescente, le unghie delle mani si allungavano a vista d'occhio trasformandosi in artigli affilati.
William afferrò il coltello trancia cavi e recise di netto quella lingua che lo tratteneva dal piede.
Quel mostro protese le mani verso di lui scagliandogli una sfera di luce. Il medaglione che portava al collo creò uno scudo che assorbì parte dell'energia. Venne scagliato a dieci metri di distanza, riverso per terra, privo di sensi.
L'abominio gli si avvicinò emettendo continuamente quel sibilo infernale prodotto dalle sue corde vocali, sbarrandogli la strada verso l'uscita.
Lentamente riprese conoscenza, ma decise di restare immobile per sfruttare l'effetto sorpresa e colpire nuovamente quel mostro.
Quando fu a distanza utile, aprì repentinamente gli occhi e gli assestò un violento calcio in faccia, facendolo arretrare di alcuni metri. Poi puntò la balestra contro di lui e scoccò un dardo.
Quel proietto d'acciaio gli si conficcò nel cranio, poi un altro, e un altro.
Il mostro arretrava per effetto dei dardi che penetravano la sua carne, poi un altro sibilo. William gli lanciò l'arma che portava vincolata sul fianco.
Il machete andò a conficcarsi esattamente in mezzo alla fronte di quell'abominio, spaccandogli il cranio in due parti.
La bestia cadde all'indietro, esattamente sui tizzoni del falò acceso dalla strega. La sua carne putrida fu avvolta dalle fiamme.
Cominciò a dimenarsi, poi si alzò in piedi emettendo un urlo sovrumano che riecheggiò nella valle.
Le zampe non ressero più il peso del suo corpo, si inginocchiò tra i carboni ardenti, esausto, poi crollò a terra.
William tirò un sospiro di sollievo, le gambe gli tremavano per effetto dell'adrenalina che gli scorreva nelle vene.
In quei pochi minuti aveva completamente perso il controllo di ciò che stava accadendo attorno a lui ed aveva agito come un automa attaccando ripetutamente il mostro, assestandogli un colpo dopo l'altro con una precisione inaudita.
Lui non aveva mai combattuto prima di quel momento, non riusciva proprio a spiegarsi da dove gli fosse scaturita tutta la foga dimostrata in quei frangenti.
Come gli era saltato in mente di piombare nel mezzo di un bosco a notte fonda ed interrompere il rito di una strega? Cosa gli era preso?
Sembrava avesse proprio perso il controllo delle proprie azioni. La sua mente aveva lasciato spazio all'istinto e l'istinto gli aveva permesso di sopravvivere in quella situazione raccapricciante.
Guardò il contenuto della bisaccia che aveva a tracolla. I libri e le boccette erano ancora lì. Osservò il corpo di quell'essere, lentamente si stava consumando tra le fiamme. Era giunto il momento di tornare alla civiltà e abbandonare quel bosco maledetto.
Si incamminò rapidamente verso la macchina. Tutte le sue convinzioni erano state stravolte nel giro di pochi minuti, aveva bisogno di tempo per rimettere tutti i pezzi al loro posto.
Nell'oscurità un lupo venne attratto dalle fiamme. A muso basso si avvicinò al falò in cui ardeva il corpo del mostro, gli annusò una mano.
Alcune lingue di luce fuoriuscirono da quell'arto inerte e gli penetrarono nel naso. I suoi occhi scuri si colorarono di un rosso acceso, i suoi muscoli cominciarono a crescere dilaniandogli la pelle, troppo rigida per contenere la massa in crescita.
La prima vendetta della strega appena sconfitta non tardò a manifestarsi.
Il lupo rivolse lo sguardo verso l'uomo che stava andando via.
William si voltò, accorgendosi subito che c'era qualcosa di strano nei suoi occhi.
Lo scontro non era ancora finito.
L'animale cominciò a correre verso di lui, spiccando un salto e addentandolo alla spalla destra, senza lasciargli il tempo di reagire.
Entrambi caddero rovinosamente a terra.
William si rialzò e gli sferrò un calcio nello stomaco facendolo volare a qualche metro di distanza.
Afferrò una bottiglia di benzene dalla bisaccia e la lanciò verso di lui. Puntò la balestra e scoccò un dardo.
La bottiglia si frantumò, rovesciando il liquido interamente sulla carne e sul manto dilaniato della bestia.
Istintivamente tirò fuori la pistola con i razzi di segnalazione e fece partire un razzo in direzione del lupo.
Il benzene prese immediatamente fuoco a contatto con il fosforo incandescente, avvolgendo l'animale e trasformandolo in una palla di fuoco che vagava per il bosco in cerca di sollievo. Vagò per qualche secondo, poi si fermò, accasciandosi al suolo, esanime.
Le fiamme ben presto si abbassarono fino a spegnersi del tutto.
Finalmente quell'avventura era giunta al termine.
Si guardò attorno per essere certo che non ci fossero altre minacce improvvise.
Con il volto dolorante, strinse la mano sinistra attorno alla spalla destra, vistosamente sanguinante e con la pelle lacerata dai denti aguzzi di quella bestia.
Fortunatamente la ferita non era molto profonda, aveva fatto giusto in tempo a divincolarsi prima che il morso affondasse nella carne. La pelle però era rossa e infiammata, e un forte mal di testa aveva cominciato ad impadronirsi della sua mente.
Avrebbe di certo avuto bisogno di cure immediate, ma dove?
Non poteva assolutamente rischiare di recarsi in un ospedale della zona, il ricordo di quei tre anni passati in cella erano ancora troppo vividi. Non poteva permettersi di dare adito a nuove accuse infondate nei suoi confronti.
In quel momento di necessità, gli avrebbe fatto molto comodo l'aiuto di quella ficcanaso che lo aveva molestato quella mattina.
Quasi quasi si era pentito di averla trattata in quel modo rude. L'aveva sbattuta fuori di casa senza darle alcuna possibilità di spiegazione.
Forse adesso che finalmente si era tolto il dubbio sull'esistenza o meno dell'orghalia sulle colline modenesi avrebbe potuto concederle qualche momento in più.
Magari avrebbe anche potuto aiutarlo a curarsi quella ferita. Doveva soltanto risalire in macchina e tornare a casa al più presto.

Lanfranco Pesci
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