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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Autore: Silvio Nizza
Titolo: La felicità
Genere Giallo
Lettori 3988 19 30
La felicità
Il paese.

- Ma no, è troppo liquida ti dico... -

- Ma che dici? È perfetta! -

- Ti dico di no! È troppo liquida, Nino. -

- Senti, Ciccio, se fosse più solida, dovrei mangiarla con il cucchiaino e non potrei inzupparci la brioscia dentro. -

- E tu per forza dentro ce la devi infilare la brioche? Non puoi accompagnare le cucchiate ai morsi? -

- Che c'entra? Quando mai s'è visto! La brioscia va inzuppata nella granita, mica accompagnata asciutta a morsi. -

- In effetti... - confermò Peppe - la granita di mandorla siciliana va mangiata così. -

- Direi di sì! - rincarò la dose Nino - la granita deve essere semi liquida, mica solida. Altrimenti la brioche non s'inzuppa bene e non assorbe. -

- Fate come vi pare, ma dalle parti mie, la granita di mandorla va servita più densa e consistente. -

- Quindi la brioche la mangi a parte? Magari ti prendi quella lunga e ovale, vero? -

- Certo che no, la brioscia deve essere quella rotonda con il tuppo lievitata con l'uovo, ma la granita di mandorla deve essere granulosa, mica sciolta come la tua, che sembra latte di mandorla... -

- Va be', ognuno si sceglie la granita che vuole. Io la preferisco bella liquida e cremosa, per far assorbire bene la brioscia che ci inzuppo dentro. -

- Figuratevi che in certe zone la fanno triturando le mandorle con tutta la buccia - s'inserì Peppe.

Nino rimase con il tuppo a mezz'aria. - E la buccia non dà fastidio? -

- No, i granellini si depositano sul fondo della coppa e li puoi lasciare lì. -

- Ogni zona della Sicilia ha la sua specialità di granita - osservò Alfio, con sapienza - figuratevi che in alcune zone la preparano con le mandorle abbrustolite, invece che con quelle crude. -

- Abbrustolite? Ma poi il sapore non è amarognolo? La granita di mandorle dev'essere dolce! - sentenziò Nino.

- È comunque dolce, grazie allo zucchero, non alla lavorazione della mandorla - ribatté Alfio, risoluto.

Nel frattempo, i quattro compari erano giunti, quasi in sincrono, alla fine del contenuto dei rispettivi bicchieri.

- Poi c'è chi la preferisce macchiata con il caffè - commentò Ciccio.

- No! La granita di mandorla va mangiata così com'è. Bisogna sentire il gusto - replicò subito Nino, che sembrava aver preso l'impegno di non darne vinta una a Ciccio.

- Ci sono anche quelli che ci vogliono la panna sopra - commentò, ridacchiando, Peppe.

Nino fece una smorfia insofferente. - Così si rovina il gusto! Chi è che si azzarda a ordinare una granita di mandola con la panna? -

- Guarda che alcune zone della Sicilia la servono già con la panna, senza che i clienti la richiedano - ribadì Alfio, che riteneva di essere il più istruito dei quattro e di conoscere il mondo, per il semplice fatto di essere andato un po' qua e là in giro per la Sicilia, senza comunque aver mai attraversato lo stretto.

- Figuratevi che io una volta a Milano, dov'ero andato a trovare mio figlio, ho chiesto una granita di mandorla. Così... tanto per vedere cosa mi servivano, e mi hanno presentato un bicchierone pieno di ghiaccio tritato con dentro un po' di sciroppo d'orzata - commentò Peppe, ridacchiando.

- E ti sei bevuto il ghiaccio insaporito con l'orzata? - chiese Nino, strabuzzando gli occhi mentre si forbiva le labbra con il fazzolettino di carta.

- Che altro potevo fare? Mica potevo lasciarglielo lì... e poi avevo sete. Si pensa che a Milano faccia sempre freddo, ma quella volta ad agosto c'era un caldo da morire, quindi con quell'intruglio mi sono rinfrescato. -

- Potevi prendere cappuccino e cornetto - s'inserì Ciccio, ironico.

- Sì, cappuccino e cornetto vanno bene a gennaio per scaldarsi, ma ad agosto... -

- Per non parlare di quelli che ordinano la granita di gelsi o di pistacchi o di melone! - riattaccò Peppe.

- Sì... gelsi, melone e tutto il resto... quelle le fanno apposta per i turisti, figurati... avete mai visto un siciliano ordinarle? - replicò Ciccio.

Gli altri assentirono, ridacchiando di gusto.

- Che dite, paghiamo e andiamo a farci due passi fino ai giardinetti? - suggerì Nino, dopo alcuni istanti.

- Sì, andiamo a pagare - concordarono gli altri e si alzarono dal tavolino, avviandosi verso la cassa.

In Sicilia, la granita alla mandorla con la brioche, non è una semplice colazione estiva, ma un'istituzione, e va gustata da inizio primavera fino ad autunno inoltrato, e date le temperature abituali del luogo, non è difficile farlo.

Diviene poi indispensabile d'estate, per combattere la calura e l'afa, che già di prima mattina ottenebrano i sensi.

Villalta era bello in quelle mattine tra gli anni '70 e '80. Un paese di mezza collina, tranquillo, quasi sonnacchioso si potrebbe dire, se non fosse per i pettegolezzi che giravano, diffondendosi a macchia d'olio.

L'ultimo gossip, il più succoso, era sen'altro il matrimonio della contessina Elena Mazzarino con il sindaco Enzo Caruso.

Matrimonio sfarzoso, da favola, di cui parlare non per mesi, ma addirittura per gli anni a venire.

A dire il vero la contessina non navigava nell'oro, ma il sindaco i soldi li governava a palate. Li aveva accumulati comprando terreni a strozzo, e rivendendoli a prezzo decuplicato, acquistando interi caseggiati fatiscenti e decrepiti, ristrutturandoli alla bell'e meglio e piazzandoli poi come se fossero ville di lusso.

Un vero pescecane del settore edilizio.

Acquistava terreni agricoli, faceva cambiare loro la destinazione d'uso in terreno edificabile – con l'appoggio dei politici compiacenti – e fabbricava palazzoni, vendendo poi gli appartamenti al prezzo di mercato.

Dopo aver accumulato tanta ricchezza, non voleva più chiedere favori ai politici, e così si era candidato lui stesso, ottenendo una valanga di voti, e adesso governava in prima persona tutto il settore immobiliare del paese e dintorni.

Si può dire che a Villalta non ci fosse partito migliore di lui. Proprio quel che ci voleva per la povera contessina; povera nel senso letterale della parola. Il padre aveva dissipato denari, proprietà e gioielli fra donne, scommesse alle corse di cavalli e indebitandosi giocando ai casinò.

Alla sua morte aveva lasciato alla figlia solo la casa e un guardaroba molto fornito.

A dire il vero, la “dote” più preziosa della contessina, era la sua incantevole bellezza.

Era proprio di quella bellezza delicata e raffinata, oltre che del nome del casato, che si era invaghito il sindaco Caruso.

Non che se ne intendesse di nobiltà e di casati altolocati, ma era ormai giunto a una certa età e, poiché ormai aveva accumulato una sostanziosa ricchezza, ambiva a fare il suo ingresso nel mondo nobiliare, dove lui – rozzo e ignorante – non poteva certo aspirare ad aver accesso, se non appunto sposando la Mazzarino.

Quest'ultima, dal canto suo, forse si era lasciata conquistare dal sindaco soltanto per la possibilità di sanare tutti i debiti, rimpolpare le finanze ormai esangui del casato e ritornare in auge come ai vecchi tempi.

A guardare il suo aspetto fine, aristocratico, il suo eloquio colto e ammaliante, nessuno avrebbe detto che la contessina fosse così gretta; ma chi sa davvero cosa muove il fondo di ogni animo umano? Figurarsi che discendeva da antichi casati francesi, come si può facilmente dedurre dal suo cognome, mentre il sindaco poteva solo vantare il padre muratore e la madre casalinga.

Anche lui, si può ben dire, aveva in un certo senso portato avanti il suo casato.

E quindi ecco il matrimonio celebrato in Cattedrale alle 10:00, dove tutto il paese era invitato, oltre ai parenti di lei arrivati da fuori.

Si può dire che quello, per Villalta, era l'evento del secolo.

Ricevimento nell'unico hotel cinque stelle del circondario, con antipasti a buffet nel giardino, e pranzo luculliano nei saloni interni.

Figurarsi che era stato necessario addobbare tutti i saloni dell'albergo, riservando quello centrale agli sposi e agli invitati principali, e distribuendo poi gli altri ospiti, meno importanti, nelle salette adiacenti e secondarie.

Nessuno si sarebbe risentito per quel trattamento, era già un privilegio aver ricevuto l'invito.

La cerimonia in chiesa fu splendida, gli addobbi meravigliosi e lei sublime con il suo fisico esile e slanciato, avvolto in un abito da sposa ricco e pregevole con strascico chilometrico.

Lui, strizzato nel suo abito da sposo pagato fior di denari, che non lo rendeva di certo migliore di quello che era.

La sposa, come di prammatica, si presentò in chiesa con una mezz'ora abbondante di ritardo, con il parroco sulle spine sia per il grande evento, sia per il ritardo, dato il funerale che avrebbe dovuto celebrare a mezzogiorno, subito a ridosso del matrimonio. C'era appena il tempo di togliere addobbi floreali e tappeto bianco, prima che arrivassero le ghirlande funerarie e i parenti del morto in gramaglie.

Al prete, in fondo, importava poco, a lui interessava svolgere in modo impeccabile le funzioni religiose, e al diavolo tutto il resto.

La celebrazione nuziale, accumulando ritardo su ritardo, terminò quasi a mezzodì; e le ghirlande funerarie erano già parcheggiate nel vicoletto laterale appartato, per celarle alla vista.

Se si fossero “fuse” le due cerimonie, sarebbe stato un disastro: da un lato gli invitati al matrimonio con i loro look sgargianti; dall'altro i parenti del defunto vestiti a lutto. Una parte a ridere e lanciare riso augurale, petali di rose e confetti; l'altra a piangere e disperarsi in abito nero.

Per fortuna non andò così, e i parenti del defunto dovettero rassegnarsi ad aspettare che si dileguassero tutti gli invitati al matrimonio, che gli addetti facessero sparire tutti i fiori e arrotolassero di gran lena la passatoia bianca, prima di fare mestamente il loro ingresso in chiesa.

Gli sposi si dileguarono rapidi, con codazzo di fotografi al seguito, per immortalare la loro felicità nei luoghi più incantevoli e indimenticabili del circondario, mentre la gran massa degli invitati si avviava pian piano, intrattenendosi in chiacchiere e commenti entusiastici, verso il luogo del ricevimento, scrutando l'orologio con nervosismo, immaginando l'ora tarda in cui avrebbe avuto inizio.

In effetti, gli sposi fecero il loro ingresso al ricevimento di nozze, accolti da un caloroso e fragoroso applauso, che già le 14:00 erano passate da un pezzo.

Fra strette di mano, congratulazioni e sistemazioni dell'abito da sposa – un po' strapazzato dal tragitto in macchina e dalla passeggiata ordinata dai fotografi e dalle loro esigenze di sfondi ricercati e panorami stupendi – in pratica era già primo pomeriggio quando si aprì il buffet degli aperitivi nel giardino fiorito dell'hotel.

- Che magnificenza! - esclamò la signora Calogera Basile, detta Lilla, rivolta al marito Cola, non si sa se riferendosi alla cerimonia religiosa appena terminata, o al ben di Dio che strabordava dagli enormi vassoi poggiati sui tavoli, sistemati nel giardino all'ombra di grandi alberi frondosi.

Tutta la torma festosa si approssimò a grandi passi al buffet, animata sia dall'entusiasmo dell'evento, sia dall'appetito ormai incontenibile, data l'ora avanzata.

- Qui ce n'è per sfamare cani e porci - sussurrò Lucia Finocchiaro, lanciando un'occhiata d'intesa all'amica Ina, che la seguiva sottobraccio al marito Santino.

La signorina Lucia, seguita dalla coppia, incominciò a sgomitare, come del resto facevano tutti, per arrivare alla meta agognata, ma una marea umana faceva da barriera fra il loro desiderio irrefrenabile, e il traguardo pressoché irraggiungibile.

Finalmente si aprì uno spiraglio miracoloso, creato da chi già si allontanava con il piatto ricolmo, che consentì di affacciarsi a quello spettacolo indescrivibile, il paradiso del finger food: arancinetti, zeppolette, mozzarelline, paninetti farciti di bresaola, tartine al salmone, ciotoline ripiene di gamberetti annegati nella maionese, sandwich di pesce spada e al crudo di parma, e mousse di formaggi.

Nel tavolo accanto, irraggiungibile, facevano bella mostra di sé ciotoline ripiene di caponata e di parmigiana di melanzane, alici marinate, pomodori secchi, verdure in pastella, salumi di tutti i tipi e tocchetti di formaggi tipici siciliani, impreziositi con miele e confetture.

Ancora più in là, meta del tutto inaccessibile, il tavolo delle bibite.

Con i piatti ricolmi, le due coppie si allontanarono dal tavolo per poter mangiare con tutta calma all'ombra e in disparte, senza preoccuparsi che una gomitata maldestra di qualche concorrente insofferente, facesse saltare tutto fuori dal piatto appena riempito.

- Ce n'è per saziare un esercito intero - commentò Lucia, addentando un sandwich.

- Certo che hanno fatto proprio una cosa in grande. Non si è mai visto nulla del genere... - confermò l'amica Ina.

- E dire che io ne ho visti di matrimoni, ma una ricchezza del genere è cosa rara, forse in casa di principi, e neanche - ripeté Santino.

Inutile precisare che, smaltito quell'assaggio pantagruelico, non appena la folla si fu diradata dal tavolo accanto e da quello delle bibite, i quattro tornarono all'attacco assaggiando e bevendo quanto c'era di desiderabile ai loro occhi, quasi commossi da quella visione.

Terminato il buffet, gli invitati si avviarono in piccoli gruppetti, chiacchierando in modo affabile fra loro, verso le sale interne, ognuno diretto verso il proprio tavolo, posto in base all'importanza di ciascuno.

Ovviamente gli invitati più in vista erano più vicini agli sposi; gli altri erano tanto lontani da non poterli neppure vedere.

Del resto, per i più, l'importante era sfamarsi e farsi deliziare il palato, non dilettarsi della visione della coppia felice, per quello ci sarebbe stato modo e tempo, in futuro.

Fu quindi alle 16:00, quando tutti erano seduti, che incominciò il vero pranzo di nozze, abbondante e sfarzoso.

Ma mentre i camerieri finivano di servire i primi piatti, fece il suo ingresso nel salone centrale, l'agente di polizia Edmondo Vescovo. Chiese indicazioni a un cameriere, e subito dopo si avviò verso un tavolo in particolare.

Fu così, con espressione smarrita e sorpresa, che il commissario Vincenzo Guarnaccia vide il collega “Dino” avvicinarsi al suo tavolo, che divideva con il suo vice Giuseppe Cavallaro, detto Peppuccio, il sacerdote celebrante Don Tanino Orlando, e il medico condotto Cola Mancuso.

- Mi scusi dottore, c'è bisogno urgente della sua presenza - disse Vescovo, rivolto a Guarnaccia.

Il commissario lo guardò stupito. - Ora? In commissariato? Non può aspettare un paio d'ore? -

L'agente si chinò in avanti, avvicinando la bocca all'orecchio del superiore. - Mi scusi dottore, ma l'ispettore Ingravallo mi ha dato l'incarico di avvertirla che è necessaria la sua presenza. C'è stato un omicidio. -

- Un omicidio? A Villalta un omicidio? - chiese sconcertato. A Villalta non si consumavano delitti, al massimo qualche furto di bestiame o rapine negli appartamenti.

- Fatto sta che la morta c'è, e l'ispettore Ingravallo è lì sul posto - commentò Vescovo, un tantino indispettito.

- Siete certi che si tratti di omicidio? Non è che la poverina è venuta meno per cause naturali? -

- Dottore, la scena l'ho vista pure io, vengo diritto dal luogo. La poveretta l'abbiamo trovata in un lago di sangue, credo l'abbiano colpita con decine di coltellate. -

Guarnaccia si guardò attorno, preoccupato. - Parla a voce bassa! Ci sentono tutti dai tavoli vicini. -

- Enzo vuoi che vada io, tu rimani e magari ci raggiungi appena puoi? - propose il vicecommissario Cavallaro, che aveva ascoltato l'intera conversazione.

- No Peppuccio, facciamo al contrario, io vado subito e tu vieni dopo. -

- No, no... vengo con te. Se il fatto è grosso... -

- Come vuoi... E va be'... - Guarnaccia aspirò a pieni polmoni il profumo delizioso che spirava dai frutti di mare che aveva nel piatto, mentre finiva di arrotolare gli spaghetti con la forchetta, infilandone poi in bocca più che poteva.

Sospirò, masticando e socchiudendo gli occhi, quando il sapore del mare gli invase le papille gustative e, dopo aver inghiottito quella squisitezza, si rivolse con espressione rassegnata agli altri due ospiti del tavolo: - Ci dovete scusare signori, ma è successo un imprevisto e purtroppo dobbiamo assentarci. -

- Ma no... proprio ora! - esclamò il sacerdote, con gli occhi sbarrati.

- Eh, che ci vuole fare... il dovere prima di tutto, anche del piacere - e così dicendo, Enzo lanciò un ultimo sguardo pieno di rimpianto al piatto fumante, mentre faceva un cenno di saluto ai due compagni di tavola.

- Mi spiace proprio - fece il dottore - ma se è indispensabile... - come se lui fosse solito correre a rotta di collo al capezzale dei pazienti in caso di necessità.

Commissario e vicecommissario seguirono l'agente e si avviarono in fretta verso l'uscita. Qualcuno degli invitati li seguì con lo sguardo, intuendo che fosse successo qualcosa.

Arrivato alla porta della sala, il commissario lanciò uno sguardo d'invidia all'indirizzo del magistrato Leonardo Vitale, che ancora ignaro di tutto, masticava di gusto i propri spaghetti ai frutti di mare.

Capitolo 2 – I fatti

Subito fuori dal locale, diretti all'auto di servizio, Guarnaccia chiese a Vescovo: - Allora, si può sapere che diavolo è successo? -

L'agente, dopo aver raccolto bene le parole, prese a spiegare: - Ecco i fatti, dottore. Intorno alle 14:00 abbiamo ricevuto la telefonata di un uomo, molto agitato, che ci ha detto che in casa sua si era consumato un delitto. Ci siamo subito recati sul luogo, una villetta non del tutto isolata ma in periferia. Abbiamo trovato l'uomo, disperato e in piena crisi di nervi, che ci ha spiegato di aver trovato il cadavere della moglie, rientrando in casa. -

- E loro chi sono? Marito e moglie, dico... -

- Lui si chiama Armando Di Stefano e la moglie Laura Giuffrida. -

Guarnaccia parve riflettere per alcuni istanti. - Non mi dicono niente questi nomi. Lui dov'era stato prima di rientrare in casa? -

- A Milano, dove ha sede la multinazionale per cui lui lavora, che ha una filiale qui in Sicilia, per cui fa frequenti viaggi al Nord e anche all'estero, dove viene a volte inviato nelle sedi staccate. -

- La morte è stata accertata da chi? -

- L'ambulanza stava andando via quando siamo arrivati noi. Il personale medico aveva già accertato la morte della poveretta. -

- E ora lì chi c'è? - s'inserì Cavallaro.

- L'ispettore Ingravallo è ancora sulla scena del crimine. -

Enzo ripensò al magistrato Vitale ancora seduto al tavolo del ristorante. - Occorre informare della situazione anche il magistrato - disse.

- Lo faremo presto, dottore - annuì.

- Il medico legale è stato contattato per i rilievi sulla vittima? -

- Certo, dottore, e anche la scientifica per i rilievi sul luogo, aspettiamo solo le autorizzazioni del dottor Vitale per procedere al tutto. -

Salirono sull'auto di servizio e si diressero verso il luogo del delitto.

Guarnaccia aveva l'aria afflitta durante il tragitto. - In dieci anni di servizio, il massimo che mi è capitato è qualche furto d'appartamento, o una lite con percorse e minacce per gelosia... e proprio oggi che c'è il matrimonio della contessina, con tutto quel ben di Dio in tavola, doveva capitare l'unico omicidio del secolo in questo paese fuori dal mondo? -

- E che vuoi farci, Enzo, quando il dovere chiama... -

- Hai pure voglia di sfottere, Peppuccio? Intanto l'abbuffata te la sei persa pure tu. -

- No, dicevo così per sdrammatizzare. A proposito, Dino, siete riusciti a capire che tipo è il marito? Può aver orchestrato tutto lui, omicidio e il resto? -

- No dottore, sembra pulito. Aveva in effetti il biglietto aereo da Milano a Catania, partenza ore 10:00 da Linate e arrivo a Catania 11:50, poi il tempo del bus delle 12:20 fino a Villalta con arrivo alle 13:10 e una quindicina di minuti per arrivare a piedi a casa alle 13:25 e lui ha chiamato l'ospedale alle 13:30 circa. O l'ha ammazzata appena arrivato in casa, o non ci sono i tempi per altro. -

- Magari l'ha sorpresa con l'amante e ha avuto uno scatto d'ira, che ne sappiamo? - insinuò il commissario.

- Sì, certo può essere - annuì il vicecommissario - e voi a che ora siete arrivati sul luogo del delitto? -

- Alle 14:15 eravamo già lì, io e l'ispettore Ingravallo. Abbiamo lasciato Mancuso in commissariato. Il tempo di capire bene cos'era successo e sono subito corso a chiamarla, dottore. -

Il commissario fece un rapido calcolo prima di chiedere: - E ci hai messo due ore per arrivare al ricevimento di nozze? -

- Ma no dottore... dieci minuti. Quando siamo arrivati sul luogo, il marito dava i numeri, non si capiva cosa dicesse, tanto era agitato. Quello era fuori di sé, oppure è un ottimo attore. La poveretta era in un mare di sangue, con ferite multiple da arma da taglio, comunque il medico legale poi darà conferma. Ci abbiamo messo più di un'ora a raccapezzarci e farci un'idea della situazione, poi l'ispettore non voleva disturbarla, sapendo che lei era al ricevimento. -

- Ah sì? Ed è per questo che sei arrivato all'inizio del pranzo? -

- Ma dottore... la cerimonia in chiesa era alle 10:00, alle 11:00 doveva esser finita. Il ricevimento nuziale doveva iniziare alle 13:00 e credevamo che, dato che è già pomeriggio, eravate quasi alla fine. -

- Sì alla fine... l'ispettore Ingravallo lo sa bene che se l'inizio del ricevimento è previsto per le 14:00, prima delle 15:00 non si inizia certo, e fra antipasti aperitivi e tutto il resto, prima delle 16:00 non ci si mette di certo a tavola per il grosso dell'abbuffata, ed è proprio alla prima forchettata che stavo dando a quello splendido piatto di spaghetti ai frutti di mare che ti sei presentato tu, fresco come una rosa. -

Vescovo lo guardò stralunato. - Fresco come una rosa, dottore? Ma se sono fradicio di sudore fra il caldo che fa e la fretta con cui mi sono precipitato da lei... -

- Sì dai... scherzo... sappiamo bene come sei efficiente sul lavoro. Fossero tutti come te qui in Sicilia, la delinquenza sarebbe già estirpata e tutti i furfanti fuggiti per altri lidi. -

- Grazie dottore, io faccio solo il mio dovere comunque. -

- Dai che ogni tanto Mancuso, con la scusa che lui ti è superiore per anzianità, ti scarica addosso anche un po' del suo lavoro - scherzò Peppuccio.

- Ma no, dottore, lavoro bene insieme all'agente Mancuso, non ho nulla di cui lamentarmi. -

- Ma sì... lo sappiamo, tu non ti lamenti mai di nulla. Fossi un altro, diresti che non ne puoi più di sobbarcarti pure il lavoro degli altri, sopralluoghi, appostamenti, indagini, e tutto il resto - confermò il commissario.

Intanto, svoltando in una viuzza laterale, l'agente Vescovo indicò: - Siamo quasi arrivati, dottore, la villetta e quella lì in fondo al vicoletto. -

Dopo un paio di minuti parcheggiarono l'auto e si diressero verso la villa. La porta era socchiusa, entrando vi era una stanza d'ingresso che immetteva in un salone e un corridoio che dava accesso a stanza da pranzo, cucina, studio, zona notte e servizi.

Dall'ingresso s'intravvedeva l'ispettore Ingravallo sulla soglia del salone, come intento a osservare la scena, preso dai suoi pensieri. Sentì rumore all'ingresso e immediatamente si voltò.

- Ah... siete arrivati, era ora! -

- Ci siamo precipitati! - fece il commissario, come contrariato da quelle parole.

- Il tempo della strada - confermò il vice.

- Sì, sì... certo, intendevo dire che non vedevo l'ora che arrivaste. -

I tre si avvicinarono all'ispettore e contemplarono il luogo del delitto. - Non c'è nulla da dire... una bella scena da film horror - commentò sottovoce il commissario.

- Eh già... non manca nulla. Un cadavere, sangue a profusione e nient'altro a vista che suggerisca qualcosa di quel che è successo - bisbigliò il vicecommissario.

Alla vista si presentava una stanza ordinata, con solo la vittima al centro – sdraiata sulla pancia, con una grande macchia di sangue sotto di lei – e qualche piccolo soprammobile a terra.

- Sembra non ci sia stata nemmeno colluttazione, altrimenti avremmo una stanza sottosopra - analizzò Guarnaccia.

- Sì, sembra quasi lei sia caduta urtando poche cose che ha trascinato con sé a terra - confermò il vice.

- Qualcuno ha toccato qualcosa, Totò? - chiese il commissario rivolto all'ispettore.

- No, da quando siamo arrivati noi, nessuno ha mosso nulla, e anche prima... credo che il marito sia rimasto pietrificato dalla scena e non ha avuto neanche il coraggio di avvicinarsi. A quel che dice lui, ha telefonato subito in ospedale e non ha toccato nulla. Gliel'ho chiesto più volte e giura di non essere entrato nemmeno dentro la stanza. Del resto, la scena è ben chiara anche da qui. -

- È certo, quindi, che lui non abbia mosso nulla? -

- Io ci giurerei, con tutto quel sangue per terra attorno alla vittima, se si fosse avvicinato avrebbe dovuto quanto meno sporcarsi le scarpe di sangue, e invece le ha immacolate, sia sopra che sotto la suola. Gliele ho guardate bene, non ha nessuno schizzo addosso, e non c'è traccia di sangue al di fuori della stanza, che lui avrebbe lasciato con le suole se se le fosse imbrattate avvicinandosi. -

Il commissario squadrò per bene tutta la stanza, senza avvicinarsi troppo alla vittima, come per riassumere tutto nei dettagli, e imprimerlo nella mente in modo indelebile, poi dopo un attimo di silenzio, si rivolse all'ispettore: - A proposito, lui adesso dov'è? -

- Di là nello studio. Sono stato costretto ad allontanarlo perché continuava a chiedermi se poteva avvicinarsi a baciare la moglie, o almeno farle una carezza o toccarle una mano. Quindi per timore che in un attimo di distrazione potesse davvero avvicinarsi alla vittima e contaminare la scena, l'ho fatto allontanare. -

Il commissario lo scrutò bene in viso. - Che impressione ti ha fatto? Ti sembra sincero? Piange e si dispera o recita? -

Ingravallo scosse la testa. - No, dottore, a me sembra un poveretto a cui è capitata una disgrazia fra capo e collo, e neanche lui si capacita del perché. Comunque ci sarà modo di approfondire la cosa e di capirne di più. -

- Il magistrato è stato avvertito? E a che punto sono scientifica e medico legale? - domandò il vicecommissario.

- In centrale Mancuso ci ha riferito che all'inizio dal Palazzo di Giustizia gli hanno risposto che il dottor Vitale era impegnato fuori, ma poi l'hanno rintracciato e gliel'hanno passato. Come da prassi, ci ha autorizzati a fare tutti gli accertamenti di rito e a far intervenire polizia scientifica e medico legale. Ha lasciato detto che appena possibile verrà sul luogo a farsi un'idea pure lui. -

- Hai sentito, Peppuccio? Il magistrato era impegnato fuori... a strafogarsi al ricevimento del matrimonio della contessina... e ci credo che era impegnato, con la bocca piena di spaghetti ai frutti di mare e aragosta fumante. In quello era impegnato! - s'infervorò il commissario. - Sono certo che prima di finire tutto, compresi torta nuziale e brindisi con lo champagne buono, non si farà vivo. Se ci va bene, si presenterà in serata - diede di gomito al suo vice, che annuiva concorde.

- Ma parliamo di cose serie - si riscosse Guarnaccia - sarebbe ora di sentire il vedovo a questo punto. Peppuccio ti va di assistere mentre facciamo quattro chiacchiere, così dall'esterno ti fai un po' un'idea su di lui? -

- Certo Enzo, andiamo di là o lo facciamo venire qui? -

- No... è nello studio, vero Totò? -

- Sì dottore, la prima porta appena imboccato il corridoio: è socchiusa. Prima ho detto a Dino di restare insieme a lui mentre io davo un'occhiata qui. Sa, non si sa cosa può passare per la testa di uno in queste circostanze... e poi pure per tenerlo sottocchio e controllare cosa facesse. Poi, quando ho mandato Dino a chiamarla, gli ho detto di lasciare la porta aperta così che di tanto in tanto potevo controllare. Non si sa mai... -

- Hai fatto bene. È meglio se andiamo noi, non voglio che veda la vittima e gli venga una crisi isterica. O magari se la fa venire apposta... -

Peppuccio annuì e i due si avviarono, ma prima di sparire nell'altra stanza, il commissario raccomandò a Ingravallo: - Se arriva la scientifica o il coroner, te la sbrighi tu Totò, tanto c'è pure Dino a darti una mano. -

Vescovo, dal canto suo, era rimasto in silenzio per tutto il tempo, ad assimilare le parole dei colleghi e facendo ipotesi sull'omicidio.

- Certo dottore, non si preoccupi, ci penso io - confermò Ingravallo.

Guarnaccia e Cavallaro imboccarono il corridoio, guardandosi attorno per registrare bene ogni dettaglio della casa. Trovarono la porta dello studio accostata e l'aprirono. All'interno, il signor Di Stefano era seduto su una poltrona, chino su se stesso, con la testa fra le mani e le dita sprofondate fra i capelli.

Quando i poliziotti entrarono, si alzò in piedi di scatto, osservandoli con espressione priva di emozione.

- Buonasera, sono il commissario Guarnaccia e questo è il mio vice, il dottor Cavallaro, ma la prego si sieda pure - scandì il commissario, invitandolo ad accomodarsi di nuovo.

Di Stefano bisbigliò qualcosa d'inintelligibile in risposta, e sprofondò di nuovo nella poltrona, come se fosse esausto.

Guarnaccia si schiarì la voce e fece un passo avanti, poi iniziò: - Mi scuserà ma devo farle delle domande, le prometto che faremo in fretta, non voglio opprimerla oggi in questo stato. Magari domani avremo modo con più calma e maggiore serenità, almeno da parte sua, di approfondire meglio l'argomento. -

- Sì certo, commissario, mi chieda pure, non ho nulla da nasconderle - rispose con voce incrinata.

- Mi hanno detto che lei è arrivato da Milano a Catania verso mezzogiorno, e poi è giunto a casa verso le 13:30. -

Annuì. - Sì dottore, è esatto, all'incirca gli orari sono quelli. -

- E arrivato qui ha aperto con le sue chiavi? Ha notato nulla di particolare prima di entrare in casa? -

- No, nulla, tranne che spesso quando rientravo non avevo tempo di girare le chiavi nella serratura che già Laura mi apriva dall'interno. Invece questa volta... - s'interruppe con un singulto, trattenendo le lacrime.

- Sì, certo, capisco... poi lei è entrato in casa e ha visto quel che ha visto... -

- Sì, proprio così... - confermò Di Stefano, singhiozzando.

- Ha dei sospetti? Nemici, minacce, liti con i vicini... qualsiasi cosa, anche la più insignificante può essere utile per indirizzare le indagini, mi capisce? -

- Sì certo... ma non so proprio cosa dirle. Siamo una coppia tranquilla, non abbiamo nemici, né attriti con nessuno. Non so proprio cosa dirle... Non mi capacito di quel che è successo e di chi abbia potuto fare una cosa simile - e riprese a singhiozzare in maniera irrefrenabile, asciugandosi gli occhi con un fazzolettino di carta.

Il commissario attese che si quietasse un po', poi riprese: - Mi scusi se mi permetto, ma capirà che ogni sua parola può essere utile per noi. -

Di Stefano si ricompose, tirando su con il naso. - Sì, lo capisco, ma non saprei proprio che suggerimento darvi... -

- Magari oggi, com'è naturale, lei è un po' sotto shock, poi più tardi magari riepilogando le idee potrà esserci più d'aiuto. Le ripeto: ci sentiremo domani se lei se la sente. -

- Sì certo, sono a vostra completa disposizione, per quello che può servire... -

Cavallaro aveva osservato in silenzio la scena, e alle parole di Di Stefano, scambiò uno sguardo d'intesa con Guarnaccia.

- Ha avuto modo di controllare se c'è qualcosa di anomalo in casa? Magari oggetti fuori posto, a terra o altro del genere? - continuò Enzo.

- No commissario, non mi sono mosso da qui dentro da quando sono arrivati i suoi colleghi. -

- Le spiace dare un'occhiata insieme a noi in giro per casa, per vedere se manca qualcosa, e dirci se nota anomalie? -

- Sì certo, ho pensato subito a un tentativo di furto. Magari Laura aveva sentito dei rumori, e... - così dicendo si avviò verso la camera da letto, seguito dai due.

Si mise davanti al comò e iniziò ad aprire i vari cassetti. - Vediamo, Laura tiene i gioielli qui. No... mi pare tutto a posto. Non ricordo tutti i gioielli di famiglia, ma se si fosse trattato di un ladro, li avrebbe portati via tutti, e qui sembra non manchi niente. -

- Sì è ovvio, e soldi? Ne tenete in casa? - chiese Cavallaro.

- Sì, ma mai grandi somme, quello che può servire per le spese settimanali, nulla di più... comunque controllo - e così dicendo si diresse verso l'armadio, sfilando un portafoglio dalla tasca interna di una giacca.

- No, non credo manchi nulla... non ricordo con esattezza quanto avevamo in casa, ma all'incirca credo sia questa la somma che avevamo. Del resto, pure qui, un ladro arraffa tutto il malloppo, mica un po' di soldi li prende e gli altri li lascia... -

Guarnaccia annuì. - Quindi non manca nulla? Non nota nient'altro di strano? -

- No, mi pare tutto a posto, proprio com'era qualche giorno fa quando sono andato via. -

- A proposito... quand'è partito? -

- Lunedì mattina, sono stato via per lavoro tutta la settimana e sono rientrato oggi per passare il fine settimana a casa. Lo faccio spesso, anzi altre volte rientro il venerdì sera, per poter passare in casa con Laura due giorni interi. L'avessi fatto anche questa volta, forse non sarebbe accaduto nulla - e di nuovo gli si ruppe la voce in gola e gli si riempirono gli occhi di lacrime.

In quell'istante si udirono delle voci provenire dall'ingresso, e i tre si avviarono per il corridoio.

Arrivati davanti allo studio, il commissario fece cenno a Di Stefano di accomodarsi. - Noi andiamo di là a completare gli accertamenti, lei può attendere qui. - E seguito da Cavallaro, tornarono sulla scena del crimine.

- Che te ne è sembrato, Peppuccio? - sussurrò il commissario appena giunti nell'ingresso.

- A prima vista sembra sincero e la disperazione genuina, poi vai a sapere se è un ottimo attore... ma avremo modo domani e nei prossimi giorni di farci un'idea più precisa. -

- Sì, lo credo anch'io. Chi sarà arrivato, il dottor Di Mauro, il magistrato o gli agenti della scientifica? -

- Il magistrato lo escludo, ma anche il dottor Di Mauro era al ricevimento, per cui mi pare improbabile che sia già qui - guardò l'orologio - sono le 17:30, Enzo, e al ricevimento non saranno arrivati neanche al dolce... -

- E allora non rimane che la scientifica, sono sempre super efficienti quelli... -

Entrando nella stanza del delitto videro due agenti fare i primi rilievi sotto l'occhio vigile dell'ispettore Ingravallo.

- Buonasera dottore, eseguiamo il sopralluogo tecnico come al solito - spiegò uno dei due.

- Sì, fate un esame approfondito di tutta la scena del crimine, eventuali impronte digitali, residui di qualunque cosa... ma voi sapete meglio di me cosa cercare... A proposito, non toccate il cadavere fin quando non giunge il medico legale. -

- Non si preoccupi dottore, non ci faremo sfuggire nulla e non sposteremo nulla che non dobbiamo toccare. -

- Totò, tu vai di là dal marito, e tienilo d'occhio senza darlo a vedere, qui restiamo noi. -

Gli agenti intanto proseguivano la loro scrupolosa opera di catalogazione, misurazione, prelievo impronte digitali, rilievi fotografici e quant'altro.

- Una bella gatta da pelare, Peppuccio, sembra quasi che la donna sia stata assassinata senza motivo. A sentire il marito, non avevano nemici. -

- Sì, in effetti non c'è molto a cui aggrapparsi per il momento. Magari domani fra i rilievi della scientifica, le risultanze della perizia medica e quello che potrà dirci Di Stefano, ne sapremo di più. -

- Sì, può essere, magari il dottore ci dirà che la poveretta è stata violentata prima di essere assassinata e avremo le idee più chiare su come indirizzare le indagini. -

- Secondo te la vittima avrebbe aperto la porta al tizio che poi l'avrebbe violentata e uccisa? Mi sembra improbabile, non credi? -

- Tutto è molto improbabile per il momento, pure che io assaggi la torta nuziale, però una logica ci dev'essere in tutto ciò, e noi la troveremo. -

- Intanto la scientifica dovrà pure accertare se c'è un infisso forzato e se qualcuno si è introdotto in casa in qualche modo, altrimenti non c'è altra possibilità, a parte che la stessa vittima abbia aperto la porta al suo assassino. -

- In questo caso l'assassino è, per forza di cose, una persona nota alla vittima. -

- Forse sì, oppure uno sconosciuto suona alla porta di casa, la vittima apre, poi non sappiamo che succede e il tizio l'accoltella e la fa fuori. -

- Sì, certo... nulla è escluso. Senza dati, fatti certi, non si lavora di sicuro. E il dottor Di Mauro quando arriva? Aspetta pure lui la fine del banchetto per muoversi? Che ora si è fatta, Peppuccio? -

- Sono le 18:10. Saranno alla fine, voglio sperare. -

- Senti... vai a sentire dalla ricetrasmittente dell'auto se in centrale hanno notizie del patologo e del magistrato. Noi qui per ora possiamo fare ben poco senza risultanze certe. -

Peppuccio annuì. - Ok, vado . -

Il commissario approfittò dell'attesa per fare un giretto della casa. Le stanze erano arredate con mobilio moderno, ma di buon gusto e di ottima qualità, almeno a prima vista.

Gli infissi e le finestre sembravano tutte ben chiuse. Quindi l'unica possibilità di accedere in casa, era la porta d'ingresso.

“È come il gioco dell'oca, siamo al punto di partenza” si disse.

Gli sembrò di udire la voce di Peppuccio e del dottor Antonio Di Mauro, detto Tonino. Un omone grande e grosso di origine campana e dal carattere gioviale.

I due, chiacchierando animatamente, fecero ingresso in casa.

- Alla buon'ora, dottore... sono quasi le 19:00. Pensavamo fosse finito in ospedale per indigestione, visto tutto quel che si è ingollato - scherzò il commissario, guardando l'orologio.

- Eh commissario, poco ci manca. Ai dolci mi sono fermato, tanto non mi piacciono, e poi non ce la facevo più - commentò, tenendosi la pancia prominente fra le mani giunte.

Guarnaccia represse a fatica un sorriso. - Torniamo a noi, dottore, abbiamo bisogno del suo aiuto. -

- Sì, vediamo... già il dottor Cavallaro mi ha anticipato qualcosa. Dov'è la vittima? -

- Di qua, si accomodi. -

I tre fecero di nuovo ingresso sulla scena del crimine. I due agenti interruppero i loro rilievi, facendo posto al medico legale.

- Noi abbiamo finito i rilievi attorno alla vittima, dobbiamo solo rilevare eventuali impronte digitali o residui biologici sulle maniglie delle porte e sugli infissi. Se volete esaminare o spostare il cadavere, potete farlo - spiegò un agente della scientifica.

Il medico osservò dapprima un po' la scena del delitto, poi si approssimò alla vittima, scrutandola con attenzione da ogni lato. Si chinò su di essa, prestando attenzione a non sporcarsi di sangue, e le sollevò un braccio, tastandolo un po', poi lo lasciò ricadere e si rialzò.

- Allora dottore? A quanto risale, all'incirca, il decesso? -

- È presto per dirlo... devo fare dei rilievi prima di darle una risposta certa. Però circa dieci ore fa. -

- Addirittura... ne è certo? -

Il dottore rispose senza distogliere lo sguardo dal cadavere: - Il rigor mortis è ormai definito, il sangue del tutto raggrumato. Di sicuro verso le 09:00 o le 10:00 di questa mattina. Però dopo l'autopsia potrò essere più preciso su tutto, cause, condizioni, annessi e connessi. -

- Va bene, allora appena la scientifica avrà finito tutti i rilievi, potremo rimuovere il corpo e la poveretta sarà tutta sua. -

- La conosceva, commissario? -

- No, e lei? -

- No, non credo. E dire che lei in paese, per dovere o per piacere, conosce tutti in pratica. -

- Sì, è vero... ma questa coppia non la conoscevo proprio. Si vede che facevano vita ritirata. -

Il dottore afferrò con entrambe le mani la vittima da sotto le spalle, per rivoltarla, ma appena l'ebbe sollevata si bloccò. - Commissario, ma questa ha ancora un coltello infilato nell'addome! - esclamò, lanciando uno sguardo all'indirizzo di Guarnaccia e Cavallaro.

I due si precipitarono per vedere meglio.

- Era ovvio che fosse stata accoltellata, ma ora ne abbiamo la certezza assoluta e non abbiamo neanche il problema di cercare l'arma del delitto - osservò Guarnaccia, sorpreso.

- Quelli dell'autoambulanza intervenuti, non si sono accorti di nulla? Del coltello dico, ancora infisso nella pancia - chiese Cavallaro.

- Cosa vuole che gliene importi a quelli della causa del decesso... A loro interessa solo sapere se c'è ancora qualcosa da fare, e quindi trasportare l'ammalato in ospedale o accertare l'avvenuto decesso, e poi amen - fece il segno della croce in aria con le dita.

- Per verificare l'avvenuto decesso non avrebbero dovuto prestare più attenzione al corpo della vittima? - insistette Guarnaccia.

- Caro commissario, una volta rilevato che non c'è respiro e nessun battito cardiaco, e per giunta il rigor mortis a quell'ora già incipiente, cos'altro vorrebbe accertare? -

- Quindi hanno appurato il decesso e non si sono interessati di nient'altro... - concluse il commissario, poi si rivolse ai due della scientifica: - A quanto pare il lavoro per voi sulla vittima non è finito, c'è da prendere le impronte sul coltello ed eventuali tracce biologiche. -

I due agenti annuirono e iniziarono a lavorare.

Guarnaccia, Cavallaro e Di Mauro si allontanarono dal corpo, uscendo dalla stanza. - Abbiamo vittima e arma del delitto. Mancano soltanto omicida e movente. Una quisquiglia, una cosa da bambini... - commentò cinico il commissario, lanciando un'occhiata al suo vice.

- Be'... intanto è meglio che niente, poi il dottor Di Mauro ci saprà dire al più presto se ci sono segni di violenza sul corpo a parte le coltellate, di modo da capire se nell'omicidio ci può essere un movente di tipo sessuale o meno - osservò Cavallaro.

- Sì, in mancanza di altri indizi o sospetti, quel che possiamo fare è cercare di ridurre il campo delle indagini, escludendo quelle meno probabili o del tutto improponibili - confermò Guarnaccia.

- Non vi invidio voi della polizia - commentò Di Mauro - in fondo il mio compito è semplice rispetto al vostro. Studiare il corpo della vittima, rilevare le ferite, appurare la causa della morte, l'ora approssimativa, e poco altro. Tutte cose che con le conoscenze opportune si possono accertare con una certa affidabilità. Ma voi l'assassino dove lo trovate? E il movente dove sta scritto? Vi dovete creare tutto il quadro dal nulla. Io almeno ho dei dati certi su cui basarmi per le mie conclusioni -

Di Mauro soppesava, con sguardo ironico, i due poliziotti.

- Cosa fa, ci sfotte dottor Di Mauro? Non si preoccupi... ci dia tempo e vedrà che la matassa la sbrogliamo. Magari lei il suo lavoro lo finirà in un giorno o due, e noi ci impiegheremo qualche settimana e se necessario pure qualche mese, ma non si affligga, che l'indagine la concludiamo positivamente anche noi - replicò Guarnaccia, con fermezza.

- Che volete che vi dica... auguri! Come dice lei, le mie risultanze ve le farò pervenire entro pochi giorni. Già questa sera darò disposizione per far trasportare il corpo in laboratorio ed eseguire i rilievi del caso. -

Guarnaccia diede uno sguardo all'orologio, e vide che si era fatto tardi. - Penso che a questo punto possiamo andar via tutti e tre - sospirò, guardando i colleghi.

Dopo pochi istanti si profilò sull'ingresso la sagoma del magistrato Leonardo Vitale.

- Alla buon'ora, magistrato! - lo accolse Guarnaccia. - Se l'è presa comoda, sono le 20:00! -

- Non ci si metta pure lei, commissario! Mi hanno rovinato l'appetito e la digestione, con questa chiamata imprevista. -

- E io che mi sono dovuto fermare alla prima forchettata di spaghetti ai frutti di mare, che dovrei dire? -

- Ah... perché lei è andato via subito, allora? -

- E certo! Mica potevo dire alla vittima: “tu aspetta pure che poi io con il mio comodo arrivo”. -

- Sì certo, voi dovete fare i rilievi, farvi un'idea del fattaccio e tutto il resto. Un lavoro ingrato il vostro. -

- Lo stiamo già facendo, come vede, dottore. -

- Non ne dubito, commissario. Ho già dato disposizioni per tutti i rilievi del caso. Se vi serve qualche autorizzazione particolare, non avete che da dirmelo. Certo non è notizia da poco un omicidio a Villalta. Io a mia memoria non ricordo nulla di simile. -

- No, dottore, neanche io - il commissario scrollò le spalle. - Ma questo ci propone la sorte e questo ci accolliamo. Da domani incominciamo gli interrogatori delle persone più vicine alla vittima, e poi allarghiamo la cerchia delle indagini. Speriamo di prendere, in un modo o nell'altro, il pesce nella rete. -

- Vuole dare un'occhiata pure lei, dottore, alla scena del delitto? - chiese Cavallaro al magistrato.

- Ormai che ci sono, tanto vale... -

- Prego, di qua - il vicecommissario fece strada verso la stanza del delitto.

Alla vista di tutto quel sangue, e della povera donna stesa al centro della stanza, il magistrato scrollò la testa. - Un macello... -

- Non è proprio scena da vedere dopo un banchetto principesco come quello a cui lei ha partecipato fino a pochi minuti fa - fece ironico il commissario Guarnaccia.

- In effetti... - confermò Vitale, con un singulto, non si capì bene se trattenendo un conato di vomito, dovuto alla vista di tanto sangue, o per l'abbondante pranzo non ancora digerito.

Guarnaccia sorrise, poi decise di congedare tutti i presenti. - A questo punto penso che possiamo andare via tutti, lasciando i ragazzi della scientifica a ultimare i loro rilievi. -

Nessuno replicò, e il gruppetto si avviò all'uscita.

- Peppuccio, è il caso che dici a Totò di là che informi Di Stefano che non può dormire in casa sua questa notte. Dobbiamo sigillare tutto, in modo da evitare manomissioni, intenzionali o involontarie che siano - sussurrò Guarnaccia.

- Sì certo, un attimo e vi raggiungo subito - rispose quello.

Conclusero così il sopralluogo sulla scena del crimine.
Silvio Nizza
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