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Writer Officina Blog
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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa,
teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana
di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, Non ora, non
qui, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri
sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese,
swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale
alcune parti dellAntico Testamento. Vive nella campagna romana dove
ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A
grandezza naturale", edito da Feltrinelli. |
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama
con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi,
attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano
Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di
ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera
(Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime
di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il
purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati
da Einaudi Stile Libero). |
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria,
si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata
alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice
emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre
Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato
a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus".
Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé,
conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo
libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio
Strega 2021. |
Altre interviste su Writer
Officina Magazine
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Un uragano dai capelli rossi
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La teoria di Kendra.
Se qualcuno ti dice che sei l'artefice del tuo destino, fatti una grassa risata! Ognuno di noi nasce già inserito in uno schieramento. Se nasci marmitta, al massimo scoppietti, non puoi diventare ciminiera. Se nasci bicicletta, come puoi aspirare a essere una fuoriserie? Se nasci zattera, non sarai mai un transatlantico! Ecco, l'ho detto. Io sono nata “zattera”. Con “transatlantico” intendo quelle ragazze corazzate, alte un metro e novanta con due metri di gambe mozzafiato. Ti starai chiedendo se ho sbagliato, se sono alte un metro e novanta come fanno ad avere due metri di gambe? Non lo so, ma ti giuro che è proprio così. Un culo da bomba atomica! Due tette da coppe di champagne, che poi mi chiedo: sono nate prima le tette e sopra ci hanno fatto il calco per le coppe di champagne, o prima le coppe e le tette le misurano lì? Torniamo a noi, per “zattera” intendo una che può essere alta o bassa, non ha importanza, le gambe servono solo per muoversi! Il sedere sta lì, riempie i pantaloni. Le tette si divertono a fare quello che vogliono. A quindici anni non le vedevi neppure con un binocolo che ti permette di vedere le foche a spasso al polo, a ventotto non smettono di crescere. La “transatlantico” ha un viso da bambola di ceramica, liscio, bianco mai un brufolo, un'occhiaia. Labbra da sogno. Trucco perfetto! Secondo me, nascono già truccate. Le vedi la mattina in metropolitana alle sette, sono perfette, nessuna sbavatura, rossetto impeccabile. A che ora si svegliano, mi chiedo? Il mio viso? Ogni volta che mi guardo allo specchio scopro un piccolo brufolo che come una talpa cerca di farsi strada in un orto. Dormo con il volto a pois di pomata disinfettante. La mattina mi sveglio tre ore prima della metro, precedo gli operai nettezza urbana. Fondotinta, fard, ombretto, eyeliner. Wow! Perfetto. Danza da finale del Super Bowl! Passiamo all'altro occhio: eyeliner, la linea è storta. Salviettina struccante e ricomincio. Guardo l'orologio, mi devo sbrigare. Ho tolto anche l'ombretto, non lo rimetto, è troppo tardi, mascara e rossetto. Ho una scatola con diecimila rossetti. Neppure un truccatore del cinema ne ha una collezione simile. Lo metto. Il tempo di vestirmi, è già sbavato. Lo aggiusto aggiungo un po'di fard per fermarlo nella speranza di essere presentabile. Vogliamo parlare dei capelli della “transatlantico?” Saranno veri o parrucche? Piega impeccabile, colore luminoso. Si muovono con eleganza come se fluttuassero nell'aria, il vento non li scompiglia, al massimo gioca con loro in una danza sensuale. I miei? Tre piastre, due phon, creme, balsami, schiuma, lacca, cera. Un'ora a tirare, a lisciare, a piastrare. Già il colore è da arrendersi. Quante persone si incontrano a New York con i capelli rossi? Sono una di quelle. I miei nonni erano di origine gallese, e tra le nipoti l'unica con i capelli rossi sono io. Dopo un'ora di messa in piega posso definirli “gradevoli”. Abbigliamento? Le “transatlantiche” sembrano appena uscite da una maison di moda. Il vestito combacia perfettamente con le forme armoniose e sexi. Sono cuciti addosso, non c'è altro modo per tanta perfezione. Cosa indosso? Un vestito vale l'altro, il mio corpo non sembra vari molto. Mi vesto: una calza si strappa. Cambio, secondo paio: una è storta, la giro, non si raddrizza. Cambio. Terzo paio, sembra a posto. Scarpe tacco dodici. Ascensore occupato. Secondo piano, scendo la prima rampa, prendo una storta, massaggio la caviglia, riprendo a scendere, mi tengo aggrappata al passa mano come una naufraga in mezzo alla tempesta. Uno scalino, due scalini, si rompe il tacco. Tolgo le scarpe, corro a casa, infilo un paio di jeans, un maglioncino, scarponcini e volo per le scale. La “transatlantico” scende gli scalini con tacco “Empire State Building” con eleganza e sicurezza. Mai una storta. Mai un'indecisione nel passo. Si muove come se non avesse scarpe. Sta piovendo. Nessun problema, escono e la pioggia smette. Sì, smette. Attraversano la strada e tutti si fermano. La pioggia resta in sospeso, come a dire: “guai se tocco quei capelli.” La nuvola si gonfia e resta con il fiato sospeso. Loro entrano nella porta e la nuvola si contrae e giù diluvio. Sotto ci sono io! Colloquio di lavoro. Arrivo con un curriculum grande come un vocabolario. Mi fanno entrare, mi osservano e non mi dicono di sedermi, lo faccio e basta. Mostro il curriculum, lo sfogliano. Mi guardano e mi chiedono «Tutto qui?» «Tutto qui?» A venticinque anni ho fatto trecento lavori, ho una laurea e tutto qui? Taccio e aspetto. «Cerchiamo qualcuno di molto specifico. Comunque la terremo in considerazione. Le faremo sapere!» Equivale a “non ci pensare proprio!” Entra una “transatlantico” in minigonna, due metri di gambe, tacco vertiginoso. Il recruiter si alza dalla sedia. Si avvicina alla ragazza, le sposta la sedia e la fa accomodare. Le chiede se ha un curriculum. Lei accenna un sì con un sorriso. Dove ce l'ha il curriculum, se ha una pochette dieci per dieci e nient'altro in mano? Sta per aprire la pochette, quando il signore dice: «Lasci perdere, mi fido!» Si fida di cosa, se non ha aperto bocca! «Quando potrebbe essere disponibile per iniziare?» «La settimana prossima. Sa, ho una seduta in una spa questa settimana.» «Perfetto! L'aspettiamo lunedì prossimo. Lei ha tutte le competenze che cercavamo.» Ecco, ora si chiamano anche competenze. Questa mi mancava!
Dopo sei mesi di questa incresciosa tiritera, ho trovato un lavoro come segretaria in una piccola azienda di export. Non era un lavoro di cui fossi pazza, ma non era male. Il datore di lavoro era una persona gentile e molto disponibile. Ho detto era? Sì, perché a soli 54 anni è morto di infarto, venti giorni fa. Questa come la chiamate voi? Non è sfiga? Dopo un anno sei mesi e cinque giorni, non ho più un lavoro. Sua moglie ha venduto l'azienda e i nuovi proprietari non hanno bisogno di tutti i dipendenti, tra quelli da mandare a casa indovinate chi c'è? Ci hanno liquidato con altri due mesi di stipendio. Ora si ricomincia!
Il mio primo giorno da disoccupata. Ho preso l'auto e sono tornata a casa a salutare la mia famiglia che abita a Bridgeport, un'oretta buona da New York, dove vivo con una mia amica, per un lavoro che non ho più. Arrivo davanti casa, una villetta bianca, vedo il cancello aperto, mia madre è all'interno. Scendo, entro nel vialetto e guardo le piccole aiuole fiorite che lei cura personalmente. Suono il campanello, mi apre quasi immediatamente! «Kai! Cosa ci fai tu qui?» «Mamma, questa sì che è un'accoglienza!» «Kendra Davis! Non hai un telefono?» «Mamma! Sono tornata a casa mia! Ho le chiavi, ricordi?» «Sì! Ma io sto uscendo. Tra dieci minuti dalla mia amica Leah c'è una dimostrazione di cucina texana.» «Bene. Ci vediamo a pranzo.» «Resto a pranzo da Leah. Tuo padre e le tue sorelle vanno a mangiare da nonna Kendra. Vai anche tu lì. Fatti dare un bacio, nel caso in cui tu riparta prima del mio rientro, io faccio tardi. Tanto ci vedremo domenica. A proposito, perché non sei al lavoro?» Mi chiede correndo lungo il vialetto. Non rispondo, tanto è già andata via. Entro in casa. Mi reco in cucina, una bella stanza bianca sul grosso tavolo centrale c'è un vistoso centrotavola con della lana, mia madre sferruzza sempre. Apro il frigo, prendo un bicchiere di latte. Benvenuta, Kai! Che sorpresa vederti oggi! Tutto bene, Kai? Sì mamma, tutto bene, sono stata solo licenziata, ma ho altri due mesi pagati. Ci riuscirò a trovare uno schifo di lavoro, prima? immagino in un breve monologo. Appoggio il bicchiere nel lavabo e esco per una passeggiata al mare. Raggiungo Seaside Park, prendo in auto i giornali che ho comprato con gli annunci di lavoro e mi avvio. Siamo a fine settembre. Adoro il mare con la spiaggia deserta dopo la bolgia estiva, finalmente le acque trovano pace. Come sarebbe essere mare? In estate preso d'assalto, chi corre, chi nuota, chi gioca, chi lo solca con le moto d'acqua, le canoe, le barche. Secondo me è uno Stress. Non può fluttuare le onde dolcemente, cullare le sue creature tranquillamente. E la spiaggia? Le urla, le buche, i giochi, il caos. Ora sembra finalmente riposare, come un umano dopo una notte di orge. Il colore delle acque è più azzurro, le onde sembrano arrivare a riva lentamente, per non turbare il silenzio. Mi siedo a riva sulla sabbia fresca e chiudo gli occhi. Solo lo sciabordio delle onde cullano i miei pensieri. Resto così fino a che non sento dei passi avvicinarsi, apro gli occhi, un cane mi passa a pochi centimetri correndo come un folle. Neppure il cane mi vede! Il padrone cammina sul bagnasciuga con il guinzaglio vuoto. Mi alzo, mi sposto più indietro su una panchina. Prendo la penna e inizio a leggere le offerte di lavoro. Sembrano tante, ma non trovo nulla di interessante. Cerchio qualche richiesta di babysitter, mal che vada farò anche quello. Mi annoio. Mi accorcio i pantaloni e tolgo i sandali, cammino sul bagnasciuga e guardo l'onda che mi arriva vicino quasi a sfiorarmi. Sembra un gioco, un andirivieni come se mi volesse toccare i piedi ma non ce la fa, poi riprende la rincorsa e riprova. Trovo una conchiglia, la prendo, la metto in tasca. Una bottiglia va avanti e dietro tra le onde. Sembra una di quelle della birra piccola. Che incivili! A casa loro fanno lo stesso? Bevono e buttano i rifiuti per terra? La prendo con l'intenzione di buttarla al cestino. La bottiglia ha un tappo di sughero e dentro un biglietto arrotolato. Un messaggio in bottiglia affidato alle onde! Asciugo le mani e la bottiglia con un Kleenex. Torno indietro sulla panchina. Poggio i giornali e la apro. La carta è un po' ingiallita. Il messaggio non è recente, quindi.
“A te affido la mia vita, quella che non mi ha mai voluta. A te affido i miei sogni, palloncini mai volati. Smetto di lottare, di provare a inseguire mete irraggiungibili. Ero sole, tu inverno oscuravi ogni mio raggio. Ero poesia,tu gomma cancellavi ogni mio verso. Ero sogno, tu mattino mi ingoi. Ero amore, tu tradimento e bugie. Ora sono vento che ulula la sua rabbia gonfiando la tempesta. Sono dolore e delusione, sono il buio della notte, l'amaro della resa. Sono note stonate di un pentagramma, sono vuoto di un amore tradito, sono rifiuto di un mondo che non mi ha voluto. Lascio a te onda che non conosci approdo, il mio destino. Affido a te queste righe amare vergate con sangue e delusione, a te che leggi regalo i desideri del ragazzo che muore oggi. Cerca la fiamma che riaccendi il cuore affinchè il destino si compia.”
Alla fine è riportato un numero telefonico. Rileggo il messaggio varie volte, non c'è data, né firma. Solo il numero di cellulare. Questa persona è più matta di me. Vorrei telefonare, ma mi trattengo. Reinserisco il messaggio nella bottiglia, la tappo e metto in borsa. Controllo l'ora e vado da mia nonna, che non abita molto lontano da qui. Parcheggio l'auto sul vialetto e mi dirigo verso la porta, sento chiamare il mio nome, mi giro e scorgo le mie sorelle Layla e Cheyenne. Layla ha ventidue anni, è più bassa di me di qualche centimetro, ha i capelli castani lisci, gli occhi marroni e un viso angelico. Cheyenne ha i capelli neri come mia madre e gli occhi azzurri della nonna materna; è la più piccola della famiglia, ha solo diciott'anni. Io sono l'unica con gli occhi verdi e capelli rossi come la bisnonna, madre di nonna Kendra, di cui porto il nome. «Kai, cosa ci fai qui? Non saresti dovuta venire domenica?» «Ero libera e mi sono fatta una passeggiata.» Sentendo il vociare, si affaccia nonna. «Kai, che sorpresa! Coraggio, aggiungiamo un coperto. A casa mia c'è sempre posto.» «Oggi ti è andata bene, c'è l'arrosto, patate, verdure, bretzel, e vino rosso.» «Nonno sta affettando del prosciutto e dei formaggi.» In genere ogni quindici giorni vengo qui la domenica e si pranza tutti insieme a casa di mio padre o qui dai nonni. «Allora, Kai, oggi non lavori? Come mai?» Chiede mio padre. «La moglie ha venduto l'azienda e ci sono stati dei tagli al personale. Mi hanno pagato altre due mensilità e ora sono alla ricerca di un lavoro!» «Sai bene che se volessi tornare qui, zia Olivia ti riprenderebbe al supermercato!» dice la nonna. Zia Olivia non è una vera zia, ma la madrina di Layla. Noi tutti la chiamiamo zia. Ho lavorato un anno da loro, sono andata via perché suo figlio Jordan era diventato troppo insistente e tutti si aspettavano che io e lui ci sposassimo! «No, voglio provare a trovare un altro lavoro a New York, se non riuscirò, vedremo!» Ho una laurea in Scienze della comunicazione e marketing, vorrei qualcosa di più appropriato. Dopo pranzo, Cheyenne torna a scuola, Layla lavora in pasticceria al centro della città, papà nel negozio di ferramenta che una volta apparteneva al nonno. Saluto tutti e riparto per la Grande mela.
Arrivo verso le diciassette, la mia coinquilina e migliore amica Megan è ancora a lavoro, in uno studio legale associato di fronte al bar gestito da Ramon Louis, un ragazzo gay spagnolo, venuto a New York per una vacanza e mai più ripartito. Ramon è l'altro unico amico in questa grande città. Siamo un terzetto singolare: la sfigata, il gay e la delusa. Megan è stata abbandonata il giorno prima delle nozze. Il suo ex è scappato con un'amica che doveva farle da damigella. Entro al bar, Ramon serve la birra a tre clienti. «Chica! Dove sei stata tutta la giornata?» «Sono andata dai miei, ho pranzato da nonna.» «Hai trovato qualcosa tra gli annunci?» «Nada!» «Non ti preoccupare, qualcosa uscirà o vieni qui a fare la cameriera.» «Muchas gracias, Ramon. Preferirei un lavoro diverso.» Mi siedo al tavolo e aspetto che finisca di servire. Al bar lavorano la signora Leslie in cucina e Logan poco più di un ragazzo. La sera c'è Carlos, il suo compagno, chiude lo studio fotografico e lo aiuta. Ramon esce da dietro il bancone, ha un paio di pantaloni giallo canarino, una camicia bianca con tre bottoni aperti sul petto, arriva nel suo metro e ottanta sculettando vistosamente per prendermi in giro. Il volto regolare, le labbra carnose e gli occhi marroni sono un miscuglio di sensualità e bellezza. Ha dei bellissimi capelli neri lunghi, stretti in un laccetto di cuoio. «Allora, chica! Dimmi cosa vuoi fare finché non trovi lavoro. Bighellonare?» Chiede mettendomi davanti un bicchiere di latte caldo. «Non lo so. Ho sottolineato alcuni annunci di famiglie che cercano babysitter part time, se non trovo altro provo a chiamare.» «Una cosa è certa, non devi disperare. Staremo con gli occhi aperti.» «Ecco, arriva la desperada!» Fa un cenno con la testa verso l'ingresso. Intende Megan. Lui inventa nomignoli per tutti. Megan si butta sulla sedia. «Non fiatate, è stato un giorno di merda. Per fortuna finiscono anche quelli. Voi, novità?» «Nada!» rispondo sconsolata. Prendo la borsa per tirar fuori gli annunci che ho evidenziato e ricordo il ritrovamento. «Una novità c'è! Guardate.» Tiro fuori la bottiglia con il messaggio, e Ramon me la strappa di mano. «Madre de Dios. Un messaggio? Chica, che romantico!» Tira fuori il messaggio e lo legge e alta voce. «Lo hai chiamato?» sto per rispondere ma Megan mi precede. «Non ci provare! E tu smettila di metterle in testa certe idee. Lei è già brava di suo a mettersi nei guai. Dammi quel dannato biglietto!» Lo tolgo di mano da Ramon, lo rimetto in bottiglia, chiudo il tappo e lo sistemo in borsa. «No! L'ho trovato io! Non voglio che tu lo distrugga!» «Kendra Davis, se chiami quel numero e ti metti nei guai, io Megan Scott giuro di disconoscerti!» «Ma dai, Megan! Cosa vuoi che succeda se lo chiama almeno per sapere se esiste ancora? Il foglio è tutto ingiallito, da quanto tempo sta lì? Sicuramente quel numero non sarà più attivo.» «Ramon Sanchez, lei è una calamita di guai! Lo sai benissimo. Se arrivasse il temporale con i fulmini, sta pur certo che il fulmine colpirebbe solo lei.» «Sei cattiva, Megan!» «Vero! Se lei è mia amica, forse dovrei trovare un nemico.» aggiungo io, guardando Ramon. «Kendra Davis! Ti sei dimenticata cosa è successo due anni fa? Soltanto tu trovi bigliettini con messaggi. Quello che hai raccattato nel bagno di un pub, ricordi? Una poesia d'amore. Con il messaggio: se credi che l'amore ti sta chiamando rispondi. Era più o meno così, giusto?» Ascolto torva, ha ragione, ma io sono curiosa come una scimmia. «Ramon! Non parli? Ricordi che dopo due mesi di epistole lacrimose e sdolcinate lei diceva che aveva trovato l'uomo della sua vita? Quando hanno fissato il desiderato appuntamento si presenta un omino un metro e quaranta, cento chili, pelato. Era meglio Penguin di Batman. Ricordi, Kendra? Che non ti sei avvicinata ma Mister Penguin non si è arreso? Tramite il cellulare ti ha rintracciata e perseguitata. Pretendeva che lo sposassi perché l'avevi illuso. Siamo dovuti andare a sporgere denuncia. Ricordate, voi due?» «Megan ha ragione, lo avevo dimenticato. Chiquita!» Resto in silenzio. Eppure vorrei almeno sapere se esiste ancora, se è un uomo o una donna! «Avanti, Kendra! Ma chi mette un messaggio simile? Sicuramente era stato mollato da una fidanzata oppure ci ha provato per tanto tempo e non è stato corrisposto. Se fosse bello, sai quante donne avrebbe al suo seguito? Non ha neppure tempo di pensare ad un messaggio, figurarsi scriverlo?» Prosegue Megan Anche questa affermazione non fa una piega. Ma un diavoletto dentro mi stuzzica. «Però, Meg, potrebbe comprare un cellulare di quelli usa e getta, basta inserire un codice postale, non ha registrazione di mittente.» «Ramon! Ma sei con me o contro di me?» Poi mi osserva e ha già capito che l'idea mi piace. «Kendra Davis non provarci! Ti sbatto fuori casa!» Per fortuna la conversazione viene interrotta da Logan «Ramon c'è un'ordinazione dagli uffici della Young Corporation. Li porti tu?» «Ragazze, io vado. Non litigate, ok?» Lui va via, la tensione cala. «Megan, la nonna mi ha dato dell'arrosto avanzato, vado a comprare le verdure per fare il contorno, che ne dici?» «Ok, ci vediamo a casa. Oggi non hai lavorato quindi alla cena ci pensi tu.» Annuisco ed esco. Al supermercato compro insalata e verdure. Passo al reparto elettronica e chiedo un cellulare usa e getta. Venti dollari tutto incluso. Metto il codice di avviamento postale di Bridgeport, «È attivo ora» mi dice il responsabile. Vado in bagno, prendo il messaggio dalla bottiglia, lo fotografo e lo invio al numero sopra citato. Poi torno a casa. DANIEL: IL MESSAGGIO IN BOTTIGLIA
Una giornata penosa, resta sempre tale da qualunque lato la guardi! Alle otto di sera sono ancora in ufficio. Una settimana fa si è licenziata una ragazza e domani mattina dovrò rimpiazzarla. Spulcio curriculum da giorni. La mia compagnia gestisce l'ufficio marketing, non è facile trovare menti fresche e brillanti che abbiano senso di responsabilità e voglia di impegnarsi. Sento un bip. Un altro curriculum. Lo leggerò strada facendo, non voglio restare un minuto in più. Evan mi sta aspettando giù per andare a sentire un po' di musica in un pub. Quando Taylor non è in città, ho via libera. Taylor è la ragazza giusta per me, sta sempre in giro per lavoro. Ricordo quando la vidi la prima volta ingaggiata per uno dei miei spot su un rossetto. Una vibrazione nella giacca mi distoglie dai pensieri. Il cellulare privato? Il cuore si ferma, solo i genitori e la nonna hanno questo numero. Ho quasi paura a guardare. La porta dell'ascensore si apre, resto a metà tra dentro e fuori. Sono impietrito. Non riesco a credere ai miei occhi! Un uomo mi chiede se esco o entro. Mi sposto, cammino verso l'uscita con il cuore che impazzisce. Non posso credere a ciò che vedo, qualcuno ha trovato il mio messaggio che buttai in mare dieci anni fa. Entro in auto con un sorriso da clown stampato in faccia. «Ti vedo su di giri, amico! Cosa succede?» «Evan, Non ci crederai mai.» Gli mostro il messaggio. «Chi è il demente che ha scritto una cosa simile?» «Evan! Che amico ho?» «Vuoi dire che l'hai scritto tu? Ti sei fuso il cervello?» «L'ho scritto dieci anni fa e l'ho messo in una bottiglia. Qualcuno lo ha trovato.» «Che fortuna, amico! Dopo dieci anni?» «Già! Sono eccitato, vorrei proprio sapere chi è.» «Sgonfiati! Potrebbe essere un uomo, una vecchietta che va a raccogliere quello che il mare butta fuori, una ragazzina di quindici anni e rischi la denuncia per pedofilia. Oppure un barbone. Insomma, che ne sai cosa si nasconde? Ha la foto su Whasapp?» «Non ci avevo pensato! No. Non ha foto.» «Siamo a fine settembre, chi va al mare in questo periodo? Solo chi non lavora.» «Magari lo ha trovato in agosto e ha mandato la foto solo ora.» «Chiediglielo. Tu hai la foto su Whatsapp?» «No, questo cellulare lo uso solo per le chiamate dei miei, nessun altro sa che esiste e non ho messo foto.» «Bene, se sei curioso chiedi.» Evan parte. Io scrivo.
«Ciao! Sono incredulo, dopo dieci anni hai trovato il mio messaggio. Chi sei?»
Aspetto con il cellulare in mano. Nessuno risponde. «Evan! Non rispondono.» «Abbi pazienza, non è detto che vivano con il cellulare in mano.» Entriamo al pub e cerchiamo un tavolo. Sto per sedermi, sento vibrare il cellulare.
«Ciao! Tu chi sei? Chi mette un messaggio simile, incuriosisce molto.»
Lo mostro a Evan «Beh! Non è tanto scemo/a! Inventati un'identità che non può nuocerti. Tipo: alto un metro e sessantacinque, novanta chili, bruno, occhi marroni. Quarant'anni. Un tipo che non attira l'attenzione.» Ricopio la sua descrizione, chiedo lo stesso a lui o lei e quando ha trovato la bottiglia.
«Sono alta un metro e cinquantacinque. Capelli castani, peso ottantacinque chili, occhi marroni, ho trent'anni, sono donna. L'ho trovata stamattina a Bridgeport. Come ti chiami e dove hai buttato la bottiglia? E perché? Cosa ti era successo?»
«Evan, o mi prende in giro, oppure è uno schifo!» «Te lo dicevo che una tipa ok non va al mare a fine settembre!» «Devo trovare un nome. Come mi chiamo?» «Che ne so, un nome comune. John, Jack, Louis! E se la bottiglia l'ha trovata a Bridgeport, che non è lontano da qui, dille che abiti lontano.»
«Mi chiamo Louis e abito a Palm Beach, dove ho buttato la bottiglia. Tu come ti chiami?»
«Katy!»
«Ecco! Sei una fortunata dopo dieci anni trovare il mio messaggio.»
«Fortunata? Io sono la sfiga in persona! No mi credi? Ti faccio un esempio: se entro in un bar sicuramente tutti i tavolini saranno occcupati, se mi avvicino dove è seduta una sola persona: qualcuno finge di stare al cellulare, un altro guarda il lampadario che neppure c'è, qualcun'altro mi osserva e sbotta:“con tutti i posti che ci sono qui ti devi sedere?” Non sono una “trasnsatlantico” intendo quelle ragazze che quando entrano tutti si girano e la osservano in estati, quelle sono nate fortunate! Sono quelle che ammiri e non ti accorgi delle altre, se pur carine ma meno appariscenti di loro.»
“Transatlantico e zattera.” Rido da solo. Sarà una persona di aspetto sgradevole ma è davvero simpatica.
«Sei la persona più simpatica con cui io abbia mai interagito.» le dico di cuore.
«Sì, come no! Se ti trovassi davanti una sfigata nella realtà, non le daresti nessuna possibilità! Io sono un'invisibile, peggio del barbone che incontri per strada. A lui butti una moneta e a me? Neppure mi noti.»
«Non è vero! Credo che una persona simpatica come te non passi inosservata! »
« Certo che è vero quello che dico. Ma dimmi che lavoro fai, e come mai hai scritto quelle parole?»
«Evan, che lavoro faccio?» «Ancora parli con quella svitata? Sei un rompiscatole stasera. Guarda le due a quel tavolo, hai visto che roba? Chiudi, abbordiamo.» «Sì, sono due transatlantici, ma che lavoro faccio?» «Che dici? Transatlantici? Dille che fai il meccanico.» Rispondo che sono un meccanico e faccio leggere i messaggi di Katy a Evan. Lui inizia a ridere «Però! Sveglia la ragazza, ha ragione.»
«Bene se fai il meccanico. Arriva un signore con una fuoriserie, e allo stesso momento uno con una vecchia utilitaria. Tu dove ti dirigi prima?»
«Hai ragione. A volte si fanno scelte involontarie.» rispondo. Ho capito cosa mi vuole dire.
«Vedi? Mi dai ragione. Ripeto sei in un ristorante o un pub, non guardi tutti i tavoli, punti dove c'è una, transatlantico, quando potrebbero esserci anche tante altre barche, molto più utili. Che ne so, un piccolo peschereccio, una vela. Si guarda sempre all'involucro. Spesso in un bel vaso ci si mette la sabbia per non farlo volare via, mentre in un coccio c'è nascosto del denaro.»
«Accipicchia! Ho trovato una filosofa.»
Mi piace parlare con lei. È schietta e simpatica. Mi trasmette allegria, ma evito di rispondere a quello che non voglio lei sappia. Evan si alza, va al tavolo delle ragazze e le invita al nostro.
«Devo chiudere. Vado a letto, domani devo alzarmi presto. Sono felice di aver incontrato un concentrato di simpatia come te. Potremmo diventare amici di chat?»
«Certamente, va bene. Domani mattina giornata impegnativa anche per me. Buonanotte dalla tua zattera!»
Chiudo il cellulare e mi guardo intorno. Evan ha ordinato di nuovo da bere. Osservo gli altri tavoli, ci sono altre ragazze, non appariscenti come queste al nostro tavolo ma alcune anche più belle di queste. La zattera ha ragione, noi non guardiamo, ma veniamo attratti. KENDRA: COLLOQUIO DI LAVORO
Rientro a casa. Megan non è tornata. In camera nascondo il cellulare usa e getta dentro un cassetto sotto l'intimo e vado in cucina. Cuocio le verdure, apparecchio la tavola, sistemo l'arrosto in forno. Sto per farle uno squillo, ma sento la chiave che gira nella toppa. «Megan! Che fine avevi fatto? Dai, è pronto!» «Dammi il tempo per cambiarmi, fino a ora ho lavorato per te!» «Lavorato per me dici?» «Domani mattina alle nove hai un colloquio di lavoro.» La sento da lontano, è in bagno. La raggiungo. «Cosa hai detto?» «Domani mattina hai un colloquio di lavoro.» «Chi lo ha preso? E dove?» «Lo ha preso Ramon, quando è andato a portare le consumazioni alla Young Corporation, si occupano di marketing. Ideale per te. Quando è andato a consegnare l'ordinazione ha ascoltato la telefonata di una che prendeva un appuntamento per il colloquio. Così ha dato il tuo nominativo. Ti hanno messo alle nove perché era l'ultimo orario rimasto. Le altre hanno scelto. Ma meglio di nulla.» «Ok! Speriamo bene.» «Devo portare qualcosa?» «No, quando è tornato al bar mi ha detto che serviva un curriculum e l'ho fatto io, uno breve. Doveva arrivare subito, il signor Young li esamina questa sera.» «Grazie. Tanto chissà quante persone hanno già mandato il curriculum. Ma tentar non nuoce.» Finita la cena vado in camera, sono curiosa di sapere se ci sono messaggi da parte di Luis. Negli scambi di battute si evince una persona simpatica e educata, mi fa dei complimenti e vorrebbe essere mio amico di chat. Beh, non costa nulla, anzi a volte con gli estranei si riesce a parlare meglio, senza compromessi. Mi devo imporre di stare attenta nei miei discorsi a restare sempre sul generico, se mi caccio nei guai è la volta buona che Megan mi butta per strada. Peccato che alle dieci già debba chiudere. Meglio così! Domani mattina mi alzerò presto e voglio arrivare in anticipo al colloquio. Spero di arrivare alle otto, così potrò fermarmi da Ramon.
Megan mi sveglia alle sei, mi aiuta a stirare i capelli ribelli, che lascio sciolti. Mi consiglia un tailleur con la gonna, non mi lascio convincere, scelgo il mio tailleur blu classico con i pantaloni, la camicia bianca e décolleté tacco da 8. Finito di sistemare il trucco, devo ammettere che alla fine ho un aspetto gradevole. Mi avvio, il cielo è plumbeo pur se le previsioni non annunciano pioggia. Prendo la metro, scenderò vicino al bar di Ramon. Gli uffici sono a pochi metri, sullo stesso marciapiedi del bar. Sarebbe davvero un buon posto di lavoro, comodo poter andare al bar per ogni evenienza. Mi siedo, prendo il cellulare dalla borsa per controllare se ci sono messaggi da parte di Luis, fiduciosa che i suoi messaggi mi porteranno fortuna.
«Buongiorno fatina dei sogni.»
«Buongiorno a te Louis.»
«Sei già al lavoro?»
«Sto andando. Tu?»
«Anche io!»
«A che ora apri l'officina?»
«Mio padre va prima, poi lo raggiungo.»
«Bene! A dopo allora.»
Stiamo per arrivare, sono nettamente in anticipo. Una frenata. Un fischio. Cosa succede? Tutti sono spaventati, una voce annuncia che alla fermata successiva c'è una donna sulle rotaie che minaccia di suicidarsi. È intervenuta la polizia. Appena riusciranno a liberare potremmo ripartire! Ma che sfortuna! Proprio stamattina questa doveva mettersi tra le rotaie? Inizio a battere un piede sul pavimento. Sono in anticipo di quarantacinque minuti, dovrei stare calma. Che ci vorrà a tirarla via da lì? Passano dieci minuti, venti, nulla non ci muoviamo, tutti sono tranquilli. Qualcuno legge il giornale. Inizio a chattare con Megan, lei mi esorta alla calma. Sono le nove meno un quarto! Ora urlo! Ecco che ci riavviamo. Arriviamo alle nove meno dieci. Salgo le scale correndo come una pazza. Sono all'uscita, devo solo attraversare. No! Da dov'è uscita questa pioggia? Anzi, non è pioggia! È un diluvio universale. Metto la borsa sulla testa non mi ripara. Mi butto nel traffico, le auto suonano il clacson, sono quasi arrivata dall'altro lato, un taxi mi passa davanti inchiodando all'improvviso, una ruota finisce dentro una pozzanghera, schizzandomi l'acqua addosso. Una secchiata di melma si abbatte sui miei pantaloni fino a metà giacca. Impreco. Allungo la gamba per sorpassare la pozzanghera che mi sta davanti, il taxi è fermo a pochi centimetri, giro dietro il taxi, gli sono di lato, una portiera si apre dandomi una botta tra gambe e stomaco proprio mentre sto saltando la pozzanghera. La botta mi fa vacillare, allargo le braccia per non perdere l'equilibrio, ma cado dentro la pozzanghera. Urlo. Un uomo scende dal taxi e mi guarda. «Non l'avevo vista! Mi scusi.» Poi scappa per ripararsi. Il cielo butta giù secchiate. Non mi ha neppure aiutata per rialzarmi! Il taxi riparte e mi schizza l'acqua sporca anche sul viso e il petto. Sono fradicia e piena di fango. Guardo l'orologio. Le nove. Vado da Ramon o al colloquio? Tanto non mi prenderebbero lo stesso! Vado al colloquio. Entro nel portone, secondo piano. L'ascensore sta per chiudersi, metto la mano sulla porta, si riapre. Dentro l'ascensore il demente! Quello che mi ha buttato nella pozzanghera! «Brutto stronzo! Hai visto come mi hai conciata?» lui mi guarda e ride. «Di cosa ridi? Neppure mi hai aiutata! Quando apri uno sportello potresti controllare se ci sono persone.» «Le ho chiesto scusa.» «Mi hai chiesto scusa e lasciata rotolare nel fango come un maiale!» «Avevo fretta!» «Anche io avevo fretta! Sei una merda di uomo, te lo ha mai detto nessuno?» Si apre l'ascensore, lo sorpasso, ma prima aggiungo: «Fanculo!» Arrivo alla reception e mi rivolgo alla ragazza dietro la scrivania: «L'ufficio recruiter, ho un colloquio: sono Kendra Davis.» Lei solleva lo sguardo. Sarò davvero messa peggio di quanto sembro. Ha visto un alieno? Poi alza lo sguardo dietro, mi giro, lo stronzo mi sta alle spalle, ha sentito. Appena lo guardo si allontana in fretta. Chiedo di nuovo, mi indica più avanti. «Ultimo ufficio a destra». Entro in una stanza con delle scrivanie, alcuni sollevano lo sguardo, mi osservano sbalorditi. «Per una volta notano la mia esistenza. Devo rivoltarmi nel fango, quando esco.» Davanti una porta chiusa, ci sono altre cinque ragazze, due transatlantici o forse più navi da caccia. Indossano la minigonna e, secondo me nulla sotto. Chissà chi delle due avrà il posto? Le altre tre sono barchette. C'è una sedia libera, non posso sedermi, la sporcherei di fango, ho i capelli che gocciolano sulla giacca, sento il viso sporco, vorrei un kleneex, nella borsa ho tutto tranne un fazzoletto. Si apre la porta. Una donna magra, alta, mi guarda dalla testa ai piedi per due volte. Mi osserva con occhi gelidi, come se fossi una cacca di cane. Lei non è tanto meglio di me, mi sembra la signorina Rottenmeier del film Heidi. Sento una voce dalla stanza: «Signora Ross! Allora?» «Mi scusi!» Poi, rivolgendosi a me: «Signorina Davis, può accomodarsi. Il signor Young la sta aspettando.» Io? Io sono la prima? Le altre mi osservano. Faccio un respiro, tanto non mi prende, almeno mi sono presentata. Gli dirò che un deficiente mi ha fatto cadere in una pozzanghera. Entro, sento sbattere la porta alle mie spalle ho un sussulto. Un uomo sta di spalle osserva fuori dalla finestra, sembra giovane, è alto sicuramente uno e novanta giù di lì, ha un bel sedere. Sono quasi davanti alla scrivania. Dico: «Buongiorno!» Lui si gira. Oh mio Dio! Quello che mi ha fatto cadere nella pozzanghera e ho riempito di parolacce in ascensore! Mi giro e torno da dove sono venuta. «Dove sta andando? Torni qui!» Mi ordina, il suo tono è un vero e proprio ordine! Mi giro di nuovo. «Che senso ha? Tanto, dopo quello che le ho detto, lei non mi prenderà mai! Quindi non le faccio perdere tempo.» Aggiungo senza avvicinarmi. «Torni qui!» Mi avvicino sospirando. «Si sieda!» Io lo osservo. «Non posso, sporcherei la sedia.» Clicca sull'interfono. «Signora Ross, mi porti un asciugamano o della carta assorbente.» «Per far cosa?» Chiede. «Signora Ross! Per la seconda volta stamattina le ripeto che non devo dare spiegazioni delle mie richieste.» «Mi scusi.» Sento dire dalla signorina Rottenmeier. Entra subito dopo con un rotolo di carta assorbente. Lo poggia sulla scrivania e si ferma. «Può andare.» La Ross esce e sbatte di nuovo la porta. Young richiama la Ross all'interfono, indicandomi la carta assorbente. «Signora Ross! La prossima volta che sbatte la porta, non avrà più modo neppure di aprirla! Intesi?» «Mi scusi!» Si concede con tono mogio. Appoggio dei fogli di carta sulla sedia e mi siedo. «Lo passi anche sul viso.» Ci provo, ma sento che non viene via nulla. «Grazie» dico piano. «Bene, ora ricominciamo. Vuole dirmi qualcosa di lei, signorina Davis?» «Ripeto! Non credo che dobbiamo continuare questa farsa, signor Young! Dopo l'episodio di stamattina, credo di non avere nessuna chance. Anzi, vedendo le candidate lì fuori, credo che non l'avrei avuta neppure se non mi avesse buttata dentro la pozzanghera.» Mi guarda. Non risponde. Il mio tono è stato calmo ma deciso. «Ho letto stamattina il suo curriculum, pervenuto ieri sera. Mi sembra un eccellente curriculum, troppo a parer mio per essere realistico. Cosa mi può dire?» Non so cosa c'è scritto nel curriculum. La strozzo Megan! «Capisco la sua perplessità, signor Young, certo se mi guarda così conciata non si direbbe che io sia capace di far qualcosa. Sono una persona abbastanza in gamba. Poi sta a lei credermi o no!» Lui mi osserva, io lo sfido con lo sguardo, tanto non ho nulla da perdere. Ha begli occhi: due laghetti di montagna, azzurro intenso. Un volto squadrato con lineamenti dolci, capelli mossi castano chiaro tendenti al biondo, ciuffi ribelli gli cadono sulla fronte. Labbra carnose e grandi. Sicuramente morbide. Ma cosa mi viene in mente? È un ghiacciolo di uomo. Mi guarda come se mi volesse uccidere! «Signorina Davis, lei mi sta sfidando?» «Io, signor Young? Crede che io sia davvero una cretina? Vuole che la pensi di avere una possibilità? No, signor Young! Lei vuole umiliarmi! Dopo avermi gettata dentro la pozzanghera, ora intende schiacciare anche la mia dignità. Non glielo permetto! Quando si sarà stancato di giocare a gatto e topo, me lo dica, così vado a darmi una ripulita a casa.» Lui mi osserva torvo. «Lei è una testarda, intollerante e prepotente. E anche maleducata. Mi ha detto tutto ciò che le passava per la testa, in ascensore.» «Avrei voluto vedere lei al mio posto!» «Vede? Un'altra persona al posto suo, si sarebbe scusata adesso!» «Non è vero! Un'altra persona si sarebbe prostrata a lei per avere il posto, non le avrebbe chiesto scusa perché era giusto.» «Quindi lei non lo vuole il posto?» «Certo, altrimenti non sarei venuta a fare il colloquio in queste condizioni. Ma sono anche obiettiva e realista, so che quel posto a me non lo darà mai, quindi perché sminuirmi ulteriormente? Ci siamo fatti una bella chiacchierata. Signor Young, è stato un piacere.» Mi alzo, non ho intenzione di trattenermi ancora. Mi sto innervosendo, sento il fango rapprendersi sul viso, è fastidioso. Lui si diverte, io no. «Resti seduta!» «Perché?» «Non abbiamo finito!» «Certo che sì!» «Sono io che decido quando può andare!» «Perfetto! Allora mi faccia preparare un bagno, perché non ce la faccio più a stare così!» «Tanto senza fango non sarà certo messa meglio!» «Grazie per il complimento!» Se non mi lascia andare, sento che fra poco scoppierò a piangere. Ma tengo testa. «La prendo in prova per due settimane.» Non gli credo, mi sta prendendo in giro? Con tutte quelle là fuori, perché prende me? Vuole vendicarsi? «Cosa? Cosa ha detto?» «È anche sorda, oltre che maleducata? La prendo in prova per due settimane! Voglio vedere cosa sa fare!» «Retribuite?» «Certamente! Mille dollari!» Inizio a pensare che non è male, rifletto. Mi sta guardando, devo rispondere. «Va bene, mille e cinquecento. In fondo potrei rischiare di buttarli alla finestra visto che non so nulla di lei e del curriculum non mi fido.» Gioca al rialzo. Aspetto o rispondo? Rispondo, mi sta osservando come se mi volesse sparare! «Se supero la prova?» «Prima deve superarla!» «Lo so, ma se la supero?» «È molto sicura di sé, signorina Davis?» «Perché io so quello che so fare, signor Young!» «Diciamo allora quattromila dollari al mese, le va bene?» «Perfetto. Quando inizio?» «Domani mattina.» «Di mercoledì?» «È superstiziosa?» «No! Sfigata! Tanto sfigata che se salissi su un aereo, la sfiga prenderebbe un razzo per starmi sempre avanti e non perdermi di vista.» Inizia a ridere. «Bene, è anche spiritosa!» Clicca sull'interfono. «Signora Ross, venga un attimo.» Arriva come un maresciallo: rigida, fredda e arcigna. «Da domani la signorina Davis lavorerà con noi, sarà in prova per due settimane.» Se qualcuno le avesse piantato una pallottola in corpo, avrebbe avuto una reazione migliore. «Signorina Davis? Alle otto e mezza, la mattina. Pausa pranzo un'ora, uscita alle cinque e mezza.» «Perfetto!» Mi alzo, vorrei stringergli la mano, osservo la mia, sporca. Lui capisce, mi sorride. «A domani!» «A domani, grazie!» Mi giro e sto per uscire, percepisco la Ross che parla sottovoce ma sento distintamente ciò che dice. «Come le è venuto in mente di prendere quella? Ci sono altre ragazze fuori.» «Signora Ross, le mandi a casa e si faccia lasciare il numero di un recapito nel caso ne abbiamo bisogno tra due settimane le chiameremo. Per l'ultima volta le ricordo che qui io comando!» Sono fuori dall'agenzia. Un sospiro di sollievo e corro come il vento per le scale. Fuori c'è il sole. Non è possibile. Vado al bar da Ramon. Come entro alza lo sguardo. «Madre de Dios! Kendra, da dove vieni?» «Dal colloquio con Young!» «Conciata così?» «Ho avuto il posto!» «Dici davvero?» «Sì, in prova per due settimane!» «Dobbiamo festeggiare.» «Tra due settimane. Perché sarà dura. Non piaccio a nessuno, Ramon!» «Chi se ne frega chica? Piaci a Megan e a me, e se ti diamo una pulita, vedrai a quanti altri. Soprattutto chica devi piacere a te stessa, per poter piacere agli altri.» mi spinge nel bagno riservato al personale. Mio Dio! Il viso è tutto pieno di schizzi di fango. Faccio davvero pena. Come ha fatto a non ridere per tutto il tempo? «Aspetta, chica. Ti faccio la foto, dobbiamo farla vedere a Megan. Sei troppo forte!» Ramon ha ragione. Devo piacermi di più e non permettere a nessuno di calpestarmi. Il coraggio mi ha dato una possibilità. Se non fossi caduta nel fango non avrei tirato fuori tutta quella grinta. Mi sarei comportata da insicura e timida e il posto non lo avrei mai avuto!» DANIEL: LA NUOVA ARRIVATA
La signora Ross sta mandando via le candidate. Non è una persona gioviale, ma oggi ha superato ogni limite. Forse mio padre le permetteva certe libertà che io non tollero. A sua volta la signorina Davis ha sfidato ogni logica. Non credo a una parola del curriculum, ma essersi presentata tutta coperta di fango. Ne ha avuto di fegato, e mi ha tenuto testa per tutto il colloquio. Un'altra avrebbe chiesto scusa fino a strisciare pur di avere una possibilità. O sa il fatto suo e quindi si permette un comportamento di sfida, o è talmente imbecille che ha bluffato tutto il tempo e non gliene importa nulla del posto. In queste due settimane avrò la risposta. Alla Ross non piace proprio. Forse doveva piazzare una delle sue protette. La chiamo all'interfono. «Signora Ross, venga un attimo!» Entra con il suo fare impettito. «Visto che mi ha chiamata le devo dire...» «Signora Ross, si calmi! Io prima dico a lei, poi lei dirà a me.» Faccio una pausa e proseguo con tutta la calma possibile. «Signora Ross, da quanto tempo lavora qui?» «Da sedici anni, signor Young.» «Bene! Allora se tiene al suo posto di lavoro dobbiamo chiarirci sui ruoli. Mio padre ha ceduto la società a me da un anno. Il suo comportamento mi è sembrato un po' inusuale ma l'ho tollerato, però stamattina è andata oltre. Io sono il proprietario! Decido chi lavora qui e come gestire una situazione. Non tollero che si sbattano porte o oggetti sulla scrivania, né che mi si manchi di rispetto davanti ai dipendenti. Lei è un'ottima collaboratrice, se ha problemi a casa o è sotto stress, lo dica le darò un periodo di ferie. Sono stato chiaro?» «Sì, Signor Young!» «Cosa voleva dirmi?» «Lei ha sbagliato a prendere quella ragazza. Se ne pentirà!» «Signora Ross, se ho fatto un errore, tra quindici giorni sarà fuori di qui. Intanto svuoti la scrivania del signor Patel qui di fronte. Servirà alla Davis. Parlerò io con Patel, lui userà quella della signorina che è andata via.» Voglio tenerla d'occhio, con la porta aperta è sotto il mio controllo. La signora Ross va via più infastidita di prima. Chiudo la porta, prendo il cellulare e controllo se Katy mi ha mandato un messaggio. Nulla!
«Ciao, Katy! Come te la passi? Sei al lavoro?»
Se quello che è successo oggi fosse successo ieri, non avrei dato una possibilità alla Davis. Katy mi ha detto di aprire gli occhi e guardare in giro. Non sempre ciò che si vede è la realtà, o meglio non sempre ciò che sembra perfetto lo è davvero. Non risponde, sarà impegnata. Sento un bip, dall'altro cellulare. Taylor mi avvisa che rientrerà domani, e chiede di prenotare un ristorante per la cena. Io mi preparo al dopo cena. È ora di pranzo, chiedo a Evan, se vuole pranzare con me. Andiamo al bar di Ramon per mangiare qualcosa di veloce. Sento vibrare il cellulare. Katy!
« Si sono a lavoro, sto bene, sono ancora viva!»
«Ma che lavoro fai, per rischiare la vita?
«La rischio non per il lavoro ma per il mio datore di lavoro e la sua segretaria. Uno è Mangiafuoco, l'altra la signorina Rottenmeier, quella di Heidi. Ne hai idea?»
«Caspita! Sei messa così male?»
«Vedremo in futuro. Tu sei in pausa pranzo?»
«Sì, mangio qualcosa a volo, un'oretta poi ricomincio. Tu anche?»
«Sì.»
«Sei sola?»
«Sì, non ho molti amici. Tanti conoscenti, di amici veri soltanto due. Una che divide la casa con me, e un ragazzo gay che si chiama come te, Louis.»
«Caspita! E l'amore? Hai un fidanzato?» Se è brutta non credo, ma...
«L'ho avuto, però ci siamo lasciati. Ogni tanto qualcuno ci prova, vorrei trovare l'amore vero: quello che ti fa sentire le farfalle allo stomaco, la gola secca, le gambe molli, le scosse come i fulmini durante la tempesta. Tra le sue braccia senti che non esiste posto migliore e non vorresti non lasciarlo mai. La bocca deve essere quella giusta! Il sapore dei baci dolce come il miele, e buono come il pane appena sfornato. Il suo corpo deve essere quello che ti completa. Una scopata la rimedi ovunque. Fare l'amore è un atto che va al di là del terreno. Le anime si fondono, non solo il corpo.»
«Katy! Ma dove le trovi queste cose, le hai lette da qualche parte?»
«No! Sono reali. Tu sei sposato o fidanzato?»
«Fidanzato.»
«Allora tu ne hai esperienza. Sai cosa voglio dire.»
«Katy! Non esistono. Tu conosci un ragazzo che ti piace, ci parli, lo trovi simpatico, amabile, ti tratta bene, insieme fate un buon sesso? Ti fidi di lui? Allora hai trovato l'uomo giusto.»
«Non è vero. Uomini così li trovi anche al supermercato! Tu la donna così ce l'hai?»
«Sto bene con lei, mi fa stare bene.»
«Anche un'amica ti fa stare bene. Mica la sposi?»
«Le farfalle le lascio alla primavera, Katy!»
«Mi dispiace non vedrai mai la tua primavera e neppure l'autunno. L'amore è musica, l'amore è poesia, l'amore è il vento che ti porta lontano, l'amore è una sinfonia di cori angelici, l'amore è il turbinio di passioni, l'amore è desiderio, è pensare che ci sarà un domani.»
«Katy! Mi confondi.»
Arriva Ramon, mi porge il piatto con il pranzo e mi guarda di sottecchi. Mi accorgo che sto sorridendo da solo. Mi ricompongo prendo la forchetta senza distogliere gli occhi dal cellulare. Questa ragazza ha idee molto strane. Vive lontana dalla realtà. Anche io una volta lo ero.
«Non mi accontenterò mai di un uomo che non mi faccia sentire in paradiso tra le sue braccia. Preferisco restare single che sposare uno tanto per riempire un letto.» Continua Katy
«Capisco! Vedrai che prima o poi troverai uno che ti fa stare bene.»
«Far stare bene è come dire a uno che ama la musica che gli fai un concerto con il pianoforte. Bene, sarà bellissimo. Ma vuoi mettere tutta l'orchestra! Ti accontenti del pianoforte, io voglio l'orchestra.»
«Auguri!» Aggiungo le emoji con i bacini.
«Ciao, torno al lavoro.»
Ha chiuso. Caspita, che idee! E se avesse ragione? Meglio non pensarci è solo una sognatrice un po' svitata, anche se devo ringraziarla mi ha tolto la tensione addosso. KENDRA: PRIMO GIORNO DI LAVORO
Mi lavo il viso, mi spazzolo il vestito per togliere il fango secco e vado a casa. Dopo pranzo mi riposo sul divano. Troppe emozioni, oggi. Prendo il cellulare e messaggio con Louis. Vorrei tanto raccontargli quello che è successo oggi, forse meglio evitare. Che idea si potrebbe fare di me? Alle diciotto torna Megan. «Allora, sfigata? Hai avuto il posto? Hai battuto ogni record. Un giorno disoccupata, primo colloquio, lavoro ottenuto.» «Non posso crederci neppure io. Gli ho detto tutte le parolacce possibili, prima. Appena sono entrata, quando l'ho riconosciuto mi sono girata subito, e me ne sarei andata se solo non mi avesse fermata.» «Hai visto che se fai la dura ottieni il rispetto? Ora ti voglio combattiva e motivata. Ogni giorno al lavoro è una guerra e solo i temerari la vincono.» dice Megan togliendosi le scarpe e buttandosi accanto a me sul divano. Le racconto ogni cosa. Ridiamo come sceme, in fondo era davvero comica la situazione. «Daniel Young è un gran bell'uomo, Kendra, mi raccomando, stagli lontana il più possibile. Frequenta una “transatlantico” come le definisci tu, quindi vedila così: lui è fuoco che distrugge e se ti avvicini, sei disintegrata. Non ti asciugherò le lacrime. Capito?» «Stai tranquilla. È una persona fredda e antipatica. A dire il vero, lì dentro sono tutti ghiaccioli. Come mai conosci Young?» «Il suo amico più fidato è uno degli avvocati dello studio.» «Bene.»
Vado a letto, controllo il cellullare per vedere se Louis mi ha scritto, e trovo un messaggio di due ore fa.
«Sognatrice, cosa stai facendo?»
«Scusa, stavo in cucina e non avevo il cellulare con me.»
«Ero preoccupato. Pensavo che non volessi parlare più con me per quello che ho detto prima.»
«No, io rispetto le idee altrui.»
«Volevo dirti che mi sto guardando intorno e devo dire che inizio ad allargare la visuale. Avevi ragione, vedevo solo alcune persone e non le altre.»
«Ci sono persone non appariscenti che vivono nei loro angoletti ma che possono darci emozioni e aiuti inattesi.»
«Sei a letto?»
«Sì! Domani mattina sveglia alle sei.»
«Caspita Katy! Allora devi dormire? Perché ti svegli così presto?»
«Vado a letto presto, non abito molto vicino al posto di lavoro. Tu cosa fai?»
«Sono sul divano, ascolto la musica e parlo con te.»
«Che musica ascolti?»
«Amo tutta la musica e mi piace molto il sax.»
«Bellissimo. Anche a me piace tutta le musica, ma il sax sa toccare il cuore.»
«Davvero lo pensi?»
«Sì! Un mio amico lo suona.»
«Anche io lo suonavo.»
«Perché non lo suoni più?»
«Per via del lavoro. Non riesco a dedicarmi a entrambe le cose.»
«Non è vero, Louis! Quando hai un po' di tempo libero potresti suonare, non si lasciano le cose che si amano.»
«Forse! È da tanto che non lo suono.»
«Lo hai a casa?»
«Si! Certo.»
«Allora potresti suonare per me un pezzetto?»
«Katy! Sei fuori di testa?»
«No. Dopotutto non mi conosci, è più facile parlare e fare cose con gli sconosciuti che con gli amici.»
«Hai ragione. Domani sera, ok?»
«Promesso?»
«Certo, peste. Ora dormi che è tardi.»
«Buonanotte, un bacione.»
«Buonanotte, peste. Un bacione anche a te!» |
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