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Writer Officina Blog
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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa,
teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana
di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, Non ora, non
qui, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri
sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese,
swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale
alcune parti dellAntico Testamento. Vive nella campagna romana dove
ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A
grandezza naturale", edito da Feltrinelli. |
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama
con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi,
attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano
Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di
ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera
(Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime
di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il
purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati
da Einaudi Stile Libero). |
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria,
si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata
alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice
emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre
Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato
a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus".
Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé,
conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo
libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio
Strega 2021. |
Altre interviste su Writer
Officina Magazine
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Sogno d'amore
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In paese si era abituati al freddo umido e ai nuvoloni grigi carichi di pioggia; l'inverno, era così da quelle parti. Ma la fitta coltre di nebbia che impediva di vedere il cielo a qualsiasi ora del giorno, era davvero insolita. C'era chi diceva che la causa fosse il fumo dei camini, tenuti accesi per troppo tempo. C'era chi lavorava tutto il giorno in miniera e quindi non ci faceva caso, chi scrollava le spalle non curandosene e, c'era una vecchina che con le sue carte, aveva stabilito che il colore che l'aria aveva da un mese, fosse senza ombra di dubbio un cattivo presagio. Qualcosa di terribile stava per colpirli; e la causa di tutto era da attribuire a un uomo che non abitava abitualmente in paese. Forse un forestiero, un turista... questo non si sapeva... Alla strega, come la chiamavano grandi e piccini, nessuno le aveva mai creduto. Neppure quando le sue previsioni si erano rivelate giuste, anzi, la temevano standole lontani. Le carte le dicevano cosa e a chi sarebbe successo ma non poteva evitarlo; manteneva dunque il segreto come tante altre volte aveva dovuto fare.
Il parroco uscì dal confessionale togliendosi la stola dalle spalle; la baciò e la piegò a metà. Dopo essersi inginocchiato davanti al grande crocifisso, si diresse verso la sacrestia. - Padre... - tornò a supplicarlo il bracciante. Con dita corrose dal freddo e dal lavoro, torceva nervoso un cappello di lana e indossava una giacca troppo leggera per quel periodo dell'anno. Gli occhi azzurri come il cielo di primavera non erano sorridenti da tempo. Troppo tristi per un giovane che aveva da poco compiuto vent'anni. - Non voltateci anche Voi le spalle... - - Ragazzo mio, mi chiedi una cosa impossibile. Non posso aiutarti - era sincero. - Il matrimonio è un sacramento Padre; vi state forse rifiutando di adempiere un sacramento? - . - Lei è già promessa a un altro. Stai commettendo un gravissimo peccato... ricordi il nono comandamento? Non desiderare la donna d'altri - . - Conosco questo comandamento, ma non sono io a peccare, un altro uomo che non si cura del male procurato, lo sta infrangendo... e purtroppo non solo questo! E Dio glielo sta permettendo... - - Non bestemmiare - lo ammonì. - Ma è la verità! - - Laerte, adesso basta! - continuò, severo come un genitore che non sa come giustificare un'opinione contraria, imposta a fin di bene. - Voi non avete cuore, Padre - . Don Azeglio gli si avvicinò di nuovo e parlò a voce bassissima. Il tono era benevolo - Se vi unissi in matrimonio, sarà la mia morte, insieme alla tua e a quella della contessina - cercò di farlo ragionare. Sembrava non aver ascoltato - Dio non può volere la morte di due persone che si amano. Lui deve aiutarmi e può servirsi di voi, Padre... - - Lui potrà farlo. Io no, purtroppo... - gli prese le mani per consolarlo e incoraggiarlo - Prega ragazzo mio, prega affinché il Buon Dio ti dia la forza di accettare ciò che non puoi cambiare - . Laerte sfuggì al gesto d'affetto ritraendo le mani e gesticolando frenetico. - Non voglio accettare niente. Voglio sposarla e anche lei lo vuole. Ci amiamo - . Fece una breve pausa; si aspettava parole di conforto che non arrivarono e proseguì con le lacrime agli occhi. - Voi durante la messa di domenica scorsa, avete più volte ripetuto che l'amore è una benedizione - . Don Azeglio cercò di nuovo le sue mani. - Infatti lo è. Basta saperlo vedere... - sorrise. - Evelina, la figlia del fornaio, nutre dei forti sentimenti per te. Ha già chiesto a me di parlarti - - Lasciate stare Evelina... - lo implorò, stanco di quel nome che voleva a tutti i costi sostituirne un altro. - Segui il consiglio di questo vecchio prete... Evelina viene da una famiglia onesta, sarà una brava moglie e una madre premurosa. Và a casa, dà la notizia ai tuoi genitori e iniziate i preparativi - . Laerte annuì. Rassegnato, non a sposare un'altra ragazza, ma al fatto che non avrebbe ricevuto aiuto da don Azeglio. - È certo che presto celebrerete una funzione Padre, ma non sarà il mio matrimonio seppur io sarò l'ospite d'onore - . Le parole non celarono la visione di ciò che sarebbe accaduto. Non alludeva al suicidio, conosceva il destino che lo avrebbe atteso e che don Azeglio stava cercando di evitargli; ne aveva paura ma sapeva di non poterlo eludere. Il parroco lo guardò andare via. Quel ragazzo lo aveva battezzato, aveva sfamato lui e la sua famiglia nei momenti di carestia, lo amava come un figlio e, purtroppo, lo conosceva bene; era certo che non si sarebbe mai arreso e si ritirò in preghiera, decidendo di digiunare per due giorni affinché gli fosse risparmiata la vita.
* * *
Miranda passeggiava tra le perfette geometrie delle siepi al fianco della sua dama di compagnia. Camminava senza guardare dove stesse andando, lasciava che fosse Carolina a guidarla. Dove andassero, non le importava. Si trascinava lenta a testa china e mani giunte. Nascondeva un rosario sussurrando a fior di labbra sempre le stesse parole. L'invocazione era accorata, a tal punto da non dar spazio alla consueta chiacchierata che c'era tra le ragazze ogni volta che si trovavano insieme. Suo padre dall'alto delle sue stanze la osservava, anzi, la controllava. Controllava che facesse davvero la sua passeggiata come lui le aveva ordinato e non andasse alle scuderie. Da tempo le aveva duramente proibito di avvicinarsi ai cavalli ma soprattutto allo stalliere. Il Conte Alvise consultò il prezioso Vacheron Constantin da taschino e prese a fumare la pipa con aria compiaciuta ma non del tutto soddisfatta. La moglie colse subito cos'era che non andava - Alvise, se solo mi aveste dato ragione - sospirò la moglie - Miranda a quest'ora sarebbe una suora e non vi avrebbe dato i pensieri che tanto vi assillano - - Mia figlia sposerà Philippe Béjart - la zittì con autorità. - Né il suo Dio né nessun'altro. Béjart! - . La donna abbassò lo sguardo e non lo rialzò fin quando il marito non uscì dalla stanza sbattendo furiosamente la porta.
* * *
- Si è fatto tardi, Contessina - . La dama interruppe la preghiera. - Dovete cambiarvi per la cena - . La cena... Come poteva Carolina pensare a cambiarsi per la cena e mangiare? Perché tutti ignoravano il fatto che lei aveva bisogno di altro per vivere? Né di pane, né di acqua, né di aria. Solo di poter stare al fianco della persona che amava. Miranda non riusciva a comprendere come nessuno si accorgesse dello stato d'animo in cui riversava, o peggio, come tutti fossero così indifferenti al suo dolore tanto evidente. Le persone che aveva intorno, la stavano uccidendo poco alla volta freddi e spietati. Ognuno ricava qualcosa dalla sua infelicità. Continuavano tutti nel loro intento.
Miranda aveva lasciato tirare i lacci del corpetto fino ad avere difficoltà a respirare. I capelli, raccolti in uno chignon, le erano stati tirati tanto da averle procurato un fortissimo mal di testa e, il vestito che le avevano infilato le cameriere era talmente pesante da farla camminare lenta e affaticata. Ma non un cenno di sofferenza, non una parola. - Siete bellissima - disse una cameriera facendola mostrare allo specchio. Lei si mirò ma non vide nulla di bello. Era come se davanti ai suoi occhi ci fosse del fumo denso che offuscasse il mondo intero. Non rispose; restò con l'espressione infelice a cui suo padre l'aveva condannata. - Vi stanno aspettando - incalzò Carolina in tono fermo capendo che sarebbe scoppiata a piangere da lì a poco. Annuì debolmente e si alzò dalla sedia davanti allo specchio per scendere al piano di sotto. Fu preceduta dal delizioso odore di lavanda che l'accompagnava qualsiasi abito indossasse, poiché desiderava che venisse messo un sacchettino di fiori secchi, vicino ad ogni suo indumento nell'armadio o nei cassetti. Al suo ingresso i due uomini smisero di parlare e la madre, seduta al pianoforte, interruppe la musica che li intratteneva. Tutti si voltarono a guardarla. - Buonasera Generale Béjart - salutò tendendogli la mano con reticenza. - Contessina! - . L'uomo, poco più giovane di suo padre, le prese e la baciò con raffinata eleganza. - Mi chiedevo dove foste, avete portato la luce in questa stanza! - - Sono desolata per essermi fatta attendere - - Se questo splendido viso è il risarcimento; sono oltremodo felice di avervi aspettato - . Miranda ritrasse la mano, concessagli fin troppo a lungo, e abbozzò un sorriso fingendo di essere lusingata dal complimento. - Dovrò farvi visita più spesso... la mia memoria mi tradisce; siete ancora più bella di come vi ricordavo - . - Le lettere che mi fate recapitare ogni settimana, sanno rimediare alla vostra assenza, Generale - . Il tono della voce non fece sospettare che quelle lettere finivano ad attizzare il fuoco del camino, senza che le aprisse. - Peccato che io non possa dire lo stesso delle Vostre, visto che non ne ricevo - disse Béjart continuando in tono gentile. - Eppure, vi assicuro, che faccio partire la risposta lo stesso giorno che le ricevo. Vi fidate di chi vi consegna le missive, Generale? - . L'ospite indesiderato preferì non ribattere e cambiare discorso mostrando il suo sorriso migliore. - Vi prego, chiamatemi Philippe - . Miranda guardò il Conte. - Mio padre converrà con me che è prematura tale confidenza - - Se il mio nome vi da imbarazzo, continuate pure a chiamarmi Generale Béjart; ma spero che vi passi presto, perché sarebbe imbarazzante per me se mia moglie mi chiamasse Generale. Non credete Contessina? - - Non sono Vostra moglie, Generale - - Ancora no. Ma lo sarete presto - - Non vi metterò mai in imbarazzo, statene certo. Dovrete solo indicarmi quali saranno le persone davanti le quali dovrò chiamarvi Philippe - . Il Generale Béjart stava per innervosirsi ma decise di rimanere calmo per non offendere i Conti. - Miranda, perché non ci suoni qualcosa? - più che una domanda, la madre le offrì un consiglio per uscire da quella conversazione. Miranda adorava suonare e, seppure sarebbe servito ad allontanarsi per un po' da quell'uomo, non aveva voglia di concedergli la sua musica, che reputava qualcosa da donare alle persone che amava. - Mamma, stavate suonando così bene, continuate... - . Il Generale capì perfettamente il significato del complimento fatto alla madre e cominciò a riprendersi la sua rivincita - L'ultima volta che ci siamo visti avevate promesso che avreste suonato qualcosa in mio onore. Quindi non farò torto a vostra madre se insisto perché suoniate al suo posto - . Miranda deglutì impedendosi di piangere - Come desiderate - . Andò a sedersi, perse tempo volutamente a sistemarsi il vestito con l'intento di annoiarlo e fargli cambiare proposito invece, lui aspettava paziente, comodamente in poltrona. Non poté prolungarsi ulteriormente e cominciò a suonare il pezzo che più non le piaceva di cui non ricordava neppure le note esatte. Mentre convinceva le dita a muoversi sui tasti, notò la finestra lasciata aperta per mandar via il fumo del focolare e cambiò improvvisamente brano. Scelse la sonata più romantica che esistesse e la eseguì tenendo gli occhi chiusi. Pensava al suo grande amore. Le note del Notturno più dolce dell'epoca, fluttuò nell'aria fredda di dicembre fino ad arrivare, seppur molto debolmente, dall'altra parte del giardino.
Laerte stava spalando il letame. Faceva freddo ma era sudato per la fatica del lavoro. Appena la musica toccò le sue orecchie si fermò voltando la sguardo verso il castello. Riuscì a scorgere una sagoma dietro la finestra. Da quella distanza, nessuno avrebbe potuto dire chi fosse la persona che stava suonando; ma lui era pronto a giurare che si trattava della sua amata. - Cosa fai lì impalato? - . Suo padre lo scosse senza arroganza. - Non ti sono bastate le frustate di ieri? - domandò con immenso dispiacere, ripensando alla punizione che il Conte Varriale aveva inferto al figlio per essersi avvicinato troppo alla Contessina. Gli fece una carezza affettuosa sulla spalla. - Rimettiti a lavorare. Tua madre non reggerebbe di vederti di nuovo con la camicia strappata sulla schiena - . A Laerte non importava delle frustate. Le aveva ricevute senza dimostrare alcun dolore fisico. Il dolore lo provò nell'anima, perché il Conte aveva costretto sua figlia a vedere cosa succedeva a chi non stava al proprio posto. Aveva tenuto gli occhi aperti per guardare i suoi e rassicurarla. Non si era lamentato per non dare soddisfazione al suo padrone, ma quel silenzio fece più male a Miranda che sentì il suono secco e crudele della sferza sulla sua pelle. Laerte sapeva che Miranda aveva sofferto come mai prima e, se voleva evitare punizioni, era solo per lei e non per paura del Conte. Riprese a lavorare senza, però, smettere di ascoltarla. Anche Miranda stava pensando al giorno prima e sperò che quelle note arrivassero a Laerte e potessero alleviargli il dolore. Appena il pezzo finì, i tre applaudirono composti. - Orecchio finissimo, Contessina - la lodò avvicinandolesi. - Questa che avete appena eseguita, non è una sonata ascoltata al concerto di Franz Liszt a Parigi? - - Il mio orecchio è fine ma la vostra memoria è di ferro - il tono non aveva nulla a che fare con un complimento - È proprio un'Opera del Maestro Liszt - . Continuò seccata, si scollò di dosso la sua mano che, sulla spalla, la costringeva seduta e si alzò. - E sapete come si chiama? - . Sapeva dove voleva arrivare. Metterla in difficoltà davanti al padre e magari procurarle una punizione come quella subita insieme a Laerte. Aveva paura ma non si lasciò sopraffare e lo sfidò guardandolo dritto negli occhi. Gli rispose esattamente quello che il Generale voleva sentire e lo fece alzando il viso - Liebesträume - . - Sogno d'Amore! - tradusse. - Una vera dichiarazione! - infierì conoscendo il vero destinatario dell'aria, ma alludendo a sé stesso. - È solo un brano per pianoforte che ho avuto la fortuna di ricordare quanto basta per poterlo riproporre, Generale. Non conosco la storia di questa sonata - . Gli sorrise e si avvicinò al padre. - Vorrei il permesso per ritirarmi nelle mie stanze. Sono molto stanca - - Il Generale Béjart è qui per la tua compagnia, Miranda. Vuoi usargli tale scortesia? - - Se la Contessina è stanca, non desidero che resti a causa mia - . Miranda chiuse gli occhi e cercò di respirare per liberarsi da quella oppressione; ma il corpetto toppo stretto e lo sguardo severo del padre, glielo impedirono. - No, Generale. È un piacere - . Una cameriera parlò all'orecchio della donna più anziana e, appena uscì, la Contessa Clotilde annunciò che la cena era servita.
- Dunque è vero ciò che ha affermato quel poeta... beh ora non ricordo il nome ma ha detto che l'amore toglie l'appetito - disse il francese a Miranda facendo notare ai Conti la cena intatta della figlia. - Finalmente la Contessina lascia capire i suoi sentimenti per me - le accarezzò la mano. Miranda la sottrasse a un bacio ipocrita, prese il cucchiaio e iniziò a mangiare. Il Conte serrò i pugni fino a far diventare le mani livide; dovette lottare contro sé stesso per non dar sfogo all'ira suscitata dalla sfrontatezza della figlia. Decise che doveva, ad ogni costo, metter fine a quell'ignominia. Con qualunque mezzo.
* * *
Rachele mescolava la farina di granturco nel paiolo di rame sul camino e cercava di non pensare al suo mal di schiena. I ricci color oro ondeggiavano seguendo i movimenti del suo corpo. - Questa mattina sono stata da Giustina e mi ha dato un unguento per le ferite di Laerte. Appena torna gli farò le medicazioni - disse al suocero che stava apparecchiando. - Purtroppo, le ferite di Laerte non stanno sulla schiena ma nel cuore... e il cuore non si può medicare - . Rachele sospirò preoccupata - Ho incontrato Evelina al mercato, mi sembrava fiduciosa; dice di aver parlato con don Azeglio per intercedere con il matrimonio tra loro - . Ad Anselmo, quell'argomento lo adirava. - Non vuole sentire ragioni. Ha sentimenti solo per la Contessina. Ma che avrà in quella testa! - - Nulla, è solo innamorato - - L'amore tra un figlio di contadini e una Contessa, non è una cosa possibile - . Rachele dovette dargli tristemente ragione. - Laerte non si rassegnerà mai - - Ne basteranno le frustate del Conte, per tenerlo lontano da sua figlia - - Cosa possiamo fare? - - Avevo intenzione di mandarlo da mio fratello a Roma. Non posso permettere che sua madre lo veda ancora tornare a casa sanguinante. Già non mi perdono di non aver fatto abbastanza per evitarle il dispiacere provato ieri - - E Laerte come ha preso la tua decisione? - - Ancora non ne ho parlato con lui. Lo farò stasera a cena - La giovane donna annuì. Anche se le sarebbe dispiaciuto enormemente, vedeva l'allontanamento come unica soluzione per evitare al ragazzo tragiche conseguenze. Si trattenne dal fare un commento per una fitta avvertita alla schiena che contrasse il suo viso in una smorfia di dolore. Con la mano fermò Anselmo che stava accorrendole in aiuto. - Va tutto bene... non preoccuparti - . Lui si avvicinò nonostante le rassicurazioni e le tolse il mestolo dalle mani. - Questo bambino lo farai nascere sfaticato se tu continui a lavorare così tanto! Devi riposarti un po' - - E lasciarvi tutti affamati? - rispose la ragazza con un sorriso che svelava tutto l'amore che provava per la sua famiglia. - Finisco io. Va a sederti - - C'è da portare dentro la legna, ancora - disse asciugandosi la fronte con il polso. - Non provare ad andarla a prendere! Ci vado io appena ho finito qui - Rachele lo baciò sulla fronte. - Fa troppo freddo per le tue ossa - . Uscì riparandosi la testa dal vento gelido, con il grembiule legato sotto al mento. Tornò in casa intorpidita; pochi istanti fuori erano bastati a farle diventare le gote rosse e a indolenzirle mani e piedi. Ripose i piccoli tronchi nella panca a fianco al camino nascondendo l'affaticamento. Intanto, Anselmo aveva finito di cucinare. Portò il paiolo pieno di polenta a tavola e cominciò a riempire le scodelle per tutti. I figli sarebbero arrivati da un momento all'altro. Rachele prese la prima scodella fumante e andò nella stanza della suocera, dove la donna tossiva stremata, a intervalli così brevi, che non le permettevano di dire più di due parole di fila. La ragazza l'aiutò a tirarsi su, le sistemò i cuscini e sedette su uno sgabello vicino al letto. - Sei la ragazza migliore che mio figlio potesse sposare - - E tu sei la mamma che non ho mai conosciuto - . Le mise un tovagliolo sul petto e iniziò a imboccarla. - Tu hai già mangiato? - - Sì - mentì. Irma non le credette. Scosse la testa amareggiata. - Per colpa mia, anche la fame gli fai soffrire oltre che la fatica - - Sta benissimo. Non ti preoccupare... mangiala calda, ti farà bene - . La tosse impedì alla donna di ringraziarla e lo fece con gli occhi. - Buona? L'ha fatta Anselmo - . Irma approvò contenta. Poi indicò il pancione che la ragazza portava con grande affanno. - Oggi non ha smesso un attimo di scalciare! A volte dubito che ce ne sia uno solo! - lasciò che Irma potesse valutare da sola la vivacità del suo nipotino. - Lo senti? Non vede l'ora di nascere. Ormai manca poco - - Chissà, se riuscirò a conoscerlo... - . Il medico non aveva dato alcuna speranza di guarigione, la probabilità che la suocera non arrivasse a vivere tanto da veder nascere suo nipote, esisteva davvero. Rachele diventò triste cercando di nasconderlo e continuò a imboccarla fingendo di non aver sentito. - Sono tornati i ragazzi? - riprese con sforzo, l'apprensione materna vinse sulla stanchezza. - Saranno qui a momenti - - Quando arrivano vieni a dirmelo... per favore - - Certo! Come tutte le sere - . Rachele smise d'imboccarla, la tosse era diventata troppo violenta. - Anche se sto dormendo... svegliami - - Sì, sta tranquilla - la rassicurò impensierendosi a sua volta per l'aggravamento improvviso. - Mi raccomando... voglio sapere che stanno tutti e due a casa e che Laerte non si sia messo nei guai - - Non lo farà. È un bravo ragazzo - . La crisi era passata, ora anche se a fatica, riusciva a parlare meglio. - Il mondo è spietato con i bravi ragazzi... Laerte è un topolino ingenuo che va a mangiare nelle fauci di un gatto... Aiutalo tu, quando non ci sarò più io... - - Irma, non parlare così - . La donna le prese la mano. - Rachele... voglio andarmene sapendo che qualcuno baderà a lui... Posso morire tranquilla? - . Rachele cercò di nascondere gli occhi lucidi e la rassicurò con uno dei suoi dolcissimi sorrisi riprendendo a imboccarla.
* * *
Appena i Conti si ritirarono per lasciare i futuri sposi da soli, il Generale chiese a Miranda di suonare ancora il pezzo che poco prima la fece commuovere. Béjart provava un sottile ma intenso sadico piacere nel far soffrire quella ragazza che lo respingeva e che, peggio, amava un altro. - Prima, avevo detto con chiarezza di essere stanca ma Vi ho comunque onorato della mia compagnia per la cena. Ora mi chiedete di restare ancora; devo pensare che avete pochi riguardi per la mia salute, Generale? - fece un leggero inchino. - Sapete dove si trova la vostra stanza. Buonanotte - . Riuscì a fare un solo passo. L'uomo la trattenne per un braccio. Lei non tentò di sfuggirgli. - Restate al vostro posto, Generale - . Béjart sembrò non sentire. Miranda rimase pacata sapendo di suscitare la sua irritazione. - Mi state facendo male - - Quando sarete mia moglie, non tollererò questo comportamento - - Io non sarò mai vostra moglie - - È meglio che cominciate ad abbandonare questa convinzione - . - Come pensate di giustificare i segni che farò vedere al mio medico domani, e che dirò mi avete lasciato Voi? - . Béjart soffiò come un gatto pronto ad attaccare. Lasciò la stretta ma continuò a impedirle il passaggio con la sua persona. - Da domani mi chiamerete Philippe, mi porterete rispetto e comincerete a partecipare ai preparativi delle nozze con entusiasmo e intromissione - - Oppure? - lo provocò pericolosamente. - Vi consiglio di farlo, se non volete che ammazzi come un cane il vostro “Liebesträume” - . Miranda spense il sorriso canzonatorio che le era servito per tenergli testa. Sentì un brivido doloroso che la lasciò imperlata di sudore freddo lungo tutto il corpo. Da quando aveva tutti contro per la scelta del suo amore, quella fu la prima volta che provò veramente paura. Lo fissò a lungo negli occhi e vi lesse la cattiveria spietata che caratterizzava un militare addestrato a uccidere e un francese abituato a veder cadere teste. Il Generale si avvicinò al suo viso, parlandole a bassa voce, come se le stesse sussurrando frasi d'amore ammirando un tramonto. - Questo è lo sguardo giusto che dovete mantenere con me, Miranda. Insieme al rispetto voglio questo sguardo, avete capito? - . La ragazza accondiscese evitando i suoi occhi crudeli. Guardava fiera davanti a sé, sforzandosi di limitare il tremore nella voce. - Vi riserverò il rispetto che si conviene a un padrone e, quando i miei occhi vi guarderanno, leggere terrore. È questo che volete? - . - Io voglio Voi e la corona di Vostro padre e dovete impegnarvi affinché io non debba faticare molto per avere entrambe le cose - la baciò sulla bocca. - Avete mai visto rotolare una testa? - . Miranda serrò gli occhi e la bocca in segno di negazione. - Allora, aiutatemi a preservarvene la visione - sorrise e segnò i contorni delle labbra con l'indice, asciugando le lacrime silenziose che andavano a morirci. Miranda non respirava. Il Generale era sempre più eccitato. - Il sangue potrebbe sporcare il vostro bellissimo viso - continuò a terrorizzarla accarezzandole la guancia. - Sapete... il sangue di uno stalliere, puzza come il letame che ha sotto le scarpe. Non volete sentire quell'odore, vero chéri? - - No - . - Molto bene... Ora andate a dormire - . Miranda fece pochi passi con le gambe tremanti. Fu subito richiamata. - Avevate già pensato di indossare il vestito che vi ho portato da Parigi? - - Domani, Philippe - .
Carolina le stava spazzolando i lunghi capelli neri come tutte le sere. Miranda sedeva davanti allo specchio senza alcuna espressione; sembrava che la vita non le appartenesse. - Contessina, permettetemi di dirvi una cosa. Una ragazza bella come voi non dovrebbe avere questo broncio. State per sposare l'uomo più affascinante e più importante che avreste mai potuto conoscere. Il Generale Béjart è venuto dalla Francia solo per voi Contessina, non ne siete onorata? - . Miranda scosse debolmente la testa - È il peggiore degli uomini - finalmente riuscì a trovare la forza di sfogarsi. Aveva comunque un dubbio; non avrebbe saputo dire chi, tra Béjart e suo padre, fosse davvero il peggiore. - Cosa devono udire le mie orecchie! - Carolina fece un lungo sospiro. - Chi ha il pane non ha i denti per mangiarne - - È un pane avvelenato questo - . - Che paroloni! - . La ragazza sorrise continuando a spazzolarla. - Perché neanche tu stai dalla mia parte? - . Era una triste costatazione rivolta a sé stessa, più che una domanda alla sua dama di compagnia. - Stare dalla vostra parte significa volervi vedere rovinata; e io non lo voglio. Un giorno mi darete ragione, Contessina - - Io non amerò mai il Generale Béjart - - Sono cose che si dicono. Imparerete a volergli bene, Ve lo assicuro... dopotutto lo avete visto solo tre o quattro volte. Dopo il matrimonio andrà certamente meglio - - Non proverò mai sentimenti di affetto per qualcuno che non sia Laerte - - Laerte è senza dubbio un bel ragazzo; con quegli occhi azzurri e quei riccioli color del miele, chi può dire che non lo sia? Poi a suo favore gioca l'età... - continuò senza dare alcun peso alle parole - ...È vostro coetaneo... ma è solo un capriccio! - . Terminò con una spensieratezza che voleva convincerla di quanto fosse meglio, a diciassette anni, sposare uno che poteva essere suo padre e che peggio, non amava. Miranda non era mai riuscita a competere con le convinzioni materialiste di Carolina, ma insisté come sempre. - Io amo Laerte. L'amore non è un capriccio - portò una mano sul petto. - È un sentimento che sento nascere qui dentro. Il mio cuore batte perché io amo lui e perché lui ama me - - Il vostro cuore batte perché siete viva - - Se la mia vita sarà lontana da Laerte, il mio cuore smetterà di battere - . Carolina ebbe una raccapricciante sensazione. Come se quelle parole potessero essere una profezia. Mise la spazzola sulla base del mobile molto tempo prima di finire. - Se il signor Conte Vi sentisse parlare così, mi manderebbe via solo perché Vi ho ascoltata - . Poggiò entrambe le mani sulle spalle della ragazza e l'accompagnò a letto. Sistemò i cuscini e le rimboccò le coperte. - Il Generale Béjart Vi renderà molto felice - . Spense la candela sul comodino e se ne andò.
Carolina si chiuse a chiave nella stanza. Da sotto il materasso prese un fagottino e tirò fuori un mazzo di carte per i Tarocchi. Aveva molto paura ad interrogare gli Arcani Maggiori. Da circa un mese La Torre annunciava una terribile catastrofe, La Luna diceva cattiva sorte per una persona amata e le altre suggerivano calma per accettare un cambiamento importante derivante da qualcosa di brutto. Mescolò le carte formulando la richiesta, ne dispose dieci secondo il metodo della Croce Celtica e cominciò a girarle; una alla volta, lentamente... Con il timore di chi sta per toccare il fuoco sapendo che si brucerà. Neanche quella sera il fato le aveva riservato qualcosa di diverso. I Tarocchi dicevano sempre la stessa cosa: Sangue e dolore stavano per colpire qualcuno molto vicino a lei. Impressionata, Carolina, raccattò le carte e tornò a nasconderle accuratamente sotto al materasso.
* * *
A colazione, la giovane Contessina sedeva al fianco del futuro marito. Di tanto in tanto lui le rivolgeva dei sorrisi che venivano prontamente ricambiati. Ad ogni sorriso le sembrava di tradire Laerte ma sapeva che, l'unico modo per salvargli la vita era compiacerlo. Perché il generale Béjart, era sì bravo a far credere a suo padre di essere l'uomo innamorato e privo di interessi che il Conte si beava di avere in casa; le bugie sapeva raccontarle con maestria, ma nelle minacce della sera precedente, c'era autentica e spietata verità che non lasciava malintesi. Il Conte e sua moglie guardavano nei rispettivi piatti senza sentire il bisogno di scambiarsi una qualsiasi considerazione. Il quadro famigliare, in generale, era ben lontano dall'essere bucolico. La Contessina indossava il vestito in taffetà azzurro che le aveva regalato il Generale Béjart. La gonna, gonfiata dalla crinolina, aveva delle onde di merletto bianco sull'orlo. La parte superiore invece, era irrigidita su ogni lato da piccole stecche, chiusa sul davanti con dei gancetti accuratamente coperti da due fiori in pizzo, uno sul petto e l'altro poco più sotto. Le maniche dal gomito in giù, molto ampie, anch'esse rifinite da merletti bianchi. - Quest'abito Vi dona molto. Sembra che sia stata pensato proprio per Voi, Miranda - . - Merito dei Vostri gusti raffinati, Philippe - - Ora che andrò a Parigi con Vostro padre, chiederò a Madame Dubois di far sfilare i suoi abiti più belli e Ve ne porterò altri - . - Andate a Parigi? - domandò stando attenta a non lasciar trapelare l'impazienza per la possibilità di rimanere sola. - Sì. Abbiamo degli affari importanti con dei banchieri ma a pensarci, potreste venire con noi; così sarete Voi stessa a scegliere gli abiti nella boutique di Madame Dubois - . Non poteva rifiutarsi e pensò tutto in pochissimi attimi. La mente le suggerì un piano molto astuto che sarebbe andato a favore dei progetti con Laerte e, nello stesso tempo, non avrebbe indispettito il Generale. - Molto volentieri - rispose mostrandosi felice. - Bene. Partiamo all'alba di domani - . L'entusiasmo si spense. - Domani? - - Cos'è, già ne siete pentita? - - No... è solo che speravo di avere più tempo per prepararmi - - Ai bagagli penseranno le cameriere - - Già, avete ragione Philippe - . Le ore per attuare il suo piano erano davvero poche. Doveva cominciare subito. - Quanto staremo via? Mamma verrai anche tu? - - Circa venti giorni. Vi preoccupate di sentire la mancanza di vostra madre? - - In verità, sì. Mi dispiace saperla qui sola - . Il Generale si rivolse alla contessa - Dunque partiremo tutti! - . La contessa Clotilde accordò cortese. Il tempo incalzava. Doveva far presto. - Philippe... - Miranda si alzò senza aspettare che uno dei servitori le allontanasse la sedia dalla tavola imbandita. - Che ne dite di sfruttare queste ore del mattino per fare una passeggiata? - . Béjart guardò fuori dalla finestra alle sue spalle. - Sta per piovere, ma se Vi fa piacere, Vi accompagno - .
In giardino, Miranda raccoglieva fiori. - So che avete in mente qualcosa. Non credo a un cambiamento nei miei confronti. Sappiate che non Vi toglierò gli occhi di dosso fin quando non avrò capito cosa state escogitando - Miranda celò il nervosismo. - Sono curiosa di vedere i modelli di Madame Dubois. O devo pensare che state ritirando la proposta di regalarmene altri? - - No - rispose seccato, senza convinzione. - Ma non vi preoccupa il fatto che qui non rimanga nessuno a occuparsi dei preparativi delle nozze? - - Pensate che preferisca partire, affrontare due settimane di viaggio con Voi, pur di non rimanere qui a pensare alla cerimonia, e magari far sì che venga rimandata il più possibile? Potrei dire che anche Voi siete poco preoccupato, dato che avete premura per i Vostri affari a tre mesi dal matrimonio - - So che torneremo in tempo. Con il conte abbiamo calcolato con scrupolo ogni dettaglio - - Siamo dello stesso parere. Per ciò che mi riguarda, manca solo il mio abito. E chi Vi dice che non lo troverò proprio a Parigi? - . Non gli diede modo di rispondere. Guardò il cielo grigio - Credo che stia per venire giù un bruttissimo temporale - . Era la frase che da un mese tutti ripetevano, alla fine quel temporale non era ancora mai arrivato. Tuttavia, a Miranda servì a cambiare discorso ed entrare in casa per perseverare nel suo intento.
* * *
Nel mezzo della notte, tutto il palazzo fu svegliato e messo in subbuglio. La contessina Miranda aveva la febbre alta e era in un bagno di sudore. Vaneggiava e non rispondeva alle domande del medico chiamato d'urgenza. Solo nelle prime ore del mattino la temperatura scese e riprese conoscenza. - Lasciateci soli - disse il dottore appena la ragazza fu in grado di parlare. - Come Vi sentite? - - Bene - rispose sorridendo soddisfatta. - Chi Ve li ha regalati? - indicò il mazzo di fiori sul tavolo al centro della stanza. - Nessuno. Li ho raccolti io - . Il dottore la guardò severo, con l'aria di chi aveva dato conferma alle sue ipotesi. - Avete rischiato di morire; siete un'incosciente - . Miranda non poteva credere di essere stata scoperta. Il dottor Ferri, era stato chiamato molte volte in casa di nobili donne che, richiedevano attenzioni da parte di mariti che le tradivano o di famigliari poco premurosi. Sapeva riconoscerle in chi, in camera da letto, teneva quei fiori tanto belli a vedersi. - Le bacche che avete ingerito tramite il decotto, sono molto velenose. Ne conoscevate gli effetti? - - So che procurano febbri alte - ammise con imbarazzo. - Le febbri che causa, hanno effetti gravissimi e ho potuto salvarvi solo perché esiste un antidoto - - Grazie - - Dovete ringraziare Giustina - - La vecchietta che fa le carte? - domandò sorpresa. - Sì. E se non fosse stato per lei, voi sareste morta - . Miranda si alzò a sedere e fece segno al medico di abbassarsi per potergli parlare più confidenzialmente. - Vi prego dottore, chiedo il vostro silenzio - lo supplicò. - Il mio ruolo lo impone - - Cosa sanno i miei famigliari? - - Ho loro detto che Giustina aveva delle medicine che io purtroppo avevo terminato, e ho ordinato che vi lascino riposare per almeno una settimana. Ho visto dei bagagli pronti. Non potete partire nel vostro stato - . La ragazza chiuse gli occhi e ringraziò Dio. Il suo gesto non era stato inutile. - Mi riguarderò - - Contessina, se vedrò ancora fiori come quelli nelle vostre vicinanze, sarò costretto a parlarne con i Signor Conti - - Non succederà dottore. Grazie - . Il medico riordinò la sua borsa e andò via. Carolina entrò subito - Oh Contessina! Che spavento! - - Va tutto bene, Carolina - la zittì frettolosamente. - Mio padre e il Generale Béjart sono partiti? - - Sì. Un paio di ore fa; appena il dottor Ferri vi ha dichiarato fuori pericolo. Il Generale si dice dispiaciuto ma non ha potuto fare altrimenti - . Infilò una mano nella tasca del vestito. - Vi ha lasciato questa lettera - . Miranda la lesse senza alcun interesse.
I miei più vivi complimenti per essere riuscita nel vostro intento.
P.S. Il dottor Joseph-Ignace Guillotin, a Parigi, disse: La lama cade, la testa è tagliata in un batter d'occhio, l'uomo non è più. Appena percepisce un rapido soffio d'aria fresca sulla nuca...
Al mio ritorno vi spiegherò a cosa si riferiva, buona convalescenza.
Miranda trasalì. Il cuore mancò qualche battito e poi cominciò a pulsare come se stesse per scoppiare. Batteva forte sotto la sua preziosa camicia da notte bianca. Credé di vederlo uscire dal petto. Era sola, non poteva permettersi di crollare. Fece un lungo sospiro e impose al suo cuore un battito regolare, o quanto meno, qualcosa di più discreto, che non lo si sentisse da fuori. - Bruciala - ordinò riconsegnandola a Carolina. - Bruciarla? - - Fai come ti ho detto senza impicciarti in ciò che non riguarda il tuo ruolo - . Miranda appariva insolitamente arrogante e autoritaria; ma in realtà era solo molto agitata per quello che doveva fare. - Come desiderate, Contessina - - Mia madre dov'è? - - È in ritiro spirituale da Don Azeglio. Ringrazia il Signore per avervi salvato la vita - - Va bene - . Carolina fece un inchino per congedarsi. - Aspetta. Riempi un cesto della frutta e della verdura più fresca che trovi al mercato e portala a Giustina. Ringraziala da parte mia per l'aiuto che ha prestato questa notte - . In quel momento, sdebitarsi con Giustina era l'ultima delle sue premure. A lei serviva non avere nessuno tra i piedi. - Mando subito Cecilia - - No. Voglio che questa commissione la faccia tu - . Carolina era disorientata dalla singolare richiesta. Non faceva parte delle sue mansioni consegnare pesanti cesti di frutta e verdura. - Va bene. Appena torna la Signora Contessa, vado - - Adesso, Carolina. Adesso - - Ma non posso lasciarvi sola, avete ancora la febbre - - Tu sai quanto sia di cattivo auspicio non ringraziare chi ti ha salvato la vita. Non voglio che mi succeda qualcos'altro di brutto. Vai subito - . Carolina era molto superstiziosa e andò immediatamente da Giustina. Miranda scese dal letto. Le girava la testa e le gambe non la tenevano, tuttavia, le obbligò a muoversi. Doveva fare presto. Fece molta attenzione a passare inosservata dalla servitù che girava per tutto il castello. Scese fin sotto alle cantine, dove il Conte Varriale vantava di conservare i migliori vini del paese. Aprì una piccola finestra e la scavalcò. Il dottor Ferri stava uscendo dalla casa di Laerte e salutò Anselmo con una stretta di mano e uno sguardo costernato. Miranda si accovacciò dietro il grande fontanile e attese che tutti rientrassero. Appena fu certa di non correre rischi, fece il verso della tortora. Dopo pochissimo il suo amato uscì. - Cosa ci fai qui amore mio? - domandò raggiungendola dietro il fontanile ghiacciato. La baciò con fervore. - Quanto mi sei mancata - - Anche tu... I minuti diventano anni, quando non sto con te - - Ma tu hai la febbre! Scotti come il fuoco! Allora di te parlavano le tue cameriere stamattina al mercato! - la strinse forte, come per accertarsi della sua presenza. - Come stai? - - Non dar retta alle chiacchiere del mercato! Sto bene - . Laerte si allontanò. - La mia famiglia vuole che parta per Roma - comunicò abbassando lo sguardo. Miranda, con l'animo ottimista, gli sollevò il viso. - Mio padre è partito per Parigi insieme a Béjart. Possiamo scappare stanotte stessa; non lo sapranno prima di una settimana. Nessuno ci cercherà - - Mamma sta morendo - le disse con mesta rassegnazione. Miranda, sconvolta, si coprì la bocca con la mano e spalancò gli occhi. - Il dottor Ferri ha detto che l'infezione si è estesa. Non c'è più niente da fare. Le restano pochi giorni. Non posso andarmene proprio adesso. Voglio starle vicino, non mi perdonerei mai se morisse e io non ci fossi - - Eppure dev'esserci qualcosa che si può fare per salvarla! - . Laerte scosse la testa. - C'è una medicina per farle sentire meno dolore, ma costa troppo e non possiamo comprargliela - . Miranda si tolse immediatamente la sottile catenina che portava al collo da quando aveva cinque anni. Baciò il crocifisso che pendeva e mise il suo tesoro privato nella mano del ragazzo. - No. Non posso - rifiutò categorico - Era di tua nonna, non te ne sei mai separata - - Irma è stata la mia balia, la amo come se fosse mia madre - . Chiuse il pugno di Laerte sigillandolo con un bacio lungo e umido di lacrime. - Vale molto di più di quanto può costare la medicina - - Meglio così. Tuo padre può permettersi di non lavorare per un po' e stare vicino a Irma. Anche il bambino di Rachele ne avrà bisogno. Però, non venderla qui, la riconoscerebbero. Scendi in città - . Laerte l'abbracciò senza dire nulla. Lei non resse alla tensione accumulata in tanto tempo e si lasciò andare con un pianto dirompente. Piangeva per Irma, per i soprusi che subiva dalla sua famiglia, piangeva perché ancora una volta, una forza invisibile si metteva contro il loro amore.
* * *
- Questo è per te. Te lo manda la Contessina Varriale per il servizio resole questa notte - . A Giustina le si illuminarono gli occhi. Non per i costosi frutti, bensì per la ragazza che dopo molto era tornata a farle visita. - Ti prego, entra - . Giustina era segnata dall'età. Si muoveva a stento e la voce era stridula. - Dai, è da tanto che non ci vediamo - la supplicò. Carolina si guardò intorno e, sicura di non esser vista, accettò l'invito. - Quant'è brutto sapere che ti vergogni di me - - Non mi vergogno di te nonna, lo sai bene e sai anche quant'è importante questo lavoro. L'ho avuto grazie al fatto che so leggere e scrivere e questo lo devo solo ai sacrifici che hai fatto per crescermi, te ne sarò grata per sempre - . Sul viso di Giustina tornò un po' di luce. - Ora tu ed io viviamo dei soldi che guadagno stando al castello ma sappiamo entrambe, che i Conti non mi lascerebbero stare accanto alla loro figlia se... - - Lo so, lo so. Non continuare - . Carolina le rivolse un sorriso di gratitudine; le avvicinò una sedia e preparò una tisana con le erbe aromatiche che la nonna raccoglieva tutte le mattine. - Come sta la Contessina? - - Meglio - . Poggiò la tazza sul tavolo e prese il mazzo di carte, unico e inscindibile accessorio della nonna. Giustina glielo tolse prontamente senza alcuna delicatezza. - Si è fatto tardi. Vai, o si preoccuperanno - . Carolina fece no con la testa. - Le mie dicono che il cielo non è azzurro da molto tempo, perché una gravissima disgrazia sta per abbattersi sul nostro paese. Le ho interrogate anche per sapere che genere di disgrazia sia e chi ne sarà colpito. Ma non riesco a vedere nulla di più. Tu lo sai, vero? - . Giustina l'accarezzò. - Torna al castello e non ci pensare - - Nonna, ho un brutto presentimento. Ho visto tanto sangue e tanto dolore. Il sangue deve appartenere a qualcuno di importante o speciale se il cielo è già triste. Se tu mi sveli ciò che sai, forse si può evitare - - Carolina, ciò che è scritto non si può cambiare. Il destino si compirà. Sta andando per il suo verso anche mentre tu sei qui. Non puoi farci nulla. Nessuno può farci nulla - - Tu... - - Io posso solo prevederlo, non mutarlo - - Dimmi chi - insisté testarda. - Alle persone che si rivolgono a te per l'interpretazione dei Tarocchi, dici tutto. Perché a me non vuoi dirlo? - - A quelle persone, a volte mento perché la verità è troppo dolorosa. Il tuo cuore non può sopportare il peso del mio segreto - - C'entra la Contessina, vero? È suo il sangue che vedo tutte le sere nelle mie carte? - - Ho molto da fare, nipote mia. Ringrazia i Conti per il cesto. E dà alla Contessina, due volte al giorno per tre giorni, il preparato che le ho fatto avere - andò ad aprire la porta e aspettò che la ragazza uscisse.
* * *
Al suo rientro, Carolina andò diretta in camera della Contessina per sincerarsi della sua salute. La trovò a terra, sdraiata, ai piedi del letto. Impietrita dal panico non osava avvicinarsi per costatare se fosse in vita. Provò a chiedere aiuto ma la voce le morì in gola. Indietreggiò per allontanarsi da quella visione che le fece tornare alla mente la profezia annunciata dai Tarocchi. Urtò contro un mobile che sorreggeva un vaso di ceramica mandandolo in frantumi. Cecilia, la cameriera che vigilava sempre nelle vicinanze della stanza pronta a ogni richiesta di Miranda, arrivò quasi all'istante. Davanti a quella scena, a differenza di Carolina, urlò talmente forte che la sua voce echeggiò in tutto il castello facendo accorrere tutte le persone di servizio. La cuoca, la più coraggiosa, si avvicinò senza titubanze. - È svenuta. Aiutatemi a metterla a letto - . A quelle parole tutte le altre si avvicinarono e la presero in braccio con estrema delicatezza, quasi con venerazione. A nessuna era mai capitato di toccare così intimamente la Contessina Varriale. Riprese conoscenza subito dopo aver ricevuto degli spruzzi d'acqua sul viso. - Perché Vi siete alzata? - la rimproverò duramente la sua dama di compagnia. Miranda era frastornata per la caduta, per l'incontro con Laerte e per le forti emozioni vissute. Dovette stare molto attenta nel rispondere. Stava quasi per uscirle di bocca la verità e riuscì a riprendersi giusto in tempo - Volevo andare nella cappella a ringraziare la Madonna per essere guarita - . Carolina con un'occhiata mandò via le cameriere e tornò a rimproverare la Contessina. - Sono più che sicura che la Madonna può ascoltarvi anche da qui - concluse rimboccandole le coperte. - Per te può essere importante consultare le carte, per me è altrettanto importante pregare - . La ragazza le rivolse un ultimo sguardo di disapprovazione. - Volete che Vi leggo qualcosa? - - No. Lasciami sola - disse decisa voltandole le spalle. Fu costretta dal suo stesso corpo a rimanere a letto tutto il resto della giornata. Era incapace di reagire alla spossatezza e, smaltire gli effetti del veleno contenuto nelle bacche, risultava più difficile di quanto aveva immaginato. Nonostante l'opposizione a quella convalescenza forzata, che la teneva lontana da Laerte in un momento in cui nessuno la sorvegliava, rifiutava il cibo e le cure di Carolina e di sua madre. Aveva organizzato la fuga per troppo tempo per reggere la delusione. L'aveva desiderata con ogni parte di sé per sostenere l'ennesima sconfitta. Di tutta la forza e il coraggio, che fino a quel punto era stata capace di dimostrare mettendosi contro la sua famiglia, ora non ne rimaneva neppure una briciola. Fissava immobile la luce del sole mutare minuto per minuto. Al crepuscolo si addormentò con un solo, forte desiderio. Morire chiudendo semplicemente gli occhi.
Conobbe la crudeltà della morte, il mattino dopo, quando svegliandosi scoprì di essere ancora viva. Neanche Lei aveva pietà per le sue sofferenze. Cercò un modo per non dover vedere scorrere quella giornata. Avrebbe sopportato qualsiasi tortura piuttosto che affrontare un'altra ora senza aver accanto il suo amato. Cercò di alzarsi. Le ossa erano indolenzite per essere state ferme tanto tempo; i muscoli indeboliti per il mancato nutrimento. Al primo tentativo ricadde all'indietro, riprovò con più decisione e, molto lentamente, riuscì a mettersi in piedi. Andò alla finestra, spostò la tenda e vide Laerte che lavorava sotto il freddo pungente. I loro occhi si incontrarono. Lui le rivolse un sorriso che invitava ad una visione rosea del loro avvenire. Miranda aprì la finestra e si sporse. Baciò la propria mano rivolgendola poi a lui. Laerte imprigionò dell'aria in un pugno portandoselo al petto. Quel loro piccolo rito la risollevò improvvisamente. Era passata dall'agonia alla felicità più profonda. Nella testa tornò il pensiero della loro vita insieme e la voglia di lottare ancora. Sorrise decisa e fece il gesto che rimandava a più tardi il prossimo incontro. Laerte riprese a lavorare rigenerato. Miranda riuscì giusto in tempo a rimettersi a letto. Carolina entrò con il vassoio del pranzo. - Ben svegliata Contessina. Come state? - - Meglio, grazie - . L'accolse decisamente in modo più amichevole rispetto a come l'aveva tratta il giorno prima. - È bello sentirvelo dire - . Le sfiorò la fronte con il palmo della mano - La febbre è scesa - le porse la tazza e il cucchiaio. - Brodo di pollo - . Miranda storse la bocca. Era tutt'altro che il suo piatto preferito. - Non vorrete mica che vi imbocchi come una bambina? - . Miranda, cominciò a mangiare e scoprì di avere molto appetito. Mangiò tutto quello che Carolina le aveva portato. - Dov'è la collana di vostra nonna? - . La ragazza portò istintivamente le mani al collo e ricordò troppo tardi di non averla più. Pensò velocemente con il timore di pentirsi in seguito della risposta. - L'ho tolta questa notte. Ero sudata e mi dava fastidio - - Non l'avete mai tolta prima - - Non ho mai avuto la febbre così alta, prima - . Abbozzò un sorriso sperando di nascondere la tensione. Carolina annuì per nulla convinta. Miranda scese dal letto. - Dove credete di andare? - le chiese premurosa. - Se non faccio due passi, le gambe si intorpidiranno - . La dama di compagnia dovette darle ragione e lasciò che camminasse per la stanza sotto il suo sostegno. - Voglio scendere e prendere un po' d'aria - - Per questo è troppo presto - - Mi aiuti a vestirmi o vuoi che scenda così? - .
Alla stalla, Laerte strigliava Icaro, un cavallo bianco come una nuvola estiva, il personale di Miranda. Il ragazzo, dopo l'ammonimento del Conte, non aveva il permesso di rivolgere la parola alla Contessina. Restò in silenzio nel suo lavoro; con il cuore in fremuta attesa. Non sapeva quando e se, sarebbe rimasto solo con colei che gli svelava l'unica ragione della sua vita. - Vorrei provare - disse avvicinandosi. Carolina schiuse le labbra per opporsi a quel lavoro sordido, ma Miranda la zittì con un lungo sguardo fulminante. Carolina continuò a mantenere un fazzoletto che odorava di lavanda premuto sul naso; non sopportava l'odore del fieno misto allo sterco, annuì arretrando di qualche passo per lasciarla avvicinare a Icaro. Laerte le porse la striglia tenendo lo sguardo basso. Miranda aveva bisogno di udire la sua voce melodiosa, rassicurante, calda e profonda. Da troppo tempo non la sentiva. Non poté aspettare oltre. - Non sono capace... puoi farmi vedere come si fa? - . Aveva un nodo stretto alla gola che le strozzava le parole. Stargli vicino le procurava fremiti in tutto il corpo. Qualcosa di feroce le attanagliava lo stomaco frammentandole i respiri che erano diventati degli spasmi. Laerte le prese la mano e le mostrò come usare la striglia. Miranda chiuse gli occhi; come per percepire più intensamente la sua presenza. Cercava di dare regolarità ai suoi respiri. Incurante della presenza di Carolina e, di un suo più che probabile tradimento, Laerte guidò la mano della ragazza - Dovete fare dei movimenti circolari, nella direzione del pelo. È buona regola essere metodici, iniziando dal collo, passando alla schiena, ai fianchi e infine alla parte posteriore. Ma fate attenzione, mantenetevi sempre lateralmente, per evitare di prendere qualche calcio - . Miranda rabbrividì quando lui le sfiorò il viso con il braccio. Laerte non sembrò intenzionato a nascondersi. Continuò a massaggiare il cavallo tenendo stretta la mano di Miranda sotto la sua. I sussulti non passarono inosservati a Carolina. - Avete freddo? - - Sì - rispose senza guardarla - Andresti a prendermi uno scialle? - - È più saggio che Voi rientriate - . Oltre che a essere preoccupata per la sua convalescenza, temeva i rimproveri della Contessa Clotilde se fosse rientrata e l'avesse vista fuori, al freddo e per giunta nella stalla con quel ragazzo. - Devo ricordarti che sei la mia dama di compagnia e non il mio medico? - |
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