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Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Autore: Dama Berkana
Titolo: La Rotta delle Leggende
Genere Miti Leggende Tradizioni
Lettori 3261 31 50
La Rotta delle Leggende
Inizio del viaggio.

Sto per partire per un lungo viaggio, ma non per diletto.
Ho tracciato una rotta che i più riterranno impossibile, ma io so che c'è. Impervia, tortuosa, pericolosa, eppur necessaria.
Seguirò questa rotta per dar voce alle Leggende: ancestrali figure che regnano accanto a noi dalla notte dei tempi, ma che di notti ormai non ne scorgono più.
Le abbiamo dimenticate. O forse mai realmente conosciute. Ecco perché voglio trovarle e permettere che, per una volta, siano loro a parlare con la loro voce, senza la nostra mediazione.
Trascriverò qui le loro storie, esattamente così come me le enunceranno. Il mio intervento sarà relativo solo alle tappe del viaggio e a piccole spiegazioni nel caso in cui la narrazione in sé non sarà sufficiente.
Mi auguro che, alla fine di questo viaggio, io e chiunque altro entrerà in possesso di questo diario, ritroveremo noi stessi. Perché senza le mie radici mi sento smarrito, e sono certo di non essere il solo.

E allora, mia cara Rotta delle Leggende, che tu possa guidare i miei passi non solo sulla via a venire, ma per sempre. Che tu possa farlo per me e per tutti coloro che ti ascolteranno. Tu, che sei il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro.

Primo appunto di viaggio.

Ho lasciato la mia comoda casa da qualche giorno, ormai, e nemmeno per un momento mi sono pentito d'averlo fatto. La curiosità e il desiderio di riscoprirmi sono stati i miei compagni di viaggio dal primo istante. Dubito che mi abbandoneranno lungo il cammino.

Ho percorso solo una minuscola tratta della mia rotta per ora, eppure qualcosa dentro di me sta già cambiando. Mi sento più vicino alla verità, alla storia del mondo.

La prima tappa del viaggio non è distante, sono certo di potervi arrivare entro sera. La mia fidata bussola e la mappa che ho tracciato me lo confermano: il villaggio che sto cercando non è lontano da qui.

Ho messo piede nel campo dissodato proprio mentre il sole svaniva all'orizzonte. Questo mi rassicura: l'esattezza dei miei calcoli è fondamentale per la riuscita del viaggio.
Sono poche le case di legno che scorgo intorno a me, e da una soltanto proviene una calda luce. Deve essere quella la mia meta.
Affretto il passo, sono emozionato per il mio primo incontro. Anche se sospetto che l'emozione resterà tale e quale per ogni altro incontro di quest'avventura.
La porta si apre, interrompendo i miei pensieri, e da essa fa capolino una donna. La raggiungo in pochi attimi e lei m'invita a entrare.
Sa chi sono.
Quando varco la soglia della casa, un accogliente abbraccio mi avvolge. C'è qualcosa di speciale lì dentro.
È ciò per cui sono qui.
La donna occupa una piccola sedia di legno e mi sprona a fare lo stesso. Non appena mi accomodo al suo fianco, i nostri occhi s'incontrano. Lei mi sorride.
E inizia a raccontare.

Il ceppo.

Dura era la terra mentre l'aratro tentava di romperne le difese. Con fatica, scendeva giù in profondità, aprendo la strada ai futuri semi che lì si sarebbero adagiati.
Tracce di alberi si scorgevano ancora, tutto intorno. Erano muti, ormai, ma i loro sussurri continuavano a udirsi.
E fu proprio uno di essi che mi chiamò.
Un piccolo ceppo, dalla forma irregolare, giaceva poco distante. I monconi delle sue radici emergevano dalla terra che presto ci avrebbe donato cibo e vita.
Avvicinandomi, lo scrutai con attenzione e capii che sì, sarebbe stato perfetto.

Il 24 Dicembre bussava alla nostra porta, ma noi non eravamo pronti. Non ancora.
Il fuoco scoppiettava gaio nel camino, consapevole dell'importante compito che gli sarebbe toccato a breve. I bambini fremevano dall'emozione, e, lo ammetto, anche io. Ma mancava ancora l'ultimo tocco, prima che lui fosse finito.
Presi il vino, e con delicatezza ne versai un po' sullo splendido ceppo che era entrato a far parte della famiglia. Lo ricordavo ancora lì, nudo in mezzo al campo, che aspettava la mia venuta. Adesso era ricco, adornato e benedetto. E, grazie a lui, lo saremmo stati anche noi.
Ora il fuoco brillava più di prima, accompagnato dalla frenesia dei bambini. Con gesti solenni, avvicinai il ceppo alle fiamme. Lo guardai con gratitudine e prima di lasciare che prendesse fuoco gli sussurrai: - Grazie. -
E poi, bruciò. Le fiamme si fecero più alte, il profumo del ceppo si diffuse nella casa e i bambini gridarono di gioia.
Un altro anno era passato, e, ancora una volta, la luce ci avrebbe guidato attraverso le tenebre.


Spiegazione.

Secondo la tradizione, il ceppo natalizio veniva raccolto dai contadini mentre dissodavano i campi.
Giacché dissodare un campo significa lavorare un terreno al fine di renderlo adatto alla semina – ma solo dopo che quel terreno è stato disboscato – risulta chiaro come su un campo del genere sia possibile trovare dei ceppi. Ebbene, proprio tra questi, i contadini ne sceglievano uno e lo portavano con loro per farlo seccare.
Successivamente, il ceppo veniva adornato, cosparso di vino o di burro e benedetto. Alla fine, nella notte del 24 Dicembre, veniva gettato tra le fiamme e il fuoco doveva ardere almeno fino a Santo Stefano.

Secondo appunto di viaggio.

Il dolce profumo del vino è ancora sui miei vestiti, nonostante io abbia salutato la contadina e il suo Ceppo due giorni fa.
O meglio, la contadina e il ricordo del suo Ceppo.
Il racconto ha preso vita dentro di me, impregnandomi di sensazioni e odori che non c'erano più, ma che vivevano ancora. Ecco perché continuo a sentirmelo addosso.

Le campagne dissodate che mi sono lasciato alle spalle non sono tanto diverse dai campi coltivati in cui incedo adesso. Non è ancora il tempo del raccolto, quindi c'è ben poco da osservare. Eppure, l'aria è sicuramente diversa. Fa caldo, sebbene non sia né estate né primavera.
Significa che sono davvero in Sicilia.

Eccomi arrivato nella Contrada segnata sulla mappa. Ci sono più abitazioni di quelle del villaggio in cui la prima tradizione si è fatta verbo.
Tanti ragazzini corrono lungo la strada sterrata, mi passano vicino senza nemmeno vedermi. Non importa, non tocca a loro guardare. Sono io che devo osservare.

L'ago della mia bussola compie un giro completo su se stesso. Lo esamino incuriosito.
Sarà un buon segno?
Stavolta non sono del tutto sicuro di quale sia la casa giusta. Che la bussola stia cercando di indicarmela o meno, con quel suo ruotare, non lo capisco.
Sono sul punto di fermarmi e consultare meglio la mappa, quando un deciso aroma di pesce fritto m'invade le narici. Ruoto il capo a sinistra, seguendo quel profumo, e mi domando come abbia fatto a non notarla subito. La casa, pulita e scintillante, è davanti a me.
La porta è già aperta e io entro senza incontrare nessuno. Mi aggiro per le poche stanze, lasciando la cucina per ultima. Alla fine, sulla scia del pesce fritto, finisco lì.
La famiglia è tutta a tavola, ma la mia attenzione non ricade su di loro.
Sono altri gli occhi che mi fissano.
Occhi che gli umani non vedono, ma che sentono. E che percepisco anch'io.
Sono loro, stavolta, che iniziano a narrare.

Patrunedda.

Io ero presente, quando il primo mattone fu adagiato sulla terra brulla. I miei occhi non si persero nemmeno una delle gocce di sudore che piovvero sui pilastri di quel nuovo inizio. Eppure, quando venne il mio tempo, rimasi ugualmente stupito per ciò che quella gente aveva realizzato.
Mi soffermai su ogni intarsio, porta, finestra. Scrutai tutto con ammirazione. Quei piccoli uomini lo avevano fatto davvero, io l'avevo visto.
Ora aspettavano me.

Il primo richiamo che sentii fu lo schianto dell'acqua. Impattò contro il pavimento, fu rimestata e sfregata per eliminare ogni impurità, e io mi ridestai. Nel giro di un attimo, un dolce profumo di pulito invase la casa, arrivando fino a me. Appena mi diressi verso di lui, fui investito dal secondo richiamo.
La fragranza del pane.
Non ebbi bisogno di andare a vedere, sapevo che lui e il sale stavano entrando insieme nella dimora. Adesso toccava a me.

Sospirai, e una folata d'aria calda s'insinuò fra le pareti, asciugando le gocce d'acqua ancora sparse sul pavimento. Non sentivo più né l'aroma del pane, né l'odore di pulito. Era lieve, ma già iniziava ad aleggiare nell'aria il profumo che li avrebbe rimpiazzati. Così lo seguii, e mi ritrovai nel cuore della casa. Lì, in cucina, la famiglia era tutta riunita, stanca ma felice, e il pesce friggeva nella grande padella sul fuoco. Sbattei le palpebre, e quando le riaprii il pesce era stato servito. Allora, tutti intonarono subito: - Patrunedda ri casa rati saluti, fortuna e pruvirenza a la famigghia chi veni a stari ‘nta sta casa. -
La mia risata si tradusse in una seconda ventata d'aria, che scompigliò i capelli dei bambini e arruffò quelli della madre. Loro interpretarono il mio gesto come segno di buon auspicio, e iniziarono a mangiare gioiosi, ringraziandomi per la mia benedizione.
Non si rendevano conto, però, che gli unici degni d'essere ringraziati erano loro stessi.

Spiegazione

La tradizione siciliana vuole che si seguano certe usanze quando si va ad abitare in una nuova casa. Per prima cosa, bisogna lavarla tutta, in quanto l'acqua purifica l'ambiente familiare. Poi è necessario portare pane e sale. Il primo garantisce che i padroni di casa non soffrano mai la fame, il secondo porta una vita piena di “sapori”. Infine, la prima pietanza da cucinare è il pesce fritto. Esso serve a ingraziarsi gli spiriti buoni che abitano la casa. Una delle formule da recitare è proprio quella trascritta nel racconto, che tradotta significa: “Patroni/spiriti della casa date salute, fortuna e provvidenza alla famiglia che viene a stare in questa casa”.
Dama Berkana
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