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Writer Officina Blog
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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa,
teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana
di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, Non ora, non
qui, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri
sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese,
swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale
alcune parti dellAntico Testamento. Vive nella campagna romana dove
ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A
grandezza naturale", edito da Feltrinelli. |
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama
con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi,
attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano
Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di
ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera
(Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime
di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il
purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati
da Einaudi Stile Libero). |
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria,
si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata
alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice
emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre
Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato
a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus".
Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé,
conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo
libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio
Strega 2021. |
Altre interviste su Writer
Officina Magazine
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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In fuga dal killer
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La prima indagine del commissario Elena Mastroianni
L'auto percorreva la via Emilia, facendosi largo tra i banchi di nebbia. La visibilità era molto bassa e i fari delle auto della carreggiata opposta si vedevano appena, come delle luci soffuse che emergevano dall'oscurità. Lui però non sembrava affatto preoccupato. Conosceva quella strada meglio delle sue tasche. L'aveva percorsa moltissime volte, in tutte le condizioni atmosferiche. Stava andando da Reggio Emilia a Bologna, avrebbe dovuto imbarcarsi sul primo aereo disponibile. Doveva far perdere le sue tracce. Quale sarebbe stata la sua destinazione? Non aveva ancora deciso la sua meta, ma anche solo l'idea di cambiare vita e di lasciarsi tutto alle spalle lo rendeva euforico e lo spingeva ad andare avanti. D'altra parte, dopo tutto quello che era successo, non poteva più tornare indietro. Non voleva passare il resto della sua vita in carcere! Avrebbe assunto una nuova identità in un paese straniero e nessuno lo avrebbe più trovato. Ormai il pericolo sembrava alle spalle. Aveva rischiato di morire, ma ce l'aveva fatta. Era riuscito a cavarsela grazie alla sua calma e al suo sangue freddo. Era orgoglioso di se stesso. Forse avrebbe dovuto sentirsi un po' in colpa che fosse finita in quel modo. Quando era uscito di casa quella mattina non aveva assolutamente idea di tutto quello che gli sarebbe successo, non sapeva che avrebbe rischiato di morire e che avrebbe ucciso delle persone. Ma a quel punto doveva solo andare avanti, senza guardarsi indietro. L'avrebbe di sicuro fatta franca!
Capitolo primo
Elena Mastroianni sentì il suo cellulare squillare. Era ancora lei, sua sorella Matilde, di dieci anni più piccola, che le telefonava spessissimo, anche troppo a suo parere, per qualsiasi dubbio esistenziale le venisse in mente. In quel periodo la chiamava ancora più frequentemente, per parlarle dei suoi colloqui di lavoro e, soprattutto, del suo matrimonio imminente. Eh sì, perché adesso aveva anche deciso di sposarsi! Non sapeva se risponderle o meno. Era impegnata, ma non poteva continuare a far finta di non sentire il telefono. Sua sorella, altrimenti, si sarebbe precipitata in questura con quel suo fare troppo amichevole con tutti; pensando di essere a casa sua, sarebbe piombata nel suo ufficio, magari con un sacchetto di patatine in mano, e si sarebbe seduta accanto a lei non facendole combinare niente. Era già successo la settimana scorsa! Meglio rispondere allora. - Dove sei? - la apostrofò immediatamente sua sorella. - Sono in ufficio, ovviamente. Dove vuoi che sia? - - Da quando sei diventata commissario non hai mai tempo per nessuno, nemmeno per tua sorella... non avevi detto che mi avresti aiutata con i preparativi del matrimonio? Sai quelle cose tipo scegliere il vestito da sposa, le bomboniere, i fiori, il ristorante... - - Sono impegnata a risolvere dei casi io, non è che gioco tutto il giorno - rispose un po' seccata Elena. - Stai forse dicendo che io gioco tutto il giorno? - - No, Mati, non volevo dire questo... ma non potresti farti accompagnare dal tuo futuro marito? - - Lui è sempre al lavoro... e poi, comunque, non posso portare lui a scegliere il vestito, giusto? Ti ricordi che porta sfiga se il marito vede l'abito prima delle nozze? Dovresti accompagnarmi tu che sei mia sorella! - - Va bene, ho capito! Dammi un po' di tempo, ti prometto che appena possibile andremo insieme a sceglierlo. - Elena stava provando a rimandare, ma sua sorella sembrava non voler demordere. - Appena possibile? Non sai darmi una data e un'ora come tutte le persone normali? - - Va bene, Mati, facciamo domani pomeriggio verso le cinque. L'importante è che tu abbia già un'idea del vestito che ti piace, così facciamo presto. - - Ah, dobbiamo fare pure presto adesso! Vedi che non vuoi mai passare del tempo con me? Sei sempre con l'orologio in mano. - - No, scusa, non volevo dire questo... - Elena si morse le labbra, non sapeva più come gestire quella situazione. Possibile che sua sorella non capiva che lei non aveva tempo per andare in giro per negozi e ristoranti? Ma non voleva nemmeno che si offendesse. D'altra parte aveva pure ragione lei, era l'unica parente stretta che aveva, era normale che volesse coinvolgerla. Poteva cercare un compromesso che andasse bene ad entrambe: - Facciamo così, fammi sbrigare alcune cose e poi ti prometto che mi prendo un giorno di ferie e passeremo un'intera giornata ad andare in giro per i negozi da sposa per scegliere il tuo vestito, ok? - - Promesso? - Matilde sembrava finalmente soddisfatta della sua risposta. - Si, va bene, promesso! - - Ti voglio bene sorellona. E tu? Quando ti sposi? Hai già trentacinque anni ormai! - - Cosa? - Elena non riusciva a crederci. Aveva davvero sentito bene? Sua sorella era così entusiasta per il suo matrimonio che voleva che si sposasse anche lei! - Si, perché non ti sposi con quel tuo collega? Si vede a chilometri che è innamorato di te... - - Smettila, siamo solo colleghi. - Elena arrossì leggermente. - Dai su, non fare come al solito, pensi solo al lavoro e rifiuti gli uomini. - - Io non rifiuto gli uomini. È solo che in questo periodo della mia vita sono concentrata sul lavoro e non ho tempo per le relazioni. - - Dici sempre così... - - Ci sentiamo domani, va bene? Ora devo lavorare. - - A domani ciao. E salutami Marco... - - Smettila! A domani. - - Era tua sorella al telefono? - Marco Romano, il suo vice, era entrato nel suo ufficio, evidentemente senza bussare, perché se lo era trovato alle spalle. Chissà se aveva anche sentito la telefonata... - Sì, beata lei che è così spensierata – gli rispose Elena sospirando – sta per sposarsi e vorrebbe che andassi con lei in giro per negozi a provare vestiti da sposa... e, cosa più assurda, è convinta che io e te dovremmo sposarci, ma non stiamo nemmeno insieme...gliel'ho detto che siamo solo colleghi - - Beh, non sarebbe una cattiva idea... - rispose a voce bassa Marco sorridendo. - Cosa? - - No, niente, dicevo che in effetti non stiamo insieme... -
Capitolo secondo
Laura Antici era appena tornata a casa. Era piuttosto nervosa. Perché nessuno la capiva? Stava ripensando a quello che le era appena successo. Era uscita con la sua bici per comprare le medicine. Il suo psichiatra le aveva raccomandato di non dimenticarsi mai di prenderle. E lei seguiva alla lettera la sua prescrizione, altrimenti sapeva che sarebbero aumentati i suoi tremori, le sue crisi d'ansia e le sue paranoie. Dopo essere uscita dalla farmacia, si era incantata a guardare una mamma con i suoi due bambini: lei spingeva una carrozzina in cui doveva esserci un bimbo appena nato e ne teneva un altro di circa tre anni per mano. Quest'ultimo faceva i capricci, piangeva e non voleva dare la mano alla mamma, che si era spazientita e lo aveva sculacciato. Per reazione, il bimbo non voleva più camminare insieme a sua madre. All'improvviso il bambino si era fermato a guardarla; Laura gli aveva sorriso e gli aveva porto un leccalecca; il piccolo aveva smesso di fare i capricci e lo aveva preso in mano. Che bel bambino! Sarebbe stato meglio con lei che con sua madre! Stava per proporgli di venire a casa con lei, quando la donna all'improvviso, dopo averla fulminata con un'occhiata di odio, si era presa il figlioletto in braccio ed era andata via di corsa. Le aveva perfino gridato - si allontani da mio figlio. - Roba da matti! Ma che gente... Lei era rimasta lì immobile con le lacrime agli occhi. Perché quella donna l'aveva trattata così? Lei adorava i bambini, non avrebbe mai fatto del male a quel piccolino, l'avrebbe solo portato a casa sua e gli avrebbe voluto bene. Si sarebbe dedicata a lui, lo avrebbe accudito nel migliore dei modi. E come se questo non bastasse, l'avevano trattata male pure in quel negozio, Non solo Mamme le sembrava che si chiamasse. Era entrata un attimo, attratta da una tutina e da un paio di scarpette che aveva visto in vetrina. Le stava accarezzando, immaginando di vederle indosso al suo bambino un giorno. Ma, all'improvviso, una stupida commessa aveva distrutto quel momento magico, avvicinandosi a lei per chiederle - quanti mesi ha suo figlio? - Laura l'aveva guardata con odio, l'aveva insultata e poi era andata via. E così era tornata a casa nervosa e arrabbiata col mondo intero. Lei desiderava già da molto tempo diventare mamma. Quando si erano trasferiti in quella grande casa, aveva lasciato una stanza vuota per farne la cameretta del suo bambino. Ma quella stanza era rimasta vuota! Ogni tanto entrava e restava lì delle ore seduta in un angolino, immaginando dove avrebbe messo il lettino e tutti i giochi del suo piccolino. La sera gli avrebbe letto delle fiabe per farlo addormentare. Poi ritornava alla realtà e, vedendo la stanza vuota, non riusciva a trattenere le lacrime. Forse era colpa sua. O forse no! Lei aveva fatto tutto il possibile, si era anche sottoposta ad alcune visite presso vari luminari del settore, che non avevano riscontrato nessun problema. E allora perché non restava incinta? Pensava che la nuova casa sarebbe stata di buon auspicio per la sua gravidanza, ma così non era stato. Ormai si era quasi rassegnata. Aveva accettato, seppur con dolore, che quel bambino non sarebbe mai arrivato. Sentiva un grande vuoto dentro di lei che si stava facendo via via sempre più grande. Il suo psichiatra e suo marito le avevano consigliato di dedicarsi agli altri e di iscriversi ad un'associazione di volontariato per riempire la sua solitudine. In realtà le sembrava che anche Paolo non la capisse: le diceva quasi ogni giorno che doveva smetterla di piangersi addosso e di essere sempre triste. Secondo lui doveva uscire più spesso e farsi delle amicizie. Stare sempre sola in quella grande casa non le faceva affatto bene, le ripeteva spesso. Ormai se ne era convinta pure lei: doveva crearsi degli interessi! Così avrebbe avuto un nuovo scopo nella vita, oltre a quello di aspettare che suo marito tornasse dal lavoro. Gli preparava la cena ogni sera verso le sette e mezza, sperando che arrivasse per le otto massimo, ma poi lui, nonostante le sue mille promesse, faceva sempre ritardo per un motivo o per un altro, e la cena si raffreddava nel piatto. Anche quella sera temeva che lui avrebbe fatto tardi. Sperava di vederlo apparire dietro i vetri della finestra da un momento all'altro e che arrivasse con la sua Range Rover percorrendo il vialetto, entrasse in casa con un mazzo di fiori e dei cioccolatini per lei e la abbracciasse e baciasse come faceva i primi tempi. Ormai invece appariva sempre più distante e lei non capiva perché. Sembrava molto preoccupato e pensieroso e, se lei gli chiedeva cosa avesse, le diceva che non era nulla. Ma lei non ci credeva e soffriva ancora di più per il suo silenzio. Si sentiva esclusa e sempre più sola!
Capitolo terzo
Matilde era davvero felice! Sua sorella le aveva promesso che l'avrebbe accompagnata a comprare il vestito da sposa. Era stato difficile strapparle questa promessa e, soprattutto, convincerla a dedicarle del tempo, ma alla fine ce l'aveva fatta. Si sarebbe presa addirittura un giorno di ferie per andare in giro a fare shopping con lei. Il che non era roba da poco per una stakanovista come Elena, una che non mollava mai il lavoro, cascasse il mondo. Telefonò subito a Juan per dirglielo, ma lui le chiuse piuttosto in fretta perché era con i colleghi in una riunione di lavoro. Uffa! Perché erano sempre tutti così impegnati? Pensò allora di fare una videochiamata di gruppo alle sue amiche più care, per condividere con loro la sua felicità e il suo entusiasmo. Sarebbero venute anche loro a provare vestiti da sposa con lei ed Elena. Decisero di incontrarsi fuori per un'apericena. Almeno le sue amiche non erano sempre così impegnate come sua sorella e il suo fidanzato. Ripensò a quando lei e Juan si erano conosciuti tre anni prima. Lei era ancora una studentessa universitaria, mentre lui era arrivato da poco in Italia per lavorare in una multinazionale con sede a Bologna. Era successo tutto per caso, una sera! E non era una sera qualsiasi, lei se la ricordava benissimo: non aveva nessuna voglia di uscire perché si sentiva molto giù di morale. Mentre si trovava in facoltà quella mattina, infatti, aveva visto passare il suo ex ragazzo, Luca, abbracciato alla sua nuova fiamma e, cosa ancora peggiore, sembrava che le facesse i dispetti, nel senso che ogni volta che abbracciava e baciava quella biondona rifatta, la guardava per essere sicuro che lei lo vedesse. Che rabbia! E soprattutto che stronzo! Ma che livello di maturità aveva uno così? Era stato meglio che si fossero lasciati a questo punto! Intanto però aveva trascorso tutto il pomeriggio sul letto con la coperta fin sopra i capelli per isolarsi dal resto del mondo. Era delusa e amareggiata! Ad un certo punto le sue amiche erano andate a casa sua a tirarla giù dal letto, e l'avevano buttata giù di peso. Poi l'avevano costretta a lavarsi e a vestirsi e, soprattutto, a truccarsi e a farsi bella, perché l'avrebbero portata in un nuovo discopub che sarebbe stato inaugurato proprio quella sera a Bologna. Lei era riluttante, ma comunque si rendeva anche conto che le serviva una botta di vita, per voltare pagina. E così la ragazza sciatta e in pigiama, che prima piangeva nel letto, si era trasformata in una super sexy e grintosa giovane donna con tanta voglia di divertirsi e di ripartire da zero. Mentre era al bancone per ordinare una birra, improvvisamente lo vide. I loro sguardi si erano incrociati e il suo cuore si era bloccato, perfino il tempo si era fermato e tutto ciò che c'era intorno a loro non esisteva più. Erano rimasti così, a perdersi l'uno negli occhi dell'altra, finché non erano arrivate le sue amiche a cercarla. Vedendo l'imbarazzo tra i due, si erano presentate loro per prime. Juan parlava anche italiano, oltre allo spagnolo, per fortuna, e così loro due avevano iniziato a chiacchierare e a conoscersi. Si erano subito trovati bene insieme. Lui le era sembrato sin da subito un ragazzo maturo, intelligente, pieno di interessi e di sorprese. Ed era così che quella serata, così emozionante, era stata il prologo di una bellissima storia d'amore che durava già da tre anni e che li aveva portati a decidere di sposarsi. Quello del matrimonio sarebbe stato il più bel giorno della sua vita e doveva essere tutto perfetto.
Capitolo quarto
Laura aveva iniziato a preparare la cena, dando un'occhiata di tanto in tanto fuori dalla finestra della cucina. Aveva lasciato le tendine sollevate per poter vedere meglio, anche se la nebbia piuttosto fitta e il buio della sera rendevano la visibilità piuttosto bassa. Ogni tanto si intravedeva qualche faro che sembrava volersi aprire un varco in quella densa oscurità. Ma erano davvero poche le auto che passavano per quella strada. La casa, infatti, si trovava in un contesto residenziale super esclusivo, ma isolato dal resto del centro urbano. Ecco perché solo i residenti o quelli che avevano un motivo per andarci passavano di lì. Lei e Paolo avevano scelto di andare ad abitare in quella zona un anno prima, proprio per la sua estrema tranquillità. Avevano lasciato volentieri il centro di Reggio Emilia, che reputavano un po' caotico, per trasferirsi in un paese più tranquillo della Bassa, Novellara, molto più piccolo, ma con tutto quello che serviva a portata di mano. Paolo le aveva detto che un suo investimento era andato a buon fine e così erano riusciti a realizzare il loro sogno di avere una grande casa singola con un bel giardino intorno. Laura ricordava perfettamente quel giorno: era un pomeriggio d'estate, lei stava mettendo in ordine la biancheria, suo marito era tornato a casa prima dal lavoro ed era comparso all'improvviso alle sue spalle facendola sobbalzare. Aveva un sorriso smagliante, le aveva detto di prepararsi perché aveva una sorpresa da mostrarle. E così l'aveva portata a vedere la casa! Non era ancora del tutto finita, ma l'avrebbero consegnata entro poche settimane. Le sembrò subito bellissima, non riusciva a crederci, era davvero emozionata e non vedeva l'ora di andare ad abitarci. Si trasferirono lì alla fine di settembre. Il trasloco era stato impegnativo, ma ne era valsa la pena. Vicino alla loro casa ce ne erano poche altre. Era una zona ancora poco abitata, ma Paolo le aveva assicurato che a breve sarebbero state costruite altre ville simili alle loro. E questo un po' la rincuorava, perché le sembrava di essere passata da un eccesso all'altro, cioè dal caos e dai rumori della città alla solitudine estrema della campagna. Si sentiva un po' troppo sola, infatti, in quella villa così grande e così vuota. Più che una casa le sembrava un museo: le varie stanze infatti erano tutte arredate con mobili d'epoca e quadri antichi perché Paolo, come era solito dire, amava circondarsi di cose belle; infatti, lui, oltre a fare il broker in banca, che già gli fruttava un bel gruzzoletto, si interessava anche agli oggetti d'arte e lavorava con vari antiquari italiani e stranieri. Insomma, era sempre impegnato a lavorare e lei sempre sola a casa. Mentre affettava le verdure, diede un'occhiata al telefonino, casomai lui le avesse scritto tramite WhatsApp per dirle che ritardava. Ancora nessun messaggio! Questo la faceva ben sperare. Significava che per una volta sarebbe arrivato a casa in orario. Accese la televisione, le avrebbe fatto compagnia nell'attesa. Intanto iniziò a disporre delle fettine di carne in padella. Dopo alcuni minuti lanciò una nuova occhiata alla finestra per controllare se lui stesse arrivando. Vide dei fari, erano le luci di un'auto. Doveva essere Paolo. Era contenta, era la prima volta dopo tanto tempo che arrivava puntuale per la cena. Corse alla porta per aprirla e accoglierlo con un sorriso. Il suo sorriso si spense in un attimo. Non era lui! E quella non era la sua auto! Il buio della sera e la nebbia l'avevano ingannata. Si rese conto in quel momento che era stata troppo precipitosa ad aprire quella porta. Sentì improvvisamente il sangue congelarsi nelle vene e non riuscì più a muoversi. Furono loro a spingerla dentro, quei quattro loschi individui a volto coperto. Era terrorizzata. Chi erano? Che volevano da lei? Non li conosceva, non li aveva mai visti prima, anche se non ne era proprio sicura, dato che non poteva vedere la loro faccia; di una cosa però era certa, non aveva mai sentito la loro voce. Avevano un tono minaccioso, le chiedevano dove fosse suo marito. Lei rispose balbettando che era al lavoro e che sarebbe tornato a momenti. Uno di loro la schiaffeggiò e lei cadde a terra. Rimase qualche minuto immobile per lo shock. Poi sollevò la schiena dal pavimento e si mise seduta. Cercò di trascinarsi lentamente all'indietro, finché non avvertì la parete alle sue spalle. Si sentì un po' più sollevata. In quel momento le sembrava che il contatto con il muro potesse darle appoggio e sostegno. Dopo qualche istante si guardò attorno per cercare un posto più sicuro in cui nascondersi. In quell'ampio ingresso della casa c'erano solo pochi mobili: un attaccapanni in legno e in ferro battuto, che Paolo aveva acquistato da un antiquario appena un mese prima, e un mobiletto antico di grande pregio su cui c'era il telefono fisso. La cabina armadio, piuttosto ampia all'interno, era distante dal punto in cui lei si trovava. Avrebbe dovuto alzarsi da lì e muoversi velocemente. Ma loro glielo avrebbero permesso? Aveva paura di spostarsi dal suo posto. Temeva che si arrabbiassero e che la schiaffeggiassero di nuovo. Decise quindi di restare immobile, con la schiena attaccata al muro, il più possibile lontana da loro. Li guardò di nuovo e cominciò a tremare, aveva perso la lucidità e non sapeva cosa fare o cosa dire. E soprattutto non capiva perché l'avessero colpita quando aveva detto che suo marito stava tornando a casa. Era vero! Di lì a poco Paolo avrebbe aperto la porta e avrebbe scoperto quella terribile sorpresa: quei quattro malintenzionati che erano andati a casa sua per aspettarlo, per chissà quale motivo. Voleva avvisarlo, ma non sapeva come fare. Non poteva chiamarlo dal telefono fisso e non aveva il cellulare con sé. Lo aveva lasciato sul tavolo della cucina, per andare alla porta. Senza telefono non avrebbe potuto nemmeno chiedere aiuto. Era da sola, con loro! - Che volete da me? - chiese Laura, cercando di tirare a fatica fuori la voce e provando a guardarli uno alla volta diritto negli occhi. - Dov'è tuo marito? Te l'abbiamo già chiesto poco fa e non dire di nuovo che è al lavoro e che sta tornando a casa se non vuoi altre sberle! - esclamò quello che dei quattro sembrava avere l'aria più minacciosa. Laura non ne voleva di certo, le faceva già male la guancia e anche il naso le sanguinava un po', ma non sapeva cosa rispondere. Le veniva da piangere. - Non fare il bruto! – lo interruppe un altro che doveva essere probabilmente il loro capo – ci vuole gentilezza con le donne! Con la gentilezza si ottiene tutto, vero, signora? Ci dica quello che vogliamo sapere e noi la lasceremo in pace. - - Io non lo so – esclamò Laura con la voce tremante per la paura e per il pianto che ormai le bagnava copiosamente le guance – io so solo che lui torna ogni sera per la cena, non so dov'è... sarà al lavoro! - Le sue parole suscitarono una fragorosa risata nell'uomo che, intanto che rideva, guardò gli altri e ripeteva “è al lavoro”. Laura non sapeva che pensare, li guardò di nuovo tutti, uno alla volta. Le sembrava che qualcosa le sfuggisse, le pareva di essere in un incubo assurdo: dove altro doveva essere suo marito se non al lavoro? Come ogni sera, prima di tornare a casa per cena!
Capitolo quinto
Paolo Zanchi guardò l'orologio. Era fottutamente tardi... di nuovo! Sua moglie gli avrebbe tenuto il muso un'altra volta. Ormai le scuse che le rifilava ogni sera non sembravano più sufficienti, avrebbe dovuto portarle un regalo, sì, un bel regalo, un gioiello per esempio; questo l'avrebbe resa felice almeno per un po'. Pensò a lei. Era sempre triste e depressa. La situazione era diventata pesante e insostenibile, non ne poteva più. Voleva divorziare, ma si sentiva in colpa. Lei sarebbe diventata ancora più infelice e forse si sarebbe suicidata con un cocktail di pillole... No, questo magari no, avrebbe passato i giorni a piangere e ad andare in giro per le stanze di quella grande casa vuota... Almeno avesse avuto un bambino a cui badare... Erano anni che provavano ad avere un bambino senza riuscirci e il suo bisogno di maternità cresceva in proporzione alla sua frustrazione per non essere diventata madre. Ma lui che poteva farci? Erano stati da vari specialisti e sembrava non ci fosse nulla che non andasse. Forse non restava incinta perché era troppo ansiosa. Lui le aveva consigliato di aprirsi agli altri, di fare volontariato. Almeno così avrebbe smesso di stare tutta la giornata a casa a deprimersi da sola e ad aspettarlo, cronometrando i suoi ritardi, che prima erano solo di pochi minuti, mentre ormai erano diventati di ore. - Perché sei così pensieroso? A che pensi? Non starai mica pensando a tua moglie? - Paolo sobbalzò. La voce argentina di Lucia lo aveva riportato alla realtà. Lui era lì, a casa sua, nudo sul suo letto e non aveva nessuna voglia di andarsene. La guardò. Era bellissima. Così giovane e spensierata! Con lei sembrava che il tempo si fermasse. Era tutto perfetto e i problemi scivolavano via... come il suo accappatoio. Se lo era tolto! In un attimo si sdraiò sopra di lui, fresca e profumata. La sua pelle era liscia e vellutata e aveva ancora voglia di fare l'amore. Lo baciò con passione e a lungo questa volta, prima sulla bocca poi per tutto il corpo... - Vorrei che stanotte restassi qui - gli sussurrò Lucia guardandolo negli occhi. - Lo sai che lo vorrei anch'io - rispose Paolo ancora nel pieno dell'eccitazione. - Beh, allora, perché non resti? Puoi dire a tua moglie che sei dovuto rimanere in ufficio tutta la notte - provò ad insistere la ragazza. - Si, va bene, ma non fermarti... - Non gli piaceva che parlasse durante il coito, voleva solo lasciarsi andare e non pensare a niente altro. Era stato bello e appagante anche questa volta, si sentiva felice e svuotato. Rimase ancora un po' sdraiato sul suo letto. Lucia con la testa poggiata sul suo petto gli chiese ancora una volta se restasse lì. Lui le guardò la bocca imbronciata sorridendo ed emise un sospiro. Il sesso con lei era straordinario e stavano bene insieme, ma non riusciva a decidere se lasciare sua moglie o meno. Si sentiva un po' in colpa per i suoi tradimenti e per tutte le bugie, ma forse era ancora troppo presto per prendere una decisione definitiva. Gli serviva più tempo. Se lo ripeteva ogni giorno, anche se la relazione con Lucia durava in realtà già da sei mesi e lei voleva delle risposte che lui non sapeva ancora darle. Le aveva detto che avrebbe dovuto avere ancora un po' di pazienza, ma si rendeva conto che questa era solo una scusa per rimandare la sua scelta. La guardò di nuovo. Forse non era del tutto sincero né con lei né con se stesso. Cosa voleva lui davvero? Improvvisamente sentì squillare il telefono. Lucia sbuffò, temeva fosse sua moglie. Avrebbe tanto voluto che lei non esistesse, voleva Paolo tutto per sé. Ma invece lei c'era e Paolo tornava ogni sera a casa da lei. Forse un giorno le cose sarebbero cambiate... Doveva avere ancora un po' di pazienza, o almeno così le diceva Paolo. Anche lui non sembrava felice di rispondere al telefono. Aspettò qualche secondo prima di prenderlo dal comodino. Poi lesse il nome e si alzò di colpo dal letto, facendola spostare dal suo petto. - Chi è? Tua moglie? - gli chiese Lucia imbronciata. - No, è Vittorio, il contabile... problemi di lavoro... vado un attimo di là - rispose Paolo, andando nell'altra stanza e chiudendosi la porta alle spalle. Era preoccupato. Una telefonata dal suo amico contabile a quell'ora lasciava presagire guai in arrivo. - Che succede? - - Lo sanno, sei nei guai! Hanno scoperto tutto – rispose lapidario Vittorio – scappa più in fretta che puoi. Verranno a cercarti, se non lo hanno già fatto. - - Merda! - esclamò Paolo, tirando un pugno al muro. - Che succede? - chiese Lucia, spaventata dalla sua reazione. - Devo andare - rispose Paolo, raccogliendo in fretta i vestiti sparsi qua e là per la stanza e mettendoseli più velocemente che poteva. - È tua moglie? Devi tornare a casa? - chiese Lucia delusa. - No, senti, piccola, mi sono cacciato in un guaio ed è meglio che non ti dica altro... mi farò vivo io, appena la situazione sarà sistemata. - Le diede un bacio sfuggente e uscì dal suo appartamento senza voltarsi indietro. Lucia rimase lì, immobile, a guardarlo andare via, senza riuscire a dire niente e con le lacrime agli occhi, chiedendosi che cosa avesse fatto di sbagliato... Poi si asciugò le lacrime e si disse che non era lei ad aver sbagliato, era lui lo stronzo! Le sue amiche glielo avevano detto di non innamorarsi e di non fidarsi degli uomini sposati: ti promettono che staranno con te e poi tornano sempre dalla moglie. Ma stavolta, giurò a se stessa, sarebbe stata l'ultima! Se lo era ripromesso già tante volte, doveva solo trovare la forza per lasciarlo.
Capitolo sesto
Alberto Contarini camminava avanti e indietro per la stanza del suo ufficio. Era furioso. Quella mattina si era svegliato con un brutto presentimento. Sapeva che sarebbe successo qualcosa. Durante la notte aveva avuto degli incubi, aveva sognato di andare al lavoro e di trovare la sua azienda ridotta in cenere. Qualcuno le aveva dato fuoco, le sue opere d'arte erano tutte bruciate. Si affannava a salvarle, ma le fiamme erano già alte e l'aria irrespirabile. Tutto il lavoro di una vita era andato in fumo... Si svegliò di soprassalto ansimando. Si rese conto che era solo un sogno, lui era ancora a letto. Ma sembrava tutto troppo reale. Quell'incubo poteva essere il presagio di qualcosa che sarebbe potuto accadere o forse l'avvertimento di qualcosa che era già avvenuto a sua insaputa. Controllò il telefono, erano appena le cinque e non c'era stata nessuna chiamata per lui. Se fosse accaduto qualcosa, i sorveglianti avrebbero lanciato l'allarme! Poteva restare a letto un altro po', ma ormai non riusciva più a prendere sonno. Si girava e rigirava da un lato e dall'altro finché non si decise ad alzarsi. Accese la televisione e controllò le notizie dal suo smartphone. Niente che lo riguardasse... Bevve il suo solito caffè nero senza zucchero e si preparò per andare in ufficio. Controllò che la donna di servizio gli avesse ritirato i suoi vestiti dalla lavanderia. Erano in armadio. Ne prese uno e lo indossò con estrema lentezza. Poteva prendersela con calma, era ancora molto presto. Poi però riprese a divorarlo l'ansia. Decise che era meglio non aspettare. Telefonò al suo autista per chiedergli di anticipare di un'ora rispetto al solito. Non si sentiva affatto tranquillo e voleva controllare con i suoi occhi che tutto fosse in ordine. L'uomo, però, che non si aspettava un cambiamento di orario così repentino da parte del suo capo, era uscito per la sua corsa mattutina. Questo aveva fatto infuriare ancora di più Contarini che, già vestito e con la borsa da lavoro in mano, dovette sedersi sul divano e mettersi ad aspettarlo per la solita ora, mentre la sua impazienza cresceva ogni minuto di più. Per tutto il tragitto rimproverò aspramente il suo autista, rimarcando più volte che lui voleva dipendenti sempre pronti ad eseguire i suoi ordini. Arrivò in azienda alle otto e trenta. Si diresse direttamente nel suo ufficio guardando davanti a sé e senza salutare nessuno. Mentre tutti si chiedevano cosa avesse, avendolo notato troppo serio e scuro in volto, la sua fidata segretaria si precipitò da lui con l'agenda in mano per prendere gli appuntamenti della giornata. Alberto, nel vederla, le disse spiccio di convocare tutti a rapporto da lui, dal suo vice in giù, compresi i contabili. Rosa, che da trent'anni lavorava per lui, rimase allibita, ma non se lo fece ripetere due volte. Sapeva che, quando il suo capo dava un ordine, voleva che fosse eseguito all'istante. La riunione durò tutta la mattinata. A metà mattina la donna entrò per portargli il caffè e notò che era piuttosto alterato mentre ascoltava la lettura dei rapporti. La pausa pranzo segnò un breve momento di distensione per lei e per tutti i dipendenti. Ma nel pomeriggio Contarini riprese a mostrare segni di irritazione, camminava avanti e indietro per l'ufficio con una certa inquietudine, finché non esplose del tutto quando ebbe la certezza dell'ammanco di denaro. - Portatemi subito quel bastardo figlio di puttana - furono le ultime parole che disse.
Capitolo settimo
Laura era ancora seduta a terra, con la testa poggiata sulle ginocchia. Si era accovacciata per la paura, in attesa di capire le intenzioni di quei tipi loschi. Li guardava con la coda dell'occhio per vedere cosa avrebbero fatto. Cercava di non fissarli troppo e in modo insistente per timore che questo avrebbe potuto irritarli ancora di più. Ma non li perdeva di vista nemmeno un minuto. Le sembrava che le sfuggisse qualcosa. Ancora non capiva cosa volessero quegli uomini da lei e da suo marito. Si sentiva in un incubo terribile da cui sperava di uscire prima possibile, risvegliandosi. Ma sembrava tutto così reale, non era un sogno purtroppo. Ad un certo punto quegli uomini cominciarono a dividersi. Uno si era messo a rovistare negli armadietti della cucina, un altro era andato in salotto, un altro ancora si era diretto verso la loro camera da letto e l'ultimo, il loro capo, era rimasto lì con lei in quell'ampio ingresso, per controllarla ed evitare che scappasse o chiamasse la polizia. Era quello che sembrava più gentile tra tutti. Non sapeva cosa stessero cercando ma, anche se le dava molto fastidio che frugassero tra le sue cose, la tranquillizzava un po' il fatto che avessero distolto l'attenzione da lei. Ad un certo punto si accorse che le stava aumentando l'ansia, le stavano ritornando anche gli attacchi di panico e i tremori alle mani. Le servivano le sue pillole. Ma non poteva alzarsi da lì e aveva paura di parlarne con quell'uomo. Nascose le mani tra le ginocchia e cercò di fare dei respiri profondi per calmarsi. Dov'era Paolo? Perché non era ancora tornato? Lui di sicuro avrebbe saputo cosa fare, riusciva a mantenersi lucido e freddo nelle situazioni difficili e a non farsi prendere dal panico. Di certo sapeva cosa cercavano e gliela avrebbe data, in modo da farli andare via. Forse li conosceva pure... Laura d'improvviso sussultò sentendo un fragore di piatti e bicchieri provenire dalla cucina. Altri rumori di oggetti lanciati sul pavimento giungevano anche dal salotto. - Fate piano, non c'è bisogno di spaccare tutto - urlò l'uomo che la sorvegliava ai suoi complici, vedendo la sua espressione spaventata. - Signora, mi dispiace di tutto il disagio che le stiamo procurando – riprese – noi non ce l'abbiamo con lei. Cerchiamo dei documenti importanti che suo marito tiene nascosti in casa da qualche parte e intanto aspettiamo che lui arrivi. Appena tornerà a casa ce ne andremo via con lui e la lasceremo in pace. Sempre che lei non voglia accelerare il tutto e non decida di collaborare, dicendoci dove si trova adesso - . - Io ho detto tutto quello che so - rispose Laura con voce tremante. - Cosa volete da lui? Chi siete? Che sta succedendo? - provò a chiedere tra le lacrime. - Lei sa cos'ha fatto suo marito? – le rispose l'uomo – Ha preso dei soldi che non sono suoi a una persona, diciamo così, che non è molto contenta adesso e quei soldi li rivuole indietro, insieme alla testa di suo marito. - Laura, sentendo queste parole, sentiva ancora più forte la voglia di piangere. Le lacrime le bagnarono gli occhi al punto che non vedeva più niente, ma non aveva voglia di asciugarli. Le sembrava che tutto il suo mondo le stesse crollando addosso e che il pavimento le si stesse sgretolando sotto i piedi. Non credeva ad una sola di quelle parole ovviamente. Come era possibile? Paolo non avrebbe mai fatto nulla di quello di cui quei loschi individui lo accusavano. Erano tutte menzogne. Suo marito era un brav'uomo, lavorava duramente e aveva fiuto per gli affari. Ecco perché era diventato ricco, non era un imbroglione. Si fidava ciecamente di lui. Ad un certo punto Laura sentì il rumore soffuso della vibrazione di un cellulare. Vide che l'uomo prendeva il telefono dalla tasca interna del giubbotto. Si allontanò per rispondere, evidentemente non voleva che lei sentisse. Capì dal rumore dei suoi passi sulle scale che stava salendo al piano di sopra per avvisare il suo collega. Si guardò intorno, magari poteva scappare via senza essere vista, approfittando che gli altri due erano distratti a rovistare tra gli oggetti di casa sua. Era un rischio però... potevano vederla, doveva fare piano. Non poteva andare in cucina a prendere il telefono per avvisare Paolo, doveva correre velocemente verso l'ingresso senza fare rumore e imboccare la porta di casa per fuggire a cercare aiuto. Si guardò intorno più volte, era indecisa, le tremavano le mani e l'ansia non la faceva respirare, ma la paura di quei brutti ceffi era più forte di qualsiasi altra cosa. Stava iniziando a muoversi lentamente da quell'angolo, quando dei rumori la fecero sobbalzare e la costrinsero a restare ferma lì. I due uomini stavano scendendo per le scale a passi veloci. - Muovete il culo da lì – disse uno dei due agli altri – dobbiamo andare via subito. - - Che cazzo succede? Siamo appena arrivati. - - Non dovevamo fare la festa a quel figlio di puttana? - rispose un altro, lanciando a terra fragorosamente un bicchiere che aveva in mano. - A quanto pare, la festa gliela faremo da un'altra parte - disse quello che aveva ricevuto la telefonata, rivolgendo un'occhiata minacciosa alla donna. Prima di uscire dalla porta tornò indietro e la avvertì di non avvisare né suo marito della visita, né tantomeno la polizia, se non voleva rivederli di nuovo. Perché in questo caso sarebbero stati di certo meno gentili con lei!
Capitolo ottavo
I quattro uomini erano andati via subito da lì, mostrando una certa fretta. Il loro capo non era un uomo che amava aspettare o perdere tempo e voleva che gli ordini fossero eseguiti senza esitazione. Era stato Aldo a rispondere al telefono. - Dove cazzo siete? - gli aveva urlato Contarini infuriato. - Siamo a casa del bastardo, stiamo aspettando che torni dalla mogliettina - aveva risposto. - E che cazzo ci fate lì se lui è da un'altra parte? Siete dei coglioni! La sua macchina si trova in centro a Reggio Emilia, è parcheggiata in Piazzale San Girolamo. C'è un mio uomo fidato a sorvegliarla. Pare che il figlio di puttana sia andato a trovare la sua amante. Lasciate in pace la moglie e andate subito lì. - - Sì, andiamo subito. - Aldo aveva subito invitato i suoi a levare le tende e a precipitarsi nel luogo indicato. Non era la prima volta che il loro capo li prendeva per degli incapaci, ai suoi occhi sembrava che non ne facessero mai una buona. Eppure loro cercavano di fare del loro meglio ed erano sempre pronti ad eseguire gli ordini. Sì, forse qualche volta non avevano calcolato bene la tempistica o avevano sorvegliato il luogo sbagliato, lasciandosi guidare dalle loro intuizioni, magari rivelatesi infondate. O, come in questo caso, avevano dato per scontato che il caro Zanchi tornasse a casa dalla moglie la sera, non sapendo che avesse un'amante. E così avevano fatto di nuovo la figura degli idioti! Ma ora sarebbero andati nel posto giusto e non avrebbero fallito di certo. Per fortuna a quell'ora non c'era traffico. Arrivarono in poco meno di trenta minuti. Parcheggiarono anche loro lì, vicino all'auto di Paolo. Semi nascosto nell'oscurità c'era l'uomo che sorvegliava la Range Rover e l'entrata del palazzo, un tipo che conoscevano di vista e soprattutto di fama. Era soprannominato Mano Lesta perché era molto abile con le armi. Sembrava innocuo a vederlo perché era minuto di corporatura, ma, se aveva in mano un coltello o una pistola, ti uccideva senza che tu nemmeno te ne accorgessi. - È lì da un'ora – disse Mano Lesta indicando la palazzina con un cenno del viso – andate al secondo piano. L'amante si chiama Lucia Candido. - - Bel servizio di spionaggio – disse Aldo a bassa voce – perché noi non ne sapevamo niente? - - Cercate di non fare cazzate anche stavolta – lo redarguì l'uomo – altrimenti il signor Contarini non ve la farà passare liscia. Io resto qui a controllare la situazione. - Aldo e i suoi entrarono nel palazzo, approfittando del fatto che due inquilini stavano aprendo con le chiavi il portone. Quindi salirono al secondo piano e suonarono il campanello controllando che sulla targhetta della porta ci fosse scritto il nome Candido. Aprì la donna, avvolta in un accappatoio e con gli occhi rossi dal pianto. Appena li vide rimase sorpresa, si capiva che si aspettava di vedere qualcun altro. La spinsero dentro e richiusero la porta alle loro spalle. Le intimarono di non urlare. Lucia era molto spaventata, aveva aperto senza pensarci due volte, convinta che fosse Paolo. Sperava che fosse tornato indietro per restare con lei. E invece erano dei brutti ceffi che non promettevano nulla di buono. Erano in quattro e temeva che volessero farle del male. - Cosa volete da me? - riuscì a balbettare. - Stiamo cercando il tuo amichetto, Paolo Zanchi. Dov'è? - le disse uno di loro, mentre gli altri si sparpagliarono per cercarlo nelle varie camere. - Non c'è – rispose Lucia con la voce tremante – vi prego non fatemi del male. - - Come non c'è... non dirci cazzate! Noi siamo certi che si trova qui, abbiamo ricevuto una segnalazione da parte di un nostro amico che lo ha visto salire qui a casa tua e lui non scherza mai - le disse Aldo fissandola negli occhi in modo minaccioso. Non si sarebbero fatti prendere in giro da una ragazzina, non potevano fallire di nuovo. - Se n'è andato, te lo giuro, è andato via poco fa. Ha ricevuto una telefonata ed è andato via di corsa - ripeté Lucia singhiozzando. - Qui non c'è - confermarono anche gli altri. Aldo non riusciva a crederci... dov'era finito? Qualcuno quindi lo aveva avvisato, ma chi poteva aver fatto la spia? Aldo sentì il suo telefono vibrare... Era Mano Lesta: - Scendete subito da lì, è andato via. Come avete fatto a non vederlo? - - Che cazzo ne so? Avrà preso l'ascensore! - rispose Aldo, anche se non era del tutto sicuro che in quella palazzina ci fosse un ascensore. - Non è rimasto qui fermo ad aspettarci – riprese – pare che qualcuno lo abbia avvisato del nostro arrivo. - - Fate presto! Io mi sono nascosto, non mi ha visto, ma da come si guarda intorno si capisce in effetti che qualcuno deve averlo avvisato – confermò Mano Lesta – il capo comunque ha detto che non dobbiamo ucciderlo. Vuole che glielo portiamo vivo. - I quattro uomini andarono via di corsa da lì, lasciando Lucia in lacrime e sotto shock, non prima di averla minacciata che se avesse chiamato la polizia sarebbero ritornati a trovarla e a darle l'estremo saluto. Lei promise il suo silenzio. Si precipitarono in strada e Mano Lesta, che era emerso dal suo nascondiglio, li avvisò che Paolo aveva chiamato un taxi e mentre saliva aveva detto al tassista di voler andare all'aeroporto. - Che figlio di puttana! - esclamò Aldo. Li aveva fregati tutti! Ma non l'avrebbe passata liscia. Lo avrebbero seguito e raggiunto. Dovevano solo muoversi in fretta.
Capitolo nono
Laura era rimasta lì a terra immobile ancora a lungo. Non riusciva ad alzarsi per lo shock. Si teneva la testa tra le ginocchia dondolandosi, cercando di calmarsi. Aveva aspettato a lungo per essere certa che quei delinquenti se ne fossero davvero andati. Aveva sentito il motore della loro macchina accendersi e il rumore diventare sempre più lieve man mano che l'auto percorreva il vialetto di casa e si allontanava da lì. Le veniva da piangere, aveva paura, guardava la porta e, ad ogni piccolo rumore che le sembrava di sentire provenire da fuori, sobbalzava, temendo che potessero ritornare. Perché le era successo tutto questo? Non riusciva a darsi una spiegazione. Che c'entrava lei con loro? E, soprattutto, che c'entrava Paolo? Doveva chiamare suo marito... No, invece! Loro erano stati molto chiari, non doveva chiamarlo, altrimenti sarebbero tornati. Che volevano? Che cosa stavano cercando? Si alzò lentamente dal pavimento e si guardò intorno, spostandosi nelle varie stanze. Le avevano messo tutta la casa sottosopra, c'erano documenti sparsi per il pavimento, vasi in frantumi, quadri buttati a terra e pezzi di vetro dappertutto. Che disastro! Le sembrava che avessero violato la sua casa e la sua intimità, distrutto selvaggiamente tutti i suoi oggetti più cari e preziosi e anche quelli che usava quotidianamente come piatti e bicchieri. Chissà che shock avrebbe avuto Paolo nel rientrare a casa, vedendo quello sfacelo e quel disastro! Non ce la faceva più a pensare. Doveva prendere le sue pillole. Con le gambe ancora tremolanti si diresse al mobiletto delle medicine che teneva in bagno, cercando di non calpestare i vari pezzi di vetro sparpagliati per terra. Aprì il flacone, inghiottì una compressa con un bicchiere d'acqua. Tremava tutta, era in preda al panico e non riusciva nemmeno a respirare. Forse avrebbe fatto meglio a prenderle tutte! Versò altre pillole nel palmo della sua mano, ma poi si bloccò. Pensò che sarebbe stato meglio optare per i sonniferi. Aveva bisogno di dormire. Voleva dimenticare questo terribile incubo. Magari, al suo risveglio, avrebbe scoperto che si trattava solo di un brutto sogno. Sì, doveva essere solo una delle tante allucinazioni che ultimamente le capitavano spesso. E che a lei sembravano invece così reali! Confondeva sempre più di frequente la realtà e la fantasia. O almeno così le diceva Paolo. Si accovacciò a terra nella cameretta del suo bambino con il flacone dei sonniferi in mano. Quella era l'unica stanza della sua casa che quei malviventi non avevano violato. Il suo piccolino era salvo. Lo guardò addormentarsi e si addormentò anche lei, con un sorriso sulle labbra e la certezza che l'indomani sarebbe tornato tutto come prima. In fondo non era successo niente!
Capitolo decimo
Paolo era uscito dall'appartamento di Lucia solo qualche istante prima che la banda di Aldo arrivasse. Aveva fatto le scale di corsa. Poi, sentendo delle voci e i passi di alcune persone che entravano, si era nascosto nel sottoscala per non farsi vedere. Appena fu certo che erano saliti tutti, si mosse da lì. Aprì il portone del palazzo con cautela. Girò la testa a destra e a sinistra e guardò davanti a sé fino in lontananza prima di richiuderlo alle sue spalle. Aveva paura che lo aspettassero là fuori, ma si tranquillizzò non vedendo nessuno di sospetto. Forse Vittorio aveva esagerato e non erano ancora sulle sue tracce. Non poteva rischiare però. Sapeva che presto lo avrebbero trovato e sarebbero venuti a prenderlo dovunque fosse. Il suo amico contabile era stato chiaro: l'ammanco di denaro era visibile e non era stato coperto. Contarini avrebbe reclamato indietro i soldi, con le buone o con le cattive. E Paolo non aveva dubbi su quale delle due opzioni avrebbe scelto. Avrebbe mandato di certo una banda di uomini fidati a prenderlo. Faceva sempre così! Lui non era tipo da usare i guanti bianchi e non andava troppo per il sottile se si sentiva derubato o imbrogliato. Era finito! O forse no? Aveva una sottile speranza, doveva far perdere le sue tracce... cosa più facile a dirsi che a farsi! Con certa brutta gente sarebbe meglio non averci a che fare, ma una volta che ci sei dentro è difficile uscirne puliti e, soprattutto, senza le ossa rotte. Era questo che temeva di più: se gli uomini di Contarini lo avessero preso, gliele avrebbero rotte una alla volta e la sua morte sarebbe stata lenta e dolorosa... Non voleva pensarci, non ora! Doveva allontanarsi il più possibile da lì. Gli serviva un piano di fuga. Se si fosse sbrigato, sarebbe riuscito a partire prima che lo raggiungessero all'aeroporto. Doveva imbarcarsi sul primo volo disponibile, poi avrebbe potuto anche cambiare la sua destinazione... In realtà sapeva che una città sicura al cento per cento non l'avrebbe mai trovata, quelli sarebbero stati sempre sulle sue tracce, anche tra dieci anni! Ma, nel frattempo, avrebbe potuto pensare al modo per restituire il denaro. Sospirò... Erano troppi soldi e ne aveva spesi una buona parte... non avrebbe potuto renderglieli, questo lo sapeva. Prese le chiavi della sua auto. Stava per entrare in macchina, quando cambiò idea. Se voleva guadagnare tempo gli conveniva lasciare la sua Range Rover in quel parcheggio; vedendola, quei brutti ceffi avrebbero pensato che lui fosse lì, da qualche parte. Forse lo avrebbero anche aspettato vicino alla macchina! Nonostante la sorpresa, Paolo era un uomo previdente. Aveva sempre tenuto in considerazione l'eventualità che un giorno qualcuno dei suoi clienti avrebbe avuto da ridire sulla sua gestione degli affari. Non era stato facile per lui vedersi passare per mano tutti quei contanti, denaro sporco frutto di attività illecite, senza cedere alla tentazione di trattenerne per sé una piccola parte. Per questo aveva nascosto un borsello in un vano quasi invisibile nel portabagagli della sua Range Rover. Al suo interno c'erano due passaporti falsi, una cospicua somma di denaro in contanti ed una pistola con matricola abrasa. Prese quindi il borsello e richiuse l'auto alle sue spalle. Nel frattempo, si sarebbe mosso in taxi, in modo da spostarsi, risultando invisibile. Fermò il primo che passava e si sedette sul sedile posteriore. Durante il viaggio fino in aeroporto avrebbe avuto modo di riflettere e di pensare alla soluzione migliore per lui. Intanto prese in mano il telefono. Lo guardò. Avrebbe dovuto telefonare a Laura? Avrebbe dovuto dirle la verità? Si sentiva in colpa. Le mentiva ormai da troppo tempo e lei non se lo meritava. Era una brava donna, in fondo, anche se perennemente depressa! Sembrava sempre scontenta, eppure lui le aveva comprato una bella casa, le aveva fatto tanti bei regali, le dava tutti i soldi che le servivano e anche di più... Perché allora era sempre così infelice? Non riusciva a capirla da tanto tempo ormai e ci aveva anche rinunciato, con tutti i problemi che aveva... Non vedendolo tornare, prima o poi si sarebbe rassegnata, avrebbe continuato la sua vita triste... che tanto era triste comunque, con o senza di lui! Doveva smetterla! Non aveva tempo per inutili sensi di colpa o per recriminazioni. Doveva decidere in fretta e lasciarsi tutto alle spalle. Nessuno avrebbe pianto per lui, anche sua moglie sarebbe stata meglio senza! L'importante adesso era scomparire e soprattutto far sparire ogni sua traccia, diventare irraggiungibile. La prima cosa da fare era disfarsi del telefono: dal cellulare avrebbero potuto rintracciarlo e trovarlo! Chiese al tassista di fermarsi un attimo davanti ad un bar che si trovava lungo la strada perché aveva bisogno di un caffè e doveva andare in bagno. Chiuse a chiave la porta del bagno e gettò il cellulare nel cestino dei rifiuti, dopo averlo spento e averlo avvolto nella carta igienica. Ora era irrintracciabile! Adesso doveva però mettere in atto la seconda parte del suo piano. E doveva farlo in fretta. Uscito dal bar, bussò al vetro della portiera davanti. Il tassista abbassò il finestrino per sentire cosa volesse. - Ma dove si è fermato? C'era un bel chiodo grosso evidentemente, non l'aveva visto? Ha bucato la gomma posteriore dell'auto. Faremo un incidente se non la cambia - gli disse Paolo, indicandogli la gomma posteriore destra. Il tassista, pur molto riluttante a scendere dalla macchina e poco convinto delle sue parole, alla fine dovette cedere perché Paolo non sembrava voler risalire a bordo finché lui non avesse controllato con i suoi occhi. Quindi, imprecando a voce alta, scese svogliatamente dall'auto e andò a vedere cosa fosse successo alla sua gomma. Era certo che non fosse nulla di grave, magari era solo un po' sgonfia o forse quell'uomo era stato ingannato dall'oscurità e dalla nebbia e aveva visto male. Ma non voleva scontentare un cliente, per cui pensò che scendere un momento a controllare, in fondo, non gli costava nulla. Poi sarebbero subito risaliti e sarebbero partiti. Fece il giro, andò a controllare la gomma destra e vide che era a posto. Ma non ebbe nemmeno il tempo di girarsi verso di lui, per dirgli che si era sbagliato, che sentì il rombo del motore. Quel figlio di puttana aveva messo in moto il suo taxi ed era partito di colpo, senza di lui! Provò a rincorrerlo per un po', ad urlargli di fermarsi e ad agitare le braccia, ma l'uomo ormai si era già dileguato avvolto dalla nebbia. Rimase lì attonito, quasi non riusciva a credere che un suo cliente gli avesse rubato il taxi. Come era potuto succedere? Come aveva fatto ad essere così stupido? Ora non avrebbe più potuto lavorare. Gli veniva da piangere per la disperazione e per la rabbia. Pensava alla faccia di sua moglie quando glielo avrebbe detto.
Capitolo undicesimo
Elena stava bevendo l'ennesimo caffè seduta alla scrivania del suo ufficio, mentre esaminava alcune carte di un caso che non era ancora stato risolto. Seduto di fronte a lei c'era il suo vice, Marco, che la guardava intensamente senza riuscire a distogliere lo sguardo da lei. Le sembrava ancora più bella e affascinante mentre era concentrata a studiare i documenti. Sembrava che il tempo si fermasse e tutto il resto non ci fosse, a parte loro due. Andava spesso nel suo ufficio con la scusa di chiederle il suo parere su qualche caso che lei gli aveva affidato, solo per poterla guardare. Sospirò. Era innamorato di lei già da un bel po' di tempo, ma lei lo trattava solo come un amico. Elena gli aveva detto più volte che era contraria alle relazioni sul luogo di lavoro e in generale condivideva anche lui questa teoria, solo che avrebbe fatto volentieri un'eccezione in questo caso, dato che riguardava loro due. Pensava che avrebbero lavorato ancora meglio insieme, se avessero unito i loro corpi oltre che le loro menti. La desiderava tanto. Provò ad immaginarla sopra di lui con i suoi bellissimi capelli castani ondulati e lo sguardo pieno di desiderio... Dei colpi dati alla porta lo risvegliarono bruscamente dal suo sogno. Era l'agente Amato, con una comunicazione urgente per il commissario: - Dottoressa, è appena arrivata una telefonata in centrale. Alcuni ragazzi hanno segnalato un veicolo in fiamme. Una nostra pattuglia, che si trovava da quelle parti, è accorsa sul posto e ha constatato l'incendio dell'auto, ma anche la presenza di cadaveri intorno ad essa, alcuni dei quali con evidenti ferite d'arma da fuoco. I nostri agenti hanno già delimitato l'area per evitare che dei curiosi potessero contaminare la scena. Sul posto stanno intervenendo anche i Vigili del Fuoco e i sanitari del 118 - Nel sentire la notizia Elena richiuse il fascicolo ed imprecò a bassa voce. Poi aggiunse: - Grazie, può andare. Mi lasci l'indirizzo preciso così io e il mio vice andremo sul posto. - - Certo, commissario, è a San Maurizio, gliel'ho scritto su questo foglio, glielo lascio sulla scrivania. A proposito, quasi me ne dimenticavo, l'auto in questione è un taxi. I nostri agenti sono riusciti a leggere, nonostante le fiamme, il numero di targa. - - Bene, intanto, partendo dalla targa scopra tutto il possibile sul proprietario del taxi e, se riesce, cerchi di sapere chi lo ha chiamato, a che ora e dove è salito. E, anche, se era uno solo o più di uno. Si metta subito al lavoro e mi telefoni appena ha trovato qualcosa. - - Commissario, a dire il vero, io so già chi è il proprietario del taxi. - - Lo sa già? - - Sì, perché poco prima dell'incidente aveva chiamato un tizio dicendo di essere il proprietario di un taxi che gli era stato appena rubato da un suo cliente. Ho confrontato le due targhe e coincidono. - - Bene, bravo Amato. Quindi sa il nome del tassista? Lo chiami e lo faccia venire qui, così sarà lui stesso a darci le informazioni sul cliente. Gli faccia rilasciare la sua deposizione e gli dica che in caso di necessità lo ricontatteremo. - L'agente, soddisfatto di aver fatto bene il suo lavoro e di essere stato gratificato, uscì, non prima di aver fatto un breve cenno di saluto con la testa in segno di reverenza. Lui ammirava molto il suo capo per la sua solidità e la sua fermezza. Un giorno avrebbe voluto essere come lei. Magari se avesse dimostrato di essere davvero bravo ci sarebbe potuto riuscire... - Un taxi che salta in aria, dei cadaveri, ferite d'arma da fuoco... - disse Elena a voce bassa come riflettendo tra sé e sé, appena l'agente fu uscito. - Che ne pensi? - chiese poi a Marco, fissandolo con attenzione. Senza dargli il tempo di dire nulla, indossò il giubbotto e invitò silenziosamente il suo vice a fare altrettanto. Per avere delle risposte dovevano andare lì subito. Non c'era altro tempo da perdere.
Capitolo dodicesimo
Aldo e i suoi, dopo aver lasciato l'appartamento di Lucia, si erano rimessi in macchina all'inseguimento di Paolo. Non erano partiti molto dopo di lui, quindi erano certi di riuscire a raggiungerlo in breve tempo. A loro si era unito anche Mano Lesta. Era stato Contarini ad ordinaglielo: - Vai con loro anche tu, hai visto che coglioni? – gli aveva urlato al telefono – se lo sono fatto scappare da sotto il naso. - Il capo in realtà aveva anche aggiunto che, se avessero fallito un'altra volta, lo autorizzava a farli fuori e a far sparire i cadaveri, tanto una banda di incapaci del genere era del tutto inutile. E così si erano mossi tutti insieme alla ricerca di Zanchi. Passando davanti al bar rallentarono, notando il colore giallo del taxi, che risaltava nonostante la nebbia. Poco dopo videro improvvisamente Paolo come in un flash. - Ferma subito la macchina – aveva urlato Aldo – è lì, lo vedo, è lui, sta uscendo da quel bar. - Si accostarono vicino al marciapiede, non lontano dal taxi. Aspettarono un attimo per decidere cosa fare. Poi assistettero alla scena del furto d'auto. - Che bastardo! Ma meglio così – disse Mano Lesta – altrimenti avremmo dovuto uccidere il tassista. - Lo seguirono cercando di non farsi vedere da lui, restando un po' distanti. Paolo guidava senza fretta, contento di quello che lasciava alle spalle e di iniziare una nuova vita da un'altra parte. Ma sapeva bene che doveva stare in campana. Quel tassista avrebbe fatto denuncia di furto d'auto, avrebbe dato la targa della sua macchina alla polizia e così gli sbirri si sarebbero messi sulle sue tracce. Inoltre la banda di Contarini avrebbe potuto cercarlo e trovarlo quanto prima. Si fermò a pensare a lui. Gli sembrava strano che i suoi uomini non si fossero ancora fatti vivi. Pensava di trovarli vicino alla sua auto, invece non c'era nessuno. Possibile che Vittorio si sbagliasse? O che quel figlio di puttana di Contarini non volesse fargliela pagare? Gliela avrebbe fatta passare liscia? Mentre rifletteva su queste cose, li vide. Spuntarono all'improvviso da un banco di nebbia, nell'auto dietro la sua. Non era proprio sicuro che fossero loro, ma il suo sesto senso lo mise in allarme. Non ebbe più molti dubbi quando la macchina che lo seguiva cercò di speronarlo. Che avrebbe dovuto fare? C'era una via d'uscita? Doveva pensare in fretta. L'unica alternativa era cercare di liberarsene al più presto, ma lui era uno solo e loro molti di più. Si assicurò di avere la pistola a portata di mano. Tra poco avrebbe dovuto usarla. Doveva tentare il tutto per tutto, facendo la prima mossa e prendendoli di sorpresa. Mentre rifletteva su come agire, il veicolo, speronato nella parte posteriore sinistra, iniziò una serie di testa coda per poi cappottarsi rovinosamente oltre il ciglio stradale. La fortuna però era ancora dalla sua! L'ultimo cappottamento riportò l'auto con le gomme a terra. La cintura aveva attutito lo sballottamento, era acciaccato, ma riuscì a trascinarsi dal lato opposto rispetto alla visuale di Mano lesta e dei suoi. Attese poi che si avvicinassero, stando ben nascosto dietro la macchina con l'arma in pugno. Loro avrebbero dato per scontato che, dopo un simile capitombolo, fosse morto o ferito. E che, in entrambi i casi, avrebbero avuto gioco facile con lui. Un sorriso beffardo lo colse, immaginando la loro faccia incredula quando, avvicinandosi, si fossero accorti che non era più al suo posto. Caricò la pistola mentre li aspettava. Sentì che erano scesi tutti dalla loro auto, vide che erano cinque e udì anche i loro discorsi. Uno di loro riferì agli altri che il capo avrebbe preferito che glielo consegnassero vivo, ma, se le cose fossero andate diversamente, gli avrebbero detto che non erano riusciti ad evitare il peggio. In ogni caso dovevano prenderlo. Gli uomini della banda a quel punto si avvicinarono al taxi e guardarono dentro. Rimasero sorpresi di non trovarlo. - Dove cazzo è finito? - disse uno di loro, che dopo aver notato il sedile vuoto, si era sporto anche all'interno del veicolo per cercarlo. Paolo a questo punto decise di approfittare dell'effetto sorpresa: gli sparò un colpo di pistola quasi a bruciapelo, mirando alla testa e uccidendolo all'istante. Subito dopo aprì il fuoco in direzione del secondo uomo vicino all'auto, colpendolo ad una gamba. Sentì le sue urla di dolore e le sue imprecazioni dirette a lui. Quindi, prevedendo che sarebbero passati al contrattacco, approfittando dell'oscurità, indietreggiò nascondendosi dietro un cespuglio. Anche loro iniziarono a rispondere al fuoco in direzione dell'automobile, ma lui non era più lì. I malviventi circondarono la vettura. Non lo trovarono. Cominciarono a cercarlo sparpagliandosi. Ad un certo punto, Paolo si trovò faccia a faccia con Mano Lesta. Lo conosceva per fama. Non sbagliava mai un colpo. Pensò che era finito. Improvvisamente si sentì arrivare un altro dei loro. Si avvertivano i passi, accompagnati dalle imprecazioni di dolore. - Bastardo figlio di puttana, dove sei? Ti ammazzo. - Mano Lesta si girò istintivamente, lo vide inciampare per il dolore causato dalla ferita alla gamba. Mentre cadeva, gli partì inavvertitamente un colpo di pistola. Paolo sentì lo sparo e con suo gran sollievo si rese conto di essere ancora illeso. - Che cazzo hai fatto? Hai sparato a me! - urlò Mano Lesta, cadendo a terra, mentre si contorceva dal dolore e si premeva con una mano la pancia, sperando di fermare l'emorragia. Anche gli altri due, poco più lontani, per istinto, aprirono il fuoco nella direzione da cui provenivano le urla di Mano Lesta. L'uomo già ferito alla gamba, mentre cercava di rialzarsi, si beccò per sbaglio un altro proiettile, stavolta alla spalla. Reagì rabbiosamente, aprendo il fuoco in direzione dei suoi due compari. Paolo non riusciva a crederci: si stavano davvero sparando tra di loro? Non doveva essere lui il bersaglio? Dove li aveva trovati Contarini degli idioti del genere? Tirò un sospiro di sollievo. Era salvo! Almeno per il momento! Aveva ancora una speranza di farcela. Ma doveva spostarsi da lì. Gli serviva un diversivo. Intanto quei tre stavano continuando a litigare: - Metti giù la pistola, deficiente – disse uno di loro – glielo spiegherai tu al capo che hai fatto fuori il suo uomo migliore? - - Non l'ho ucciso, vedrai che ce la farà. - - Dobbiamo ammazzare Zanchi. Te ne sei dimenticato? Non lascerai che quel bastardo ci scappi di nuovo! - Non vedendo bene per la nebbia, sparò qualche colpo di pistola a caso e in varie direzioni, torcendosi col busto. Paolo sospirò di nuovo. Non l'avevano colpito, ma non poteva rischiare ancora. Doveva sbrigarsi! Si accorse in quel momento che l'auto stava perdendo benzina, creando un rigagnolo sul terreno vicino al punto in cui lui era accovacciato. Prese allora il suo accendino e diede fuoco al carburante. Le fiamme raggiunsero rapidamente il taxi, che si incendiò. Paolo approfittò della situazione per muoversi velocemente verso la loro auto. Nella disperazione della fuga inavvertitamente inciampò e gli cadde a terra il portafoglio. Se ne accorse, ma non poteva tornare indietro a prenderlo. Doveva approfittare di ogni istante per mettere quanta più distanza possibile tra lui e i suoi assalitori. Entrò nella loro auto, una Audi A6 station wagon di colore scuro, e si mise alla guida. Quegli incapaci, credendo di fare una cosa veloce, avevano addirittura lasciato le chiavi nel quadro. Mise in moto e partì. Guardando nel retrovisore, vide che qualcuno di loro era avvolto dalle fiamme, evidentemente colpito dall'esplosione dell'auto. Si sentiva pieno di energia e invincibile per averli fregati tutti in quel modo. Era carico di adrenalina ed euforico. Sarebbe potuto ripartire da zero e fare qualsiasi cosa. Lanciò un urlo liberatorio mentre premeva l'acceleratore. |
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