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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Desirè Roberto
Titolo: Senza Identità
Genere Romanzo Psicologico
Lettori 2827 11 6
Senza Identità
Il suo nome è Sirace ma per molti potrebbe chiamarsi: Nessuno, vive la sua esistenza nella stanza 112. La clinica psichiatrica da qualche anno è diventata la sua casa, nessuno se ne prende più cura, se non per portarle i pasti, curare la sua igiene personale e medicare le sue piaghe da decubito. Sia chiaro, questo è solo un dovere delle operatrici sanitarie. Nessuno ha voglia di intrattener-si con lei né di scoprire chi sia e cosa abbia da raccontare della sua vita. La portano di forza nella doccia e la lavano velocemen-te e senza cura, le tagliano i capelli come si fa con i fronzoli di un vecchio vestito logoro con l'intento di ricavarne stracci, senza attenzione né interesse. Quanti familiari fanno visita a Sirace? Nessuno.
Forse è nella condizione umana che più spaventa, quella di chi ha perso se stesso e non sa ritrovarsi, di chi ha vissuto ma non ricorda chi sia, di chi ha da raccontare ma non trova le paro-le, di chi giace sola e nel silenzio, di chi rimane senza affetti. La donna ha una strana compulsione, strappa i bottoni dalla propria vestaglia o dai camici dei dottori e li ripone nel cassetto del co-modino. Negli anni ha accumulato tanti bottoncini. Attualmente, per limitare la sua compulsione, le vengono fornite vestaglie con la zip.
La paziente è abitualmente mutacica, raramente ha verbalizza-to, farfuglia parole prive di senso e ripete di continuo la parola Sirace, per questo viene chiamata da tutti così; tuttavia, si nutro-no ancora dubbi sul fatto che questa sia la sua vera identità. Sira-ce non è registrata in nessun'anagrafe, non si sa dove sia nata e dove sia vissuta. Potrebbe essere viva o morta e questo non inte-resserebbe a nessuno, neanche a lei, che a quanto pare non sta affatto vivendo, se non come un automa, se non nella non vita di Nessuno.
Ha senso una vita vissuta in questo modo?
Qual è il suo passato? Lei non lo ricorda e nessuno lo conosce.
Che rumore fa il suo dolore? Nessuno. Non è che Sirace non stia soffrendo, ma agli occhi di molti è totalmente deumanizzata.
I pazienti della clinica hanno menti imprigionate da fantasmi e timori, intrise di sentimenti ed emozioni inespresse che urlano e attendono un orecchio in grado di ascoltarli. Spesso sono acuti silenziosi, chiusi in una lucida pazzia. La psichiatria è un mondo pieno di ossimori. Dunque, niente è scontato in questa clinica. Ogni giorno s'impara qualcosa e non c'è un istante uguale a un altro, in un costante panta rheî.

Un'ondata di caldo marino rende l'aria estremamente afosa, la città di Pescara oggi è desolata, le spiagge sono il rifugio preferito di tutti coloro che cercano refrigerio in un bagno al mare. Dalle spiagge, in contrasto alle strade desertiche su cui lampeggiano a vuoto i semafori, giunge un allegro vociare misto al frinire delle cicale. Per la giovane dottoressa Aurora Olivio è il primo giorno come psicologa nella clinica psichiatrica di San Silvestro. La fra-zione da cui la struttura prende il nome è una zona collinare al sud della città, al confine con i comuni di Francavilla al Mare e Chieti. Da questo punto, oltre a poter osservare in lontananza il mare, può godere di un leggero venticello e di minore umidità.
Raccoglie i lunghi capelli neri in uno chignon, stende sul viso un fondotinta leggero giusto per uniformare l'incarnato, non ama truccare eccessivamente gli occhi, che sono di un singolare colo-re ambra, con riflessi verdi, azzurri e rame. Giusto una linea di eyeliner, mascara e un rossetto color pesca. Prima di uscire di ca-sa si guarda nuovamente allo specchio: indossa un semplice ve-stito nero, scende stretto in vita e si allarga leggermente sui fian-chi fino al ginocchio. Dopo la gravidanza ha messo qualche chi-lo e nonostante sia normopeso, quella maggiore rotondità nelle sue forme le crea un leggero disagio. Aurora detesta il nero, pre-ferisce i colori, riflettono maggiormente il suo temperamento de-finito da molti suoi amici frizzante e solare. Nel suo armadio ci sono quasi esclusivamente vestiti colorati. Tuttavia, oggi fa un'eccezione.
Lavorare in una clinica psichiatrica non è ciò a cui ambisce, ma al momento si ritiene fortunata ad aver trovato un lavoro a pochi chilometri da casa.
La prima cosa che nota entrando nel vecchio edificio in mat-toncini è che quel posto le ricorda una struttura carceraria, oltre all'assenza di colori sia alle parteti che nell'arredo, regna il silen-zio, i pazienti sono tutti rigorosamente nelle loro stanze.
- Buongiorno dottoressa! - Gianna, la segretaria, l'accoglie con un bel sorriso di benvenuto. La donna accompagna Aurora nella sala riunioni, lì un collega la affiancherà i primi giorni. La dotto-ressa la segue e ride senza farsi notare, Gianna è anziana, ha i capelli che vanno dal grigio al blu, il frutto di una tinta fatta in casa in modo maldestro; è eccessivamente bassa, a tal punto che Aurora prova quasi imbarazzo a starle vicino. Quando cammina fa tanto rumore, indossa delle scarpe che seppur hanno un tacco molto basso riecheggiano nei lunghi corridoi.
- Dottore... - La voce acuta della donna annuncia l'arrivo di Aurora: - Ecco la nuova pissicologa, la dottoressa Olivio. - Allar-ga le mani per dare enfasi alla sua presentazione plateale.
- Gianna, si dice psi-co-lo-ga! - Il dottor De Furio scuote la te-sta, congiunge le mani e le muove dal basso all'alto. - Lavori qui da quarant'anni e ancora non riesci a pronunciare questa paro-la? -
Gianna agita le braccia e con una forte cadenza napoletana dice: - Jamm bell... ci siamo capiti! -
Aurora ride vistosamente, allunga la mano verso il dottor De Furio. - Piacere, dottoressa Olivio! - Poi guarda verso Gianna e le fa l'occhiolino. - Mi chiami semplicemente Aurora, così evitiamo ogni inciampo lessicale. -
- Già mi piace questa dottoressa - dice Gianna, poi guarda ver-so De Furio e prima di lasciare la stanza fa una smorfia di scher-no.
De Furio sospira e alza la voce per farsi sentire dalla segreta-ria, che è già fuori dal loro campo visivo: - Meno male che c'è Gianna ad alleggerire le nostre giornate! Comunque, piacere, so-no Gianluca De Furio, psichiatra. Pronta per iniziare il tour della nostra clinica? -
De Furio le mostra la struttura. Al piano terra vi è la degenza femminile, gli studi dei dottori, la sala delle riunioni e un paio di stanze inutilizzate che un tempo erano impiegate come mensa per i pazienti. Al primo piano la degenza maschile e al secondo lo studio del direttore. Nel seminterrato ci sono i garage, le stanze deposito e la lavanderia.
Aurora quel giorno comincia a conoscere i degenti.
Stanza 112. La prima cosa che nota è che a differenza delle altre stanze, la porta d'ingresso ricorda le grandi porte di sicurez-za usate nelle celle di detenzione, è blindata, con una grande ser-ratura e una piccola finestra apribile solo dall'esterno. Il collega le riferisce che in quella stanza da qualche anno vi è una donna che non parla, trascorre le sue giornate a letto e colleziona botto-ni.
Un tintinnio, seguito dal clangore delle chiavi che si muovono nella serratura, la porta pesante e cigolante si apre.
- Buongiorno signora! - Aurora sorride, questo è il suo primo incontro con Sirace.
La donna giace a letto, con gli occhi chiusi, pallida, gracile e con il viso smunto, poi apre gli occhi e si guarda intorno come se fosse smarrita.
La dottoressa si siede sul suo materasso, il dottore rimane in piedi dietro di lei.
- Signora, io sono la dottoressa Aurora Olivio, sono una psico-terapeuta, so che lei in questo momento è molto scossa e spaven-tata. Le va di parlare un po'? - Le dice con fare dolce, la scruta con aria incuriosita. Poi rimane in silenzio. - Sirace, quando io le parlo, lei mi capisce? Parla la mia lingua? - Nota che dal cassetto del comodino semiaperto si intravedono centinai di bottoni, poi ritorna prontamente con lo sguardo su di lei pensando che possa esserne gelosa e reagire con aggressività. La donna rimane nella sua passività, fa un velato segno di assenso con il capo, sembra non aver notato lo spostamento di attenzione della dottoressa.
La paziente è una donna minuta, esile, ha i capelli biondi, tra cui fa capolino qualche capello bianco, sono tagliati corti e in modo totalmente casuale e non curato. Dimostra più o meno cin-quant'anni, nonostante l'incuria di questi anni, i suoi lineamenti sono molto belli, ha un naso piccolo e leggermente all'insù, gli zigomi alti e pronunciati e occhi verdi. Lo sguardo color smeral-do è tanto bello quanto totalmente privo di espressività e di vita, sembra perso, vuoto e spento. Il volto è in totale ipomimia, nes-suna emozione trapela dai suoi occhi e dalla mimica facciale.
La dottoressa Olivio ha l'entusiasmo di chi è ancora agli albo-ri della sua carriera e non è appesantita e imbruttita dalla routine; ha energia e voglia di lavorare, la sua vitalità è in netto contrasto con la passività, l'apatia e la rassegnazione dei suoi colleghi.
Sirace guarda i dottori e non parla.
- Facciamo così, - dice la dottoressa Olivio: - Io sono nella stanza in fondo al corridoio, se le va di parlare suoni il campa-nello e io verrò subito da lei. - La guarda in attesa di un segnale di approvazione. La dottoressa si chiede se la paziente la capisca davvero o meno.
Il dottor De Furio appunta qualcosa sulla cartella clinica, poi si rivolge alla dottoressa: - Bene, mi sa che Sirace, come al solito, non ha molta voglia di parlare - . Fa un sospiro, carico di pesan-tezza e noia. - Andiamo. -
I due spariscono dietro la grande porta rumorosa e stridente dai congegni non lubrificati.

Ogni paziente ha qualcosa di esclusivo e speciale, ma qualcuno ha qualcosa di più che lo fa ritornare alla mente di Aurora nella quotidianità di ogni giorno. Così capita che mentre è intenta a gu-stare la sua cena dopo un'intensa giornata di lavoro o sta giocan-do con i figli, ecco all'improvviso, che le torna alla mente. Pro-prio quel paziente o quella paziente di cui non riesce ad avere un quadro chiaro. Non sa come possa succedere, ma a volte basta un sospiro percepito diversamente, un luccichio negli occhi o la sensazione che un dolore troppo grande covi inespresso sotto un manto di sintomi manifesti. Così, Aurora, seppur in quei giorni in clinica avesse conosciuto tanti pazienti, sentiva su di sé il peso di quegli occhi vuoti e smarriti, gli occhi di quella donna dal nome così singolare: Sirace.
Chiede ai colleghi di visionare la cartella clinica e con grande stupore scopre che in quattro anni di ricovero, nessuno ha cerca-to notizie su quella donna. Oltre agli esami di routine: esami del sangue, urine, farmaci somministrati, non vi è un'anamnesi pre-gressa.
- Vediamo... - La dottoressa inizia a leggere a voce bassa, con attenzione e a scandire le singole lettere come se stesse leggendo qualcosa da dover imprimere nella mente. - La donna riferisce di chiamarsi Sirace, ma nessun documento ne conferma la reale identità, giunge all'osservazione in stato di alterazione di co-scienza, la donna non è orientata nello spazio e nel tempo, enu-resi ed encopresi, piange e gorgoglia emulando il pianto di un bambino. Ripete alcune parole prive di significato. La paziente è giunta tramite pronto soccorso ed è stata trasferita successiva-mente nella clinica psichiatrica. Anamnesi pregressa: non nota. Familiari: non pervenuti. La presenza della donna è stata segnala-ta al commissariato dei carabinieri che sta svolgendo le dovute indagini sul caso. -
La dottoressa picchietta con la penna sul suo mento, con lo sguardo rivolto verso la finestra: - Un caso davvero interessan-te - , mormora.
Aurora si domanda come mai nessun familiare l'abbia cercata e perché nel momento del ricovero non avesse con sé nessun documento, questo pensiero le scatena una forte malinconia. Si pone tante domande a cui non riesce a dare riposta.
Mentre sfoglia la cartella clinica, nota che una scritta rossa sovrasta il suo piano terapeutico in cui lei ha scritto: “L'obiettivo primario è di creare un contatto emotivo con la paziente. L'obiettivo secondario è quello di esplorare i meandri della sua mente per capire chi sia.”
Il dottor Rollo, direttore della clinica, ha commentato il suo piano terapeutico scrivendo a caratteri cubitali: “OBIETTIVI IM-POSSIBILI DA RAGGIUNGERE”.
Aurora ride vedendo quel commento e mette una ‘X' sul pre-fisso ‘im' della parola “impossibile”, in questo modo trasforma l'impossibilità in possibilità e la frase diventa: “OBIETTIVI POSSIBILI DA RAGGIUNGERE”.
Prima di uscire dalla clinica passa davanti alla camera di Sira-ce, trascina la leva manuale che permette di aprire la tendina che copre la piccola finestra e resta ad osservarla. La paziente è se-duta su una sedia, il corpo è ricurvo e lo sguardo è fisso sul pa-vimento. Aurora bussa alla finestra, vorrebbe salutarla, lei non si volta. Prova una grande tristezza per quella donna, sola e smarri-ta. Decide che le farà visita ogni giorno e le racconterà sempli-cemente qualcosa della sua vita.
La giornata appena trascorsa è stata davvero pesante, è ormai sera, Aurora è stanca. Fuori imperversa un violento temporale estivo e lei ha solo voglia di tornare a casa. Esce a passo svelto dalla clinica, si è resa conto di aver fatto davvero tardi. Il vento di bora rende quel tratto di strada a piedi davvero faticoso. L'ombrello le vola via e lei si bagna dalla testa ai piedi, sente l'acqua che le attraversa i sandali rendendo i piedi scivolosi, fa fatica a camminare. Entra in macchina, fa un bel sospiro e men-tre mette in moto ripete tra sé e sé che va tutto bene.
La strada è trafficata, quando piove le vie del capoluogo adriatico si allagano, si mette in coda tra le auto che si destreg-giano tra l'acqua stagnante e i tombini saltati e, intanto, mentre è alla guida, la sua mente si affolla di pensieri inerenti al rientro a casa, ha una lista interminabile di cose da fare. Fa un elenco del-le priorità. In cima ci sono i suoi bambini: Rebecca e Gabriel. Si sente sempre terribilmente in colpa per il poco tempo che riesce a passare con loro. Quando torna dal lavoro la prima ora è dedi-cata quasi sempre e in modo esclusivo ai piccoli. Sono due ge-mellini di tredici mesi e la vita da madre e donna in carriera è molto più faticosa di quanto avesse immaginato prima che na-scessero. Al suo rientro, oltre a dover preparare la cena, pulire casa, fare il bagnetto ai piccoli, fargli fare la nanna, deve prepa-rare la relazione per il congresso al quale tra qualche giorno do-vrà partecipare come relatrice. Sbuffa mostrando tutta la sua in-sofferenza per questo ultimo compito della lista. Aveva quasi dimenticato di dover preparare quel discorso, parlare di dati scientifici e di ricerche effettuate sarà un duro lavoro.
Arriva finalmente a casa. Inizia un nuovo capitolo della gior-nata. Dal portone chiuso si sente il vociare dei bambini, sorride. Sono stati tutto il giorno tra nido, nonni e baby-sitter, sballottati qua e là. A breve rientrerà anche il papà e la famiglia sarà final-mente riunita.
In casa come al solito sembra che sia scoppiata una bomba, i giochi dei bambini sono sparsi a terra, sul divano, sul tavolo del-la cucina e qua e là sbuca un calzino, un biscotto mordicchiato, un fazzoletto stropicciato. I bimbi le corrono incontro, sembrano dei piccoli paperotti, camminano a gambe rigide e a braccia lar-ghe, hanno imparato da poco a camminare e non hanno ancora acquisito una grande stabilità. Aurora li trova buffi, le sorridono e le si riempie il cuore, pensa che non ci sia miracolo più bello che la vita le potesse donare. Finalmente i bambini hanno di nuovo la loro mamma tutta per sé. Dopo poco la porta di ingres-so si apre, è Leo, suo marito, è appena tornato dal lavoro.
- Qui c'è sempre un gran caos! - Mormora con irritazione po-sando le chiavi sul mobiletto all'ingresso.
- Buona giornata anche a te, caro. - Ribatte lei con un sorriso sarcastico voltandosi verso di lui.
Discutono spesso ultimamente, soprattutto per quanto riguar-da l'organizzazione della casa. Leo è un uomo molto preciso e ordinato e prima della nascita dei bambini lo era anche Aurora, ora invece le risulta difficile dedicarsi a tutto e la casa resta l'ultimo dei suoi problemi.
- Lo sai che non sopporto il disordine! - Esclama Leo, poi vol-ge lo sguardo ai bambini, sorride prendendoli entrambi in brac-cio. - Piccoli bavosi dolcissimi - sussurra, lasciandosi baciare. Poi guarda Aurora: - Allora, come stanno andando questi giorni nella nuova clinica? -
- Mi devo ancora ambientare. - Aurora si fa seria. - Non è un bell'ambiente, i pazienti sono abbastanza gravi e sembra che si faccia davvero poco per loro, i colleghi sono molto gentili, ma dopo anni di lavoro lì dentro li vedo demotivati e spenti. -
- Piano piano ti abituerai al nuovo ambiente - le dice, mentre porge dei giochi ai bambini.
Leo si dedica ai bambini e Aurora si incammina verso la cu-cina per preparare la cena.
Seguono ore intense. Leo e Aurora sono completamente as-sorbiti dai figli e non hanno tempo da dedicarsi, è sera e i piccoli sono stanchi e dunque facilmente irritabili e fanno tanta fatica a contenere le loro crisi emotive. Sono bambini in fase esplorativa, si arrampicano sul divano e cercano di lanciarsi dallo schienale, lanciano il cibo in aria, volano giochi e oggetti, a volte per i geni-tori è molto difficile mantenere la calma.
Quando riescono a farli addormentare è ormai molto tardi, Aurora pensa alla relazione per il congresso che deve preparare e le viene quasi da piangere, vorrebbe solo riposare ma deve ap-pellarsi a tutte le sue energie per poter concludere quel lavoro.
Spesso si sente incatenata in un vortice di doveri e le sembra di non aver più spazio per sé, tutto diventa una priorità e lei resta sempre relegata all'ultimo gradino. Accende il pc e così ormai a notte fonda studia. Tra uno snack e l'altro si prepara per il con-gresso.
Sono le 3.00, gli occhi le si chiudono, non ha più né le forze né la lucidità mentale per continuare, spegne il pc e prima di met-tersi a letto, mossa da un istinto interiore autolesionistico, sale sulla bilancia per vedere se è ingrassata. Aurora guarda allibita i numeri che indicano il suo peso, non può credere di aver messo quattro chili solo nell'ultimo mese. Non riconosce più il suo cor-po e le sue forme, odia vedere la sua immagine riflessa allo specchio perché con quei chili in più fa proprio fatica ad accet-tarsi. Come se non bastasse, più rifiuta quell'immagine e più fati-ca a prendersene cura. Combatte con il bisogno di ingurgitare ci-bo fuori controllo da anni ma, tutto sommato, quando le pressio-ni intorno a sé erano minime riusciva a domare quel leone affa-mato, ora no. Nota che Leo le riserva poche attenzioni e lei, seb-bene ne soffra, non le cerca. Sarebbe tanto bello chiedere come i bambini di essere coccolata quando ne sente il bisogno e invece lei osserva e soffre. Le pesa quella carezza non data, quel buon-giorno frettoloso e freddo, quel dormire distanti e girati di schie-na senza neanche darsi la buonanotte. Sente un macigno sullo stomaco che etichetta come indifferenza e lei reagisce alzando muri invece che costruire ponti di collegamento. Senza neanche volerlo si difende dalla mancanza di attenzioni richiudendosi in lunghi silenzi o mostrandosi piena di rabbia e ostilità. Ci vuole coraggio per guardarsi dentro e in questo Aurora si sente vigliac-ca, invita gli altri a farlo e quando tocca proprio a lei, ingurgita le sue emozioni negative addolcendole con qualche granello di zucchero. Come se potesse bastare questo a sistemare tutto. Lei ha bisogno di sentirsi speciale, ha bisogno di qualcuno che rico-nosca i suoi sforzi per stare a galla in un mare di problemi quoti-diani. Fa fatica a riconoscere e accettare le sue fragilità, quelle di una bambina altamente vulnerabile che si è sentita deprivata emotivamente, non capita, non accolta e non sostenuta. Quando qualcuno non le dà attenzioni si protegge inconsciamente distac-candosi o mostrando rabbia. Vorrebbe attenzioni e le richiede in modo altamente disfunzionale, la reazione che suscita in Leo è il suo allontanamento progressivo, dato che si sente messo all'an-golo. Piange. Spesso lo fa in silenzio. Sente di non avere le forze fisiche per continuare con questi ritmi, sente di non avere il giu-sto supporto, si sente sola e non capita.

L'estate lascia il posto all'autunno, Pescara si colora di porpora, arancione e marrone, le giornate diventano più fredde, più buie e piovigginose. Questo è il periodo dell'anno che Aurora ama di più, le piace guardare i colori che cambiano, gli odori del mosto in fermento, le caldarroste sulla brace, il vincotto sulla polenta. Ama passeggiare a piedi lungo via Nettuno, la strada è costeggia-ta dai platani che nei mesi di ottobre e novembre assumono un caldo color giallo-bruno, si inebria del loro odore singolare e adora sentire la consistenza delle foglie che si frantumano al suo passaggio. Da lì, in lontananza, si vede il mare e Aurora avverte quel velo nostalgico lasciato dall'idea di un'estate che si allonta-na e diventa un ricordo opaco. Le spiagge diventano rifugio di anime solitarie e romantiche, di chi vuole che la mente si lasci andare, guidata dal fragore delle onde che si scontrano violente-mente sulle barriere frangiflutti.
Le giornate in clinica scorrono lente, a volte le sembrano in-terminabili, vi sono regole ferree e ai pazienti sono fornite molte limitazioni. Trascorrono la maggior parte del loro tempo chiusi nelle loro camere, condividendo pochissimi momenti di aggrega-zione, lei avrebbe voglia di apportare molti cambiamenti, ma è l'ultima arrivata, è giovane ed è quella che ha meno autorevolez-za.
La dottoressa fa regolarmente visita a Sirace, va a trovarla ogni giorno alla stessa ora con lo scopo di creare una routine. Dopo aver terminato le valutazioni e le terapie con gli altri pa-zienti della clinica, riserva sempre uno spazio per lei. Le racconta qualcosa del mondo esterno, cerca in qualche modo di farla rivi-vere attraverso i suoi occhi. La donna, tuttavia, rimane chiusa nel suo silenzio, limitandosi solo ad annuire alle domande della dot-toressa, le sembra imperscrutabile e la sua identità e la sua vita rimangono oscure.
Aurora pensa che le sue visite facciano piacere a Sirace, sono come ricevere uno zuccherino che addolcisce un amaro caffè, quella nota dolce che procura gradevolezza ma non a tal punto da renderlo manifesto. Lei crede che quando sei ‘Nessuno' an-che uno sguardo benevolo è speciale. La dottoressa persevera nel tentativo di capire chi sia quella donna. Aurora intravede nei suoi occhi la dolcezza di una bimba indifesa e sola, meritevole di cu-re, attenzioni e protezione. In cuor suo spera e crede di vedere quella donna fiorire.
Questo caso è diventato quasi una sfida per lei. I suoi occhi le si sono impressi nella mente come solchi sul cemento fresco, crede che abbiano tanto da raccontare e Aurora è in cerca della chiave giusta per poter entrare in sintonia con la parte più pro-fonda di quella donna.
Inizia con lei delle tecniche psicoterapeutiche afferenti alla te-rapia senso-motoria, invita la donna a focalizzarsi sulle sensa-zioni del proprio corpo e sull'ambiente circostante con lo scopo di mantenere una connessione con il momento presente. La pa-ziente però non interagisce e lei non sa se la stia ascoltando e se capisca. Prova anche a sottoporla a pratiche di mindfulness con la speranza che questo possa favorire una maggiore presa di co-scienza e consapevolezza. Seppure la donna non mostri cam-biamenti, la dottoressa si comporta come se lei stesse già miglio-rando e ogni giorno le dice: - So che ti stai impegnando tanto e sono fiera di te! -
Quando fa queste affermazioni si sente derisa, le capita spes-so infatti di vedere infermiere o colleghi che si portano la mano alla bocca come per nascondere una risata vuota e infantile, lei cerca di non lasciarsi intimorire né scalfire da questa mancanza di fiducia e continua il suo lavoro con dedizione.
Sporadicamente la donna la guarda e accenna un flebile sorri-so, per Aurora quello è il segno che la sta ascoltando e che qual-cosa potrebbe cambiare.
Oggi è lunedì, le operatrici sociosanitarie, Vania e Anna, fan-no il giro delle stanze per curare l'igiene personale delle pazienti. Ora sono nella stanza di Sirace e le stanno preparando asciuga-mani, bagnoschiuma e spugna per poterla lavare. Lei è seduta sulla sua sedia con lo sguardo rivolto verso il muro quando con un filo di voce, senza girarsi verso di loro, chiede: - Posso lavar-mi da sola oggi? -
Le due donne si guardano con aria interrogativa.
Vania tra l'incredulo e lo scettico dice: - Certo! - . Le si avvici-na, cerca di incrociare il suo sguardo e le sorride.
Sirace non ricambia il sorriso, rimane immobile e inespressi-va.
- Io sono qui, - dice Vania - Ti aspetto nella tua stanza. La por-ta del bagno rimarrà aperta - , si dirige verso il bagno e ripone su una sedia gli asciugamani e l'occorrente per l'igiene personale. Apre il rubinetto della doccia per far scorrere acqua calda, nella stanza si sente il rumore dell'acqua che scroscia.
Sirace con molta fatica si mette in piedi, il suo corpo appare affaticato e debole. Le operatrici le si avvicinano per aiutarla e lei le schiva sottraendosi a quell'aiuto, così restano a guardarla mentre si toglie delicatamente la vestaglia, il suo corpo esile e minuto si scopre con leggerezza. Cammina lentamente verso il bagno e con compostezza e una sottile e velata eleganza si infila nella doccia.
Vania bisbiglia con smarrimento e incredulità: - Non ci posso credere! Sirace parla e ha chiesto lavarsi da sola! -
Anna: - Anche io sono allibita! - Mormora.
- Questa donna mi fa tanta tenerezza, - afferma Vania - dob-biamo stare attente però, questi pazienti possono essere impreve-dibili, noi siamo responsabili della sua incolumità. - Si incupisce leggermente.
- Stai tranquilla, la terremo d'occhio! -
- Dobbiamo subito informare i dottori di quello che è succes-so oggi! -
- Sono proprio curiosa di sapere come reagirà la dottoressa Olivio! Lei è sempre così premurosa nei confronti di Sirace. -
- Non capisco cosa ci trovi in Sirace! Lei è la paziente più grave, che staziona qui da più anni e la dottoressa le dedica sem-pre tanto tempo e attenzioni! -
- Ho sentito spesso i medici lamentarsi, il direttore l'altro gior-no parlando con il dottor De Furio ha detto che sicuramente non le rinnoveranno il contratto il prossimo anno, diceva che la dot-toressa ha “troppi grilli per la testa” ... Sinceramente anch'io penso che il suo modo di fare sia troppo accomodante con questi pazienti. -
- Secondo me, data la giovane età non ha esperienza e dunque ogni caso clinico diventa per lei un caso da risolvere. Purtroppo, non si possono sempre avere risultati con queste persone - dice Vania sottovoce mentre si sporge per controllare Sirace.
La paziente trascorre qualche minuto sotto il getto d'acqua calda, poi chiude il rubinetto, esce dalla doccia, prende l'asciugamano e lo avvolge intorno al corpo. Le operatrici le si avvicinano.
- Ti aiutiamo! - Anna prende gli indumenti della donna.
- Vorrei fare da sola, la ringrazio comunque - risponde Sirace con voce sommessa e pacata. Si asciuga con estrema delicatezza, prende l'intimo, la vestaglia pulita ripiegata sulla sedia e si rive-ste.
Le operatrici rimangono ancora con lei, la osservano basite e le dicono che è molto brava. La donna accenna un sorriso com-piaciuto, con lo sguardo fiero di chi ha raggiunto un obiettivo importante. Si risiede sulla sua sedia e nuovamente fissa il muro, ritornando nella posizione iniziale.
Le due donne escono dalla stanza entusiaste e incredule per l'accaduto, corrono a cercare la dottoressa Olivio che è in sala riunioni con i suoi colleghi. La porta è chiusa, dopo un'iniziale titubanza se irrompere o meno nella stanza, decidono che è il ca-so che i dottori siano al corrente di quello che è accaduto. I me-dici sono seduti in cerchio e discutono dei vari casi clinici.
Il dottor Rollo, direttore della clinica, si volta verso di loro con curiosità, seguito dallo sguardo degli altri colleghi.
Vania, timidamente e tutto d'un fiato prende la parola: - Mi scuso se interrompiamo la riunione, abbiamo un'importante co-municazione da fare. Siamo appena state nella stanza 112 e dopo quattro anni la paziente ha chiesto di lavarsi da sola, ci ha sorriso e si è lavata in autonomia. Abbiamo pensato che fosse importan-te mettervi al corrente di questo progresso. -
Il dottor Rollo con tono marcatamente irritato per l'interruzione della riunione dice: - Va bene. Grazie per la comu-nicazione. Ora andate. -
Vania e Anna, con evidente imbarazzo, lasciano la stanza.
La dottoressa Aurora Olivio sorride, un bagliore le attraversa gli occhi, sente di essere sulla giusta strada, un piccolo traguardo che racchiude mesi di dedizione.
L'entusiasmo di Aurora è in netto contrasto con quello dei suoi colleghi.
Il dottor Rollo voltandosi verso i colleghi ironizza: - Stappia-mo uno champagne per ogni paziente che si lava da solo? Non mi sembra una grande notizia! - Sogghigna.
Tutti ridono.
La dottoressa Olivio sente il viso divampare improvvisamen-te, sente la rabbia prendere il sopravvento, un senso di ingiustizia la pervade: - Mi dispiace, dottor Rollo, non la penso come lei. Se conoscesse la paziente saprebbe che è mutacica e non autonoma da ben quattro anni. Questo, a mio parere, è un importante tra-guardo. -
Il direttore la guarda con irritazione: - Sta forse insinuando che non conosco la signora dei bottoni della 112? -
- Mi scuso se le sono sembrata scortese, ma io faccio visita giornalmente alla signora Sirace, mi dedico a lei con pazienza e costanza perché penso che nessuno sia un caso umano da igno-rare, seppur gravi che siano. - Poi volge lo sguardo agli altri col-leghi. - Sapere che dopo quattro anni, non solo si è lavata in au-tonomia ma ha anche parlato, scusate, ma a me sembra un gran-de progresso. - Il tono è fermo e deciso.
La dottoressa Pasino, quasi come un rimprovero, risponde: - Voi giovani psicologhe pensate di ricavare grandi cose da questi poveracci ed è quello che pensavo anch'io all'inizio della mia carriera. Vedrai che presto getterai la spugna, è una causa persa in partenza. Non puoi trovare quello che non c'è. Non perderci neanche tempo! Quello che è successo oggi è una pura coinci-denza. A volte sembra che migliorino, poi ricadono nel baratro. -
Aurora è davvero delusa per quelle parole, non solo per le of-fese rivolte, quanto per la passività dei colleghi. Questo loro mo-do di fare, così superficiale e approssimativo, le procura ribrez-zo. Sembra che abbiano dimenticato di avere davanti a sé perso-ne e non oggetti, capaci di provare sentimenti e non sterili corpi vuoti.
Aurora è piena di rabbia, delusione e tristezza. Prende queste parole come una sfida: dimostrerà a tutti che si sbagliano, avrà la sua rivincita.
Continua a far visita alla signora Sirace e si complimenta per i piccolissimi progressi. Le dice di aver apprezzato il suo sforzo di lavarsi da sola, le chiede se desidera dei vestiti nuovi o se ha del-le esigenze. Sirace però come sempre appare spenta, con lo sguardo perso nel vuoto e il corpo ricurvo su se stesso. La dotto-ressa arriva al punto di pensare che le operatrici le abbiano men-tito, quello che hanno raccontato è talmente distante dalla realtà che sembra frutto di una fervida immaginazione.
A un certo punto, istintivamente, invece di continuarle a par-lare sedendosi vicina, si china, si mette in ginocchio di fronte a lei, le prende delicatamente la testa tra le mani e cerca il suo sguardo. Restringe così il suo campo visivo costringendola ad avere un contatto oculare con lei. Si ritrovano faccia a faccia, i loro occhi per la prima volta si incrociano. Sirace non devia lo sguardo, i suoi occhi fanno quasi paura, sono privi di vita, di espressione, di emozioni.
La dottoressa le parla in modo deciso: - Sirace, ascoltami. Sai perché sei qui? - Intravede in quegli occhi un velo di terrore. - Noi non sappiamo chi sei, devi aiutarmi a entrare in contatto con te. Hai avuto una forte dissociazione, talmente forte da non essere più tu, è come se stessi vivendo in un'altra te. Scommetto che tu non ricordi niente di quello che è successo. Mi capisci? -
Sirace annuisce, gli occhi le si riempiono di lacrime, piange, piangono insieme. Le motivazioni che sottendono quel pianto sono sicuramente diverse, Aurora è esausta dei continui sforzi fatti per cercare di entrare invano nel suo mondo, Sirace invece riconosce che c'è qualcuno che vuole aiutarla.
Aurora ha colto nel pianto silenzioso di Sirace la sua ango-scia, la sua disperazione, il suo dolore.
Purtroppo, a quel contatto così profondo, seguono numerose sconfitte, così, nei giorni seguenti e per alcuni lunghissimi e in-terminabili mesi Aurora, pur continuando i suoi tentativi di con-tatto con Sirace, riesce a raggiungere pochi obiettivi rispetto a quelli che aveva immaginato. 
Desirè Roberto
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