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Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Dario Ruggieri
Titolo: Il Mio Tatuaggio di Maradona
Genere Graphic Novel
Lettori 3314 35 54
Il Mio Tatuaggio di Maradona
Dopo quattro anni dall'ultima volta, Napoli mi accoglie col sole caldo di un pomeriggio di fine settembre e con il solito casino.
Il mio Flixbus mi aveva appena scaricato con un'ora di ritardo al Metropark di fianco alla stazione di Piazza Garibaldi, ero tornato per passare un weekend in città insieme a McBlu e Robert e per rendere finalmente omaggio a Diego, con dieci mesi di ritardo lo so, ma fra pandemia, lockdown, zone rosse e via dicendo, prima non mi era stato possibile.
Tutte le volte che torno a Napoli è come azionare uno switch che cambia il rapporto luogo-tempo-mood, il mio cervello si sintonizza su quella nuova frequenza e tutto il resto ci va dietro.
Lo switch comincia ad azionarlo il barista al quale chiedo un caffè nel bar di fronte al Metropark
- “Ecco il caffe'”
- Buonissimo, grazie, quant'è?
- “sessanta”
Sessanta centesimi, io abituato all'euro e dieci, euro e venti di qualsiasi bar di Bologna, vabbè ma si sa che qua il caffè costa meno.
Chiamo McBlu per avvisarlo che ero arrivato, mi dice che sta scendendo e che arriva con lo scooter entro una decina di minuti, intanto che aspetto mi si avvicina uno:
- “Scusa, tien na sigarett?
Tiro fuori il pacchetto e gli offro la sigaretta, gli faccio pure accendere, mi ringrazia, mi saluta e se ne va.
Giuro che erano almeno dieci anni che non mi scroccavano una sigaretta così, da uno sconosciuto in mezzo alla strada, credevo non si usasse più.


Invece si usa ancora eccome, perché mentre passeggio davanti al piazzale della Stazione aspettando McBlu passano un paio di minuti e arriva un altro:
- “Scusa, tien na sigarett?
Ritiro fuori il pacchetto, gli offro la sigaretta, mi ringrazia, mi saluta e se ne va.
Va bene che erano dieci anni che non mi scroccavano una sigaretta così, ma due paglie di fila in due minuti spostano il mio switch quasi a fine corsa.
A fine corsa ci arriva dopo un altro paio di minuti, quando anziché McBlu si presenta Robert sullo scooter con a bordo Gaiola, una bellissima cagnolina che oltre ad essere dolce e affettuosa ha anche una caratteristica poco comune, viaggia in assoluta tranquillità sullo scooter in piedi sulla pedana senza nessun problema di equilibrio, sembra che abbia delle ventose sotto le zampe.
Benvenuto a Napoli Dario, caffè a sessanta centesimi, due sigarette scroccate in due minuti e cane sulla pedana dello scooter.
Un lungo abbraccio con Robert, faccio amicizia con Gaiola e partiamo, era venuto lui perché McBlu aveva avuto un problema tecnico al suo scooter ma aveva quasi risolto e ci stava aspettando a Montecalvario nel cuore dei Quartieri Spagnoli, prima tappa del mio tour.
Il murales di Diego.
Dal giorno della sua scomparsa uno dei primi pensieri che ho avuto è stato quello di venirgli a rendere omaggio, ormai quella piazzetta con quel murales era diventata un luogo di culto, ed io ci volevo andare subito.
Robert mi fa accomodare sullo scooter, mi dice che non ha un casco per me.
E che problema c'è Robert, andiamo.
Ci buttiamo nel casino del traffico di Napoli, il mio mood si era già perfettamente sintonizzato in modalità NAPLES, che tra le mille altre cose era anche quella del chi arriva passa, come, dove, non si sa, ma passa, il tutto su un fondo stradale a cubetti o lastroni tipico del centro di Napoli che ti viene da scivolare solo a guardarlo.
Arriviamo finalmente a Montecalvario dopo circa dieci minuti di questo toboga impazzito durante il quale abbiamo rischiato la vita tutti e tre almeno un paio di volte, e col divertente intermezzo di esser dovuto scendere al volo perché cinquanta metri avanti c'era un posto di blocco, per poi risalire cinquanta metri dopo come facevo da sbarbo quarant'anni fa con la mia Vespa.
Ecco McBlu che ci stava aspettando, ci scambiamo quell'abbraccio che da troppi mesi stavamo aspettando, da quel giorno infame che ci ha portato via Diego.
Il murales è spettacolare, non lo avevo mai visto, non è il massimo graficamente ma per me è bello proprio per quello. Sotto c'è una sorta di cappella votiva con tanto di altarino, tutto intorno una serie infinita di maglie, sciarpette, foto, gagliardetti, immagini di Diego e qualsiasi altra cosa che possa ricordarlo.
Non commento il Suk imbarazzante allestito tutt'intorno che mi ha lasciato una spiacevole sensazione di amaro in bocca.




Ci facciamo un primo giro di birre brindando a Diego e mentre beviamo in suo onore arrivano due ragazzi che si rivolgono timidamente a Robert e McBlu:
- “Scusate ma voi siete i ragazzi de La Napoli bene?”
Sì.
- “Siete fantastici ragazzi, vi seguiamo sempre e siete la miglior pagina che parla del Napoli, complimenti”
Stretta di mano e buona serata.
Ho voluto scrivere ‘sta cosa perché fra pomeriggio e sera è capitata almeno quattro volte. Giuro.
Finiamo le prime tre birre, facciamo qualche foto e tiro fuori dal portafoglio la figurina di Diego, una sorta di reliquia che mi porto dietro dai tempi dei mondiali di Italia ‘90.
McBlu, gli devo lasciare questa, sai che ce l'ho con me da più di trent'anni?
- Ma no Dario, ma perché? E' un tuo ricordo, perché?
Perché è da quella sera che ci penso McBlu, se quella sera stavo qua gli avrei lasciato questa figurina.
- ...Dariè, e allor glie le a rà...
Mi avvicino al murales, bacio per l'ultima volta la mia figurina e la depongo con cura vicino a tutte le altre cose.

Ci facciamo un altro giro di birre mentre organizziamo la serata, finiamo di bere e ci spostiamo verso i due scooter parcheggiati.
Brividi lungo la schiena di McBlu al momento di mettere in moto il suo scooter, lo aveva lasciato a piedi un'ora prima credo per un problema elettrico e poteva riappenderlo pure lì a Montecalvario.
Parte. Respiro di sollievo, salgo con lui, rigorosamente senza casco e ci rituffiamo nel frullatore del traffico di Napoli mentre Robert e Gaiola ci seguono, destinazione Pizzeria da Michele a Forcella.
Lo stile di guida suicida di McBlu non è differente da quello di Robert, ma durante il viaggio mi ha regalato una vera chicca, ci perdiamo Robert e zigzagando in mezzo alle macchine McBlu trova il modo di tirare fuori il telefono dalla tasca, chiamarlo, infilarsi il telefono nel casco mentre supera (tagliando quasi la strada) una volante della Polizia, con me senza casco dietro e scomparendo in una frazione di secondo nel casino di Corso Umberto I, una cosa da fuoriclasse.
Il tempo di rischiare la vita un altro paio di volte e in pochi minuti arriviamo da Michele. Erano circa le sette, visto l'orario non c'era molta fila, più o meno una trentina di persone.
Dietro di noi un gruppetto di turisti veneziani coi quali scambiamo quattro chiacchiere, prima volta a Napoli, prima volta da Michele, entusiasti.
Venti minuti ed entriamo, anche questo momento lo aspettavo da anni, la pizza di Michele.
Ci prendiamo una marinara in quattro come antipasto e poi ci arrivano le tre margherite, le Nastro azzurro e si gode.
Si chiacchiera di Diego, di Napoli, di ricordi di curva e di trasferte, io rivelo un mio segreto su Mazzoleni, Robert ne confessa uno suo sui veronesi, si ride tanto. Poi ci alziamo e andiamo alla cassa.
Ventinove Euro. Quattro pizze e tre birre, più la mancia a piacere.
Usciamo e rincontriamo i veneziani: - Com'è andata ragazzi? Dai loro sorrisi si capiva che era andata più che bene, ci salutiamo e noi torniamo agli scooter parcheggiati.
Si riparte, destinazione Chiaia, andiamo a prenderci il caffè in un bar, da un amico di Robert.
Entriamo, Robert alza il pugno chiuso e il barista risponde con il saluto romano.
Prima che io pronunciassi una parola Robert mi guarda, sorride e mi fa: - “E' una cosa fra me e lui, tranquillo, succede quattro cinque volte al giorno, tutti i giorni.”
Ci prendiamo il caffè e poi saliamo a casa sua.
Fra una chiacchiera, una birra e altro faccio vedere ai ragazzi tutto il materiale e pianifichiamo una sorta di roadmap per questa nostra esperienza editoriale, altre birre altre chiacchiere, altro, e si fa circa mezzanotte, Gaiola reclamava il suo giretto serale e usciamo di nuovo.
Robert abita a Chiaia, che io non sapevo neanche fosse un quartiere, ho sempre associato questo nome alla Riviera di Chiaia, uno dei salotti di Napoli, e invece salendo c'è una parte popolare, con tanto di vicoli, vicoletti e bassi uguale e preciso ai Quartieri Spagnoli.
Usciamo dal portone e noto proprio di fronte nel vicolo un bellissimo altare votivo, mi fermo, faccio una foto e capita una cosa di una dolcezza infinita, che descrive pienamente l'anima profonda di Napoli e del suo popolo.
Mentre sto rimettendo il telefono in tasca una persona esce da una porta lì di fianco e con grande gentilezza mi ferma e mi dice: - “Aspetti, le faccio fare una foto più bella” e accende tutte le luci dell'altare.
Stupendo, faccio un altro paio di foto e lo ringrazio, lui ricambia con un sorriso e ci salutiamo, è l'ennesimo benvenuto a Napoli.
Scendiamo per il vicolo e cominciano a vedere sempre più gente, nel giro di cinquanta metri passiamo dalla romantica oscurità dei vicoli della Napoli popolare alle luci e al casino della zona salotto-movida, ci fermiamo all'Happening per salutare alcuni amici di Robert e farci uno shottino di Hyerba.
Gaiola nel frattempo si intrattiene con Direttore, che non è il Direttore del locale, ma un levriero credo afghano o non saprei che si chiama Direttore, è il cane di un'amica di Robert che era lì fuori dal pub.
Dopo un po' proseguiamo e arriviamo sul lungomare, anche questo momento lo aspettavo, la passeggiata in Via Caracciolo con la brezza fresca del mare da una parte e Napoli, di notte, dall'altra, con le sue luci come se fossero diamanti incastonati in un diadema. Stupenda.
Ci fermiamo a Mergellina a chiacchierare appoggiati sul muretto e dopo una mezz'ora ci rincamminiamo verso casa, McBlu doveva rientrare, io ero sveglio dalle sei e la mattina dopo, secondo la nostra tabella di marcia, ci dovevamo svegliare alle otto.
Prima di andare a dormire piazziamo le sveglie sui telefoni e sul tablet, casomai non ne sentissimo una ce ne sono tre, giusto per stare tranquilli.
Alle otto parte il concerto di suonerie in simultanea e ci svegliamo, ci sistemiamo un po' e poi Robert esce.
- “vado a lasciare il cane da mia madre e prendo la macchina”
La macchina ci serviva perché quella mattina dovevamo andare ad Ercolano a vedere la partita Ercolano-Napoli United, eravamo stati invitati da Antonio Gargiulo, il Presidente del Napoli United ed era l'occasione – per me unica – di conoscere Diego Armando Jr. che da quest'anno allena la squadra.
Robert torna a prendermi e mentre scendiamo da casa mi dice – “speriamo di farcela ad arrivare ad Ercolano, ‘sta macchina è tenuta insieme con lo scotch”
Ovviamente pensavo lo dicesse a mo' di battuta, invece parlava sul serio.
La macchina è una Suzuki Splash rossa. Ignoravo completamente l'esistenza di questo modello, ed effettivamente era tenuta insieme con lo scotch, tutto il paraurti posteriore per non penzolare era attaccato con lo scotch, la fiancata destra tutta strisciata, specchietto di destra senza vetro e dulcis in fundo, sempre sulla fiancata qualcosa che somigliava molto ad un foro di proiettile, ma che Robert garantiva che non lo era.

La fiancata sinistra era messa meglio, le luci non saprei, era giorno e non sono mai state accese ma, visto l'insieme, qualche dubbio che funzionassero tutte mi è venuto, idem le frecce perché non sono mai state azionate fino alle quattro di pomeriggio.
Se una macchina in quelle condizioni girasse per Bologna verrebbe fermata subito due metri fuori dal garage, caricata su un carro attrezzi se non si rompe prima e non sarebbe neanche stata sequestrata, ma portata direttamente al demolitore per fare il cubetto, e il conducente arrestato.
“Robert, scusa ma come cazzo lo passa il collaudo ‘sta macchina? Non lo fai il collaudo ogni due anni?”
- “Il collaudo? Ma quale collaudo?
“Apposto così, come non detto”.
Saliamo per andare a prenderci il caffè al solito bar, Robert ride quando faccio la mossa di mettermi la cintura di sicurezza e me ne esenta solo con lo sguardo.
Preso il caffè andiamo ai Colli Aminei a prendere McBlu, siamo clamorosamente tutti in orario.
Scende accompagnato da Malibù, la nuova arrivata, una cucciola bellissima di quattro mesi che, viste le zampe, tempo due mesi e diventerà un vitello, è il suo terzo cane, facciamo amicizia, fa il suo giretto nel parco e la salutiamo.
Prima di andare verso Ercolano McBlu ci obbliga a fermarci al bar da Vittorio per gustare la specialità della casa, caffè alla nocciola, qualcosa di strepitoso.
La Suzuki Splash va, sembra un po' sfiatata ma regge benissimo nel traffico sonnolento della domenica mattina.
La destinazione è lo Stadio Raffaele Solaro di Ercolano, avevamo un appuntamento alle 10.30 con Rosario, la partita cominciava alle 11.
Ero ansioso di conoscerlo Rosario, seguo la sua pagina Facebook Il Napulegno e adoro come scrive, è un po' più irruento e diretto dei ragazzi ed ha uno stile inconfondibile, sia quando parla che quando scrive.
Noi arriviamo alle 10,59 quindi si può dire in orario, di Rosario neanche l'ombra.
Arriviamo all'ingresso, facciamo i biglietti e entriamo.
Niente biglietto nominale, niente tessera, niente documento, niente tornello, un vero tuffo nel passato quando ancora non c'erano tutte ‘ste menate per andarsi a vedere una cazzo di partita.
Saliamo e ci troviamo sui gradoni, gradoni vecchia maniera senza sediolini, basta un attimo e ti tornano in mente altri gradoni, quelli degli stadi di mezza Italia che per anni ti hanno accolto e dove insieme ad altre migliaia di persone hai pianto di gioia, dove ti sei rotolato dentro un mucchio selvaggio impazzito dopo un gol, o dove ti sei disperato dopo una sconfitta.
Quello era il nostro calcio, a quello eravamo abituati e ancora non riusciamo a credere che sia tutto finito. Per migliaia di romantici inguaribili curvaioli come noi è molto difficile da accettare, ma purtroppo sappiamo che è così.
A metà del primo tempo, con comodo, arriva Rosario.
Giornalista iscritto all'albo e scrittore. Ci presentiamo e scambiamo quattro chiacchiere, lui è una memoria storica del Napoli e frequentatore da una vita di curve e gradoni, è simpaticissimo, vive a Londra da cinque anni e in questi giorni è in vacanza a Napoli, ho avuto la fortuna di beccarlo e volevo ringraziarlo per aver agevolato il contatto fra me ed il Presidente Antonio Gargiulo.
Il Presidente lo troviamo sugli spalti a guardare la partita, persona molto impegnata nel sociale è un grande piacere conoscerlo, mi chiede subito di fargli vedere il tatuaggio, lo avevo informato di questo mio lavoro a fumetti, glielo avevo mandato in anteprima chiedendogli se intendeva accettare la mia offerta di donazione.
Ne è stato entusiasta e mi ha invitato per conoscerci e per farmi conoscere Diego Jr.
La partita finisce 1-1 con gol fantasma del Napoli United non convalidato, qua però non c'è il VAR, se no si vinceva. Ci avviamo noi quattro insieme al Presidente ad aspettare Diego fuori dagli spogliatoi.
Dopo la doccia esce, Diego Jr, il figlio di Maradona, davanti a me.
Sorride ed è disponibilissimo, ci presentiamo tutti, facciamo alcune foto insieme poi ne facciamo un paio io e lui.

Gli mostro il tatuaggio: - “E' tuo padre Diego” un sorriso illumina il suo volto.
Gli somiglia tantissimo, sono un po' in soggezione, cazzo è il figlio di Diego, è il suo sangue.
Ha apprezzato il mio lavoro, gli è piaciuto e per me questo è un trionfo, diciamo che è stato uno dei momenti più intensi a livello emotivo di tutto il weekend.
A questo punto possiamo abbracciare e salutare tutti, dobbiamo tornare verso Napoli con la Suzuki Splash rossa di Robert che, fortunatamente si mette in moto e parte.
Si erano fatte quasi le due di domenica pomeriggio, la prossima tappa era San Giovanni a Teduccio, dove c'è l'imponente murales di Diego fatto da Jorit, assolutamente da non perdere.
Non ero mai stato a San Giovanni, mi aspettavo un quartiere residenziale visto che non è lontano dal centro città, ma sentendo Robert e McBlu che lo chiamavano “Bronx” mi era venuto il sospetto che non era proprio residenziale.
Arriviamo e mi sembra di essere in piena Gomorra, cerchiamo il murales e ci arriviamo proprio sotto, impressionante, bellissimo, resto senza parole ad ammirarlo per almeno dieci minuti.




Ci prendiamo un caffè nello Chalet lì davanti, facciamo qualche foto e ripartiamo.

Il mio Flixbus partiva alle 16.30 e mancava ancora un'ultima tappa, non meno importante delle altre.
Fuorigrotta. Stadio San Paolo. Devo ancora abituarmi a chiamarlo Stadio Diego Armando Maradona, per me da sempre è il San Paolo non so se mi abituerò mai.



Arriviamo davanti alla curva B, facciamo un paio di foto vicino alla targa di Diego e poi ci fermiamo al gazebo per mangiarci un paio di pizzette e berci l'ultima birra insieme.
Per la prima volta in vita mia ero a Napoli, quella sera c'era la partita e io non sarei entrato allo stadio. Per scelta.
Con Robert e McBlu abbiamo parlato spesso di questo argomento, perché ci tocca nel profondo.
A parte le restrizioni Covid che impongo distanziamento e mascherina – e ditemi voi come cazzo si fa ad andare allo stadio con la mascherina – c'è il problema del Regolamento d'uso, una follia che non permette ai gruppi delle curve di vivere la partita come hanno sempre vissuto, stando insieme dietro ad uno striscione a sostenere e spingere la squadra per novanta minuti con bandieroni, torce, tamburi, cori e tutto il resto. Il classico dodicesimo uomo in campo.
Il dodicesimo uomo in campo che però adesso non c'è più, perché i ragazzi delle curve non entrano.
In sostanza questa follia trasforma lo stadio in un teatro dove ti devi stare seduto al tuo posto, se sgarri, semplicemente sedendoti nel seggiolino di fianco al tuo, anche se è libero, ti arriva una multa di 166 euro. Con il dettaglio che questa assurdità è valida in tutta Italia ma viene applicata solo a Napoli, tutte le curve d'Italia, per non parlare di quelle in Europa, sono tornate, qua arrivano le multe, e alla seconda infrazione ti prendi pure un DASPO.
Non è il mio modo di vivere una partita del Napoli, non sopporterei di vedere il mio stadio, dove ha giocato il più grande di sempre, ridotto ad un teatro senza calore, senza tifo, senza niente. E' deprimente vederlo così in TV figuriamoci dal vivo. No grazie.
Stanno uccidendo una passione, un modo di vivere e di essere.
Solidarietà ai ragazzi delle curve che già da prima del Covid stanno portando avanti questa battaglia sacrosanta e finchè non tornerà tutto come prima io in uno stadio così non ci metterò più piede.
Finiamo le birre e per me arriva purtroppo l'ora di tornare a casa, il mio weekend volge al termine, la Suzuki Splash di Robert mi accompagna davanti al Metropark, scendiamo e ci stringiamo in un abbraccio senza fine.
A presto ragazzi, e grazie di tutto, vi voglio troppo bene.
Stavolta il Flixbus parte in orario, alle 16,30 precise. Passo il tempo ascoltando musica sul mio MP3 con le cuffiette, cambio bus a Roma Tiburtina e durante il viaggio alle 20,45 mi guardo la partita Napoli-Cagliari sul tablet, vinciamo 2-0, ma vedere ancora quello stadio in silenzio è un altro colpo al cuore.
L'orario di arrivo previsto è l'una di notte, mi ero messo d'accordo con mia figlia Sara che mi sarebbe venuta a prendere in Autostazione a quell'ora.
Nella zona di Firenze accumuliamo un'ora di ritardo per dei lavori in autostrada, avverto Sara del ritardo dicendole di andare a dormire e che mi sarei arrangiato, non mi sarei mai permesso di chiamarla, costringerla ad alzarsi, vestirsi, scendere e prendere la macchina, arriviamo a Bologna che sono le due e un quarto.
Decido di tornare a casa a piedi, sono cica una ventina di minuti a passo svelto, il mio switch nel frattempo stava preparando il reset per tornare in modalità HOME/2021, ma non era ancora il momento.
Aveva piovuto a Bologna quella sera, le strade erano ancora umide di pioggia, e faceva un bel fresco.
Improvvisamente mi ritorna in faccia un altro pezzo di passato.
Cammino per via del Borgo di San Pietro e rivedo il negozio di Computer dove ho lavorato due anni nei primi anni novanta, vado avanti e arrivo in Via Irnerio, attraverso la strada e mi incammino verso Porta Zamboni, alla mia destra Via Mascarella con la lapide che ricorda Francesco Lorusso, militante di Lotta Continua ucciso da un Carabiniere nel 1977 durante degli scontri fra studenti universitari e forze dell'ordine.
Oltre alla piccola lapide che lo ricorda c'è un vetro che protegge e consegna alla memoria il pezzo di muro dove sono ancora evidenti i fori dei proiettili.
Poi passo Via Centotrecento (che non ho ancora capito che cosa cazzo voglia dire), vado avanti altri pochi passi e alla mia destra c'è un altro pezzo di vita, il Liceo Artistico che ho frequentato e in cui mi sono diplomato nel 1982. Chiuso da decenni e dall'aspetto ormai fatiscente.
E' curioso che la storia di questo weekend sia partita otto mesi fa da un fumetto, questo fumetto, e che si chiuda passando davanti al luogo dove ho imparato a disegnarli i fumetti.
La mia bipolarità – non saprei come altro definirla – di napoletano-bolognese o bolognese-napoletano a seconda delle situazioni o degli stati d'animo è un insieme di tutte queste cose, un mix di Pino Daniele, Maradona, Liceo, lavoro, famiglia, Napoli, il Napoli, Bologna, la Fortitudo, i sentimenti, le emozioni, il Sud e poi mille altre cose che non saprei come descrivere.
“...E tutta la tua vita sai di essere un Nero a metà...” cantava Pino.
Ecco, questa è la frase che più o meno si avvicina al mio modo di essere, e volete sapere una cosa?
A me piace troppo così.

Dario Ruggieri
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