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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Filippo Zelli
Titolo: I cancelli di Hynterion - Lightbringer
Genere Fantascienza
Lettori 3452 37 57
I cancelli di Hynterion - Lightbringer
- Si, avviene tutto come la logica conseguenza di un qualcosa che era già scritto nel nostro codice genetico. Ora mi viene da sorridere, nella mia vita ho vissuto momenti indimenticabili in cui, da bambino, andavo con un mio amico a vedere gli animali di suo nonno in campagna. C'era un somarello, lo trovavamo sempre nella stessa posizione nella rimessa piena di paglia, fuori era pieno di gabbie per conigli e galline. Una volta trovai un pollo morto vicino al fiumiciattolo che scorreva a confine con la proprietà. Non so perché decisi di gettarlo in acqua ma nell'effettuare il movimento persi l'equilibrio e feci un tuffo. La scena di per sé fu comica perché il fiume era basso a riva, ma un metro più in là e sarei stato trascinato via dalla corrente! -

- Al tempo si giocava a campana, ci si rincorreva senza pensare troppo alle conseguenze di una caduta. Andavamo in giro con delle bici chiamate "chopper", perché simili alle moto dei film in voga in quel periodo. -

- Vede, penso a questi particolari ogni qualvolta osservo la realtà di oggi. Ricordi che in me sono vivi e vitali ma che fanno parte di un universo che non c'è più, essendo passati quasi ottant'anni! Il mondo aveva deciso che era arrivata l'ora di innescare il grande cambiamento, solo che molti di noi non se n'erano accorti. -

- Ecco, cominciavo a essere grandicello, ma da un giorno all'altro vidi persone parlare con grossi telefoni portatili, non erano poi così diversi dalle radioline giocattolo. Si diceva che fossero costosissimi. Qualche anno dopo tutti ne avevano uno, io ebbi il mio quando iniziai l'università. -

- E poi, soprattutto, c'era quella cosa lì che in molti non riuscivamo a comprendere, al tempo la chiamavamo la rete. Facevo le scuole medie quando una mia amica mi invitò a casa sua, suo padre era funzionario di una grossa azienda e spesso lavorava da casa, utilizzando la posta elettronica. -

- Già, le lascio immaginare, non avevamo idea di cosa fosse! Quella cosa sembrava avere informazioni su tutto quanto accadesse nel mondo, ricordo passammo un pomeriggio intero a scaricare quanti più dati possibili sulle missioni Apollo, ci sembrava un sogno! E fu lì, devo dirle, che realizzammo compiutamente la grandiosità di quelle imprese. -

- Non proprio, mio nonno era un fisico e mi raccontava spesso del periodo in cui viveva in Arizona nei primi anni Cinquanta. Sa, in quelle città costruite apposta per i dipendenti delle basi, con le strade tutte uguali, piene di villette con giardino. Lì frequentò uno strano tipo, non mi disse mai il nome, ma lui lo chiamava l'uomo del futuro. -

- Questo tizio parlava come se riuscisse a vedere tutto, sapeva quello che avremmo dovuto fare nel corso del tempo per diventare una società moderna e in grado di comprendere definitivamente l'universo. -

- Esattamente, lì scattò in me la scintilla. Mi resi conto che era tutto vero, il mondo viaggiava segretamente su un binario invisibile. Le persone come quell'uomo, come mio nonno, avevano incanalato il progresso. -

- Il cinema, la letteratura, ci mostravano il punto d'arrivo di un lungo percorso in cui l'uomo avrebbe dovuto lasciarsi necessariamente dietro tutti i limiti che il Novecento aveva evidenziato. Vede, nel futuro non ci sarà spazio per certi retaggi bigotti, per le discriminazioni di ogni natura. Se vogliamo progredire, dobbiamo liberarci definitivamente di essi. -

- Se guardiamo il mondo oggi e lo paragoniamo a quello della prima parte dello scorso secolo non sembrano passati centocinquant'anni, ma mille o più, è come se una forza invisibile ci avesse improvvisamente catturato facendoci accelerare! -

- Alla fine tutto riconduce a quel sogno. Eravamo abituati a vedere le stelle come un qualcosa di distante e talvolta superiore a noi, alla nostra comprensione. Ma non dobbiamo dimenticare mai che siamo composti da scaglie di quella materia astrale. -

- Proprio così, siamo Polvere di Stelle! Il carbonio, l'azoto, l'ossigeno, le nostre particelle e quella delle altre forme di vita, altro non sono che la materia dell'universo primordiale. Miliardi e miliardi di atomi che lo compongono, dopo aver percorso distanze inimmaginabili si sono riuniti, compressi dalla loro stessa gravità. -

- Con ciò voglio dire che il nostro destino è quello di riunirci con la nostra essenza originaria, di ricercare il significato della nostra origine, un significato che potremo trovare soltanto lassù. -

Intervista a Justin Amber – Astronauta – giugno 2066

IL GENIO FANTASMA

Università di Buenos Aires, anno 1959

Il professor Martin Burruchaga diede le spalle alla lavagna e, dopo qualche istante di silenzio, si rivolse agli studenti del secondo anno della facoltà di fisica.
- Quelle che vedete dietro di me non sono semplici formule, ma è il progresso nella sua essenza. Esse contengono una verità il cui peso ha scosso le fondamenta della nostra esistenza: la realtà che state vivendo può essere vista diversamente, in totale legittimità e senza paradossi, da chi vi osserva. -
Lo scienziato si fermò, appoggiò entrambi i palmi delle mani sulla cattedra e fissò il soffitto dell'aula per alcuni secondi, innescando qualche brusio tra gli studenti. Il canuto assistente tecnico Teofilo De Marco, seduto sul banchetto situato nei pressi dell'ingresso dell'aula, nel frattempo soffiò fuori il fumo che aveva trattenuto in gola per l'intera durata del discorso del professore, dando alcuni colpi di tosse che rimbombarono nel silenzio della grande sala.
- Nel nostro universo, signori, non esiste un sistema di riferimento privilegiato! É questa la grande verità, l'innesco della Relatività, se vogliamo il momento in cui la modernità ha preso vita. Chi, secondo voi, ha pronunciato queste parole all'apparenza così semplici ma in realtà tanto ingombranti da spostare per sempre gli equilibri del pensiero umano? -
Uno studente alzò il braccio.
- Albert Einstein! -
- Nikola Tesla! - ribatté una ragazza, un altro giovane seguì citando Isaac Newton.
- Alfredo Di Stefano! - borbottò Teofilo De Marco, suscitando qualche gesto ilare tra gli studenti e strappando un sorriso anche al professor Burruchaga, noto appassionato di calcio.
- Se un giorno doveste avere la fortuna di visitare Roma, amici miei, andate a Campo dei Fiori e guardate al centro della piazza. Nonostante la bellezza del luogo e il calore della gente che lo popola, non potrete non percepire l'aura potente che emana l'immagine, altera e fiera, di colui che ebbe il coraggio di innescare un processo di avanzamento della nostra specie, un processo tutt'ora in corso. -
Il professore, dopo qualche istante di pausa, proseguì.
- Se doveste trovarvi lì rivolgetegli un segno di rispetto e di ossequio, perché quell'uomo si chiamava Giordano Bruno. Quasi quattrocento anni fa, in quello stesso posto, fu arso vivo dalla cecità, dalla paura e dall'ignoranza di coloro che non erano ancora pronti a seguire il sentiero che egli aveva tracciato. -
Il professor Burruchaga si allontanò dalla cattedra avvicinandosi ai primi banchi, si sedette su un banco vuoto con la gamba destra, tenendo il piede sinistro poggiato a terra, e si sistemò gli occhiali.
- Cosa significa che non esiste un sistema di riferimento privilegiato? -
Il professore puntò il dito verso l'ingresso dell'aula, tutti gli studenti si voltarono, seguendo l'indicazione.
- Secondo il mio punto di vista il portone è alto circa due centimetri, per un osservatore che si trova agli ultimi banchi potrebbe misurarne una decina e oltre. Se, invece, dovessimo misurarne l'altezza dalla posizione in cui si trova il banco dell'assistente di sala, forse non potremmo farlo neanche spalancando entrambe le braccia, ma temo che il nostro amico Teofilo sia troppo pigro per mostrarci l'esempio pratico! -
L'aula si scompose per qualche istante, nella facoltà di fisica erano ormai celebri i siparietti tra l'altrimenti austero professor Burruchaga e l'assistente tecnico.
- La fisica è quanto di più democratico possa esistere perché, signori miei, ognuna delle misurazioni risulta coerente con ciò che è in grado di percepire l'osservatore che la effettua. Nessuna di esse possiede un maggior rango di giustizia rispetto alle altre. -
Burruchaga, dopo essersi accertato che tutti gli studenti avessero di nuovo rivolto la loro attenzione verso di lui, proseguì con la spiegazione.
- Ora, l'oggetto della nostra misurazione non sarà più il portone, bensì lo scorrere del tempo. -
Burruchaga cancellò una parte di quanto in precedenza scritto alla lavagna e cominciò a disegnare cerchi, linee e punti, tutti contraddistinti da lettere.
- Se noi ci trovassimo sul mondo Y, vicini a una potente fonte gravitazionale, il nostro tempo scorrerebbe molto più lentamente rispetto a quello di chi si trova nel mondo X. - Lo scienziato si fermò per qualche istante e fissò un punto non ben determinato della platea. - Gli anni trascorsi sul mondo X potrebbero equivalere allo scorrere di pochi minuti sul mondo Y. -
L'aula andò in subbuglio, con il compiaciuto sguardo di approvazione di Burruchaga ormai abituato a godere delle reazioni degli studenti alla prima lezione sulla Teoria della Relatività, come se fosse giunto il climax di un rituale che ormai si ripeteva da anni. Il professore attese circa un minuto, sbirciando qua e là i volti increduli degli allievi e incrociando a più riprese il suo sguardo con quello complice di Teofilo De Marco. Quest'ultimo ridacchiò divertito mentre accendeva l'ennesima sigaretta senza filtro. Burruchaga sapeva che di lì a poco gli studenti avrebbero iniziato a fare le domande più disparate che, difatti, non tardarono ad arrivare.
La domanda più ricorrente giunse nell'immediato.
- Due gemelli che crescono su mondi diversi, Professore, potrebbero quindi invecchiare in modo differente? -
- Certamente. - rispose Burruchaga incrociando di nuovo lo sguardo di Teofilo De Marco.
- Professore, viaggiando su una di quelle sonde che si dice stiano per andare in orbita, sarebbe possibile subire la deformazione temporale? - chiese ancora un altro studente.
Il docente annuì sorridendo quando incrociò lo sguardo del giovane Luis Desideri il quale, teso ed emozionato, era rimasto per lunghi istanti con il braccio alzato, aspettando il suo turno.
- Prego, parli pure. -
- Ecco, Professore - rantolò Desideri con voce tremante, - io volevo chiederle se secondo lei è possibile viaggiare nel tempo. -
Lo sguardo del professore si perse per un attimo nel vuoto e il brusio dell'aula mutò all'improvviso in un silenzio tombale.

Luis amava recarsi presso l'abitazione del suo amico Bini, nella zona a nord est del barrio Palermo. L'aveva conosciuto quasi per sbaglio ai tempi del liceo, un giorno mentre tentava di approcciare in modo goffo e maldestro con una sua amica studentessa al Parque Tres de Febrero. Ricordava alla perfezione quel momento, era seduto sul verde insieme alla ragazza e cercava di stupirla con citazioni dotte e aneddoti scientifici, quando al momento opportuno tirò fuori uno dei suoi assi nella manica:
- È molto interessante l'ultimo teorema di Format. -
- Fermat, si chiamava Fermat! - gli gridò con tono divertito un tizio che si trovava alle loro spalle e del quale Luis aveva percepito la presenza da un po', senza riuscirsi a spiegare il perché. Era come se quell'uomo stesse aspettando il momento propizio per inserirsi nella loro conversazione. Bini era uno strano tipo sulla cinquantina abbondante. Di chiara origine italiana, forse siciliano o calabrese, era circondato da una potente aura di mistero che gli conferiva un certo fascino e, al tempo stesso, incuteva timore e rispetto in Luis.
L'uomo, soprattutto, aveva una conoscenza della fisica all'apparenza sconfinata. Ciò non poteva che fomentare la passione di Luis, che aveva iniziato ad andarlo a trovare quasi ogni settimana. Viveva in una villetta situata lungo un vialone immerso nel verde, uno dei tanti che era possibile trovare nel barrio. Erano ormai un paio di anni che Luis lo frequentava, ma ogni volta che andava da lui era come se vivesse un dejà vu, come se per entrare in quella casa bisognasse prima passare un confine immaginario. Una volta sceso alla fermata dell'autobus percorreva il marciapiede per un centinaio di metri e sentiva sempre quell'odore di foglie e di erba. Vedeva quella grossa Edsel parcheggiata lungo la strada, era così lunga e imponente che le altre vetturette parcheggiate lì vicino sembravano dei giocattoli. Ricordava la bizzarra cassetta delle lettere di una casa che si trovava poco prima di quella del suo amico, con la buca fatta a forma di bocca e il nome illeggibile di coloro che vi abitavano. Infine, vedeva sempre l'uomo vestito di scuro che leggeva il giornale sulla panchina dall'altro lato della strada, segno che era arrivato a destinazione.
Luis, in realtà, non sapeva dire se si fosse imbattuto in quei particolari ogni volta che era stato lì, ma nella sua mente il percorso era ritualmente segnato dalla loro presenza. La porta dell'abitazione non dava sulla strada come tutte le altre, ma occorreva passare di lato lungo un vialetto fatto di pietre. Sulla sinistra c'era la casa, dal lato opposto la siepe che delimitava la proprietà. Vicino all'ingresso si trovavano diverse ciotole, con cui Bini dava da mangiare ad alcuni gatti che ormai frequentavano il posto. Era riuscito a adottarne uno e si rammaricava sempre di non poterli prendere tutti con sé. Alcuni di loro riconobbero Luis e iniziarono a fargli le fusa mentre lui li carezzava.
Il suo amico, accortosi di lui, aprì la porta.
- I gatti sono animali magici! Sono tutt'uno con l'energia che impregna le cose e gli esseri viventi, riescono a sentirla e a comunicare tramite essa, secondo me sono un ponte tra noi e qualche altro mondo. -
I due si guardarono per alcuni istanti e l'uomo non riuscì a trattenere il riso. Si era preso troppo sul serio per stupire il giovane con la sua frase, anche se in realtà sembrava credere in quello che aveva appena detto.
- Secondo me ha ragione signor Bini, sembra quasi che siano di passaggio, che la loro presenza tra gli umani sia solo una tappa di un percorso più lungo. -
- Entra Luisito, ho appena preparato un buon caffè! -
L'interno dell'abitazione era assai semplice, vi erano disegni sparsi qua e là, alcuni incorniciati, si trattava di schizzi di paesaggi nella maggior parte dei casi ma c'erano anche bozzetti di strani congegni difficilmente identificabili.
- Ho saputo che hai iniziato a seguire le lezioni del professor Burruchaga, uomo forse un po' troppo pragmatico ma di indubbio valore e talento. -
- Si, giusto ieri ha introdotto la Relatività, è stata una lezione memorabile. Signor Bini, come conosce il professor Burruchaga? -
L'amico si tolse gli occhiali e cominciò a sorseggiare il caffè ancora fumante.
- Ho letto alcuni dei suoi saggi e una volta ho avuto la fortuna di seguire un suo convegno. - disse mentre sembrava pensare ad altro.
Luis, ogni volta che incontrava il suo amico, passava larga parte del tempo in silenzio e lasciava che fosse lui a parlare. Era molto affascinato dalla sua apertura mentale e dalla sua preparazione teorica stranamente alta. Si chiedeva sempre come una persona potesse avere un tale substrato culturale, una così potente intuizione e una tanto guizzante intelligenza scientifica senza essere conosciuto nell'ambiente. Soprattutto, dava la sensazione di saperla molto più lunga di quello che in realtà lasciava trasparire. Sembrava essere un contenitore che non riusciva a trattenere tutta l'energia che si trovava al suo interno, lasciandone sfogare una piccola parte per non esplodere. Il giovane aveva sempre desistito dal fare domande sul personale, nel timore di poter in qualche modo mettere in difficoltà il suo interlocutore o di apparire ineducato. Al contempo, sentiva dentro di sé un fiume in piena, un forte desiderio di scoprire qualcosa in più sul suo amico.
- La Relatività, caro Luisito, è uno stato di fatto con il quale conviviamo ogni giorno, tutti i fenomeni che a noi si manifestano sono in realtà governati da essa. -
- Si! Le leggi di Newton, che usiamo abitualmente nel quotidiano, non sono idonee a definire i contesti di spazio e tempo più ampi che possiamo trovare nell'universo. -
Bini si alzò e accese il giradischi, che iniziò a suonare Rapsodia in Blue di George Gershwin.
- Non solo, la Relatività domina anche le nostre azioni, i nostri pensieri, la nostra storia. Nel secolo che stiamo vivendo l'essere umano si è macchiato dei crimini più abietti, cercando quasi di dar loro una dignità relativistica che li rendesse giustificabili, almeno da un certo punto di vista. -
- Da un certo punto di vista!? - domandò Luis.
- Molte delle verità che affermiamo dipendono spesso dal nostro punto di vista! Dal punto di vista di Hitler i suoi abomini erano un bene per l'umanità, dal punto di vista di Stalin era giusto che la gente consumasse la sua vita nei Gulag fino a morire di stenti e fatica. Ormai abbiamo bisogno di trovare il coraggio per compiere la nostra vera evoluzione, caro Luisito. Il futuro sta arrivando, in parte è già tra noi ma ci vorrà del tempo prima che venga metabolizzato. Occorre tempo e occorrono persone in grado di fare da elemento catalizzatore tra il sapere e la gente, il pericolo più grande è che la scienza venga utilizzata con fini distruttivi. -
Bini posò il suo sguardo intenso sul viso del giovane.
- Ragazzo mio, sopra di noi incombe una minaccia mai vista dal genere umano, una minaccia scaturita paradossalmente da una cosa buona e positiva. -
- Si riferisce alle armi nucleari? -
- Certo, ma non solo! Parlo di tutto quello che saremo in grado di realizzare nei prossimi anni e non mi riferisco necessariamente alle armi. -
Luis trovò il coraggio e indicò con lo sguardo i disegni e gli schizzi nelle cornici.
- Di chi sono? -
Bini lasciò trasparire una certa soddisfazione.
- Sono miei! Li ho realizzati nel corso del tempo, alcuni risalgono al periodo in cui lavoravo a Roma. -
- Lei ha lavorato a Roma!? -
L'uomo annuì guardando in modo compiaciuto il suo interlocutore, quasi per stimolarlo a fargli altre domande.
- Cosa... - balbettò tremolante Luis.
Bini percepì quella parola con un senso di liberazione.
- Operavo con una equipe di famosi scienziati in una palazzina in Via Panisperna. Diciamo che abbiamo realizzato, beh, qualcosina di interessante. -
I due passarono un paio d'ore a discutere sui vari disegni e sugli studi realizzati da Bini, che sembrava un fiume in piena mentre Luis ascoltava estasiato. Il giovane mai aveva creduto che una persona potesse parlare di argomenti così complessi, e con una facilità tanto disarmante, da farli apparire quasi banali. A confronto con un sapere così vasto e a un talento tanto smisurato i suoi professori universitari, per quanto preparati, gli apparivano come dei novizi al primo anno. L'attenzione di Luis si soffermò su un segno all'apparenza insignificante che contraddistingueva alcuni dei disegni e dei fogli pieni di calcoli. Due quadrati, uniti da un lato in comune, sui quali erano disegnati due triangoli, sembravano quasi due casette di quelle che disegnano i bambini.
- Cosa significa questo simbolo? È la sua firma? -
Bini stette per qualche secondo in silenzio e rispose con aria malinconica.
- Diciamo di sì, lo appongo sui miei disegni e sui brogliacci, per ricordare a me stesso chi sono. -
Luis non capì e lasciò perdere, ogni volta che andava a trovare il suo amico la sua testa era tempestata da una tale mole di informazioni da non riuscire più a stare sul pezzo dopo un po' di tempo.
- Si è fatto tardi. Fammi un favore Luisito, anzi, sono io che voglio farti un regalo, passa qui da me mercoledì dopo le 4 di sera, ho una sorpresa per te. -
Il mercoledì successivo Luis non stava nella pelle, non aveva dormito la notte pensando a ciò che una mente come quella del suo amico potesse definire "regalo" o "sorpresa". Di certo nulla che riguardasse la sfera materiale, Bini era un tipo austero e provava un naturale distacco verso la ricchezza. Ricordò che una volta il suo amico gli citò I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift e in particolare la terra dei Cavalli, dove questi allevavano gli umani e deridevano la loro incomprensibile tendenza a irretirsi dinanzi a inutili diamanti luccicanti.
Mancava poco alla fermata del bus, Luisito si alzò e si avvicinò all'uscita ma cominciò ad avere la sensazione che qualcosa fosse cambiato nello scorrere del paesaggio. Una volta sceso, cominciò a seguire il marciapiede come aveva sempre fatto da due anni, ma percepì subito un'anomalia. Niente più dejà vu, niente più odori e chiaroscuri, non c'era la Edsel parcheggiata, la cassetta delle lettere sembrava uguale a prima ma quelle scritte incomprensibili gli sembravano diverse. Non c'era l'uomo vestito di nero sull'altro lato della strada.
"Sicuramente", pensò Luis, "per un semplice calcolo probabilistico non può essere la prima volta che quel tizio non si trova sulla panchina a leggere il giornale.".
"Ma cribbio!", esclamò dentro di sé dopo essersi reso conto, intraprendendo una vertiginosa probatio diabolica a ritroso, che in tutti i momenti identici trascorsi in quello stesso punto del suo tragitto, solo in relazione a quest'ultimo avrebbe potuto scommettere che quel tizio non si trovasse lì!
Il giovane passò circa un minuto a guardarsi intorno, dopodiché la logica lo costrinse a fare spallucce, quindi girò i tacchi e si incamminò verso l'ingresso della casa. Una volta imboccato il vialetto in pietra, percepì una sensazione di gelo. Tutto era all'apparenza immutato, ma era come se fosse la prima volta che vedeva quel luogo. Notò che non c'erano i gatti, così come le loro ciotole. Guardò la porta di ingresso; gli sembrò diversa, e aperta.
Si fece coraggio ed entrò dentro casa con circospezione, temeva che qualcuno si fosse intrufolato per rubare ma escluse subito l'ipotesi (Quali ladri entrerebbero in un posto dove non c'è nulla da portar via?). I suoi passi e il suo respiro rimbombavano nei muri come se la casa fosse stata svuotata, ma in realtà pochissime cose mancavano all'appello, soltanto i disegni e gli schizzi, non c'era neanche Salem, il gatto che il suo mentore teneva con sé. Luis si rese conto che il senso di vuoto era provocato dalla mancanza dell'aura potente e misteriosa del suo amico, un'aura che avvolgeva la casa di calore ed energia vitale. Egli non c'era più e non si era allontanato temporaneamente, era andato via e aveva portato con sé tutti i ricordi, tutte le emozioni e i rituali che contornavano la sua presenza, era come se quel posto avesse smesso di vivere.
D'un tratto un particolare destò l'attenzione di Luis, al centro del tavolo del salone era appoggiato un aeroplanino di carta, man mano che si avvicinava il ragazzo sentì rivivere qualcosa ma non riuscì a spiegarsi il perché. Prese in mano l'oggetto e si accorse che c'era del testo scritto.
"Per il mio caro amico Luis, in memoria del nostro primo incontro.". Il giovane iniziò ad aprire con cura il foglio e si accorse che c'era altro testo al suo interno, le parole e i calcoli in esso contenuti d'un tratto si palesarono in modo lineare.
- No, non è possibile! -

Era ormai tardo pomeriggio, presso la facoltà di fisica dell'università di Buenos Aires il professor Burruchaga riuscì a trovare alcuni minuti di riposo nel suo ufficio privato. Si sedette sulla comoda poltrona della sua scrivania e iniziò a leggere le ultime notizie relative alla partita tra il Boca Junior, del quale era sostenitore, e il River Plate che si sarebbe disputata in città di lì a pochi giorni. All'improvviso la sua attenzione fu destata da un forte trambusto proveniente dall'esterno della porta, sentì l'addetto alla portineria gridare.
- Il professor Burruchaga non può riceverti adesso! Fermo, sei pazzo, cosa fai?! -
Lo scienziato non ebbe neanche il tempo di realizzare cosa stesse succedendo, quando la porta del suo ufficiò si aprì senza che nessuno bussasse. Vide Luis Desideri, uno degli allievi del secondo anno, che si piegò in avanti appoggiando la mano destra sul ginocchio, fermo sull'uscio con la pelle del viso ormai viola. Il giovane aveva un forte fiatone e un foglio di carta arrotolato stretto nella mano sinistra.
- Spero che lei abbia qualcosa di molto interessante di cui parlare, Sig. Desideri, sono abbastanza stanco e quando sono stanco mi piace stare solo e in silenzio con il mio giornale, senza che nessuno si introduca nel mio ufficio sfondando la porta! -
- Mi perdoni, Professore, ma deve assolutamente vedere questo. -
Luis si avvicinò alla scrivania in modo claudicante e poggiò il foglio che aveva in mano davanti agli occhi del docente. Burruchaga si sedette, accavallò le gambe e iniziò a scrutare il brogliaccio che aveva in mano, non prima di aver inviato un'altra occhiataccia al suo disturbatore.
D'un tratto il professore si fece scuro in volto e cominciò a fissare Luis con aria stupefatta e incredula.
- Questa... questa è opera tua? - chiese Burruchaga alzandosi di scatto con voce tremante rivolgendosi al ragazzo.
- No Professore. -
- E allora chi? Chi può aver dato la dimostrazione del teorema di Fermat con una tale maestria!? Sono anni che tento invano di raggiungere il risultato che adesso trovo scritto in modo quasi irridente su questo foglio, come se fosse un gioco da ragazzi! - L'espressione facciale dello scienziato era indefinibile. - Solo poche persone al mondo, tra quelle che ho avuto modo di conoscere, avevano il potenziale per risolverlo. -
Burruchaga non se ne accorse ma aveva il fiatone anche lui nonostante fosse stato immobile tutto il tempo, il suo volto era paonazzo e il suo sguardo era ormai fisso sugli occhi di Luis. Quest'ultimo cominciò ad avere il sentore che il professore stesse aspettando una sua dettagliata descrizione di colui che aveva risolto con tale nonchalance uno dei rompicapi più temuti dagli scienziati.
- È un mio amico, signore, un italiano, si chiama Bini e deve avere all'incirca la sua età. Di recente mi ha parlato della teoria della Relatività, mi ha riferito di aver letto dei suoi saggi e seguito un suo convegno. -
Burruchaga fece un'espressione simile a quella di un bambino al quale avevano appena rubato le caramelle, Luis continuò.
- Mi ha detto di aver lavorato per anni a Roma con una equipe di scienziati, in una via dal nome strano, iniziava con la lettera "P", mi sembra, Via Pratisperna. -
Burruchaga trasalì e si sedette sulla poltrona, portandosi la mano sinistra sulla fronte, il foglio gli cadde dalla mano destra.
- Via Panisperna... - fece con voce bassa e tremante.
- Esatto, Via Panisperna! Ora che ci penso, Professore, era solito firmare i suoi schizzi e brogliacci con uno strano disegno, guardi, le faccio vedere. -
Luis non fece in tempo a prendere la penna che Burruchaga iniziò lui stesso a disegnare su un foglio, con la mano tremante, il simbolo a cui Luis faceva riferimento.
- Come fa a... -
- Sono le sue iniziali, il tuo amico non si chiama Bini. - Burruchaga si alzò e si avvicinò a un armadietto, aprì un cassetto e tirò fuori una vecchia foto.
- Questa è del 35, ero in Italia per dei seminari e sarei ripartito per l'Argentina il giorno successivo. - L'immagine lo ritraeva insieme a un uomo le cui sembianze erano inequivocabilmente quelle di un giovane Bini. Sul retro c'era una dedica in italiano, "Al mio brillante collega Martin", che si concludeva con lo stesso marchio notato da Luis sui disegni. Burruchaga appoggiò i gomiti sulla scrivania e si mise le mani tra i capelli.
- È vivo, è ancora vivo! -  

II

IL CORAGGIO

Saint-Paul-lès-Durance, Francia, anno 2030

"Questi autopilota di livello 5 sono la mia salvezza!", pensò Denise mentre abbassava il sedile della sua Maserati e si accoccolava per godere di una quarantina di minuti di sonno indisturbato, il tempo che avrebbe impiegato l'auto per condurla dalla sua abitazione al reattore sperimentale del quale era direttrice. Il lavoro e le responsabilità la costringevano a stare di continuo sul pezzo. Lei, per natura pigra e amante del riposo benediva la possibilità, tra un turno e l'altro, di poter dormire ancora un po' durante il tragitto.
Il cicalino dell'auto suonò con delicatezza, seguito da una suadente voce femminile.
- Denise, sei giunta a destinazione, c'è altro che posso fare per te? -
- Un buon caffè! - borbottò la donna mentre disattivava l'autopilota e spegneva l'auto.
"Vediamo se oggi faremo di nuovo un buco nell'acqua, eppure le procedure sono corrette. Dovremmo riempire almeno cinque celle di energia con una sola iniezione, finora siamo stati fortunati ad arrivare a tre", pensò mentre si infilava il camice bianco, dirigendosi con passo svelto verso la sua postazione operativa, nella sala collocata di fronte al reattore.
Uno dei fisici addetti ai pannelli di controllo era di vedetta.
- Eccola che arriva, si accettano scommesse su chi sarà il primo di noi a beccarsi il suo sfogo mattutino. -
Anastasios Charisteas non aveva dubbi
- Inutile che scommettete, sono io quello che verifica le celle di energia. -
Denise entrò nell'area adibita alla gestione diretta del reattore infilandosi le cuffie e l'auricolare.
- Chari, vedi di non darmi dispiaceri anche oggi, già il mio caffè gridava vendetta! - tuonò.
Charisteas alzò le braccia al cielo e fece il segno di vittoria con le mani, roteando sulla sedia girevole, dopodiché rispose alla domanda.
- Durante il Warm Up mattutino abbiamo ottenuto un risultato abbastanza incoraggiante, il campo magnetico non ha provocato perdite significative. La temperatura di fusione è ancora troppo bassa, ma siamo stati comunque in grado di riempire tre celle e mezza. -
Denise consultò i dati.
- Sono incline a concordare, tuttavia non avrebbe senso aumentare la temperatura di fusione impiegando altra energia, a quel punto dovremmo riempire sei o addirittura sette celle per ottenere un risultato soddisfacente, dobbiamo evitare le dispersioni. -
Abdul Amunike, il nigeriano esperto della sicurezza del reattore, attirò l'attenzione dei colleghi.
- Ci sono troppi bypass a mio avviso, non riusciamo ad alzare la temperatura del nocciolo perché perdiamo troppa energia nella ridondanza di queste maledette resistenze di sicurezza. -
La sala rimase in silenzio, tutti sapevano che i bypass funzionavano da elemento catalizzatore per dosare l'energia e che se il nocciolo avesse ricevuto una dose troppo alta nell'unità di tempo le conseguenze avrebbero potuto essere catastrofiche, pur in presenza di interruttori automatici di sicurezza che avrebbero tagliato l'energia alla fonte in caso di problemi.
- Ci è stato comunicato che i bypass avevano una perdita minima e soprattutto identica per ogni esemplare - proseguì Amunike, - ma i miei calcoli dimostrano l'esistenza di differenze spesso macroscopiche tra un pezzo e l'altro, soprattutto le dispersioni sono anche tre o quattro volte maggiori rispetto a quanto indicato dal fornitore. -
- Quindi qual è la tua idea? - chiese Denise. - Non ci è consentito rimuovere un Bypass così a cuor leggero, in teoria il reattore dovrebbe di nuovo essere collaudato. -
L'uomo volse il suo sguardo verso Gisèle Bertrand, l'ingegnere addetto al monitoraggio dei flussi.
- Non ho parlato di rimozione. Potresti far sì che l'energia segua un percorso diverso senza passare per alcuni di loro, escludendo quelli meno efficienti? -
- Posso farlo, anche se non è previsto dal protocollo. - rispose la donna, suscitando alcuni dubbi in Denise, che intervenne preoccupata.
- Non rischieremmo di sovraccaricare i cablaggi, visto che ne utilizzeremmo di meno? -
Gisèle Bertrand scosse la testa.
- Mi sentirei di escluderlo, l'impianto tollera delle iniezioni di energia decine di volte maggiori di quelle effettuate finora, i cablaggi dovrebbero essere in grado di resistere a un carico ben superiore rispetto a quello a cui li abbiamo sottoposti fino a oggi, ci vorrà giusto un po' di tempo per riconfigurare il percorso dell'energia che va al reattore. -
- Facciamolo allora! -
Denise prese posto sulla sua postazione e attese paziente che la sua equipe predisponesse i macchinari per effettuare un nuovo tentativo.
Amunike e Bertrand esclusero dal circuito i bypass a loro avviso meno efficienti. Mentre i due portavano avanti i preparativi Denise cominciò a rendersi conto che una simile condotta forzava al limite il protocollo e che in caso di problemi al reattore avrebbe forse messo in pericolo la sua equipe. Tuttavia, qualcosa dentro di lei le diceva che il tentativo in atto poteva essere quello risolutivo, che grazie a quella scelta il mondo sarebbe potuto cambiare per sempre. La voce di Gisèle Bertrand le risuonò in cuffia.
- Abbiamo terminato. -
Appena ricevuta la comunicazione, Denise spiazzò tutti.
- Tutti nella sala briefing, io vi raggiungo tra un istante. -
I membri dello staff abbandonarono le loro postazioni guardandosi l'un l'altro con espressioni stralunate e sbigottite per quell'ordine così irrituale e inatteso.
- Per quale diavolo di motivo dobbiamo andarcene? - borbottò un ingegnere tedesco mentre chiudeva dietro di sé la porta scorrevole del suo compartimento.
Quando tutti furono a debita distanza dalle sale di controllo Denise abbassò le paratie di sicurezza e rimase seduta sulla sua postazione, convogliando sulla sua plancia tutte le funzioni principali del reattore, l'orgoglio e l'adrenalina cominciarono a disegnarle il viso.
- Adesso ce la vediamo soltanto io e te! -
Bertrand si accorse che le paratie di sicurezza si erano abbassate senza che Denise fosse uscita.
- Ma è impazzita!? -
Amunike girò gli occhi in alto e si rivolse ai colleghi.
- Dovevo intuire subito ciò che aveva in mente, ci ha lasciati fuori perché vuole verificare la fattibilità del processo da sola, senza farci correre rischi. -
Molti lo guardarono preoccupati, ma Amunike si rese conto che la sua responsabile aveva ben ponderato ogni possibile rischio, tenendoli fuori solo per mera precauzione.
- Fidiamoci di lei, andrà tutto bene. -
Gisèle Bertrand annuì.
- Ne sono convinta. -
Passarono all'incirca cinque minuti quando le luci delle paratie di chiusura iniziarono a lampeggiare, nel momento in cui le porte meccanizzate si aprirono l'equipe di tecnici e scienziati trovò davanti a sé Denise, in piedi proprio al centro del varco d'ingresso.
- Beh? Volete entrare o vi serve l'invito scritto? -
Nessuno fece domande, nessuno osò chiedere a Denise cosa diavolo avesse combinato in quei pochi minuti in cui si era chiusa da sola nell'area di controllo.
- Ho eseguito una sola iniezione, quando ho visto la quinta cella che si riempiva senza nessuno sforzo del reattore e senza surriscaldamenti dei bypass ho capito che stavamo facendo un salto in avanti molto più grande di quello che ci aspettavamo. Credo che si possa tentare direttamente e senza pericolo un'iniezione al quaranta percento della potenza con una resa positiva. Inutile che fate quelle facce, avete capito bene, quaranta percento. -
Mentre il team iniziava a predisporre il reattore per la potenza richiesta Denise ebbe un sussulto.
- In verità un dubbio rimane, non so dire quanto la resa possa essere positiva, spero di superare il centocinque percento. -
Charisteas diede il segnale.
- Celle di energia libere. -
Denise ordinò quindi di procedere.
- Iniezione al quaranta percento, cerchiamo di arrivare a quindici celle. -
Le celle cominciarono a riempirsi con rapidità, troppa rapidità. Charisteas si rese conto che l'energia in uscita dal reattore avrebbe potuto essere di più di quella che le celle presenti, cinquanta, potevano contenere. Ciò significava che l'ultima avrebbe potuto esplodere se non avesse deviato il flusso prima che la stessa fosse piena.
- Dottoressa c'è un problema! -
- Non è un problema, sarebbe stato un problema se non avesse funzionato. Non appena la cella numero cinquanta comincia a riempirsi devia il flusso in uscita nella rete nazionale, verrà ammortizzata dalla prima sottostazione che incontrerà! -
Il greco avvertì il cuore in gola quando si accorse che la produzione di energia, anziché diminuire, rimaneva stabile e addirittura sembrava aumentare! Quando la cella numero cinquanta iniziò a riempirsi, non fece in tempo a deviare il flusso che questa iniziò a prendere fuoco emettendo un denso fumo bianco, provocando l'innesco immediato del sistema antincendio! Nella sala di controllo e in tutto il complesso I.T.E.R. di ‎Saint-Paul-lès-Durance cominciarono a suonare gli allarmi, accompagnati da una luce gialla, quella relativa al livello di allerta raggiunto. Non era ancora chiaro se l'esperimento fosse o meno andato a buon fine, il sentore era positivo ma la portata numerica del risultato era ancora non valutabile. L'interfono iniziò a gracchiare, era un responsabile della rete elettrica nazionale, tangibilmente furioso, che li accusava in modo colorito di aver distrutto una grossa sottostazione elettrica con uno sbalzo energetico mai visto prima. Denise poggiò le cuffie sul pannello di controllo, mentre il tizio proseguiva con i suoi improperi. Si avvicinò al pannello di vetro blindato che dava sull'involucro contenente il reattore, dopodiché si voltò verso Charisteas, che era immerso nei calcoli.
- Non è possibile - diceva scuotendo la testa, - deve esserci un errore, per forza. -
- Chari? - sussurrò Denise.
- È troppa, vergognosamente troppa! - Tutta l'equipe fissò in silenzio Charisteas per qualche secondo. - Con un'iniezione di due minuti abbiamo prodotta energia sufficiente ad alimentare New York per mezza giornata! -
Il personale di sicurezza iniziò a entrare nella sala di controllo e si trovò davanti a una scena surreale: illustri scienziati e tecnici in lacrime di felicita che si perdevano in festeggiamenti liberatori, come se qualcosa di grande fosse appena accaduto.
Amunike e Bertrand si strinsero a Denise in un profondo abbraccio.
- Adesso devi andare ad avvertire il mondo. - disse la giovane.
Denise annuì, commossa.
- Non so ancora se è pronto a saperlo, ma stavolta sarà obbligato a cambiare! -
Mancava ancora un tassello, il più importante. Prima che la notizia trapelasse, prima che i social network e i notiziari impazzissero per ciò che era appena accaduto, Denise doveva ultimare la propria missione. Doveva far sì che il cerchio si chiudesse, che il tempo tornasse a quei giorni in cui, ancora bambina, le avevano insegnato a sognare il futuro, in modo tanto intenso da sentirsi parte di esso. Si ritirò sola nel suo ufficio, versò del vino rosso in un bicchiere e fece partire una chiamata.
Un telefono cellulare squillò quel pomeriggio in una sala al quarto piano in un palazzo di Via del Corso a Roma.
- Sono la dottoressa Denise Desideri, vorrei parlare con mio nonno, il professor Luis Desideri. -
Dopo qualche istante rispose una voce bassa, rotta dal tempo e dagli acciacchi.
- La scorsa settimana mi sono fatto dare un passaggio in Via Panisperna, volevo guardarla prima di ricevere la tua telefonata. Ho ripensato al barrio Palermo, a tutto quello che ormai doveva diventare irrimediabilmente passato. -
Denise singhiozzò, suo nonno era sempre stato un passo avanti e per un attimo ebbe la sensazione che l'uomo sapesse già quello che lei doveva comunicargli. Infine, non trattenne il pianto.
- La fusione, la fusione nucleare nonno! Il futuro di cui tanto mi parlavi è qui. Hai sempre avuto ragione, dovevamo solo trovare il coraggio! -
Il vecchio ascoltò in silenzio la dettagliata descrizione del successo ottenuto dalla nipote. Seppur quasi centenario, Luis aveva mantenuto un'intelligenza vivace e attenta, ma ancor di più era riuscito a conservare la sua empatia e la capacità di vivere con intensità ogni momento. Mentre la donna parlava la sua mente volò al professor Burruchaga, a quell'incontro al Parque Tres de Febrero, al vialetto in pietra, ai gatti e alla strana energia sprigionata da quella casa. Dopo aver salutato Denise, raggiante si alzò con fatica dalla poltrona e si avvicinò a un mobile, uno di quelli che aveva fatto trasportare gelosamente dalla sua casa di Buenos Aires quando si era trasferito in Italia. Aprì un cassetto e prese un plico dal quale tirò fuori un vecchio foglio ingiallito. Su di esso era riportata la dimostrazione del teorema di Fermat, seguita da uno strano simbolo.
- Avevi ragione, Bini, dovevamo solo trovare il coraggio! -


LA TORRE

Rieti, Blocco 2 EU, Provincia IT, marzo 2577

- Questa cravatta blu sta meglio con la precedente combinazione di colori su camicia e giacca, mentre il mantello, ecco, per il mantello opterei per una soluzione classica, la prima che mi hai mostrato C27 - L'androide impostò l'immagine tridimensionale mutando gli abbinamenti come richiesto.
- Signore, se posso permettermi, abbinerei un fazzoletto celeste al taschino. -
Gareth diede un'occhiata alla sua perfetta immagine in 3d con le modifiche suggerite.
- Tutto molto bello e molto giusto, direi, però non mi piace la mia espressione di default in questi render, troppo seria. - L'uomo fissò gli "occhi" del cyborg con uno sguardo ammiccante.
- Modellane una partendo dalle mie immagini da sbronzo per favore. -
Il robot simulò una risata.
- Ma era molto più giovane, signore. -
- Allora invecchia la mia faccia da ragazzo, oppure fammi sembrare sbronzo, insomma, una delle due! -
- Ecco, adesso ci siamo. - Gareth fece un cenno di assenso al suo servitore robotico. Amava non prendersi sul serio, cominciò a ridacchiare quando si accorse che l'immagine era stata lavorata dall'A.I. partendo dagli scatti della sua festa di laurea in Ingegneria Aerospaziale al Politecnico di Torino.
"Bei tempi, lì sì che ero una cisterna niente male!", pensò mentre C27 lo aiutava a indossare gli abiti.
In meno di un minuto le braccia meccaniche dell'androide aiutarono Gareth a vestirsi come nell'immagine 3D.
- Un momento signore, manca ancora qualcosa. - L'uomo inarcò un sopracciglio mentre osservava il robot che armeggiava in casa.
- Ecco, le mancava questo - fece C27 porgendogli una bottiglia di liquore, - è per la faccia da sbronzo! -
- Devo dirne quattro a quelli che impostano il vostro livello di umorismo. Fammi andare che ho una riunione importante tra poco più di un'ora, discuteremo in altra sede della tua insolenza C27! -
Gareth viveva in una villa immersa nel verde di un quartiere residenziale in una provincia del blocco 2, nel centro del distretto che un tempo costituiva la Repubblica Italiana. Non stava più nella pelle, era riuscito da pochi giorni a prendere la patente di livello 4. Questa gli consentiva di viaggiare utilizzando le rotte stratosferiche, sfruttando appieno le prestazioni della sua nuova "auto".
Avrebbe dovuto raggiungere l'isola di Diego Garcia, nell'Oceano Indiano, dove si trovava il centro sperimentale del quale era uno dei progettisti di punta. Non appena il nocciolo del reattore raggiunse la temperatura, Gareth diede tutta manetta e il suo Gauntlet non si fece pregare, schizzando in avanti con traiettoria ascensionale. Era l'alba e il trasmettitore a ologrammi proiettò nell'abitacolo la sagoma dell'annunciatrice che dava le ultime notizie. L'uomo spense la trasmissione in 3d lasciando soltanto il segnale audio a basso volume, era la prima volta che pilotava il suo nuovo mezzo e voleva godersi lo spettacolo del mattino. Durante la salita incrociò alcuni traini dell'Aero Club, la centenaria e prestigiosa scuola di volo a vela famosa in tutto il mondo, della quale era socio. Osservò le luci delle città del centro Italia che si svegliavano e salutò le due montagne più alte, una dalla cima ondulata e gentile, l'altra aspra e minacciosa. Sotto di lui, il traffico incrociato delle altre navi in coda ordinata delineava un insieme di rettangoli in costante movimento, come tante file di formiche in opera. Pensò che avrebbe impiegato un'eternità se avesse dovuto viaggiare alla stessa velocità dei tipi che in quel momento si trovavano lì.
Non appena raggiunse la quota di dodicimila metri, notò le luci intense di una delle stazioni meteo fluttuanti che si trovavano qualche migliaio di metri sopra di lui. Erano sfere di una cinquantina di metri di diametro, poste alla distanza di cinquecento chilometri l'una dall'altra, in modo da formare una rete intorno al pianeta. Avevano la funzione di regolare i fenomeni metereologici del globo, la loro modalità di utilizzo era perennemente oggetto di dispute ideologiche.
- Corridoio libero in quota. - comunicò il computer di bordo.
Gareth decise di non badare a spese.
- Booster al massimo fino a velocità limite di mach 4.0. -
La navetta accelerò con forza in linea orizzontale e l'uomo, al fine di percepire appieno la spinta, disattivò l'attenuatore inerziale dell'abitacolo. Una smorfia di piacere si stampò sul suo viso quando la potenza dei motori lo incollò al sedile. La sua navetta, ovvero il Gauntlet prodotto dalla European Enginering, poteva essere pilotata solo con una patente speciale che abilitava al volo veloce stratosferico. Era quanto di più rapido e potente esistesse al mondo in relazione a ciò che era consentito per il solo uso civile e privato. L'oggetto del suo lavoro, tuttavia, riguardava cose ben più avveniristiche e prestazionali di un vascello sportivo per impallinati del volo.
Aveva da poco iniziato il sorvolo dell'Oceano Indiano, dove il traffico alle quote più basse era ridotto al minimo, quando distinse due giganteschi hovercraft da trasporto a largo del corno d'Africa. Saranno stati lunghi un paio di chilometri e fluttuavano a poche decine di metri sul livello del mare. Il pensiero di Gareth andò alle petroliere e alle navi da carico, che un tempo solcarono gli oceani, lasciando dietro di loro una scia di veleni. Fortunatamente, l'ingegnerizzazione della fusione nucleare, avvenuta nella prima metà del ventunesimo secolo, consentì all'umanità di avere energia pulita in abbondanza per ogni sorta di applicazione. L'uomo non dovette più ricorrere ai combustibili fossili. Il pianeta, nonostante ciò, impiegò più di un secolo prima di guarire del tutto.
Il cicalino del sistema di navigazione iniziò a lampeggiare, - Vettore di ingresso per rotta 145, siete autorizzati all'atterraggio nella piazzola 22 - La nave si avvicinò all'isola di Diego Garcia. Dopo qualche istante Gareth distinse il grande complesso sperimentale intitolato a Stephen Hawking, con la sua alta torre.
L'uomo attivò l'autopilota e il Gauntlet si diresse verso la piazzola numero 22, atterrando sulla verticale.
- Bello il tuo nuovo giocattolo, adesso puoi dormire un'ora in più prima di venire a far finta di lavorare! - borbottò il comunicatore. Era Roxana, la direttrice del complesso, sua amica intima di vecchia data.
- L'ho comprata apposta per portarti fuori a cena, mon cherie. -
- Ti si sta allungando il naso, lo vedo da qui! -
Gareth ridacchiò.
- Balle, quando mai ti ho preso in giro, non sarebbe da me. -
L'ufficio di Roxana si trovava all'ultimo piano della torre situata al centro del comprensorio Hawking. Un rapido ascensore percorse il miglio di altezza in pochi istanti, provocando a Gareth un fastidio alle orecchie. L'uomo entrò nella stanza della direttrice. C'era un'ampia vetrata che offriva una visuale spettacolare sull'oceano e la donna era seduta sulla sua poltrona, di spalle, rivolta verso l'esterno.
- Ho capito che devi fare economia, se vuoi te lo rifaccio gratis un bel sistema di pressurizzazione a questo diavolo di ascensore, mi sta scoppiando la testa e... - L'uomo si interruppe non appena Roxana girò la poltrona verso di lui e si alzò per andarlo a salutare.
Lei indossava un vestito rosso aperto sulle spalle, con una gonna che si allargava poco sotto le ginocchia e dei sandali neri con tacco alto. Fece il giro dell'ampia scrivania ricurva che seguiva il profilo del finestrone, si avvicinò a Gareth e lo salutò con una carezza sulla guancia, si sedette sulla scrivania poggiando i palmi delle mani e accavallò le gambe.
Gareth cercò di rimanere serio.
- Perché ogni volta fai di tutto per rendermi impossibile guardarti negli occhi? -
La donna sorrise maliziosamente.
- Dicevi del mio ascensore? -
In quell'istante entrò Demetrius Madd, l'autorevole primo ufficiale scientifico del complesso Hawking.
- Signori, con permesso. - L'uomo era noto per il suo carattere burbero e poco flessibile, ma era così preparato ed efficiente nel suo lavoro da risultare imprescindibile per Roxana. Non appena ebbe l'attenzione dei due interlocutori, l'ufficiale attivò l'oloproiettore.
- Abbiamo due problemi. - sentenziò con tono perentorio.
Gareth storse il naso.
- Perché chiamarli problemi? Non sarebbe più corretto chiamarli, che so, ordini del giorno, fattispecie? - Il suo sguardo incrociò quello furioso di Roxana che lo invitava a tacere.
Madd proseguì.
- L'U-23 è pronto per il volo di prova, il sistema di propulsione standard è operativo senza limitazioni. -
- Ecco, vedete? Questo non è un problema. - bofonchiò Gareth.
L'ufficiale scientifico mantenne il suo professionale distacco e proseguì.
- I problemi relativi a questo problema, in realtà, sono già due, Ingegnere. Lo sviluppo del sistema di propulsione sperimentale procede a rilento, credo che sia impossibile metterlo a punto. Non sappiamo inoltre a chi affidare i test di volo, la maggior parte dei nostri migliori piloti è in licenza. Le battaglie lunari hanno, di fatto, decimato la nostra avanguardia storica, sia per le perdite quanto per le necessità del personale reduce di avere un meritato riposo. -
Madd alzò lo sguardo e concluse, schietto.
- Signori, in questo momento la nostra flotta può contare soltanto su delle reclute appena uscite dalle accademie, nessuno in grado di portare in volo l'U-23 -
- Non è così, lo farà Lui. - ribatté Gareth fissando Roxana negli occhi. Questa scosse la testa.
- Credo sia fuori discussione, ha lasciato intendere con chiarezza che non volerà più - La donna aprì la scheda dell'ufficiale in questione. - Pluridecorato, migliaia di ore di volo ad alta velocità nello spazio, volo acrobatico, capitano di squadriglia di caccia stellari classe Harpya e altro, il suo curriculum parla chiaro. -
- State per caso parlando del tizio che ha smesso di volare per la flotta dopo la battaglia del cratere Apollo? - chiese Madd.
Gareth sospirò
- Esatto, lentamente le Guerre dei Diamanti lo hanno consumato. Portandolo a dubitare dei motivi per cui volava, del perché l'umanità dovesse abbassarsi a tali bieche atrocità. Pian piano, ha perduto la forza che lo contraddistingueva. Pur conducendo con successo la sua squadriglia nella vittoria finale, ha finito per dilapidare la forte motivazione degli inizi, quella che aveva quando era un guardiamarina fresco di corso. -
- Da quel momento non è più voluto salire su qualsiasi mezzo della flotta - continuò Roxana. - Credi di riuscire a fargli cambiare idea? -
Gareth annui e rivolse lo sguardo all'ufficiale scientifico.
- Se non sbaglio c'era dell'altro, Madd? -
- È così, sembra che la Columbus sia entrata in un campo di asteroidi. -
Roxana trasalì.
- Sembra? -
- Sono le nostre ultime informazioni, ma è ormai distante 12 anni luce per cui è difficile tracciarla con esattezza anche con lo scanner tachionico. -
Gareth fece spallucce.
- Che c'è di così anormale? È un'eventualità per affrontare la quale credo fosse stata progettata. Si tratta di una nave lunga otto chilometri e ha potenti scudi di energia, non credo che quattro sassolini possano comprometterla. -
- È proprio questo il problema. Non parliamo di asteroidi come quelli che orbitano nella fascia tra Marte e Giove, la loro grandezza media è maggiore. -
- Quanto maggiore? - replicò preoccupata Roxana.
- Il sistema di navigazione automatico della Columbus le consente di schivare con agilità gli asteroidi più grandi e i planetoidi. Di norma i corpi di piccole dimensioni non sono considerati un problema in quanto rimbalzano sullo scudo o si frantumano nell'impatto. -
- Ma? - domandò Gareth unendo i palmi delle mani.
- Stando ai dati potrebbe esserci un'ampia concentrazione di asteroidi dalle dimensioni di qualche decina di metri. Questi non possono essere rilevati in tempo utile dagli scanner, e quindi evitati. Al contempo, ripetuti impatti potrebbero mettere in crisi la tenuta delle barriere di energia, la velocità relativa è pari a poco meno di un terzo di quella della luce. -
- Teniamo la situazione della Columbus sotto costante osservazione, in questo momento non è opportuno formulare ipotesi di nessun tipo, rischiamo solo inutili allarmismi. - rispose Roxana. - Aspettiamo le prossime scansioni tachioniche per prendere eventuali provvedimenti. -
- Se non ci sono altre domande, tornerei alle mie incombenze. - concluse Madd. L'uomo mosse un formale cenno di saluto e abbandonò la sala.
Gareth fece il giro della lunga scrivania con passo lento e si accomodò sull'ampia poltrona girevole di Roxana. Dopodiché, fisso negli occhi la donna, rimasta in piedi a fianco dell'oloproiettore.
- Quali provvedimenti prenderesti a dodici anni luce di distanza? -
- Non ci saranno problemi. -
- Ti ricordo che lì dentro ci sono trentamila persone in criostasi. -
- E io ti ripeto che andrà tutto bene. - gli replicò lei decisa, ma il suo sguardo tradì un'evidente preoccupazione. - Ti chiedo solo un favore - aggiunse, - abbiamo bisogno di lui, convincilo a tornare in squadra. -
Filippo Zelli
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