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Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Marco Lemessi
Titolo: Changing History
Genere Fanta Storia
Lettori 3337 36 56
Changing History
Isola di Strongili, Mar Egeo - 1600 A. C. circa.

La terra aveva cominciato a tremare, inizialmente in maniera lieve, quasi impercettibile. Erano stati gli animali i primi ad avvertire qualcosa di anomalo nell'aria. I cani avevano iniziato ad abbaiare senza apparente motivo, le pecore a belare agitate nei recinti in cui erano rinchiuse. I gabbiani, che solitamente volteggiavano rumorosi sopra l'isola, erano scomparsi improvvisamente.
Poco dopo i tremori erano stati chiaramente percepiti anche dagli esseri umani. Le prime crepe erano comparse, minacciose, sulle pareti esterne degli edifici più alti, a tre e quattro piani. Un rombo sordo e inquietante, che sembrava risalire dalle viscere della terra, era udibile in tutta l'isola.
Al tramonto del sole, molti degli oltre trentamila abitanti di Strongili avevano preferito lasciare il confortevole tepore delle loro case e, radunatisi in riva al mare nella parte meridionale dell'isola, avevano passato la notte all'aperto, con qualche coperta di lana grezza e poche vivande. Nonostante la speranza di tutti fosse che la situazione potesse ritornare alla normalità in breve tempo, i più realisti si erano immediatamente adoperati a preparare le barche perché fossero pronte a salpare se necessario, portando con sé gioielli e oggetti preziosi.
Strongili, situata poco a nord del trentaseiesimo parallelo nell'emisfero boreale, non era soggetta a temperature rigide, e quella notte d'autunno, con i suoi sedici gradi centigradi, non faceva eccezione. La temperatura mite favoriva le attività di pastorizia e agricoltura, in particolare la viticoltura. Era però nella navigazione che gli abitanti di Strongili non avevano rivali. Le loro navi a vela, robuste e veloci, consentivano prosperi commerci con le isole circostanti e garantivano alla flotta di Strongili una supremazia militare indiscussa in pressoché tutto il Mar Egeo.
Il pomeriggio del giorno successivo, un paio d'ore prima dell'imbrunire, si erano verificati i primi crolli. Le pareti di un paio di case della città principale dell'isola avevano ceduto di colpo e si erano schiantate al suolo in un'esplosione di pietre, sollevando nuvole di polvere e provocando il panico tra i pochi rimasti in città. Qualche minuto dopo anche l'acquedotto, fonte d'acqua potabile per molte delle case dell'isola, era stato squarciato da una violenta scossa che aveva scavato una profonda fenditura nel terreno brullo e polveroso.
Il movimento tellurico si era fatto via via più intenso e più frequente, con crolli sempre più devastanti. Una dozzina di edifici erano fragorosamente collassati, accartocciandosi su se stessi e lasciando cumuli di pietre e polvere laddove solo pochi istanti prima si ergevano solide mura decorate con eleganti affreschi colorati. Un'ala del palazzo reale si era sbriciolata senza preavviso, seppellendo sotto tonnellate di macerie un segreto gelosamente custodito nelle cantine reali.
Mentre gli abitanti di Strongili, terrorizzati, si accalcavano nel porto, a poche centinaia di metri dal principale centro abitato, il re, senza ulteriori indugi, aveva ordinato l'evacuazione immediata dell'isola. Decine di imbarcazioni, l'intera flotta di Strongili, si erano raccolte a pochi metri dalla riva nella parte meridionale dell'isola. In poche ore, tutti gli abitanti erano stati imbarcati. Miracolosamente, il sisma non aveva causato vittime.
La flotta aveva preso il largo e, su ordine del re, si era diretta a sud, verso la grande isola di Kaptara. Il re aveva reputato Kaptara sufficientemente lontana da Strongili da garantire sicurezza al suo popolo fino a quando la situazione fosse tornata alla normalità.
Ciò che era successo quel giorno, tuttavia, era soltanto l'inizio. Il peggio doveva ancora venire.

***

Erano passati sette mesi dal giorno in cui la flotta di Strongili aveva levato le ancore e abbandonato l'isola squassata dal violento terremoto.
Dall'alto della collina, Áreos, capo delle guardie reali, osservava la luna piena diffondere un alone di luce argentea nel cielo nero. Una leggera brezza soffiava in direzione sud, facendo ondeggiare lievemente le fronde degli alberi di ulivo sulla collina e trasportando le ceneri che, ormai da settimane, venivano incessantemente espulse dal cono vulcanico che si era formato nella parte centro-settentrionale della caldera.
Il rumore ritmico delle onde del mare che si infrangevano sulla costa meridionale dell'isola lo riportò col ricordo a quando, sette mesi prima, aveva osservato le prime navi sciogliere le vele al vento e allontanarsi speditamente dall'isola, la sua unica figlia Eilínas su una di queste. Si era chiesto, quel giorno, se la piccola fosse impaurita oppure eccitata all'idea di trovarsi di lì a poco in mezzo al mare nel cuore della notte. Gli era sembrato di vederla: le mani strette al parapetto della nave, i lunghi capelli castani leggermente mossi scompigliati dalla brezza marina, gli intensi occhi color nocciola fissi sul mare nero alla ricerca delle fiaccole delle altre imbarcazioni della flotta.
Occhi verdi e crespi capelli castano scuro, Áreos era nel fiore degli anni. Fin dall'adolescenza era stato educato all'arte della guerra e, negli anni successivi, si era distinto per coraggio e astuzia negli scontri militari, prevalentemente sul mare. Il suo valore e il suo carisma gli avevano valso la stima e la fiducia incondizionata dei suoi uomini.
- Comandante, siamo pronti! -
La voce del suo vice, Thalássios, lo strappò dai suoi pensieri, riportandolo bruscamente alla realtà. Áreos continuò a fissare la luna, senza voltarsi verso Thalássios.
- Il kỳklos è sul carro? -
- Sì, comandante! Gli uomini hanno appena finito di fissare le funi. -
- Bene. Muoviamoci. -
Thalássios si portò l'indice e il pollice della mano destra alla bocca e fece un lungo fischio.
Qualche istante dopo, il grande portale bronzeo del palazzo reale si schiuse, e ne uscì un carro di legno, trainato da un asinello grigio. Un paio di passi alla sinistra dell'animale, un soldato corpulento e dai folti capelli neri e lisci ne guidava i movimenti, tenendolo per la cavezza con la mano destra. Nella mano sinistra stringeva una fiaccola accesa che gli illuminava il volto. Un altro soldato, alto e magro, armato di una lunga lancia e uno scudo ovale dai colori vivaci, seguiva il carro a pochi passi di distanza.
Áreos, seguito da Thalássios, si avvicinò al carro e fece cenno al soldato corpulento di fermare l'asino. Controllò quindi attentamente le funi, per accertarsi che il kỳklos fosse fissato saldamente al carro. Accarezzò con delicatezza la superficie metallica perfettamente levigata dell'involucro protettivo, invocando tacitamente la protezione degli dèi affinché la loro missione andasse a buon fine.
Nonostante l'uso del kỳklos fosse riservato esclusivamente al re, Áreos, in qualità di capo delle guardie reali, era a conoscenza del suo straordinario potere. Sapeva che molti dei successi di Strongili, sia in campo militare sia commerciale, erano da attribuirsi all'uso del kỳklos, il grande anello di metallo dono degli dèi O-ma-nói.
Il sovrano, da qualche settimana gravemente malato, aveva incaricato Áreos di recuperare il kỳklos, rimasto sepolto nel crollo di un'ala del palazzo reale, e di portarlo in salvo a Kaptara. Qui il re ne avrebbe rivelato il potere al suo unico figlio e suo prossimo successore al trono.
Áreos, accompagnato da cinque guardie reali, aveva raggiunto Strongili la sera precedente con una nave a vela. Il mattino dopo, lasciati due uomini di guardia alla nave, aveva risalito la collina con gli altri tre e raggiunto ciò che restava della città principale dell'isola. Sulla collina li aveva accolti una distesa spettrale e muta di scheletri di edifici alternati a cumuli di macerie. Laddove un tempo risuonavano le voci dei commercianti e le grida dei bambini, il rumore degli artigiani, i belati delle pecore e i latrati dei cani, regnava ora un silenzio irreale, minaccioso.
Era stata necessaria una giornata intera di duro e paziente lavoro per rimuovere tonnellate di pietre ed estrarre il kỳklos, miracolosamente intatto, da quella che, soltanto qualche mese prima, era una stanza elegantemente affrescata delle cantine reali.
Un boato squarciò improvvisamente il silenzio della notte. Il terreno tremò violentemente, tanto che Áreos dovette aggrapparsi prontamente al bordo del carro per evitare di perdere l'equilibrio. Thalássios e l'uomo armato di lancia rovinarono a terra, come scaraventati all'indietro da una mano invisibile. L'asino ragliò rumorosamente, il muso rivolto verso l'alto, gli occhi fuori dalle orbite per il terrore. Un corvo spiccò il volo dal tetto di un palazzo e scomparve verso il mare, inghiottito dal nero della notte. Il soldato corpulento vacillò, ma riuscì a rimanere in piedi. Altre case crollarono rumorosamente, sollevando nubi di polvere. Una grossa frattura si aprì nella collina, a una decina di metri dai quattro uomini. Un intenso odore di zolfo impregnò l'aria, che improvvisamente si era fatta più calda.
- Gli dèi sono in collera con noi! - balbettò il soldato magro, rialzandosi e raccogliendo rapidamente la lancia che gli era sfuggita di mano durante la caduta.
- Non c'è tempo da perdere! Portiamo il kỳklos alla nave e andiamocene da qui! - comandò Áreos.
Immediatamente, il soldato corpulento si avviò con passo deciso lungo il sentiero che conduceva al mare, trascinando l'asino, ancora terrorizzato, per la cavezza. Thalássios e il soldato con la lancia seguirono veloci il carro senza dire una parola, ma guardandosi intorno con un misto di circospezione e timore.
Sulla notte era nuovamente calato il silenzio, un silenzio irreale e foriero di sventura. La luna venne inghiottita da una grande nuvola scura e il buio intorno ai quattro uomini si fece più intenso. A parte la luce tremolante che proveniva dalla fiaccola del soldato corpulento, cielo, terra e mare sembravano fondersi in un'unica massa, nera come l'inchiostro.
In pochi minuti i quattro uomini raggiunsero il porto. La loro nave li attendeva, pronta a salpare. Uno dei due soldati rimasti di guardia all'imbarcazione, armato di lancia e scudo, vigilava nei pressi della passerella di accesso, illuminata da una lanterna a olio. Il suo sguardo, rivolto verso la collina sovrastante, tradiva inquietudine e timore. L'altro soldato era a bordo, indaffarato a legare sul fondo dell'imbarcazione un paio di giare piene d'acqua potabile, nel caso in cui la navigazione si fosse protratta più del previsto a causa della mancanza di vento.
Le navi di Strongili erano celebri per la loro agilità e velocità. Lunghe per lo più tra i venti e i trenta metri, col vento a favore erano in grado di mantenere la ragguardevole velocità di sei nodi .
Áreos guardò le stelle, pensando nuovamente alla sua bambina che lo attendeva a Kaptara.
Il soldato corpulento e Thalássios sciolsero rapidamente le funi, sollevarono il kỳklos nel suo involucro protettivo, e lo trasportarono con cautela a bordo dell'imbarcazione, dove lo fissarono saldamente alle travi della stiva per evitare che potesse ondeggiare durante la navigazione, danneggiando in tal modo la nave.
Áreos salì a bordo, seguito dagli ultimi due soldati ancora rimasti a terra.
- Fate salire a bordo anche l'asino. C'è spazio a sufficienza - , ordinò Áreos.
Il soldato corpulento non se lo fece ripetere due volte. Con un balzo saltò sul molo, afferrò l'animale per la cavezza, e lo condusse a bordo lungo la passerella, che si arcuò leggermente sotto il peso suo e dell'asinello.
Un istante dopo, Thalássios provvide a mollare gli ormeggi, la vela fu spiegata al vento, e l'imbarcazione prese il largo, lasciandosi rapidamente alle spalle l'isola di Strongili. Il vento di tramontana gonfiava la vela, la prua fendeva come una lama affilata l'acqua nera, la luna e le stelle rischiaravano la notte, delineando le sagome dei sei uomini a bordo.
Áreos si voltò a guardare la costa di Strongili, chiedendosi con preoccupazione se e quando avrebbe potuto rimettere piede sull'isola dov'era nato.

***

Avevano lasciato Strongili da una ventina di minuti quando l'asinello cominciò ad agitarsi. Dapprima ragliò disperato, quasi volesse chiedere aiuto agli uomini che gli erano intorno. Poi iniziò a dimenarsi, cercando di divincolarsi dalla corda con cui era stato legato all'albero della nave. Il soldato corpulento balzò in piedi e, avvicinatosi lentamente all'animale, cercò di calmarlo accarezzandogli dolcemente il muso.
In quell'istante il mondo intorno a loro esplose.
Il boato si udì a decine di chilometri di distanza, e l'onda d'urto investì come una bomba la fragile imbarcazione di legno su cui si trovavano i sei uomini e l'asinello.
La vela venne strappata via. L'albero, spezzato, cadde sul ponte, schiacciando Thalássios e uccidendolo all'istante. Due uomini vennero scaraventati fuori bordo come coriandoli, e si persero nell'oscurità del mare.
Una gigantesca nube ardente si allargò dal cono vulcanico in tutte le direzioni e in pochi minuti coprì l'isola, proiettando roccia e terra a centinaia di metri di distanza.
Una gragnola di lapilli e materiale piroclastico si abbattè pochi istanti dopo sulla nave, squarciando in più punti il ponte e lo scafo, e generando decine di focolai, che i tre uomini sopravvissuti si affrettarono febbrilmente ad estinguere.
Un masso incandescende colpì il soldato corpulento sulla schiena, spezzandogli la colonna vertebrale e uccidendolo. L'asinello fece appena in tempo a emettere un ultimo raglio di terrore prima di essere a sua volta raggiunto e ucciso da un altro masso infuocato.
Un istante dopo Áreos vide con orrore l'ultimo dei suoi uomini, avvolto dal fuoco, correre urlando verso il parapetto, scavalcarlo con un balzo, e scomparire nelle acque nere dell'Egeo.
Rimasto solo, Áreos cercò riparo dietro il parapetto di poppa, le braccia a proteggere la testa e le gambe piegate con le ginocchia a toccare i gomiti, mentre la pioggia di pietre infuocate continuava a bersagliare l'imbarcazione.
Parecchi minuti dopo—ad Áreos parvero ore—la pioggia di materiale piroclastico sembrò attenuarsi. Áreos, aggrappandosi al parapetto, si alzò faticosamente in piedi, stordito. Si tastò le braccia, le gambe, il petto. A parte qualche escoriazione e qualche bruciatura superficiale, non era ferito seriamente. Le orecchie gli fischiavano e i rumori gli giungevano attutiti, come ovattati. Chiamò a gran voce i suoi uomini, uno ad uno, ma nessuno gli rispose. Si sporse dal parapetto della nave, scrutando nell'oscurità in cerca di qualche segno di vita, ma non vide altro che acqua.
La nave imbarcava rapidamente acqua e cominciava già a inclinarsi pesantemente a babordo. Il ponte era così inclinato che ad Áreos risultava difficile mantenere l'equilibrio. La prua era avvolta dalle fiamme, così come ciò che rimaneva dell'albero. Una dozzina di altri focolai stavano divorando rapidamente il ponte e il fasciame esterno. Il fumo nero che si alzava al cielo si faceva sempre più denso, rendendo l'aria sempre meno respirabile. Áreos capì immediatamente che la nave non sarebbe rimasta a galla ancora a lungo. Si guardò intorno, in cerca di un qualche oggetto cui potersi aggrappare allorché, di lì a pochi minuti, la nave sarebbe colata inesorabilmente a picco.
Fu allora che la vide.
Alta più di trenta metri e tanto larga da non riuscire a scorgerne i limiti, una gigantesca onda scivolava veloce nella sua direzione, affascinante e terrificante al tempo stesso.
Áreos si girò un'ultima volta verso sud, in direzione di Kaptara, verso quel porto sicuro che non sarebbe più stato in grado di raggiungere, verso quella figlia che non avrebbe mai più rivisto.
Si voltò quindi nuovamente verso nord, e fissò l'onda enorme che avanzava rapidamente verso di lui. Era ormai a un centinaio di metri da ciò che restava dell'imbarcazione. Áreos inspirò forte, gonfiò il petto, allargò le gambe per ottenere maggiore stabilità, tese i muscoli delle braccia, e si preparò all'impatto.
La poppa dell'imbarcazione si impennò, sollevata come un'esile foglia di ulivo dalla gigantesca onda. L'impatto polverizzò quel che restava dell'assiame già crivellato dalla pioggia di materiale piroclastico e divorato dal fuoco. Áreos venne investito in pieno dalla massa d'acqua, che lo spazzò via dal ponte della nave e lo schiacciò verso il fondo del mare.
Il turbinio dell'acqua lo strattonò a destra e a sinistra e lo fece roteare più volte su se stesso, fino a fargli perdere l'orientamento. Non sapeva più dov'era la superficie e dove il fondale marino. Tutto intorno a lui era avvolto dall'oscurità più totale.
L'acqua gelida gli martoriava la carne come migliaia di piccoli aghi. Agitando con forza braccia e gambe cercò di raggiungere la superficie, nuotando disperatamente nella direzione delle ultime bolle d'aria che uscivano dalla sua bocca, mentre l'acqua vorticosa lo risucchiava sempre più in basso.
Malgrado si sforzasse di continuare a trattenere il respiro, la sua bocca si aprì, come manovrata da una forza invisibile, e ingoiò acqua. Pur avvertendo un crescente bruciore al petto e una sensazione di lacrimazione agli occhi, continuò a nuotare disperatamente verso la superficie. Poi si rese conto che era tutto inutile. In quegli ultimi istanti, provò un'inaspettata sensazione di tranquillità.
Il suo ultimo pensiero non fu il kỳklos, che poco prima si era adagiato sul fondale marino insieme a ciò che restava della nave. L'ultimo pensiero di Áreos andò alla sua piccola Eilínas. Gli parve di vederla in piedi sulla spiaggia, a pochi metri dalla battigia, i capelli sciolti e mossi dal vento, gli intensi occhi color nocciola che lo fissavano, il viso sorridente, la mano che si agitava in un saluto. Il pensiero della bambina gli diede serenità e un sorriso si allargò sul suo volto, mentre il suo corpo scivolava sempre più in basso, ormai privo di vita.

***

In quel medesimo istante, un centinaio di chilometri più a sud, un cavallo galoppava veloce sulle colline di Kaptara. L'uomo che lo cavalcava aveva ricevuto l'ordine direttamente dal re. Nella bisaccia che portava sulla spalla, avvolto in un fascio di fieno, trasportava un disco di terracotta. Ancora pochi minuti e avrebbe raggiunto il palazzo reale di Phaistos, la sua destinazione.
Marco Lemessi
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