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Writer Officina Blog
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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa,
teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana
di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, Non ora, non
qui, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri
sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese,
swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale
alcune parti dellAntico Testamento. Vive nella campagna romana dove
ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A
grandezza naturale", edito da Feltrinelli. |
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama
con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi,
attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano
Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di
ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera
(Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime
di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il
purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati
da Einaudi Stile Libero). |
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria,
si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata
alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice
emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre
Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato
a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus".
Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé,
conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo
libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio
Strega 2021. |
Altre interviste su Writer
Officina Magazine
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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la Svastica del Cielo
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Samara, Russia. Quella stanza rettangolare era completamente bianca. Pareti, soffitto, pavimento e porta. Il tutto rivestito di materiale fonoassorbente candido. L'illuminazione era garantita da almeno venti neon al soffitto, da 5.500°Kelvin, che non producevano nessuna ombra e conferivano un'aspetto glaciale all'ambiente. L'uomo di fronte a lui, alto oltre i due metri, era vestito di bianco dalla testa ai piedi. Si, dalla testa! Indossava infatti anche un passamontagna di quel colore. Le scarpe che portava ai piedi erano imbottite di gommapiuma per non emettere alcun rumore. Alternava la sua presenza lì con altri uomini, tutti vestiti allo stesso modo, ogni due ore. Ciclicamente, in modo che il prigioniero non fosse mai solo. Marco Maggi era stato invitato a vestirsi col medesimo non colore ed era libero di muoversi a suo piacimento all'interno della stanza. A sua disposizione c'erano solo una sedia in plastica e un letto. Entrambi bianchi. Da quanto tempo era lì? Da... circa un mese? Non lo sapeva più. Gli sembrava fosse trascorsa una eternità in quel posto assurdo dove nessuno aveva mai proferito una sola parola. Neanche un suono. In quella situazione paradossale non poteva udire altro che i rumori che produceva lui stesso. Gli era infatti proibito parlare. Lo alimentavano solo con riso non stagionato bollito, privo di ogni condimento che potesse anche solo minimamente alterarne la purezza cromatica. Servito su un piatto dello stesso sconcertante ‘pallore'. Quando doveva andare in bagno doveva dare un foglio di carta al suo carceriere di turno. Senza mai aprire bocca. Veniva condotto ai servizi igienici attraversando un corridoio, lungo circa sei metri, fino a raggiungere una toilette con le stesse identiche caratteristiche eburnee. La chiamavano tortura bianca. Veniva considerato uno dei metodi di coercizione più sofisticati e al contempo atroci. Applicato particolarmente, a quanto era dato sapere da testimonianze dirette, in Iran. Ma esistevano prove tangibili che fosse stata sperimentata anche negli Stati Uniti, in Venezuela e in Irlanda. Nel 2004 Amnesty International la portò all'attenzione pubblica mondiale, rivelando del dissidente Amir-Abbas Frakhravar che vi era stato sottoposto per ben otto mesi da parte del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica iraniane. Un altro caso, sempre del 2004, era stato quello del giornalista iraniano Ebrahim Nabavi, il quale, in una comunicazione da lui fatta allo Human Right Watch, riguardo alla tortura, aveva dichiarato: - Da quando ho lasciato la stanza bianca non sono stato più in grado di dormire senza prendere pillole. È terribile. L'angoscia non ti lascia mai, nemmeno dopo molto tempo da "libero". Ogni giorno sei chiuso in te stesso... Riescono ad avere da te quello che vogliono senza torcerti un capello. Conoscono abbastanza di te da riuscire a controllare le informazioni che dai. Possono riuscire a farti credere che il Presidente ha dato le dimissioni, che hanno rapito tua moglie, che qualcuno ha detto loro menzogne sul tuo conto. Inizi a romperti interiormente. E quando vai in pezzi, loro prendono il controllo. E così inizi a confessare - . Non un calcio, un pugno, o un manrovescio. Non aveva subìto nemmeno un buffetto da quando era stato imprigionato. Lo avevano prelevato dalla sua auto ferma di fronte alla villa di Dmitry Fomichev. Dall'altro lato della strada. Gli avevano puntato contro una Glock, invitandolo ad uscire e a seguirli. E lo avevano condotto in quella maledetta stanza. - Quale tuo nome? - , aveva chiesto quell'uomo gigantesco in un inglese improbabile, contaminato in modo grossolano da una pronuncia di evidente matrice russa. La sua fisionomia era qualcosa di inquietante. Era alto almeno due metri e dieci, il collo e le braccia tatuate con dei tribali mahori e la testa, completamente rasata, esibiva una macabra ragnatela tatuata al centro del cranio. Al di sotto del suo occhio destro una cicatrice, larga almeno mezzo centimetro, iniziava un bizzarro percorso verso il basso - collo compreso - che si interrompeva all'altezza della clavicola. - Mio nome, Boris. Boris Koval e averto subito te. Non provare tu fregare me - . Altri due energumeni erano piazzati dietro di lui, di almeno tre passi. Le braccia incrociate sul petto e lo sguardo minaccioso. - Mi chiamo Luciano Ferrante, sono italiano - aveva risposto lui in inglese. - Quale tuo lavoro e perché tu fermo davanti casa signor Fomichev? - . - Sono un broker immobiliare e stavo cercando l'abitazione del signor Sokolov. Semyon Sokolov.
Avevo un appuntamento nella sua villa per parlare dell'acquisto di una tenuta al mare in Italia. A Portofino - . - In questa zona non c'è mai stato alcun Semyon Sokolov. Tu un bugiardo - . - No, le giuro signor Koval, non sto mentendo - aveva continuato, cercando di apparire sincero. - Il navigatore della mia auto a noleggio mi ha condotto qui ma, visto che non ho una buona padronanza della vostra lingua, di certo avrò sbagliato a digitare l'indirizzo. Nella tasca della mia giacca ci sono i miei documenti, può verificare. E nell'auto c'è il dossier con le foto delle case che devo proporre al Sig. Sokolov - . - Non ho bisogno di vedere tuo passaporto, né tue foto di cazzo. Avevo avertito te di non provare fregare me - aveva sentenziato Boris Koval. Si era quindi voltato e se n'era andato chiudendo la porta. Senza sbatterla. Dopo circa dieci minuti erano entrati due uomini, forse gli stessi di prima. Lo avevano spogliato nudo e gli avevano lasciato dei vestiti candidi sul letto, indicandogli di indossarli. Non avevano mai parlato prima di uscire da lì. Sembrava fosse successo una vita fa. *** La luce si spense all'improvviso, lasciando Marco Maggi completamente al buio. Dopo pochi minuti di iniziale sollievo provò un accesso di nausea nel trovarsi in quella improvvisa e inaspettata condizione. Opposta a quella che aveva dovuto subire da chissà quanti giorni: senza alcuna pausa. Quel buio totale era così assurdo da dargli addirittura fastidio, adesso. E dire che aveva spesso sperato potesse verificarsi per qualche ora. Anche solo per poche decine di minuti. Che paradosso. Decise di andarsi a coricare per cercare di trovare sollievo in un sonno finalmente decente. Quasi subito iniziarono a evidenziarsi in lui dei leggeri sintomi di distonia. Le prime contrazioni muscolari lo colpirono proprio mentre stava cercando di addormentarsi, costringendolo ad una veglia forzata per tentare di contrastare quel dolore fisico improvviso. Di certo si è verificato un guasto, riuscì appena a pensare quando alla fine il sonno ebbe il sopravvento.
- Che sorpresa mi riporti dalla Russia, pà? - Lui sapeva già che quella domanda sarebbe giunta da un momento all'altro da parte di suo figlio. Ogni volta che doveva partire per un ‘viaggio' era solito riportagli qualcosa. Anche solo una sciocchezza, l'importante era non tornare mai a mani vuote, per non deluderne le consuetudinarie aspettative. - Se te lo dicessi ora, Alberto, che sorpresa sarebbe. Giusto? Dai, ora vai a lavarti i denti così ti accompagno a scuola prima di partire - . - Giusto pà, hai ragione, ma mi piace tanto chiederlo comunque - disse ridendo mentre correva via. - Anch'io voglio qualcosa in regalo, anche io! - cantilenò sua figlia Margherita mentre gli saltava in braccio, sulla sedia della cucina, abbracciandolo forte - . - Ma certo che si! Anche a te, Marghe, papà porterà un bellissimissimo regalo - , le disse mentre le baciava il collo. Sua moglie Barbara si stava asciugando le mani, di là dall'isola della cucina. Li rimirava, la testa leggermente reclinata di lato, con un tenero sorriso accennato sulle labbra. - Dai Margherita, vai a lavare i dentini anche tu adesso, che la mamma ti accompagna all'asilo - disse lei battendo le mani. - Sii prudente Marco, mi raccomando. Abbiamo solo te nella nostra vita - riprese, ora che erano rimasti soli. Quel sorriso dolce non c'era più. Aveva lasciato il posto ad uno smorfia leggera, simile ad un bacio accennato, accompagnato da uno sguardo di supplica. - Stai tranquilla, tesoro mio, non ci sono rischi in questa missione. Devo solo monitorare a distanza i movimenti di un sospettato di traffico di opere d'arte. Nulla che preveda un'azione di contatto diretto tra di noi. Non mi è stata richiesta alcuna interazione, solo indagare, osservare e riferire. Tutto qui - - Tu stai attento lo stesso. E telefona ogni volta che puoi - ribadì lei. - Promesso! E ora vieni qui e dammi un bacio, tornerò sano e salvo come sempre - disse lui stringendola forte. - Lo so, Marco, ti credo. Ma ogni volta che parti per una missione mi assale un'ansia cheee... è più forte di me. Scusami - . - Dovrai stancarti di avermi intorno quando invecchieremo insieme - le sussurrò lui all'orecchio prima di uscire. Albertino era già salito in macchina mentre la porta si richiuse alle spalle di Marco Maggi. Barbara vi si appoggiò contro di spalle, le mani congiunte all'altezza del cuore, senza riuscire a trattenere una lacrima.
*** SBAM! I neon si accesero all'improvviso, inondando la stanza di una luce accecante. La porta si spalancò e l'uomo entrò con passo flemmatico e mani in tasca. Non indossava alcun capo d'abbigliamento bianco. - Salve Signor Maggi, spero abbia riposato bene - disse sorridendo, in un ottimo inglese privo di ogni inflessione. Era un uomo sui settant'anni, occhi celesti. Glaciali. Brizzolato, un metro e ottanta circa. Fisico asciutto e tonico, di certo frutto di un allenamento costante e impegnativo, considerando l'età. Era elegantissimo nel suo completo di vigogna grigio scuro di chiara fattura italiana. Un Lanieri su misura, sopra a una camicia azzurra in oxford egiziano con cravatta in cachemire blu di Hermès. Scarpe Church, modello Burwood stringate, color testa di moro. - Chi è lei, e perché mi ha chiamato con quel nome? - rispose Maggi mentre cercava di riprendersi dall'improvviso e violento risveglio e dal sogno che lo aveva appena accompagnato. - Il mio nome è Luciano Ferrante - puntualizzò quasi stizzito. - Non Maggi! - . - Suvvia Marco, non faccia così. Sono Dmitry Fomichev, l'uomo che lei stava sorvegliando. Sono già ventitré giorni che è mio ospite, non vorrà mica procrastinare la sua permanenza da noi per qualche altro mese? - lo incalzò. - Non penso potrebbe sostenerlo ulteriormente. Ad occhio e croce direi che lei abbia già perso almeno otto chili, grazie alla nostra esclusiva dieta a base di graminacee. E poi, diciamolo, non ha voglia di riabbracciare sua moglie Barbara e i suoi due pargoli? - . - Non provi a toccare la mia famiglia! - rispose d'istinto Maggi, confermando miseramente la sua vera identità. Si sarebbe tagliato la lingua sul posto, se avesse potuto. La tortura bianca aveva sortito gli effetti desiderati, abbassando la sua soglia di concentrazione. Nonostante l'addestramento ricevuto. Ora si giocava a carte scoperte. - Bene, adesso che entrambi concordiamo sulle sue reali generalità, non crede sia giunto il momento di dialogare da buoni amici sui veri motivi della sua visita qui a Samara? - disse in tono falsamente cordiale Fomichev. - Mi creda, ne sarei veramente lieto. A proposito, nel lasso di tempo in cui lei ha potuto godere della nostra ‘candida' ed esclusiva suite, ho provveduto a far lavare e stirare i suoi indumenti. Potrà indossarli freschi di lavanderia. Sono certo le farà piacere - .
Alzò l'avambraccio e fece schioccare il pollice e il medio della mano sinistra, mantenendo la destra in tasca e continuando a fissarlo con lo stesso falso sorriso. - Boris sarà lieto di consegnarglieli, prima di accompagnarla nei miei appartamenti ai piani superiori - disse in tono melenso. - L'attendo trepidante, faccia con comodo signor... Marco Maggi. A dopo - concluse sorridendo. Si voltò e uscì, senza attendere replica. Non era necessaria, né richiesta. *** Le pareti in ciliegio dell'ascensore erano illuminate da una soffusa luce che proveniva dai quattro faretti a led del soffitto. Non c'era nessuno specchio all'interno, la pulsantiera in ottone era perfettamente lucida. Una intensa lucina blu illuminava il tasto numero 1. Boris Koval, di fianco a lui, non aveva mai aperto bocca fin da quando gli aveva consegnato i vestiti. Marco Maggi li aveva indossati notando che la camicia, stirata a puntino, aveva un piacevole profumo di lavanda. Mancava la cravatta. Poco male. Mentre salivano era pervaso da un misto di curiosità, confusione e velato timore. Come aveva fatto Dmtry Fomichev a sapere tutto di lui? Le porte si aprirono senza fare il minimo rumore, grazie ad un movimento pneumatico di alta qualità. Di fronte a lui un salone di ampie dimensioni, circa venti metri per otto. Con un'altezza di almeno cinque. Era arredato in perfetto stile neoclassico, con mobili Impero francese e pareti tinteggiate di celeste polvere, incorniciate da stucchi ornamentali bianchi. Il soffitto a Volte confluiva sulle pareti ad un altezza di circa quattro metri. Al disotto delle vele, delle magnifiche grottesche le impreziosivano fino alla congiunzione con gli stucchi ornamentali posti a tre metri circa. Ai lati della finestra centrale - con vista spettacolare su una placida ansa del Volga - due gueridons in piuma di betulla, con fregi a forma di foglie di acanto in bronzo dorato, sostenevano due magnifiche sculture Liberty in oro, bronzo e avorio di Demètre H. Chiparus. Gusto e sobrietà inebrianti pervadevano tutto l'ambiente. - Benvenuto nella mia umile dimora, signor Maggi - esordì Dmitry Fomichev. Era seduto su un divano Impero a barca, sorretto da quattro piedini mossi. Due volute con ricciolo finale formavano i braccioli, mentre lo schienale era arricchito da un fascio centrale
sorretto da due cornucopie laterali. Era ornato con applicazioni in bronzo di finissima qualità, atte ad impreziosire i riccioli dei braccioli. Uno splendido tessuto dorato in seta, con disegni di api napoleoniche, gli donava un aspetto elegantemente austero. - Vorrei innanzitutto scusarmi con lei per non averle fatto consegnare tutti i suoi indumenti. Lo avrà notato, credo. Purtroppo la sua cravatta si è rovinata durante il lavaggio e abbiamo dovuto gettarla. Ma non si preoccupi, prima che lei vada via gliene donerò una delle mie. Un regalo personale, molto ricercato, per scusarmi del suo ‘soggiorno' presso di noi. La prego, si accomodi - indicò una delle due poltrone di fronte a lui, che facevano pendant con il divano. Marco Maggi si accomodò senza riuscire a sillabare nulla. Boris si piazzò, senza fare alcun rumore, alle sue spalle. - Vuole condividere con me del delizioso rhum El Dorado Grand Special Reserve? - disse affabilmente. Maggi ne aveva solo sentito parlare. Amava il rhum, ma non poteva certo immaginare di poter gustare, un giorno, un calice di El Dorado! Non gli era mai passato nemmeno per la testa. Era un rhum da cinquecentomila dollari la bottiglia. Una rarità destinata a pochi fortunati al mondo. - Grazie, molto volentieri - rispose. Dmitry Fomichev cliccò un tasto della sua app di gestione domotica sul cellulare e, di li a poco, entrò un cameriere in livrea bianca. Aveva in mano un vassoio d'argento, con due calici Tom Dixon in cristallo e una bottiglia del prestigioso liquore. Lo poggiò con cura sul tavolo basso Biedermeier. Fomichev fece gli onori di casa, versandone tre dita abbondanti ognuno. - Dunque, dicevamo. E' disposto ora a parlarmi dei veri motivi che l'hanno portata in casa mia? - . - Ad essere franco, signor Fomichev, in casa sua mi hanno portato Boris e i suoi uomini - replicò Marco mentre il suo palato era avvolto da quel nettare degli dei. - Suvvia signor Maggi, non stia a cavillare. Lei sa benissimo a cosa mi riferisco - aggiunse, mentre il suo tono stava cambiando. In peggio. - Così mi fa innervosire! - . Non ricevendo alcuna risposta, aggiunse - Ok, mi costringe a fare a modo mio: Marco Maggi, trentotto anni, felicemente sposato con Barbara Carli. Due figli, Alberto di dieci anni e Margherita di cinque. Residente a Roma in Via Lucio Afranio, 5. Quartiere Balduina. Terzo Piano. - sciorinò. - Due miei uomini, in questo preciso momento, sono sotto la palazzina del suo appartamento. Sua moglie e i bambini sono in casa. Abbiamo già controllato. Vuole che aggiunga
altro o preferisce proseguire lei? - incalzò, mentre lo fissava dritto negli occhi con uno sguardo minaccioso. Il mitico rhum El Dorado assunse come d'incanto uno strano sapore amaro nella bocca di Maggi, che si dissolse subito per lasciare il posto ad un'arsura improvvisa. Quasi fosse stato gettato un bicchiere d'acqua sulla sabbia del deserto del Sahara. A mezzogiorno. - Sta scherzando vero? - supplicò con la voce tremante. - Come ha fatto risalire a tutte queste informazioni? - . - Io non scherzo mai, signor Maggi. Vede, ciò che ho costruito negli anni, compresa la mia fortuna economica, è frutto di un duro e ricercato lavoro. Ma anche di stretti legami con persone che contano. Capi di Stato, ministri, dittatori, alto clero, intelligence. Vuole che un povero miliardario come me non abbia i giusti, diciamo così... agganci?. Come potrei tutelare la mia privacy da indesiderate intromissioni, altrimenti? Gradirei però, se me lo concede, sentire dalla sua viva voce qual'è la sua reale attività e qual'è l'incarico che l'ha condotta ad incrociare la mia strada. Ci tengo, la prego - . Marco Maggi capì di essere in trappola. - Le parlerò con franchezza, signor Fomichev, le dirò ogni cosa. Tutto quello che so. A patto che lei mi garantisca che non torcerà un capello alla mia famiglia - implorò Marco Maggi. Dmitry Fomichev prese il suo iPhone, digitò un tasto dalla rubrica e ordinò. - La consegna è annullata. Tornate indietro. - Il suo sguardo cambiò all'improvviso, addolcendosi ora. - Bene, ora che ho esaudito i suoi desideri, vuole essere così gentile da raccontarmi nel dettaglio quanto vorrei finalmente sapere? - . Appoggiò il suo calice di rhum sul vassoio, accavallò le gambe, si accese un sigaro Aging Room Quattro, Concerto. E attese. *** - Sono un agente operativo del reparto speciale N.A. 1 dell'Intelligence italiana, signor Fomichev. Ma credo che questo lei lo sappia già - confessò Marco Maggi. - Ovviamente. Prosegua prego - . - In seguito a una segnalazione giunta ai nostri uffici, da parte dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale, sono stato incaricato di sorvegliarla. Volevamo avere conferma del suo probabile coinvolgimento nella vicenda relativa alla sparizione di inestimabili opere d'arte,
mai ritrovate. Addirittura di una partita di diamanti grezzi. Solo questi ultimi, all'epoca del loro furto, avevano un valore commerciale di circa centoventi milioni di dollari e furono trafugati nel 2005 all'aeroporto Schiphol di Amsterdam. I camion rubati alla compagnia KLM furono ritrovati. Ma erano ormai vuoti - . - Lasci che le racconti una storia molto toccante e rocambolesca, signor Maggi - esordì Dmitry Fomichev mentre aveva ripreso a sorseggiare il suo prezioso rhum. - Mio nonno materno di origine ucraina, Andriy Melkin, era un convinto sostenitore del Terzo Reich. Durante il periodo bellico fece parte della Confraternita dei Nazionalisti, comandata da Stepan Bandera. Fu uno dei circa duecentocinquantamila ucraini volontari, arruolati in formazioni di supporto alla Wermacht nel 1941. Durante la campagna d'invasione della Russia, da parte di Hitler. Era un grande appassionato di opere d'arte. Un uomo di estrema cultura, dal gusto molto raffinato. E' stato proprio grazie a lui che io ho potuto sviluppare questa sensibilità per l'eleganza in generale e per l'arte in particolare - riprese. - Venga, le mostro una cosa. Mi segua, prego - aggiunse, mentre appoggiava di nuovo il calice sul vassoio e spegneva il sigaro dominicano. Si alzò dal divano e si avvicinò alla boiserie in ciliegio della parete occidentale del salone. Al centro ospitava una enorme libreria, stipata di antichi volumi di saggistica. Afferrò uno dei montanti, quello di sinistra. Lo tirò leggermente verso di sé. Ci fu un click, quindi si attivò un lento scorrimento verso destra del pannello che terminò all'interno del dorso della libreria. La grande stanza che si spalancò alla loro vista aveva dell'incredibile. Era almeno dieci metri per sei, circondata anch'essa da una boiserie, stavolta bianca, fino ad un'altezza di circa cinque metri. Dal soffitto a cassettoni scendevano tutt'intorno delle catenelle in ottone. Erano poste a distanze regolari e sostenevano decine di quadri sensazionali. Ad altezza di sguardo. Maggi riconobbe subito, in alcuni di loro, le opere presenti nella lista di quelle scomparse fornita da Serra. La parte bassa della boiserie era formata - in un corpo unico con le pareti - di mobili sporgenti circa quaranta centimetri, alti circa un metro. Di tanto in tanto, a intervalli regolari, delle nicchie stondate e illuminate - alte due metri - interrompevano la continuità dei mobili raggiungendo il pavimento in marmo bianco di Carrara, con tozzetti neri. Creavano un dinamismo architettonico di grande ricercatezza estetica. All'interno di ognuna, sopra delle colonnine doriche in plexiglas, molto essenziali nella loro trasparenza, erano esposti dei reperti archeologici di notevole qualità.
Sembrano essere di origine Egizia, o Greca, pensò Marco Maggi. Dmitry Fomichev fece strada in quel Salone delle Meraviglie, seguito da un Maggi sconcertato e affascinato al contempo. Dietro di loro Boris Koval non lo perdeva mai di vista, tampinandolo a non più di un metro. Maggi allacciò i tre bottoni della sua giacca, prima di entrare. Dmitry Fomichev lo osservò e sorrise. Attribuì quel gesto spontaneo a una sorta di deferenza di quel poveraccio di fronte a tanta magnificenza. Si diresse quindi a passo spedito verso la parete di fondo. Si fermò all'improvviso e si posizionò a circa un metro da essa, di fronte a un ritratto. - Ecco signor Maggi, tutto ha avuto inizio da questo dipinto. Il Ritratto di Giovane Uomo, olio su tela del 1516-1517 di Raffaello Sanzio. Fu trafugato dai tedeschi dal Museo Czartoryski di Cracovia, in Polonia. Era il 1939. Mio nonno Andriy lo recuperò nel 1945, direttamente dalla collezione di Hermann Goering, intento nel frattempo a cercare di sfuggire alla cattura da parte dei russi. A Berlino - si pavoneggiò. - La maggior parte degli altri che sta ammirando, sono invece frutto del mio intenso lavoro di ricerca e acquisizione. Mi creda, mi sono costati tanto tempo e danaro. Converrà con me, spero, che non possa accettare di privarmene a cuor leggero. Nemmeno se lo desiderasse la sua Intelligence - . Marco Maggi osservava in silenzio, mentre ora slacciava nuovamente la giacca: forse per eccesso di caldo, stavolta. Si diressero quindi verso uno dei mobili. Era dotato di una serie di cassetti, alti appena quattro o cinque centimetri. Saranno stati almeno venti, uno sull'altro. Ne aprì uno, il primo. Era pieno zeppo di diamanti grezzi. - Tutti questi tiroirs, agente Maggi, conservano lo stesso prezioso contenuto. Dal primo all'ultimo. Lei non può minimamente immaginare quanto sia stato impegnativo e costoso per me, organizzare la rapina nel 2005 ad Amsterdam. I controlli olandesi erano rigorosi e capillari. Ad un certo punto ero persino indeciso se proseguire con l'operazione o desistere. I rischi erano notevoli, ed ero molto preoccupato. Tuttavia la mia caparbietà, oltre alle laute mance distribuite ad alcuni importanti funzionari aeroportuali, mi hanno permesso di portarla in porto con successo. E' stata una vera iniezione di adrenalina - ***
- Prego agente Maggi, torniamo pure di là a finire di degustare il nostro rhum - suggerì Dmitry Fomichev. Tornarono a sedersi intorno al tavolino Biedermeier. Boris Kolev, si riposizionò diligentemente dietro alla poltrona Impero, alle spalle di Marco Maggi. - Cosa mi aspetta adesso? - chiese Maggi. - Il fatto che lei mi abbia mostrato la sua collezione esclusiva non fa presagire nulla di buono, francamente. Per entrare in possesso di tutte quelle opere d'arte non ha certo dimostrato né onestà, né pregiudizi. Ciò nonostante confido che lei sia almeno una persona corretta. La prego di rispettare il suo impegno e di non fare del male alla mia famiglia - concluse. Ormai si era rassegnato al peggio. - Vede, agente Maggi, le azioni umane provocano degli effetti che generano nuovi mondi. Mondi che sono completamente differenti tra loro - esordì Dmitry Fomichev. - Dove i corpi vengono celati nel Volga, si avrà un certo mondo. Dove i corpi vengono lasciati lì dove possano essere ritrovati, si avrà un mondo diverso - . - E tutti questi mondi, di cui prima non avevamo contezza, sicuramente ci sono sempre stati. Non trova? - . - Non lo so, ma... mi può aiutare o no? - supplicò. - No. A questo punto posso solo consigliarle di prendere coscienza della circostanza in cui si trova, agente - rispose. - Il mondo in cui vorrebbe porre rimedio agli sbagli che ha fatto, è diverso dal mondo in cui li ha commessi. Lei ora si trova al centro di un crocevia, e avrebbe voglia di poter scegliere. Ma non è più possibile. Lei ora può solo subire le conseguenze delle sue azioni. La scelta l'ha fatta molto tempo fa. Quando ha deciso di venire qui - . Marco Maggi iniziò a piangere. Un pianto sommesso, ma scosso da singulti irrefrenabili. Il muco iniziava a colare dal suo naso senza più controllo. - Ascolti agente. Lei ora darebbe ogni cosa che possiede per trascorrere anche solo un'ora in più con la sua famiglia, giusto? Rinnegherebbe ogni scelta fatta, ogni decisione presa. Ma non può più farlo. E lo sa perché? Perché quando si tira in ballo la sofferenza, le leggi che governano le regole commerciali non si applicano più. Perché la Sofferenza travalica il Valore. L'uomo alienerebbe tutto ciò che possiede per togliersi la sofferenza dal cuore e, purtroppo, non si può comprare NULLA con la sofferenza! Perché la sofferenza, me lo lasci dire... Non ha alcun valore - . - Perché mi sta dicendo tutto questo - singhiozzò. - Perché lei continua a negare la realtà in cui si trova. Lei ama la sua famiglia così tanto, così completamente, al punto che darebbe la sua vita in cambio della loro? - .
- Si. Siiiii. Vada al diavolo! - . - E' bello sentirle dire questo. E' un nobile sentimento il suo - . - Che cosa mi sta dicendo? Mi sta dicendo che questa è una possibilità? - . - No. Non è più possibile. Mi spiace - . - Ma lei mi ha detto che sono a un bivio... - - Si. E deve capire che è al punto in cui non-si-può-più-tornare-indietro. Lei è il mondo che ha generato, e quando lei cesserà di esistere, anche il mondo che ha generato cesserà di esistere - . - Nooo. Non faccia loro del male! - urlò con tutto il fiato che aveva in gola. - La imploro, loro non c'entrano nulla con tutto questo! - . Il Cravattino si avvolse improvviso intorno al suo collo. Boris Koval glielo aveva appena infilato e ora stava tirando forte l'estremità libera del cavetto. La lasciò subito dopo... e quello iniziò a stringere. Era un congegno meccanico, con all'interno una piccola ruota dentata che lo recuperava. Era prodotto in una speciale lega d'acciaio, quasi impossibile da recidere. Funzionava a batteria, e per il malcapitato a cui veniva messo al collo non c'era più via di scampo. Il motore si riavvolgeva lentamente fino a che il cavo non si ricongiungeva. - E' di suo gradimento la “cravatta” che le avevo promesso agente Maggi? E' il mio regalo personale - disse Fomichev, mentre scrutava incuriosito il volto stravolto di Marco. A pochi centimetri di distanza dai suoi occhi. - A proposito Boris, cancella pure dal tuo telefono quella finta chiamata a Roma che ho fatto prima. Serviva solo a motivare l'agente Maggi a rivelarci i piani della sua agenzia. Grazie - . Marco Maggi stava tentando di liberarsi invano da quell'assurdo marchingegno mentre Boris lo aveva afferrato per le spalle e lo teneva saldamente bloccato alla poltrona. Aveva subito infilato le sue dita tra il collo e il cavetto d'acciaio per tentare di contrastarne la stretta mortale. Senza alcun successo. Le prime tre falangi caddero sul tappeto Aubusson. Troncate di netto. Ne seguirono altre due subito dopo. Quelle dell'altra mano. Dalle sue giugulari iniziò a sgorgare il sangue. Prima zampillando, poi, a causa della pressione, spruzzando. Infine, sempre più lentamente ma con sconcertante regolarità, scorrendo inesorabile. Fino all'ultima goccia. La sua testa rotolò a terra dopo circa quattro minuti.
- Cosa le ha fatto supporre, agente Maggi, che io potessi essere una persona ‘corretta'? - ironizzò Fomichev mentre la osservava ridendo. A Roma, in via Lucio Afranio, 5 si era appena verificata una tremenda esplosione. Al terzo piano dell'edificio. L'ennesima fuga di gas. |
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