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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
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Writer Officina
Autore: Andrea Pignotti
Titolo: Anima Oscura - Serpent
Genere Dark Fantasy
Lettori 3284 32 52
Anima Oscura - Serpent
Sulla città di Londra era calata la notte e il maltempo si apprestava all'orizzonte.
- Madre, vi prego, raccontateci una storia! - esclamò Kevin, un bambino molto vivace che si accingeva ad andare a letto. Anche la sua sorellina minore, Elizabeth, guardava la madre con fare implorante.
- Si, madre, vi prego! Oggi ci siamo annoiati a morte! - disse la bambina alzando gli occhi verso il soffitto.
- Elizabeth! - la rimproverò la mamma, Amanda Hockley: - Bada bene di non farti sentire dalla povera Corinne perché potrebbe rimanerci molto male - .
Corinne era la loro domestica, ormai membro della famiglia da anni. Oltre ad occuparsi della casa, aiutava spesso la giovane e ricca Amanda a gestire i suoi pestiferi bambini. La donna infatti doveva recarsi fuori città di frequente per controllare la manutenzione della tenuta di campagna. Sulle sue povere gambe pesavano almeno cinque miglia percorse insieme al giardiniere. In effetti Amanda aveva esagerato quel giorno con i suoi continui cambi di idea riguardo la disposizione e il contenuto del nuovo orto e della nuova bordura per il viale di accesso.
Conscia che i suoi figli non l'avrebbero lasciata andare a dormire così facilmente, si arrese all'idea di snocciolare un nuovo racconto.
- E va bene ragazzi: vi avevo mai raccontato di quella storiella su Pendle Hill? - esclamò agitando le braccia e sgranando gli occhi con fare teatrale. In suo aiuto accorse il lontano e provvidenziale boato di un tuono che preannunciava la tempesta in arrivo.
Visto che i bambini erano già estasiati all'idea di qualcosa della quale non avevano mai sentito parlare, la madre si lanciò nel racconto.

***

Quando si pensava a miti storici legati all'esoterismo in Inghilterra, uno dei punti chiave era rappresentato dagli avvenimenti di Pendle, nella Contea del Lancashire.
Nel 1612 Pendle era stato teatro di un grande e famoso processo per stregoneria, che ebbe come culmine l'esecuzione di parecchie persone incriminate per atti di magia. Il tutto era avvenuto sotto il regno di colui che maggiormente si era impegnato nella battaglia contro l'occulto, re Giacomo I. L'uomo era famoso anche per aver redatto un trattato contenente le caratteristiche da rilevare necessariamente ai fini del riconoscimento delle persone esercitanti attività di stregoneria.
Da questi avvenimenti reali erano nate inevitabilmente molte storie, racconti e superstizioni legati a Pendle Hill e alla sua foresta che si inerpicava su un lato della grossa collina dominante il piccolo distretto.
Uno di questi racconti, tramandato da una generazione all'altra, riguardava una strega molto potente.
Inizialmente la donna abitava in paese e, di nascosto, si recava di notte nella foresta per esercitare le arti magiche. Si vociferava che si dedicasse anche all'arte occulta della negromanzia e che avesse reclutato delle ragazze del paese per partecipare a degli incontri chiamati Sabba, volti al culto di Satana.
Dopo aver tentato di sedurre il figlio di un Lord venne arrestata ed esiliata nei meandri della foresta oscura, con la promessa di essere bruciata sul rogo nel caso in cui avesse fatto ritorno in paese. Questa decisione magnanima venne presa solamente perché il padre della strega era un uomo ricco e conosciuto e in tutta la faccenda non era morto nessuno.
Col passare degli anni le varie storie su Pendle Hill e le streghe assunsero nuove sfumature ma nessuno sapeva quale fosse effettivamente la verità, compresa la Signora Hockley.
E forse era meglio così.
Fatto sta che, dopo qualche ora, il piccolo Kevin si pentì amaramente della sua richiesta: quella notte non riuscì a dormire poiché svegliato in continuazione dallo stesso incubo dove lui correva nell'oscura foresta, inseguito da una creatura ancora più oscura che aveva già fatto sparire la sua sorellina Beth.


Quella sera il richiamo della foresta di Pendle Hill era davvero irresistibile per il giovane Peter Brown.
Il vento caldo soffiava in direzione degli alberi e le fronde si aprivano lasciando che i raggi del sole illuminassero il terreno boschivo per decine di metri, prima di cedere il posto alle ombre.
A Pendle la giornata lavorativa stava quasi volgendo al termine e i contadini e i negozianti stavano facendo pian piano ritorno verso le loro abitazioni.
Peter stava sul portico di casa e inspirava deciso l'aria calda che sapeva di fieno. I suoi capelli erano di un biondo cenere tendente al rossiccio, la barbetta era incolta e numerosissime lentiggini spiccavano sul viso abbronzatissimo. Aveva un fisico piuttosto robusto ma forte, ed era piuttosto alto. I suoi occhi erano azzurri come il mare.
Dopo aver fumato un po' di tabacco si diresse in casa e salì in camera come un fulmine per afferrare la sua borsa di cuoio, intento ad uscire nuovamente.
- Madre, sto uscendo! A più tardi - esclamò, saltando gli ultimi tre gradini delle scale e creando un gran trambusto. Aveva raggiunto l'uscio di casa frettolosamente perché sapeva quanto sua madre fosse contraria riguardo alle sue uscite a Pendle, soprattutto in quel periodo.
La donna di mezz'età si affacciò dalla porta della cucina: era piuttosto affaticata e i capelli biondo cenere erano ormai striati di grigio. Aveva l'aria di essersi fortemente spaventata a causa del forte baccano e posò gli occhi azzurri sul figlio, con espressione sospettosa.
- Insomma Peter, ti ho detto che in questi giorni dovresti rimanere a casa il più possibile, per favore. E basta saltare sulle scale: tuo padre le ha appena fatte riparare - lo rimproverò la donna.
- Madre, vi ho detto ieri sera che sarei dovuto andare a farmi pagare il raccolto della settimana ed alcuni conti in arretrato. Vi ricordo che il Signor Hawkins, il panettiere, non era riuscito a pagarmi gli ultimi sacchi di farina! - spiegò Peter sbuffando e sorridendole allo stesso tempo. - Non preoccupatevi! Tornerò molto presto e prima che faccia buio. Lui rimarrà ancora aperto per circa un'ora - .
Peter si occupava dei conti e di gestire l'attività agricola di famiglia, dato che suo padre aveva una maggiore propensione per le mansioni manuali e sua madre si dedicava solamente ai lavori più leggeri, tra cui portare il mangime agli animali o raccogliere la frutta e la verdura. Inoltre i suoi genitori erano ormai stanchi di arrabbiarsi per i mancati pagamenti e inviavano lui in paese poiché aveva la vista buona ed era poco incline alle truffe.
- Va bene, Peter. Ma ti prego di tornare non appena avrai finito. Nessuna distrazione. Questa sera ci sarà il plenilunio! - .
- Certo, madre. A più tardi - si congedò il giovane.
Uscendo di casa, Peter si sentì vagamente in colpa poiché aveva raccontato a sua madre una mezza verità. Era vero, doveva recarsi in paese a farsi pagare, ma sulla via del ritorno intendeva fare una piccola deviazione nel bosco.
Qualche mese prima aveva conosciuto una bellissima e giovane ragazza, Absinthe, e da allora si erano incontrati periodicamente per delle passeggiate nella natura incontaminata. Poi, di colpo, la ragazza non si era più fatta né sentire né vedere. Peter aveva vagato innumerevoli volte alla sua ricerca ma nulla. L'ultima volta le aveva promesso che si sarebbero rivisti presto ma lei era scomparsa, come per magia. Non sapendo dove la ragazza vivesse, Peter era rimasto stupito e amareggiato dal suo comportamento.
Passato qualche mese però, quella mattina, il ragazzo aveva trovato un biglietto firmato dalla ragazza tra le varie missive, nel quale gli veniva chiesto un incontro al solito posto per quella sera. Absinthe doveva dargli una notizia e inoltre aveva bisogno di aiuto. Peter era rimasto piuttosto sollevato, sapendo che la ragazza stesse bene.
Sebbene in paese fosse noto per le sue scorribande amorose, spesso oggetto di pettegolezzi, questa volta era rimasto segnato e provava davvero qualcosa per la ragazza del bosco.
Nonostante le chiacchiere, il ragazzo era ritenuto un buon partito perché i possedimenti della sua famiglia erano di entità piuttosto importante e la remunerazione derivante dallo sfruttamento di quelle terre non era da meno.
Determinato a liberarsi presto delle sue incombenze di contadino, Peter si avviò velocemente in paese.
Grossi nuvoloni carichi d'acqua si stavano facendo strada nei cieli rosso sangue e la forza del vento stava aumentando. Il fogliame della vicina foresta sembrava sussurrare frasi senza senso: da qualche mese tra quegli alberi erano spariti vari compaesani, forse per opera di qualche bestia.
Gli abitanti di Pendle non potevano sapere che, oltre alle cosiddette bestie, nella foresta viveva ancora una creatura innaturalmente malvagia.
Peter era stato piuttosto cauto nelle sue uscite e portava sempre con sé una pistola carica perché sapeva benissimo di correre il rischio di essere l'ennesimo uomo a non fare più ritorno in paese.
- Ecco qui, mio caro - .
La voce del Signor Hawkins fece tornare Peter alla realtà ed eliminò per qualche secondo il viso diafano di Absinthe dai suoi pensieri.
L'uomo appoggiò un sacchetto di tela carico di monete sul bancone e lo guardò da sopra gli occhialetti da vista, passandosi una mano sul capo ingrigito.
- Credo che così siamo proprio a posto - .
- Oh, si, Signore. Vi ringrazio - confermò Peter, intascando il bottino dopo averlo contato velocemente.
Dopo aver acquistato una pagnotta piuttosto grossa, il ragazzo si diresse verso la porta e girò il cartellino del negozio su “Chiuso” per fare un favore al negoziante.
- Allora, quando ci presenterai la tua futura moglie, ragazzo? - chiese l'uomo con aria divertita, prima che Peter aprisse la porta per uscire dalla bottega.
Il giovane fece spallucce e allora Hawkins scoppiò in una risatina roca.
- Salutami i tuoi genitori, questa sera. E fai il bravo! -
- Sarà fatto, Signore. Buona serata! -
Peter uscì e si incamminò lungo la strada principale, alle sue spalle il rumore della chiave che girava nella toppa.
Gli abitanti del villaggio erano quasi tutti tornati a casa e i pochi ancora in giro erano lavoratori intenti a qualche acquisto dell'ultimo minuto dal macellaio e dal fruttivendolo.
- Salve, Peter! -
- Ciao Peter, buona serata! -
Più di una persona lo salutò frettolosamente e lui ricambiò, diretto verso il limitare del villaggio. Ivi si trovava il bivio che portava a casa sua e alla foresta.
Intanto il sole stava calando e quel tardo pomeriggio del 23 ottobre 1847 si intravedeva già la sagoma della luna piena nel cielo.
Una volta inforcata la deviazione, la strada si fece ripida e il ragazzo ebbe subito il fiatone poiché aveva davvero fretta di sapere che cosa Absinthe avesse in serbo per lui.
Il terreno sotto i rami era asciutto e ad ogni passo le sue scarpe sollevavano una piccola nuvoletta di polvere. La sua ombra era proiettata per qualche decina di metri davanti a lui e si confondeva con quelle degli alberi.
Dopo un po' le piante divennero più selvagge e meno distanziate, finché la macchia di verde divenne decisamente fitta. All'ombra degli alberi si stava davvero bene e si udivano gli innumerevoli versi di varie specie di animaletti, oltre al fruscio delle frasche.
Fu in quel momento che il ragazzo, fermatosi per accendere una delle sue sigarette artigianali, udì qualcos'altro: era il rumore di passi che si avvicinavano davvero velocemente. Ma era già troppo tardi: Peter ebbe giusto il tempo di voltarsi e spalancare gli occhi per il terrore, prima che per lui calasse il buio.

***

Nel frattempo le tenebre stavano calando velocemente e, mentre la Signora Brown chiamava a raccolta i vicini per chiedere loro notizie di suo figlio, una giovane ragazza stava nel bosco, in attesa.
La bella e giovane Absinthe sedeva sul moncone di quello che era stato un imponente albero secolare ormai morto, che si trovava davanti a casa sua. Viveva con sua madre in un piccolo cottage nascosto nell'ombrosa boscaglia.
Era una ragazza minuta, dai folti capelli corvini e occhi verdi. In quel momento il suo viso era esangue e bagnato di sudore.
Respirava a pieni polmoni perché da quella mattina era entrata in travaglio ed era piuttosto dolorante. Le contrazioni erano sempre più ravvicinate e nell'ultima ora il dolore stava diventando insopportabile, tanto che aveva anche male ai denti per quanto li stesse digrignando.
Mentre si guardava intorno pensò a quanto fosse strano che Peter non si fosse fatto vivo. Certo, era stata lei a sparire qualche mese prima, ma era stata costretta da sua madre Agatha. Dopo aver appreso della gravidanza della ragazza, la vecchia non voleva che il ragazzo le si avvicinasse.
Conscia di aver quasi raggiunto il momento del parto, qualche giorno prima Absinthe aveva percorso di nascosto la strada per il paese e aveva lasciato una lettera per Peter sulla scrivania dell'ignaro postino, mentre questi era nel retro del ufficio postale, intento a trafficare con alcune scartoffie.
Visto che Agatha era solita uscire nel pomeriggio per delle lunghe passeggiate, Absinthe sperava che Peter la raggiungesse una di quelle sere mentre la donna era fuori.
Desiderava scappare da quella vita di costrizione cui era condannata da anni: infatti sua madre non le permetteva mai di oltrepassare i confini della foresta di Pendle Hill e avrebbe dato di matto se avesse scoperto che si era recata all'ufficio postale qualche giorno prima.
Da sempre molto severa, Agatha era diventata improvvisamente un agnellino quando aveva scoperto che Absinthe era in dolce attesa. La coccolava e si prendeva assiduamente cura di lei come non mai. Effettivamente la teneva sotto una campana di vetro da mesi, ma questo non lasciava la ragazza tranquilla in merito ad eventuali gite in paese: Agatha si sarebbe infuriata comunque.
Inoltre c'era un particolare di non poco conto: la vecchia era una strega. E così sua nonna prima di lei e così anche la sua trisavola. Absinthe, invece, sembrava far parte delle generazioni indegne: lei era solo portatrice del dono della magia, quindi era capace di trasmetterlo ai suoi figli, ma incapace di esercitarlo a sua volta.
Desiderava fuggire lontano da tempo: voleva bene a sua madre ma desiderava rompere questa catena secondo la quale il suo bambino sarebbe dovuto essere erede di un tale fardello. Per Absinthe il dono era un peso, una maledizione.
Agatha le aveva tentate tutte per scoprire il sesso del bambino. Una femmina sarebbe stata più facile da educare e ammansire rispetto ad un maschio ed Absinthe sperava con tutto il suo cuore di aspettare un maschietto proprio per questo motivo. In quel caso probabilmente sua madre le avrebbe permesso di andare via e portarlo con se.
Intanto i minuti passavano incessanti e la strega non compariva all'orizzonte. Oltre che per passeggiare, era uscita per raccogliere delle erbe e degli oppiacei, in modo da calmare i dolori della figlia.
Rassegnata al mancato incontro con Peter, Absinthe decise di rincasare e sdraiarsi sul letto. Presto i respiri profondi della ragazza si tramutarono in grida lancinanti che riecheggiavano tra le pareti della squallida dimora. Era giunto il momento.
Quando il buio sopraggiunse, Absinthe era ormai in pieno travaglio e invocava sua madre. Fu allora che la strega rientrò velocemente sbattendo la porta, perché fuori era in arrivo una tempesta.
La fisionomia di Agatha era piuttosto simile a quella della figlia: aveva gli stessi occhi verdi ma la sua pelle era macchiata e la sua lunga capigliatura selvaggia era ormai ingrigita.
- Madre... ti prego, non ce la faccio più... tira fuori questa cosa, mi sta uccidendo dal dolore! -
- Calmati figlia! - esclamò Agatha, infastidita.
“Cosa”? Davvero sua figlia aveva dato questo appellativo alla creatura che stava nascendo?
Nascondendo il disgusto che provava per la figlia priva di poteri magici, con l'aggravante delle urla e del pianto per lei fastidioso, Agatha si avvicinò alla ragazza per farle bere uno dei suoi rimedi contro il dolore.
- Ormai ci siamo - sussurrò, cercando di nascondere il ghigno che le deformava il viso. - È ora di spingere - .
Quella era probabilmente l'occasione che Agatha aspettava da una vita e che avrebbe significato il realizzarsi di uno dei suoi più grandi sogni. Quando aveva saputo che la figlia era rimasta incinta per colpa di quello stupido paesanotto di Peter, dalla dubbia intelligenza, era rimasta stranamente soddisfatta: qualunque altra madre per l'epoca avrebbe dato in escandescenza per la vergogna e il disonore.
Una volta appurato che Peter stava per raggiungere Absinthe quel pomeriggio, se ne era sbarazzata nel bosco, uccidendolo e dandolo in pasto alle bestie tanto temute in paese. Non poteva permettere che la ragazza fuggisse con lui, portando via con sé quella creatura.
Quando la testa del nascituro comparve, Agatha inspirò e aiutò il resto del corpicino ad uscire. Avvolse la creatura piangente in un canovaccio pulito.
Fuori tuonava.
Agatha guardò dinanzi a sé: da un lato c'era sua figlia, madida di sudore, stremata e boccheggiante. Di fianco, nella bellissima culla di legno finemente intagliata, c'era colei che rappresentava i suoi più reconditi desideri: una neonata dotata di poteri magici. L'avrebbe allevata e cresciuta con dovizia.
- Ti chiamerò Agatha, come me - sussurrò maligna la strega.
- Ti prego madre, fammela vedere, fammela prendere in braccio! - la supplicò Absinthe dal letto, ormai agonizzante.
Le lenzuola erano intrise di sangue, segno che qualcosa non andava. Ce n'era davvero troppo e una grave emorragia si faceva largo a macchia d'olio.
Senza proferire parola, la strega prese il coltello che aveva usato per recidere le erbe e lo conficcò nel cuore della ragazza.
Ad Absinthe mancò immediatamente il respiro e guardò con occhi sbarrati la madre, che si apprestava a darle un'altra coltellata, questa volta in un polmone.
- Mi dispiace, ma deve andare così - sussurrò la megera, col viso coperto dagli schizzi di sangue.
Poi si rivolse alla bambina che ancora piangeva e si agitava: - Tranquilla, mia piccola Agatha, non avrai bisogno di tua madre - .

Quando si pensa alla tipica famiglia borghese della Londra Vittoriana, questa è rigorosamente composta da persone di riguardo.
Provando a immaginare la loro vita familiare, si viene catapultati immediatamente in una lussuosa abitazione, arredata in modo pregevole, calda e accogliente. Insomma il luogo ideale dove trascorrere il termine di una giornata uggiosa, tipica del luogo.
Vi si trova un uomo distinto e curato, con un ottimo lavoro, stanco a causa dei suoi impegni giornalieri, che legge con attenzione gli ultimi titoli del momento seduto comodamente davanti al caminetto. Ed insieme a lui colei che governa la casa, sua moglie. Entrambi stanno probabilmente sorseggiando il tè delle cinque. Infine la coppia è accompagnata da uno o più pargoletti, intenti a giocare con le ultime carabattole regalate dal padre.
Dietro le quinte, invece, si trovano i membri della servitù. La preparazione del tè è il sacro rituale cui nessuna famiglia inglese può rinunciare ed affidato a quest'ultima e non meno importante componente della famiglia.
Unitamente alla cena, l'ora del tè è un momento di raccoglimento per la famiglia ma, visto che non è buona educazione proferire parola con la bocca piena, il tè delle cinque è il vero momento per la condivisione e il confronto riguardo l'andamento della giornata, gli argomenti di cronaca e altre frivolezze.
Ebbene, quando si pensa ad un tale tipo di famiglia, tornano sicuramente alla mente anche le feste, le prime teatrali, gli sport e le attività ludiche per gente agiata, i pettegolezzi e le invidie. D'altro canto chiunque avrebbe invidiato tanta fortuna e una tale stabilità economica.
Chi non avrebbe desiderato dei figli sani, robusti e carismatici?
Chi non avrebbe auspicato per loro un ottima posizione lavorativa?
Da un lato, il Signor Friedrich McCullighan poteva sicuramente contare su un ottimo lavoro al Salone della Borsa, il quale gli assicurava un'esistenza più che dignitosa. Possedeva una delle case in linea londinesi più belle e si era accaparrato una delle più graziose ragazze della città in età da marito.
Dal canto suo, la Signora Agatha McCullighan poteva a sua volta vantarsi di aver conquistato il cuore di un vedovo di lungo periodo molto ambito nell'alta società londinese e di essersi insediata nella sua vuota e fredda abitazione. Solo l'aspetto giovanile del marito sopperiva agli oltre vent'anni di differenza che c'erano tra di loro, motivo di numerose chiacchiere nei migliori circoli e club della zona.
Anche se i McCullighan erano sposati da qualche anno, vivevano nella loro casa insieme alla servitù e non avevano figli.
Un tardo pomeriggio alquanto lugubre dell'inverno del 1877, la loro carrozza era di ritorno dall'ennesima visita medica. Dopo pranzo la Signora McCullighan non si era sentita bene e si era dovuta recare immediatamente dal medico di famiglia. Quello era stato l'ennesimo avvenimento funesto per il destino del loro nucleo famigliare: la perdita di un altro bambino, espulso dopo poche settimane dal corpo della donna. Si trattava purtroppo del loro quinto tentativo.
Dopo aver strappato alla donna la promessa di pensare solamente a riposarsi, il dottore aveva congedato la coppia e aveva fissato le visite mediche per gli accertamenti di rito.
Friedrich aveva accompagnato la moglie in lacrime nell'atrio della loro casa, aiutato dal loro cocchiere e, dopo averla affidata alla servitù, si era chiuso nel suo studio. Era stanco di lottare e di preoccuparsi per quella donna che, dopo quasi dieci anni di matrimonio, non poteva dargli figli. Oramai voleva solamente liberarsene, in modo da poter trovare conforto nella sua nuova e segreta fiamma, la quale avrebbe probabilmente potuto soddisfare il suo desiderio di paternità. Inoltre il suo cruccio era quello di assicurarsi che tutta la sua eredità non finisse nelle mani dei suoi odiosi parenti. Aveva proprio bisogno di un erede.
Lui non avrebbe sofferto per la separazione: d'altro canto il loro era stato un matrimonio chiaramente combinato.
Da questa unione ognuna delle parti aveva tratto dei vantaggi. Lui avrebbe giovato dell'aspetto carnale e patriarcale: quando aveva conosciuto Agatha era vedovo da diversi anni, senza eredi e ormai ultra quarantenne. Agatha era sicuramente interessata all'aspetto economico della faccenda: era ormai una donna in età da marito e con una discreta dote. Era stata adottata da una coppia di coniugi Londinesi piuttosto modesta, dunque non possedeva un background particolarmente degno di dota.
I McCullighan erano dunque una coppia poco credibile, eppure piuttosto invidiata e oggetto di chiacchiere. Non ricalcavano sicuramente quella che era la tipica famiglia borghese della Londra Vittoriana, ma all'apparenza potevano dirsi sicuramente persone rispettabili.

***

Trascorsero varie settimane da quell'evento funesto e Agatha McCullighan incominciò ad avere una certa consapevolezza in merito ai desideri e ai piani di suo marito.
Una sera, tornata in anticipo dal tè pomeridiano con le amiche del quartiere, varcando la soglia di casa si rese conto che vi erano visite. La signorina Rosemary della servitù la accolse come suo solito, prendendole il soprabito.
- Buonasera, Signora. Prego, vi ho preparato tutto il necessario per un bagno caldo e... -
- Rose, dov'è mio marito? - la interruppe la sua Signora.
- Mi dispiace Signora, vostro marito è nello studio ma ha detto che non vuole essere disturbato per nessun motivo. Ha ricevuto visite - spiegò l'inserviente.
- Va bene. E posso sapere da parte di chi? -
- Si tratta ancora del Signor Rogers, Signora - .
- Rogers? Ma che persona invadente! - inveì Agatha contro la povera serva inerme. - Questo individuo non ha una vita privata? Sono le sei ed è quasi ora di cena. Che indecenza! Insomma Rosemary, per favore avverti in cucina... per lo meno uno di noi due sarà puntuale per la cena - .
Il suo tono era sprezzante ed annoiato.
- Come desiderate, Signora - .
Mentre la ragazza si allontanava verso la cucina per dare le ultime indicazioni per la cena, Agatha si avviò in direzione della doppia porta dello studio del piano terra, dalla quale provenivano voci confuse. Ormai prossima a divenire la presidentessa del club delle pettegole della zona, si avvicinò a pochi centimetri dall'uscio per scoprire cosa stava accadendo nella stanza.
Ultimamente quel William Rogers, l'avvocato di Friedrich, faceva loro visita molto spesso, ma i due uomini si chiudevano sempre nello studio riccamente arredato.
Man mano che Agatha si avvicinava, le voci diventavano sempre più riconoscibili.
- Insomma non vorrei che mi dissanguasse - .
- Friedrich, stai tranquillo. La casa è di tua proprietà e lei non può vantare diritti su di essa... e poi sai come andrebbe a finire, verrebbe incolpata lei - .
Sempre più curiosa la donna avvicinò l'orecchio alla serratura.
- Insomma, sono abbastanza preoccupato - sospirò Friedrich. - Devo trovare il modo di sbarazzarmi di lei per potermi sposare con Katarina. Vorrei tantissimo un figlio e, ripeto, non voglio che tutto finisca nelle mani di mio fratello! -
Agatha capì immediatamente di cosa stessero parlando. Chiaramente suo marito aveva un'amante e voleva sposarla, ma prima aveva bisogno di ottenere il divorzio.
Quando udì il grattare delle poltrone sul parquet, la donna si allontanò immediatamente dai battenti in legno e, in preda alla collera, corse in camera sua, quella che utilizzava quando il marito doveva alzarsi presto per i suoi viaggi d'affari e non voleva disturbarla.
Non sapeva come comportarsi.
Mentre il vociare nell'androne di casa andava scemando, Agatha decise di non essere codarda e di fare buon viso e cattivo gioco, presentandosi a cena come se nulla fosse, visto che suo marito aveva terminato il suo incontro prima del previsto e sarebbe stata costretta a condividere la cena con lui.
- Agatha, mia cara, ti senti bene? - chiese Friedrich, accarezzandosi la barbetta sale e pepe e osservando sua moglie scendere le scale.
- Oh, si. Mi sento benissimo - disse la donna frettolosamente, senza guardarlo negli occhi. Mentre gli passava accanto vide con la coda dell'occhio che Friedrich voleva toccarle una spalla ma accelerò il passo e lo precedette in sala da pranzo.
L'uomo fece spallucce e la seguì con aria colpevole.
La cena venne consumata in silenzio, con la sola eccezione dei “grazie” e “prego” di rito durante il servizio.
Fu Friedrich a rompere il silenzio, al momento del dolce.
- Sai... - disse, - pensavo che questa notte potevamo dormire insieme - .
Agatha, che si stava godendo la sua fetta di Victoria Sponge, mandò giù l'ultimo boccone e alzò lo sguardo, stringendo gli occhi e posando la forchettina da dolce sulla tovaglia candida. Si sgranchì la voce.
- Sai, domani non mi tocca alzarmi presto - continuò Friedrich, guardandola nervoso.
Agatha fece spallucce e, riprendendo distrattamente in mano la forchettina, disse: - Non è il caso, per questa notte. Non mi sento affatto bene stasera - .
Decise di cambiare subito le carte in tavola. Il conflitto interiore che provava la stava consumando: la sua parte razionale rideva davanti al viso esterrefatto di Friedrich mentre il suo cuore piangeva. Cosa aveva fatto di male nella vita per aver dovuto sposare quell'uomo ed essere tradita continuamente? Perché non riusciva mai a portare a termine le gravidanze? Non le era permesso nemmeno provare la gioia di diventare madre?
- Ma... - protestò l'uomo.
Agatha, che aveva al contempo voglia di un'altra fetta di torta e il desiderio di troncare la conversazione con quell'idiota di suo marito, si alzò di colpo e disse: - Perdonami, mio caro, ma devo ritirarmi. A domani - .
- Non credo proprio... - sussurrò seccato Friedrich, alzandosi a sua volta e precedendola, bloccandole la strada. - Ora farai quello che dico io - .

***

Mezz'ora dopo, quando Agatha entrò nella sua camera, si sedette un attimo sul letto e si guardò intorno. Il tempo non la stava certamente aiutando a rallegrarsi dato che fuori pioveva.
Il trucco sul suo viso era tutto sbavato e sciolto per via delle lacrime che aveva versato, mentre suo marito la teneva ferma sul divanetto, incurante delle sue proteste.
Non era la prima volta che accadeva un fattaccio simile ma lei, Agatha, cercava di spingere quei dolorosi ricordi in fondo alla sua mente, sperando di avere una valvola di scarico per riuscire a ricacciarli via. E invece no, spesso la notte quei ricordi le tormentavano il sonno. Erano i suoi scheletri nell'armadio.
Intanto la donna aveva notato che nel suo bagno privato la vasca era pronta per il bagno serale, contornata da due ricchi candelabri accesi.
Si avvicinò per provare la temperatura dell'acqua e, presa la brocca dal porta catino, si sciacquò il viso con un po' d'acqua calda.
- Signora - la domestica si affacciò alla porta, - ho preparato tutto! Dovrei correre in cucina a terminare le pulizie - .
- Va bene, cara. Però prima slacciami il corsetto - ordinò la donna in modo stizzito. Le dispiacque immediatamente per il tono utilizzato, ma non poteva fare altrimenti. Aveva il petto dolorante per la delusione e le percosse subìte.
La ragazza si apprestò ad aiutarla e, per farsi perdonare, Agatha la congedò momentaneamente in maniera più gentile. - Grazie, cara ragazza - .
- Figuratevi, Signora, immagino sia stata una giornata pessima - .
- Non ne hai idea - .
Sospirando e con le lacrime che ormai le rigavano il volto, Agatha chiuse la porta della camera e portò un altro candelabro in bagno. Le piaceva sempre circondarsi di molte candele per il bagno e sceglieva sempre quelle più durevoli. Inutile dire che spendeva una marea di soldi per averne sempre una scorta sufficiente.
In più aveva un focolare basso, proprio di fianco alla vasca, così da poter stare al caldo nell'acqua anche per un pomeriggio intero.
Sopra il focolare era appeso un grande specchio, dalla cornice dorata e riccamente decorata. Le era sempre piaciuto quello specchio perché la decorazione era unica nel suo genere: un intreccio di rami e foglie di stramonio, con i frutti simili a noci ricoperte di spine, alternati a fiori simili alle campanule. Passava ore a rimirarsi là dentro.
Nonostante tutto era una donna bellissima, con capelli corvini che le ricadevano sulle spalle ed occhi verdi penetranti. Era sempre stata piuttosto pallida ma questa caratteristica le donava e la rendeva attraente e misteriosa.
Mentre si avvicinava alla vasca, lo sguardo le ricadde sul lavabo in marmo usato poco prima, di fianco al quale si trovava il suo set per la rasatura. Le lamette erano state ripulite e sistemate con cura.
Ne afferrò una, la appoggio sul bordo della vasca e vi entrò, abbandonando la vestaglia in lino bianco sul pavimento. Si sedette e si immerse lasciando fuori dall'acqua solamente la testa e le ginocchia. Le gambe le facevano male e aveva i muscoli contratti per via della forza impressa da suo marito.
Iniziò così a rimuginare sugli ultimi avvenimenti, giocherellando con la lametta. Si chiese cosa ne sarebbe stato di lei. In quel momento si sentiva una creatura inutile: era un pensiero ingiusto e grazie alla sua intelligenza aveva sempre pensato il contrario, eppure in quel momento si sentiva fragile come non mai.
A causa della forte cultura patriarcale dell'epoca, una donna che non poteva dare figli al proprio marito meritava di essere ripudiata. Ma questa era un'opera di mero autoconvincimento delle donne sottomesse ai loro uomini, perché quel principio non avrebbe mai potuto incontrare il vero sentimento provato dalle stesse. La morale suggeriva tutt'altra cosa.
Prima ancora di sentire il dolore, Agatha vide l'acqua macchiarsi di rosso: si era tagliata un dito.
Evidentemente la delusione causata da ciò che aveva udito fuori dallo studio rendeva quasi nullo il dolore fisico.
L'acqua aveva ormai assunto un colore rosato quando Agatha si tagliò il primo polso. Dopo aver usato la lametta sul secondo polso, macchiò il bordo della vasca dove l'aveva posata e anche la vestaglia che si trovava per terra.
Immerse di nuovo le braccia nell'acqua calda. Il calore era persistente anche grazie al braciere posto sotto la vasca, contenente grossi tizzoni ardenti.
Ormai al profumo dei sali da bagno si stava mescolando l'odore ferroso del sangue, che le ricordava quello delle carni fresche del mercato.
- E se poi te ne dovessi pentire? -
Improvvisamente una voce maschile aveva rotto il silenzio.
Agatha, che non era ancora del tutto stordita dalla perdita di sangue, sobbalzò nella vasca e l'acqua rosacea inzaccherò il pavimento candido. Le gocce di sangue sulla vestaglia iniziarono a diluirsi e le macchie ad allargarsi.
- Chi c'è? - chiese Agatha in preda all'ansia.
Una risatina fredda le fece letteralmente rizzare i capelli sulla nuca.
- Io - .
La voce era vicinissima, come se provenisse da qualcuno seduto esattamente di fianco alla sua vasca da bagno.
Eppure non c'era nessun'altro con lei in quella stanza.
Intanto gli avambracci martoriati iniziavano a farle davvero male e a pulsare. A breve quella sensazione di dolore avrebbe ceduto il posto all'intorpidimento. I tagli non erano profondissimi ma, grazie all'effetto dell'acqua calda, stavano pian piano portando a termine il loro compito mortifero.
- Adesso alzati, per favore. Esci dalla vasca e non compiere ulteriori idiozie - .
Agatha, come pervasa da una forza interiore che non le apparteneva affatto, si alzò in piedi. Quando guardò in direzione di quello che doveva essere il suo riflesso nello specchio, la donna ebbe un altro sussulto. Nello specchio c'era un uomo piuttosto avvenente, seduto sullo sgabello della secretaire da trucco. Si trovava praticamente a meno di un metro da lei.
Agatha si voltò di scatto verso la consolle ma non vide nessuno seduto sullo sgabello. Si girò di nuovo verso lo specchio e vide che l'uomo si era mosso e le stava accanto, seduto sul bordo della vasca.
Adesso sentiva molto freddo: per la perdita di sangue, per la mancanza dei vestiti, forse anche per lo spavento.
- Chi diavolo sei? - chiese, tentando di mantenere la calma. - Sono già morta? Ho le allucinazioni? Sto delirando, vero? -
L'uomo, che aveva capelli corti e neri ed occhi di un azzurro cristallino, le sorrise inclinando la testa. Indossava un completo nero con camicia e cravatta nere. Era altresì pallido come la morte. E quel sorriso era allo stesso tempo bellissimo, coinvolgente e terrificante, perché non si estendeva agli occhi che rimanevano seri e freddi. Era un sorriso quasi carico d'odio.
- Capirai molto presto chi sono, mia cara. Voglio solo darti gli strumenti che meriti, per affrontare la vita in modo corretto - .
Agatha non capiva. - Cosa vuoi dire? -
- Non ti lascerò morire così. Non meriti una morte così stupida e dietro le quinte. Inoltre in futuro mi tornerai piuttosto utile - .
- Ti prego spiegami... -
- Ora fai silenzio! - esclamò l'uomo. - Vuoi tu essermi per sempre fedele? -
Davanti allo sguardo attonito della donna urlò rabbioso: - Dimmi di si, Agatha. Non hai molto tempo, stai morendo! -
- Ma cosa...? - la donna non capiva cosa volesse quell'uomo che la guardava attraverso lo specchio.
- Dimmi di si! - le fece eco l'uomo.
Dallo specchio uscì una folata di vento rivolta verso la donna. La candele si spensero tutte all'istante per poi rianimarsi.
Il sangue sparso per la stanza iniziò a muoversi come se all'interno della vasca fosse comparso un magnete che potesse attrarlo nuovamente a se.
- Se non dirai di sì morirai a breve e tuo marito l'avrà vinta! E non solo lui! - rincalzò l'uomo.
- Si! Si! - boccheggiò allora la donna. Anche se non sapeva cosa stesse facendo e non capiva se fosse già morta o se quella fosse un'esperienza premorte.
- Quando ti sveglierai forse non ricorderai nulla, ma tutto ti sarà chiaro nei prossimi giorni. Ti macchierai di azioni malvagie per soddisfarmi. E per questo sarai ricompensata - .
Fu così che improvvisamente Agatha non capì più nulla e per lei fu buio completo.


Era una mattina nebbiosa di fine 1877 in quel di Londra ed un ampio corteo funebre si faceva largo per le strade innevate di Blackfriars.
- Hai visto? Ma è davvero lui? -
- Si, si, ho sentito dire che si è sentito male qualche giorno fa - .
- Seriamente? McCullighan è davvero morto? -
I passanti si fermavano tutti a guardare e mormoravano, indicando la moltitudine di persone che si faceva largo su Fleet Street verso la chiesa di Temple Church, che era una delle più belle della zona ed era stata recentemente rinnovata con bellissime decorazioni di stampo gotico.
La folla era armata di centinaia di ombrelli neri e seguiva un imponente carro funebre trainato da quattro bellissimi e resistenti trottatori Hackney, dal lucido manto color testa di moro. Tra il carro e la folla si trovava un campanello di guardie del corpo, che accompagnavano alcuni parenti del morto, tra cui la vedova.
In lontananza, in direzione della chiesa, echeggiava l'eco sordo e funereo delle campane.
- Eppure è molto strano, era una persona in perfetta forma! -
- Davvero, con tutti i soldi che aveva, poteva permettersi il meglio ed era sempre in giro a caccia - .
- Ho sentito dire che forse si è emozionato troppo durante l'ultima battuta - disse qualcuno in tono di scherno.
Friedrich McCullighan non era sicuramente noto per attrarre le simpatie dei londinesi, anche perché la sua enorme ricchezza causava molta invidia tra la gente borghese e non. Eppure quasi tutti si fermavano oltre il portico di Temple Church, nel grande atrio a pianta circolare, per firmare il libro delle presenze e dare un'occhiata alla grande fotografia di Friedrich.
Il rito era stato organizzato come da volere testamentario dell'uomo che aveva poco più di cinquant'anni e la fotografia era uno dei tanti emblemi, usata fino alla fine per ostentare la sua grande ricchezza.
Proprio in quel momento, mentre il fiume di persone che erano intervenute per l'ultimo saluto a Friedrich si riversava lungo la navata centrale della chiesa, Agatha pensò che fosse arrivato il momento perfetto per attuare il suo piano.
Tre giorni prima il marito era tornato da una battuta di caccia che si era svolta su una collina franosa in un luogo imprecisato e che era stata piuttosto lunga ed estenuante.
Lei non aveva nemmeno voluto sapere dove il marito fosse andato quel giorno perché oramai le importava poco di lui, dopo che i loro rapporti si erano decisamente raffreddati. Piuttosto si era concentrata sulla preparazione del tè, che aveva voluto portare personalmente dalle cucine al salotto, congedando Rosemary. Una volta nell'atrio aveva approfittato dei pochi attimi di libertà per correggere la bevanda con un veleno irriconoscibile che si era procurata al mercato nero, il quale procurava un arresto cardiaco senza lasciare traccia.
Seduta sul bancone in prima fila, pensò sorridendo tra sé e sé a quel momento di dolce vendetta, il velo nero che mascherava qualsivoglia espressione.
Pensò di nuovo a come al marito fosse andato di traverso il tè e di come si fosse buttato per terra contorcendosi, con la bava alla bocca e lo sguardo incredulo ed implorante. E di come lei, sorridendogli aveva mormorato: - Non preoccuparti Friedrich, sta andando tutto come pianificato, la tua è una reazione piuttosto prevedibile - .
E seguitamente di come aveva confessato le sue intenzioni di fronte allo sguardo attonito del marito.
- Ecco, tu volevi liberarti di me, giusto? E invece ti ho preceduto, mio caro. Nella prossima vita ti comporterai sicuramente in maniera più elegante nei confronti di una Signora - .
Agatha aveva lasciato poi il marito agonizzante sul tappeto, si era seduta sulla poltrona davanti al focolare e, bevendo il tè non avvelenato, aveva atteso gli ultimi spasmi di vita del suo compagno infedele. Infine, avendo premeditato di inscenare il finto attacco di cuore del marito, si era alzata per constatarne la morte, ripulirgli con un fazzoletto la bocca sporca di bava e lasciare la stanza urlando il nome di Rosemary per tutta la lunghezza dell'atrio.

***

Era passato circa un mese dalla strana visione che la Signora McCullighan aveva avuto nello specchio del bagno di casa propria. Non ricordava assolutamente nulla e per di più tutte le ferite da taglio che si era procurata erano magicamente sparite.
Da qualche giorno non si sentiva particolarmente in forma. La sua salute era già piuttosto cagionevole ma ultimamente era davvero stanca ed abbattuta.
L'iniziale euforia per la sua vendetta nei confronti di Friedrich andava scemando. Aveva tratto vigore dalle comunicazioni testamentarie ma spesso, durante i pomeriggi nebbiosi, la donna si sedeva in salotto con aria malinconica.
E allora Agatha pensava, pensava e pensava.
Si sentiva come se avesse sulle spalle due spiritelli: uno si domandava terrorizzato se avesse fatto bene a fare quello che aveva fatto, mentre l'altro dava dell'idiota al primo e confermava, senza se e senza ma, la legittimità di quella vendetta.
Un tardo pomeriggio, la domestica Rosemary la trovò seduta malamente sul bellissimo sofà rivestito di broccato del salotto, quasi come abbandonata a sé stessa per il dolore. Anche se ovviamente questa era solo apparenza. Rosemary credeva che la sua padrona fosse depressa: in realtà Agatha provava un forte dolore al basso ventre.
Agatha alzò subito lo sguardo verso la ragazza che quasi trasalì per la sorpresa, visto che la sua Signora non sembrava particolarmente loquace in quel momento.
- Rose, per favore avrei bisogno di un tè caldo. Credo di essere malata - .
- Va bene Signora, d'altra parte sono passate solo tre settimane dal funerale di vostro marito, è normale essere poco in forma. Cosa vi sentite in particolare? -
- Oltre al mal di gola ho spesso una sensazione di dolore e gonfiore davvero fastidiosa da qualche giorno, soprattutto di notte - .
Fu allora che la domestica inarcò un sopracciglio e squadrò Agatha da testa a piedi, con fare sospettoso. Agatha, che si accorse del repentino cambio di espressione della ragazza, la guardò con fare interrogatorio.
- Signora, avete detto gonfiore? -
- Si... perché? - chiese Agatha con fare altrettanto sospettoso, alzandosi dal divanetto.
- Signora, scusatemi se mi permetto, ma il gonfiore non potrebbe essere legato ad una nuova gravidanza? -
Agatha si infiammò come un barile di polvere da sparo lambito dalle fiamme: - Non dire stupidaggini, sciocca ragazza! E vai a prepararmi il tè! -
- Scusatemi Signora, non volevo... -
- Vai, ho detto! - Agatha le voltò le spalle e guardò imbronciata il grande camino, iniziando a borbottare.
- Ragazzina insolente - .
Una volta bevuto il tè, accompagnato dagli ottimi biscotti preparati da Rosemary, Agatha la congedò e si diresse verso la sua camera per il bagno serale.
La vasca era pronta e sembrava che Rosemary ci avesse messo più cura del solito. Oltre alle molte candele era stato acceso anche dell'incenso profumato proveniente dai numerosi viaggi nelle Indie dell'ormai defunto Friedrich.
Dopo aver smesso l'abito nero e indossato una vestaglia in pizzo bianco, la donna si diresse verso la sua secretaire e si sedette sullo sgabello per iniziare a spettinarsi. Le acconciature che le venivano proposte dalla sua parrucchiera di fiducia, che passava la mattina, erano senz'altro particolari ed eleganti, ma scomodissime e piuttosto complicate.
Fu mentre si sfilava forse la ventesima forcina che ebbe uno spasmo e sentì il gonfiore aumentare. Se avesse dovuto descrivere la sensazione che provava, l'avrebbe paragonata ad un mattone nell'intestino, pesante e dagli spigoli pungenti.
Allo spasmo, che causò la caduta di innumerevoli oggetti dal mobile, seguì una risatina gelida.
Agatha sobbalzò e si guardò intorno.
- C'è qualcuno? -
Silenzio.
Poi di nuovo: una risatina sommessa.
Agatha si alzò e si guardò intorno.
- Chi diavolo c'è? -
Fu quando si girò verso la vasca ed il camino che lo vide: il cuore le balzò in gola, seguito forse anche dallo stomaco.
Nello specchio che si trovava sul camino c'era un uomo che la fissava, con i gomiti appoggiati alla base della cornice. Sembrava quasi che lo specchio fosse diventato una finestra dalla quale quell'uomo spaventosamente avvenente la fissava in totale beatitudine. Forse gli mancava solamente un calice di vino in mano.
- Ben ritrovata, Agatha - .
Il sorrisetto beffardo dell'uomo era davvero inquietante.
- Chi sei? - chiese la donna in un sussurro.
- Innanzitutto stai tranquilla, non voglio farti del male - la rassicurò l'uomo.
- Sto sognando? Sto impazzendo? Chi sei? - insistette Agatha.
L'uomo le sorrise beffardo e fece per stiracchiarsi, come se si fosse appena ridestato da un lungo sonno. Aveva un fare molto teatrale e non la perdeva d'occhio, cercando sempre di mantenere il contatto visivo.
- Bene, bene, bene. Vedo che qui qualcuno ha perso la memoria - disse mentre si massaggiava il collo. - Quindi desideri proprio sapere chi sono - .
Visto che ora Agatha era silenziosa e lo fissava a braccia conserte e stringendo gli occhi, egli continuò.
- Io posso essere la tua fortuna o la tua rovina. E posso portarti ovunque tu voglia andare. Farti vedere cose che nemmeno puoi immaginare. Posso farti ottenere cose che non puoi nemmeno sognare. Comunque, se ti interessa puoi chiamarmi in vari modi. Mara, Iblis, Luficero, Satana, Shaitan. Preferisco quest'ultimo perché meno banale, visto che in questa epoca voi religiosi praticanti abusate fin troppo degli altri - .
Agatha restò a bocca aperta e si pizzicò il braccio per la prima volta. Una volta aveva sognato di lanciarsi dal Big Ben e rialzarsi come se nulla fosse, dunque non poteva essere sicura di essere sveglia.
- Si, certo. E io sto davvero impazzendo. Probabilmente sono caduta dalle scale poco fa e non ricordo nulla - ribatté, quasi rassegnata al fatto di essere sveglia e né ubriaca né drogata.
- Non essere impertinente, Agatha - il sorriso dell'uomo misterioso si allargò, perfido. - Guarda che io so cosa hai combinato qualche settimana fa - .
Come faceva quell'uomo a conoscere anche il suo nome?
E soprattutto, a cosa si riferiva? Anche se aveva una vaga idea al riguardo.
- Quel che mi chiedo sovente è quanto abbia sofferto quel pover'uomo. D'altra parte non posso sapere cosa si prova - .
Gli occhi dell'uomo si spalancarono.
- Io non sono mai morto e mai succederà! -
Qui Shaitan esplose in una risatina che fece accapponare la pelle di Agatha, la quale fu percossa da un brivido febbrile.
- Chi diamine sei? - esclamò la donna imperterrita, la quale sentiva ormai che la pazienza la stava abbandonando.
- Agatha sei davvero noiosa. Mi stavo divertendo. Ma vedo che sei una persona pragmatica. Comunque hai trovato un ottimo modo per risolvere il tuo problema di infedeltà coniugale. Devo farti davvero i miei più sentiti complimenti, la modalità di esecuzione è stata ineccepibile. Avrei dovuto farmi vivo prima, desideravo tanto darti una mano però devo dire che buttarti nella fossa dei leoni ha sortito il suo effetto. Mi dispiace che tu lo abbia amato inutilmente, guarda che cosa hai ottenuto - .
La mimica facciale di quell'uomo era davvero ineguagliabile e ad un tratto Agatha si chiese se non fosse un attore assoldato dalla polizia londinese per indagare sulla morte del marito. Sebbene fosse stato stabilito che Friedrich fosse morto di attacco cardiaco, le domande di rito erano state fatte a chi di dovere e la donna non poteva dirsi tranquilla al cento per cento.
Poi però Agatha guardò di nuovo quello strambo personaggio che se ne stava accasciato ed annoiato sul bordo della cornice e pensò che fosse materialmente impossibile che qualcuno avesse creato lo spazio dietro il muro per farcelo entrare.
Allora la donna prese una candela, si avvicinò alla parete e afferrò la cornice alla base cercando di scostarla dal muro di qualche centimetro. Quando avvicinò la candela, che le stava ustionando le dita a causa della cera bollente che colava, vide che la carta da parati proseguiva anche dietro il manufatto placcato in oro.
Shaitan rise fragorosamente mentre Agatha corse a riporre la candela, la mano destra rubiconda e sporca di cera bianca.
La donna si sedette sullo sgabello della secretaire, con il volto tra le mani, strofinandosi gli occhi.
- Comunque tagliamo il discorso, so che ti sto annoiando. Sono qua perché devo raccontarti la tua storia, aprirti gli occhi e darti il tuo compenso - .
Il ghigno dello strambo era sempre più beffardo.
- Va bene. Dimmi tutto - .
Al decimo pizzicotto sull'avambraccio, Agatha era ormai convinta di assistere ad un fenomeno reale.
- Innanzitutto tua nonna Agatha sarebbe davvero fiera di te - .
- Ma di che parli? Mia nonna si chiamava Margareth - replicò contrariata la donna.
- Si ma se non erro tu sei stata adottata! - Shaitan sorrise.
- Si ma... -
- Ora sta un po' zitta. Fai silenzio. Lasciami spiegare - .
Il racconto che seguì sconvolse la donna ma servì a ricomporre i pochi tasselli di cui era in possesso fino a quel momento.
Innanzitutto sapeva di essere stata adottata da due signorotti Inglesi che si chiamavano Patrick ed Elizabeth Coleman. I poveretti avevano perso il figlio minore in guerra e la loro primogenita si era tolta la vita pochi anni dopo a causa del trauma. Giunti ormai ad un'età piuttosto avanzata, i Coleman desideravano tanto un erede che potesse accompagnarli durante la vecchiaia e che potesse godere successivamente del loro modesto patrimonio. Così, non potendo più avere figli in maniera naturale, avevano scelto di fare del bene adottando una bambina. E dopo aver visitato numerosi collegi avevano scelto lei.
Della sua vera famiglia Agatha non sapeva quasi nulla: un giorno le avevano raccontato solamente di esser stata portata li in quel collegio di Londra da una vecchia signora e da suo marito durante una forte notte piovosa. Entrambi avevano un forte accento del nord e avevano dichiarato di aver trovato la bambina vicino ad un pozzo. La responsabile dell'orfanotrofio era stava chiamata subito dall'inserviente di turno, visto che la storia raccontata dai due coniugi risultava essere piuttosto strana ma prima che qualcuno potesse fermarla, la bizzarra coppia si era dileguata velocemente nella pioggia.
Poche settimane dopo aveva avuto l'enorme fortuna di essere adottata dai Signori Coleman poiché preferivano una neonata e, da allora, era cresciuta in un ambiente agiato e distinto. I suoi genitori affidatari le avevano fatto frequentare le migliori scuole e l'avevano promessa ad un ottimo partito, Friedrich, il quale sarebbe stato un marito perfetto sotto ogni punto di vista. Questo a detta loro e della famiglia di Friedrich.
Il fidanzamento si era successivamente evoluto in un matrimonio di facciata apparentemente sereno ma che nascondeva una forte infelicità di fondo e sicuramente l'impossibilità di avere figli aveva avuto un ruolo determinante.
La prima rivelazione scioccante di Shaitan fu che Agatha, come sua nonna, era un essere umano dotato di poteri paranormali o, come si suol dire, magici. Era dunque classificabile come strega o fattucchiera secondo la terminologia derivante dalle credenze popolari.
I suoi poteri erano rimasti finora nascosti a causa della sua vita ordinaria e sottomessa: si erano indeboliti perché la loro padrona non aveva mai preso in mano la propria vita e si era adattata agli eventi, così come un piccolo torrente resta sempre nei propri argini.
- Vedi, Agatha - spiegò Shaitan, - solitamente la capacità di operare le arti magiche viene acquisita intorno alla pubertà. È questo il momento cruciale, nel quale voi vi dedicate a soddisfare le mie aspettative e diventate le mie adepte - .
- Scusami - lo interruppe Agatha, - hai appena detto che i miei poteri sono rimasti nascosti perché sono sempre stata sottomessa a mio marito e mi stai praticamente dicendo che adesso dovrei sottomettermi a te? -
- Forse non hai capito, stupida, che tutto questo dipende solamente dalla mia volontà - asserì Shaitan, ora seriamente irritato, in quanto la donna non sembrava proprio prenderlo sul serio.
- D'ora in poi dimenticati del libero arbitrio: sono io a decidere. Solamente io! -
Una ventata gelida uscì dallo specchio, quasi fosse diventato una finestra vera e propria: tutte le candele si spensero e la stanza sprofondò nell'oscurità serale. Il vento poi cambiò direzione come attirato dalle mani di Shaitan e la luce tornò nella stanza. Questo voleva essere sicuramente un gesto esplicativo.
- Sto cercando colei che possa darmi un degno erede e che voglia dominare le tenebre insieme a me - continuò a spiegare Shaitan. - Trovare la persona giusta è molto difficile, ma sicuramente non impossibile. La sto cercando da secoli. Ma deve essermi totalmente devota, senza scuse. Deve desiderare ardentemente quello che desidero io. D'altra parte però non deve essere la mia schiava. Intendo chiarirlo subito: devota lei e devoto io. Le tenebre devono riversarsi nel mondo e questo sarà possibile solo grazie ad un'unione complice - .
- Che te ne fai di un figlio? -
Shaitan la guardò dall'alto e sbuffò.
- Vuoi sapere troppo - .
- E poi come farai a trovarla? - chiese sprezzante Agatha.
- Chi? -
Questa volta fu Agatha a sbuffare, alzandosi e dandogli le spalle, mettendosi una mano sulla fronte sudata.
- La tua nuova adepta, no? -
- Forse la mia nuova... ehm, adepta, non è poi così distante da me in questo momento - .
Il ghigno tornò sul viso apparentemente angelico di Shaitan.
Notando che Agatha stava facendo due più due indicandosi e fissandolo incredula e a bocca aperta, continuò: - Questo è il mio premio: tutto ciò che hai sempre desiderato si avvererà - .
Agatha sentì improvvisamente un forte crampo nel basso ventre e dovette sedersi di nuovo sullo sgabello imbottito.
- Ecco, commettendo l'atto supremo dell'omicidio hai concepito un figlio, il quale è ora annidato nel tuo ventre. Lui sarà mio erede. Un'anima per un'anima. Ricordatelo bene perché in natura l'equilibrio delle cose è fondamentale - spiegò Shaitan.
Ecco che ora tutto tornava: i misteriosi dolori notturni e la sensazione di gonfiore che la perseguitavano da quando Friedrich aveva esalato l'ultimo respiro. Per di più la povera e bistrattata Rosemary ci aveva visto giusto poco prima.
- Ah, se hai appena provato dolore, era solamente l'attecchimento del tuo regalo per Yule. Ormai ci siamo! -
La creatura dello specchio sorrise maligna, mentre Agatha si toccava la pancia dura come la pietra, sconvolta ed incredula.
Andrea Pignotti
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