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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
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Writer Officina
Autore: Luciano Vecchi
Titolo: L'amuleto della libertà
Genere Ambientale
Lettori 3308 55 63
L'amuleto della libertà
Quel giorno l'aula magna era gremita. Tra i ragazzi sembrava prevalere una non ben definita eccitazione dovuta, presumibilmente, alla gioia di rincontrarsi. Non era raro che nel soggiorno estivo nascessero amicizie sincere coltivate nei mesi addietro con l'invio di email, di cartoline o di lettere appassionate. Questo, pur tuttavia, rientrava nella norma ed era quanto mai improbabile che l'euforia fosse generata da ciò. Si poteva pensare che taluni, essendo stati informati anzitempo della gita al Gran Sasso, volessero mantenere per sé la notizia, così avrebbero avuto modo di prenotarsi anzitempo, rientrando nel numero dei posti disponibili nella visita in programma in Abruzzo, dove oltre alle bellezze della natura, avrebbero avuto la ghiotta occasione di visitare l'inaccessibile laboratorio del Cern, sotto millequattrocento metri di roccia dolomitica, laddove vengono condotti esperimenti che hanno a che fare con la caccia al neutrino nel silenzio cosmico. Ma a quanto pare non era neanche questa la ragione della loro esultanza! Senonché, l'elettrizzante interesse doveva avere tutta un'altra motivazione. Difatti, sembra che tutto sia nato la sera precedente per bocca di Mike Jones, il quale aveva raccontato quello che gli era capitato una notte di un mese addietro nella sua bella fattoria del Michigan. Il giovane aveva svelato ai suoi compagni che navigando su Internet si era imbattuto casualmente su una notizia che riguardava il professor Echos; d'altronde si sapeva poco di quello che combinava, se non che le sue missioni, spesso all'insegna di contrasti socio-economici in terre sottosviluppate, lo portavano, non di rado, a trovarsi coinvolto in situazioni tutt'altro che piacevoli. Ma neanche questa poteva essere la motivazione della loro allegria!
L'articolo, apparso sul sito ludekman.com si riferiva all'uranio in Niger: parlava di scorie radioattive, sfruttamento di miniere da parte di un gruppo francese... ma era stata soprattutto la fotografia ad aver attratto la sua attenzione. L'immagine ritraeva il professor Echoswood accanto ad un omone dalla fisionomia orientale, con braccia poderose e un ghigno che avrebbe scoraggiato persino il più incallito dei criminali.
- Che stupido sono stato a non salvare l'immagine! - si rimproverò Jones mortificato.
- Potevi farlo l'indomani! - disse qualcuno dal capannello di giovani formatosi attorno a lui.
- Ed è quello che ho fatto! Solo che il giorno successivo non ho più ritrovato l'articolo! - rispose sconsolato Jones, sapendo di averla fatta grossa. - Certo, mi è parso strano che sia stato visibile sul web solo per poche ore! -
- Non è affatto strano! - proruppe Furio, un toscano fiero e impegnato, il quale con certi argomenti pareva andarci a nozze. - Non sono poche le notizie che corrono sul web e poi spariscono nel nulla. Proprio un anno fa, tanto per restare in argomento, avevo letto di scorie radioattive smaltite illegalmente sotto le rotonde agli incroci del mio paese. Ebbene, quando poi andai su Internet per vedere gli sviluppi della vicenda, mi accorsi che l'articolo era sparito. Strano, pensai! -
- Eh, chissà quante ce ne sono di cose che non vengono mai alla luce perché occultate! - intervenne Margaret, una inglesina piuttosto graziosa, contesa da diversi ragazzi.
- Mi pare di aver letto da qualche parte che se si mettessero insieme tutti i rifiuti speciali, pericolosi, tossici e non pericolosi prodotti nel nostro Paese, si creerebbe una montagna alta all'incirca come l'Etna - disse, come al solito ben informato, il giovane Toriello.
- Sì... creando un giro d'affari di svariati miliardi di euro di rifiuti speciali, cioè di produzione industriale, spesso rifiuti tossici - aggiunse altrettanto informato Furio Molinari.
- Accidenti! - esclamò Maciste, il più giovane tra gli studenti, il cui nome rapportato alla figura mitologica che lo voleva forte e massiccio, era divenuto uno spasso.
- E cosa ci sarebbe stato poi di così sconvolgente su quella fotografia? - chiese in tono sarcastico Alain Rulem, un parigino figlio di banchieri, perennemente in vacanza.
- Beh, mi sarebbe piaciuto farvi vedere che specie di gigante c'era accanto al nostro professore - disse il giovane. - Avreste dovuto vederlo! Una stazza fuori del comune, una vera muraglia! Al posto delle mani pareva avesse pale d'acciaio capaci di ridurti in un ammasso di carne tritata in pochi secondi. La sua testa poi era così grande che al confronto i Moai di Rapa Nui avrebbero fatto una figura meschina. -
- Esagerato! - fu il commento della signorina Martin nel sentire certe amenità. Benché non fosse amata dalla maggior parte degli studenti per via della sua insopportabile pignoleria, di lei si apprezzava la serietà e il notevole impegno profuso nel lavoro e spettava a lei, in occasioni del genere, preoccuparsi di presenziare l'entusiasta congregazione di accoglienza.
Anche il professor Truman, seduto come era sua consuetudine all'ultimo posto della fila centrale, rise del parere espresso da Jones. Ma la signorina Martin, che ben lo conosceva, sapeva quanto stesse friggendo dalla curiosità di fare la conoscenza del fenomenale personaggio.
Tuttavia, Truman pensava ad altro e trovava strano che a tempo scaduto non avesse ricevuto notizie dell'amico Donald. In situazioni analoghe ci s'incontrava almeno un paio d'ore prima per definire le formalità con cui veniva aperto ufficialmente “l'incontro d'estate”.
Eppure, appena tre giorni addietro, era stato proprio lui ad aver dato per certo la sua presenza. Preso dal bisogno di riflettere si alzò dalla sedia e avvicinandosi alla collega le sussurrò qualcosa all'orecchio, per poi uscire dall'aula.

Nel frattempo i ragazzi, i quali sino a quel momento si erano informati tra loro circa la vita che avevano condotto negli ultimi mesi, iniziarono col dare segni d'irrequietudine, e in men che non si dica nella sala cominciò a serpeggiare il malumore.
Chi appariva seriamente preoccupato invece era il giovane africano di origine malgascia, ospite fisso al castello. Truman lo incrociò non appena scese dabbasso, uscendo nel cortile adiacente alle cucine. - Ehi, Michael! Cos'è quel broncio? - disse sorridendo, andandogli incontro.
Michael lo salutò. - Oh, professore! Se quello che ha detto Jones è vero, e se il professor Echos si trova sul serio in Niger... può avere difficoltà per uscire dal paese - disse con aria sconsolata parlando lentamente, poiché soltanto in questo modo rendeva il suo italiano più comprensibile.
- Cosa te lo fa pensare? - chiese Truman accigliato.
- Beh, se l'articolo parlava di uranio... non c'è da stare allegri, professore! Al mio paese l'uranio ha sempre attirato attorno a sé brutte storie... -
- Brutte storie! Che vuoi dire, Michael? -
- Vede, professore, anche al mio paese ci sono miniere di uranio, oltre che di rame, bauxite, piombo, ferro... Queste risorse però hanno destato l'interesse dei corrotti e dei corruttibili, dei politici, funzionari dello stato, militari, multinazionali, persone senza scrupoli che, grazie alle loro malefatte, hanno reso la vita dei nativi sempre più complicata e piuttosto difficile - disse con voce profonda, piuttosto baritonale, esprimendosi alla perfezione.

- Già, è proprio così, Michael. Purtroppo stiamo vivendo il tempo dell'avidità! Se si pensa poi che i giacimenti che esistono vanno sempre più scarseggiando, ecco che si capisce perché si creano i presupposti che conducono a situazioni spesso drammatiche... Sei forse preoccupato che il mio amico Donald si sia cacciato in qualche guaio? - domandò il docente, guardandolo dritto negli occhi.
- Oh no, professor Truman! Però sa, il Niger non è molto diverso dal Madagascar o dal Congo. Anche lì ci sono corruzione, povertà, avidità, violenza, tante brutte cose... -
- Hai ragione - disse tranquillamente Truman - ma ora, non stiamo a pensare a cose che ci fanno stare male. Vedrai, tutto si sistemerà e il nostro amato professore presto sarà tra noi, per cui non starti a preoccupare. -
Così detto salutò il giovane e s'incamminò per il giardino, riflettendo sulla breve chiacchierata.
In effetti, pensò, di uranio in giro per il mondo ce n'è poco e quello utilizzato proviene quasi esclusivamente dalle vecchie testate nucleari sovietiche, che sta però finendo. Rammentò quanto si era detto in un rotocalco della RAI che si era occupato di argomenti del genere: si parlava proprio del Niger e di come il governo locale avesse venduto lo sfruttamento delle sue miniere di uranio a società minerarie, usando le maniere forti contro coloro che non fossero stati d'accordo. Alla fine però, i risultati di quelle concessioni spesso si traducevano in sfaceli inimmaginabili e conti salati da pagare. Difatti, dopo aver saccheggiato e devastato a loro comodo, quando di uranio non ce n'era più, le grandi multinazionali abbandonavano il sito lasciandosi alle spalle materiale contaminato, malattie e tanta disperazione... insomma, la solita storia! Erano queste le questioni sulle quali Donald difficilmente avrebbe indietreggiato, pensò Truman rammentando quando si erano conosciuti. Sin da subito aveva intuito che quell'uomo, che a prima vista dava l'idea di un intellettuale colto, altri non fosse che un avventuriero animato da nobili propositi, il quale difficilmente, avrebbe dedicato la vita all'insegnamento. Non perché le sue capacità di farsi comprendere fossero scarse, bensì poiché la sua indole insofferente lo portava ad amare l'avventura, i luoghi sperduti del mondo, ad occuparsi dei diritti civili, delle ingiustizie sociali... tutte realtà che si annidano nell'esistenza umana e l'avvelenano.
D'un tratto, la quiete del luogo fu scossa dal rumore assordante di un clacson che si udiva sempre più vicino. Fatti pochi passi Truman raggiunse il robusto portone realizzato con vecchie travi di quercia e dal piccolo pertugio poté dare un'occhiata all'esterno. Di sopra alcuni ragazzi corsero ad affacciarsi, mentre altri raggiunsero il cammino di ronda. La signorina Martin, presentendo che potesse essere Donald, tirò un sospiro di sollievo e facendosi spazio tra i giovani si trovò un posto in prima fila.
Dal fondo della strada si vide salire un grosso SUV bianco che procedeva suonando ripetutamente il clacson, facendo fuggire al suo passaggio interi stormi di uccelli. Tutti, in una sorta di tensione e trepida attesa erano ansiosi di vedere cosa stesse succedendo.
Ancora strombazzando il SUV imboccò il viottolo con andatura più lenta, fermandosi proprio dinnanzi il professor Truman, uscito in quel momento nello spiazzo selciato che fronteggia il castello, il quale rimase praticamente di sasso, allorché dall'abitacolo vide uscirne un omone dalle dimensioni e fattezze impressionanti. Costui indossava una giacca in velluto di colore verde sopra una camicia bianca aperta sul collo, facendo sfoggio di un raffinato panama bianco portato sulla testa disinvoltamente. Sconcertato oltremodo, Truman fece caso che non appena l'omone era sceso dal SUV, il veicolo si era sollevato da terra perlomeno di venti centimetri. Con un'espressione di stupore permanente sul viso, stette lì per lì per accennare qualcosa, quando dalla portiera posteriore del taxi vide sbucare l'amico Donald, il quale con l'aria più disincantata del mondo gli si rivolse, dicendo: - Ehi, Frank, non dirmi che mi davate per disperso?! - .
- Ehilà, professore, bentornato! - intonarono gli studenti all'unisono non appena lo riconobbero. Donald alzò la testa e li vide festanti e allegri alle finestre in basso. Li salutò agitando la mano e quando scorse tra loro la fedele Evelyn, le regalò un plateale inchino, esortando tutti a sorridere.
- Oh, che magnifica accoglienza! - disse allorquando Truman gli fu accanto. - Tutto bene, Frank? - domandò prendendolo sottobraccio. - Vieni, voglio presentarti il mio amico Yakima, un autentico portento della natura! -
- Ah, non ho alcun dubbio! - rispose il collega con un'espressione stralunata.

Yakima, i cui movimenti lenti ma possenti erano seguiti con grande attenzione da tutti gli astanti, trasse dal portabagagli del SUV dei pesanti borsoni, alzandoli come fossero dei semplici fuscelli. Donald si occupò invece di saldare la corsa e salutare l'autista al quale, senza troppi preamboli, consigliò di cambiare l'auto, informandolo che un pieno di bioetanolo* per un SUV equivale a sfamare un uomo per un anno intero. Costui, timoroso e ammutolito, prima di congedarsi, volle dare un'ultima occhiata al fenomenale personaggio asiatico che sino a pochi minuti prima era stato seduto dietro di lui, e senza aggiungere altro salì in macchina partendo con una certa sollecitudine per la capitale.
Presentato Yakima al collega, il redivivo Donald fece strada, avviandosi per primo verso l'entrata del maniero. Yakima si era infilato sottobraccio i bagagli, tenendo a tracolla dei pesanti borsoni. Nel superare il portale, il colosso cinese si era soffermato ad osservare con interesse il massiccio battiporta a testa di cavallo in ottone, che tanto avrebbe desiderato il compianto Luc Brady, in quanto era l'emblema di famiglia.
Oltrepassato il breve cortile, si accomodarono nella sala con il camino, dove vennero raggiunti immediatamente dai ragazzi e da Evelyn Martin, cui Donald dimostrò il suo affetto con un abbraccio sincero e affettuoso. E com'era prevedibile, Yakima si trovò subito accerchiato dall'entusiasta raggruppamento, la cui intenzione era sapere tutto su di lui cominciando col porgli una serie di domande una dietro l'altra. Ma lui era un tipo di poche parole e difficilmente avrebbe risposto ai loro quesiti. Entrambi i due colleghi fondatori sorrisero nel vedere l'interesse che stava suscitando e Frank chiese all'amico dove lo avesse incontrato. Donald, che in un cuor suo moriva dalla voglia di raccontare come lo aveva conosciuto, con un colpetto di tosse chiese l'attenzione, prendendo la parola.
- Vi dirò io qualcosa di lui - disse nel chiacchiericcio che andava smorzandosi, ben sapendo che i giovani ci vanno a nozze con le storie che escono fuori dalla normalità. Tutti si ammutolirono e ciascuno si accomodò come meglio poté.
- Ebbene, se non fosse stato per il qui presente Yakima, probabilmente ora non sarei qui a parlare con voi - soggiunse con voce pacata, posandogli la mano sulla possente spalla, seduto, non proprio comodamente, sulla poltrona accanto alla sua. - La prima volta che l'ho visto è accaduto in un pub malfamato, in una delle tante strade sterrate di Mombasa in Kenya, dove ero entrato per chiedere soltanto un'informazione. Era attorniato da un gruppo di cinesi malintenzionati coi quali stava discutendo piuttosto animatamente. Alcuni di loro però erano armati di pistola e coltello e stavano facendo di tutto per catturarlo, e siccome fuori in strada avevo la jeep in noleggio da appena dieci minuti, intuendo che quelli non avevano alcuna intenzione di desistere... emisi un fischio acuto e prolungato; lui si voltò e gli feci cenno di seguirmi. Così, dopo essersi preoccupato di stenderne un paio a suon di sberle e a rendere inutilizzabili almeno tre tavoli e diverse sedie, corremmo fuori in tutta fretta, spiccando entrambi un salto sulla jeep, e dato che avevo lasciato il motore acceso potei partire a razzo, senza dare a quella banda di fanatici il tempo di realizzare quale direzione avessi preso. Per fortuna, quella volta tutto filò liscio! -
Nel salone era calato un silenzio carico di tensione e tutti ascoltavano con attenzione il racconto del professore con una espressione ricca di pathos. Ma nulla sfuggiva loro circa Yakima, il quale pareva stesse contemplando lo spettacolo della natura espresso in un dipinto ritraente il sole al tramonto sul mare, appeso alla parete di fronte a lui. Ai ragazzi rimase impresso il suo sguardo fermo e profondo, che aveva un ché di magnetico.
Dopo aver bevuto del tè freddo, servitogli da un raggiante Michael, Donald riprese a raccontare.
- Yakima fa parte dell'etnia Mulao e proviene da una contea situata nella regione autonoma di Guangx Zhuang, nel sud della Cina. L'etnia Mulao è una minoranza etnica che abita principalmente nelle zone montane dedicandosi prevalentemente all'agricoltura. Ebbene, per un fatto che io non conosco, e non ho mai voluto insistere con lui per saperne di più, mi sono sentito in dovere di aiutarlo, come lui in seguito ha fatto con me in Niger. La mia, ragazzi, è una scelta del tutto personale poiché se lo conosceste come ho avuto modo di conoscerlo io... capireste che una persona di tale levatura non potrebbe nuocere senza che lo si costringa a farlo. Del resto, quanto ho fatto lo avrei fatto per chiunque si fosse trovato in difficoltà, come sono assolutamente certo avrebbe fatto lui. Dico bene, mon ami? - concluse, dandogli una leggera pacca sulla spalla... ma Yakima era bello volato nel mondo dei sogni e lo si poteva capire sentendolo ronfare. - Bene, mi pare che il nostro gradito ospite abbisogna di starsene in santa pace... e noi ora lo lasceremo tranquillo! - disse Donald tirandosi su, mentre Truman e la signorina Martin esortavano i ragazzi ad uscire. - D'altronde, con tutti i chilometri che abbiamo macinato trovo del tutto normale che un colosso del suo stampo possa sentire l'esigenza di riposare. È umano, accidenti! - soggiunse, lasciando la sala del camino.

L'indomani incontrandosi in refettorio di buon'ora, tutti i commenti vertevano sullo stesso argomento. Sebbene si fossero tranquillizzati per il ritorno del professore, gli studenti si ritrovarono concordi nel giudicare Yakima, da loro studiato, visionato e radiografato la sera precedente, una creatura non comune. A molti non era passato inosservato che sotto quella montagna di nervi e muscoli potesse celarsi una persona dal temperamento mite e con una carica interiore straordinaria. Il fatto di essere poi un tipo taciturno ma vigile e accorto allo stesso tempo, fu motivo di un ulteriore apprezzamento. Tuttavia, il fulcro centrale del loro discorrere protrattosi per buona parte della notte, era racchiuso in quella sorta di mistero che aleggiava attorno all'amuleto che egli portava celato sotto la camicia.
- Per me deve essere fatto con l'ossidiana nera - suggerì Margaret che teneva a casa un talismano a forma di Buddha dello stesso materiale.
- Che roba è? - sbottò Maciste alle prese con un carica batterie che non voleva saperne di funzionare.
- È una roccia eruttiva formata quasi interamente da rocce di materie vetrose - intervenne da par suo Furio Molinari sorseggiando un tè.
- Ben detto! Un vetro vulcanico formato grazie al velocissimo raffreddamento della lava - aggiunse da grande appassionato di geologia Alain Rulem, sistemandosi la sciarpa di seta attorno al collo.
- Dalle mie parti nei tempi antichi, certe tribù native usavano l'ossidiana nera per farne coltelli, punte di lance e frecce - annotò con orgoglio il taciturno Alden, originario dell'Arizona e fiero conservatore delle sue radici.
- Accidenti, non riesco proprio a immaginare a cosa potrebbe assomigliare quel talismano! - esclamò insofferente Aristovoulos Doukas, un greco dell'isola di Mykonos il cui interesse per la crescita dei livelli dei mari causato dall'innalzamento della temperatura lo aveva indotto a partecipare al soggiorno estivo.
Ebbene, da quanto si era saputo pare si debba proprio all'amuleto che Yakima teneva appeso al petto se a Echoswood fu concesso uno speciale salvacondotto che gli aveva consentito di lasciare sano e salvo il Niger! Questo lo si era appreso da Giovanni Toriello, il golden boy di Fabriano che la sera precedente, prima di andarsi a coricare, aveva udito casualmente una conversazione in cui il professor Echos svelava all'amico Truman come fosse uscito indenne da quella situazione.
- Sembra che Yakima prima della partenza dal Niger si sia incontrato con qualcuno in una stanzetta riservata dell'aeroporto internazionale di Niamey, in Niger, e che gli sia bastato mostrare l'amuleto, affinché questi agisse come una sorta di password, aprendo loro porte insperate - disse concitato piluccando uno a uno i chicchi d'uva di un grappolo davanti a sé, lasciando tutti ammutoliti.
- Questa poi! - esclamò sconcertato Alain, il parigino. - Se devo dire come la penso, non potrei che... -
- Shh! - fece Toriello zittendolo di colpo allorquando vide entrare nella sala mensa il professor Truman e la signorina Martin.
- Ragazzi, debbo comunicarvi una variazione del programma - furono le prime parole di quest'ultima, chiamando a raccolta i giovani. - Purtroppo la prevista visita al laboratorio del Cern del Gran Sasso, che avremmo dovuto fare... è saltata per motivi del tutto indipendenti da noi - disse coincisa e formale, come era suo solito.
- Eh no! - si lamentò qualcuno.
- Niente più visita al Cern! - reagì qualcun altro.
- Però non vale! - si accodò sconsolato Furio Molinari e sull'identica solfa seguirono tutti gli altri.
Ora, il tempo che restava bisognava utilizzarlo in altro modo. Così, a parte qualche viaggetto nella capitale, accolto sempre con gioia dai convenuti, le giornate si sarebbero svolte in aula visionando filmati, documentari, promuovendo forum su Internet, argomentando su desertificazione, energie rinnovabili, mutamenti climatici... Senonché l'ingresso in scena di Yakima, in un certo senso, aveva migliorato la loro prospettiva, mentre Truman, preso dal forte senso di responsabilità che lo caratterizzava o forse dal desiderio di non lasciarli del tutto delusi, fece loro una proposta, invitandoli nella sua casa giù a valle la domenica successiva.
L'invito fu ben accolto; sarebbe stata l'occasione per dare un'occhiata alla cantina di cui il professor Truman andava molto fiero. Si mormorava che grazie ad Internet fosse entrato in possesso d'una antica ricetta etrusca che insegnava l'arte di produrre il vino, anche se poi ogni qual volta gli si chiedevano delucidazioni, per risposta ne ricevevano un sorriso sornione.

Il resto della giornata si svolse in aula in un interessante incontro con il ritrovato professor Echos; non accadeva da mesi e molti dei giovani non avevano mai avuto modo d'incontrarlo, il che fu per lui un'occasione da non perdere per intavolare, seduta stante, un argomento davvero scottante.
- Come credo alcuni di voi già sappiano, di recente è stato scoperto qualcosa che può essere definito benissimo come il settimo continente della Terra - esordì spostando lentamente lo sguardo sui presenti che si erano accomodati ai tavolini.
- Il settimo continente!? E dove si trova? - domandò eccitato Larry dalla terza fila.
- È stato localizzato a cinquecento miglia al largo della California, nell'Oceano Pacifico e si pensa possa essere grande due volte il Texas o, come pensano alcuni, addirittura quanto gli Stati Uniti, cioè dieci milioni di chilometri quadrati - disse sollevando il righello sulla grande carta geografica.
- Caspita, più grande del Brasile! - esclamò Furio Molinari, assai interessato all'argomento.
- L'ha scoperto per caso un certo Charles Moore una dozzina d'anni fa mentre veleggiava al largo del Pacifico nord orientale seguendo una rotta di solito evitata dai pescatori per la scarsa presenza di vita marina - svelò il professore voltandosi verso l'aula. - In verità, se ne conosceva l'esistenza sin dagli anni Cinquanta, anche se poi a Moore va il merito, nell'era del web, di averne parlato per primo. Non pensiate però che sia un continente come gli altri. Magari lo fosse! - soggiunse, amaramente. - Si tratta invece di una zona amorfa, senza contorni distinti, che si sposta a seconda della stagione, fra i ventitré e i trentasette gradi di latitudine nord, per poi curvare verso sud e andare incontro a El Niño, il fenomeno meteorologico che nasce nelle acque del Pacifico tropicale e che ha importanti conseguenze per il clima di tutto il pianeta. Ma di questo ne parleremo in seguito - precisò, tornando alla mappa, indicando con il righello la zona attorno all'equatore.
- Un continente che si muove, forte! - esclamò incredulo Toriello.
- Esatto, un continente che si muove! Solo che invece di essere un pezzo di terraferma solido e compatto, su cui ci si può camminare sopra per quanto la superficie è diventata uniforme, si tratta di un enorme ammasso di rifiuti nota come Great Pacific Garbage Patch, una vera isola di plastica, tenuta su da un gioco di correnti vorticanti che si muovono tranquillamente in questa zona del Pacifico che ho cerchiato in rosso - disse mostrandola sulla carta. - Moore, del Pacific Trash Vortex ha svelato al mondo la predominanza di plastica, ma questo vortice ha origini naturali, solo che sino a qualche decennio fa si trattava esclusivamente di un agglomerato di tronchi, erbe, alghe... Sembra che questo punto funga da accumulatore dei residui della civilizzazione - spiegò, indicando con il righello. - Ebbene, qui convogliano i rifiuti sintetici di mezzo mondo trasportati dal North Pacific Subtropical Gyre, una enorme massa di aria calda che si forma all'Equatore e che discende lenta a spirale in senso orario. -
- E dove vanno a finire questi rifiuti? - chiese impaziente Omar, un egiziano mite e tranquillo, ospite fisso al castello come Michael.
- Beh, restano lì fino a che non sopraggiunge una tempesta a smuovere le acque, e allora i rifiuti vagano nell'oceano, arrivando sulle coste delle Hawaii, dove anche se si ripuliscono le spiagge, la plastica continua ad arrivare. Sembra che qualunque cosa galleggi, non importa da quale parte dell'oceano provenga, dopo un lento peregrinare nelle acque per una dozzina e più di anni... concluda qui il suo viaggio - spiegò Echoswood, rendendosi conto di quanto l'argomento li avesse affascinati.

- Accidenti! - fece sbalordito Toriello con gli occhi puntati sulla carta geografica.
- E non si può sapere da dove arriva tutta questa plastica? - domandò Pamela, figlia di un possidente newyorkese a cui piaceva trascorrere l'estate in Italia.
- In effetti, tutta questa plastica ha inizio con un percorso a terra, prosegue scendendo per fiumi e ruscelli, sfociando poi in mare aperto in una massa formata da pezzi riconoscibili ma soprattutto da frammenti infinitesimali, che non scompaiono ma diventano sempre più piccoli. Milioni di tonnellate che il mare ha inghiottito ma mai ingerito! -
- Ma non è possibile conoscere l'ampiezza reale di quest'isola di plastica? - chiese Tobia, un giovane dall'aspetto paffuto e colorito, seduto due posti dietro Toriello.
- Purtroppo no! Pare sia impossibile intercettare dai satelliti, poi è lontano dalle rotte di navigazione e galleggia poco sotto la superficie delle acque. Anzi, secondo il capitano Mooore, il peggio deve ancora essere scoperto! Perciò ora si è messo in testa di capire l'esatta estensione e la concentrazione di queste aree mai esplorate prima. Va rilevato che la quantità di plastica è sei volte superiore a quella del plancton, ma il problema sta nel fatto che la maggior parte dei detriti marini sono biodegradabili... - proseguì assorto passeggiando tra i banchi. - La plastica, al contrario, si disintegra nel mare in piccolissimi frammenti, alcuni dei quali raggiungono dimensioni di singole molecole che finiscono inevitabilmente nello stomaco di molluschi, pesci e volatili che la scambiano per cibo e conseguentemente entra nel ciclo alimentare con devastanti conseguenze. -
- Allucinante! - apostrofò Pamela rabbrividendo.
- Già, proprio così! Eppure in questa vasta zona di mare - disse, tornando alla carta geografica - confluisce di tutto: spazzolini da denti, bottiglie, accendini, siringhe, guanti, posaceneri, pompe per bicicletta, attrezzi giapponesi per allevare le ostriche, buste cinesi, cotton fioc, ombrelli indiani... nello stomaco di un albatros è stato trovato persino un pezzo di plastica datato millenovecentoquaranta, senza contare che ci sono altre cose che entrano nel circolo alimentare più facilmente della plastica, ma non le vedi. -
- Fortuna che rimane tutto in superficie - replicò Tobia, che ascoltava la lezione con vivo interesse.
- Beh, questo è da vedere! E lo si capirà soltanto quando ci sarà un sottomarino robotico capace di raggiungere le alte profondità, come ad esempio i dieci chilometri della Fossa delle Marianne nell'Oceano Pacifico, il luogo più remoto e inaccessibile del pianeta. -
- È disumano, professore! - intervenne ancora una volta Pamela con un senso di disgusto dipinto sul viso.
- Pensate, nel corso dell'esplorazione di questa enorme zuppa di plastica, che sembra mescolata da un invisibile cucchiaione, il gruppo di ricerca fondato da Moore, il quale come noi si prefigge di risvegliare le coscienze, ha potuto appurare che in mare restano solo frammenti verdi, bianchi, blu e neri, ma non quelli rossi, gialli e arancio. Si ipotizza che siano stati scelti da animali la cui alimentazione si basa sul colore - svelò il professore avvertendo stupore e sbalordimento in tutti.
- Pazzesco, è un problema molto serio! - osservò Maciste sbigottito.
- L'inquinamento plastico negli oceani è un argomento enorme che richiederebbe un'azione immediata - aggiunse Pamela sdegnata.
- Eh sì, la plastica è diventata un'emergenza planetaria! - ribadì il professore tornando alla sua postazione. - E sebbene la tecnologia offra la speranza di uno smaltimento più illuminato, il tempo stringe e questa enorme isola di plastica, la quale rappresenta a meraviglia la nostra era consumistica, è destinata a raddoppiare le sue dimensioni entro il duemilatrenta, e allora... -
- Allora saremo tutti sommersi dai rifiuti! - concluse Pamela con profonda tristezza.
Luciano Vecchi
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