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Writer Officina Blog
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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa,
teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana
di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, Non ora, non
qui, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri
sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese,
swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale
alcune parti dellAntico Testamento. Vive nella campagna romana dove
ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A
grandezza naturale", edito da Feltrinelli. |
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama
con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi,
attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano
Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di
ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera
(Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime
di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il
purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati
da Einaudi Stile Libero). |
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria,
si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata
alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice
emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre
Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato
a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus".
Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé,
conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo
libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio
Strega 2021. |
Altre interviste su Writer
Officina Magazine
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Persone, giochi e compagnie che fecero la storia dei videogiochi.
Stage 1: dalle origini al 1979.
1979 – To the Moon: Lunar Lander Si stima che il 20 luglio 1969 venticinque milioni di cittadini statunitensi si radunarono davanti ai televisori per vedere in diretta l'atterraggio del modulo lunare Eagle nel Mare della Tranquillità. Non si trattò di uno spettacolo riservato ai soli americani. Il presidente Nixon stava per vincere una tappa decisiva nella lunga corsa allo spazio ed era nell'interesse della sua nazione che il maggior numero di paesi potesse assistere, e ammirare, la potenza tecnologica degli Stati Uniti: con collegamenti satellitari, i popoli di ben 33 nazioni riuscirono ad assistere in diretta a questo momento storico. Decine di milioni di spettatori seguirono con il fiato sospeso quella lenta discesa, scandita dalla comunicazione tra gli astronauti e il Centro di Comando, con l'indicazione della quota, la velocità verticale e, per chi aveva sintonizzato il televisore sulla CBS, persino una ricostruzione animata con effetti speciali del modulo lunare con i motori accesi. I più rimasero impressionati, conservando un ricordo indelebile del momento in cui Armstrong, un attimo prima di mettere piede per la prima volta sul suolo lunare, pronunciò le famose e memorabili parole. Un diciassettenne del Massachusetts, no. Jim Storer rimase più colpito dalla discesa, dalla lunga partita giocata tra il pilota e la gravità lunare, quel lento ballo in cui l'Eagle una volta concedeva all'attrazione gravitazionale di vincere una battaglia e accelerare il modulo verso il basso, per poi fare marcia indietro e dare potenza ai motori e decelerare la discesa, giocando sul filo del rasoio, con lo scopo di scendere senza consumare troppo carburante e, allo stesso tempo, senza prendere troppa velocità. Perché se il Lunar Lander fosse arrivato a terra troppo veloce, sarebbe stata una catastrofe, esattamente come se avesse consumato troppo carburante per un atterraggio dolce, col rischio di non averne abbastanza per sfuggire poi all'attrazione gravitazionale della Luna per tornare sulla Terra. Affascinato dalla teoria che stava dietro quelle comunicazioni, Storer si fece spiegare dal padre leggi fisiche in azione e le equazioni matematiche con cui rappresentarle e intravvide la possibilità di ricreare quella emozionante discesa sotto forma di gioco. Nell'autunno del '69, pochi mesi dopo l'atterraggio dell'Eagle, Jim frequentava la scuola media superiore di Lexington e aveva accesso ai sistemi informatici dell'istituto. Storer: “La scuola media superiore di Lexington aveva un PDP-8. Aveva otto telescriventi Teletype, un piccolo hard disk, 12 KB di memoria, di cui 8 erano usati dal sistema e i rimanenti 4 erano a disposizione in time sharing per gli utenti.” Il minicomputer della scuola, alimentato da una sofisticata Card Sorter targata IBM (la type 83, capace di mettere in ordine e caricare ben 1000 schede perforate al minuto, producendo un caratteristico rumore di meccanismi in movimento e fruscio delle schede in cartoncino) poteva essere programmato con un linguaggio allora abbastanza diffuso sui sistemi Digital Equipment Corporation (DEC): il Formulating On-Line Calculations in Algebraic Language (FOCAL). Scritto da Richard Merrill appositamente per il PDP-8, il FOCAL era un linguaggio di programmazione studiato appositamente per risparmiare la memoria e funzionare quindi su piattaforme che avevano a disposizione pochi Kilobyte. Per minimizzare l'utilizzo di memoria, Merrill si era basato su un altro linguaggio di programmazione, il JOSS, e lo aveva modificato semplificando il parser (la parte di codice che si occupa di interpretare le stringhe di comandi inserite dall'utente) e tagliando un buon numero di feature. Una delle conseguenze della semplificazione voluta da Merrill era che i comandi (IF, TYPE, GOTO, etc.) erano tutti ridotti a un singolo carattere, quello iniziale. Il FOCAL era pensato per produzioni scientifiche e aveva una struttura molto involuta, ossia a “spaghetti code”, nel gergo dispregiativo dei programmatori, per via dell'arrotolamento del codice, spesso illeggibile da chi non lo aveva programmato. Utilizzando il FOCAL, Jim Storer si mise a programmare il suo gioco. Ricordando le comunicazioni tra gli astronauti e il Centro di Comando, Storer decise di concentrare il gameplay su quattro fattori chiave: la quota dell'astronave, la sua velocità verticale (positiva voleva dire che il modulo stava scendendo, negativa indicava che l'astronave stava salendo), il carburante a disposizione e, ovviamente, il tempo. Il sistema non aveva output video, ma solo su carta, tramite le telescriventi, le quali non erano in grado di stampare alcuna grafica. Il gioco di Jim, quindi, era esclusivamente testuale: a ogni turno (della durata simulativa di dieci secondi), il giocatore doveva decidere con quanto carburante alimentare i motori. Immessa la cifra desiderata (compresa tra 8 e 200), il programma eseguiva il turno, calcolando il carburante usato, la variazione nella velocità verticale e la nuova quota a cui il modulo lunare si veniva a trovare all'inizio del turno successivo. Lo scopo del gioco, chiaramente, era di toccare il suolo lunare (quota pari a zero) con una velocità tale da non schiantare l'astronave. A quota zero raggiunta, il programma verificava la velocità terminale e, in base al valore assunto al momento del contatto con il suolo, il giocatore aveva come output l'esito dell'atterraggio: entro le dieci miglia all'ora, l'atterraggio veniva considerato ottimo, con una velocità non superiore a 25 miglia orarie, l'atterraggio veniva considerato discreto, ma migliorabile, fino a 60 miglia il giocatore veniva avvisato che l'impatto era stato molto duro, non letale per l'equipaggio, ma che il veicolo era danneggiato (terminando il messaggio con un laconico “good luck!”) e, se la velocità di impatto era superiore alle 60 miglia orarie, l'esito era una catastrofe tale da “creare un nuovo cratere lunare”. Completata la scrittura e testato il gioco, che, per via del linguaggio utilizzato, era molto intricato e di difficile lettura, lo studente salvò il programma e lo mise a disposizione dell'intera scuola con il nome di Rocket. L'insegnante di informatica, Walter Koetke , apprezzò molto il lavoro di Storer e gli propose di mandare il programma direttamente alla DEC. Storer fu d'accordo e Koetke spedì il programma per conto dello studente, presentandolo come FOCAL Lunar Landing simulation (APOLLO). Sin dal 1962, la DEC aveva la newsletter interna di cui si è già parlato. DECUSCOPE, Information for Digital Equipment Computer Users, così venne chiamata inizialmente, veniva distribuita a tutti gli utenti dei propri sistemi. Lo scopo della newsletter (poi rinominata semplicemente DECUS) era quello di fornire a tutti gli utenti dei sistemi DEC una serie di listati di programmi con il duplice obiettivo di dar loro una libreria di programmi già pronti da usare o da studiare per apprendere la programmazione e, allo stesso tempo, di mostrare le potenzialità dei minicomputer PDP dando una prova immediata di cosa un programmatore esperto poteva ottenere con poche righe di codice ben scritto. Il programma di Storer venne ricevuto il 20 gennaio 1970 e inserito nell'edizione FOCAL8-81 con il listato completo di 40 righe e una breve descrizione: “Questo programma simula realisticamente un atterraggio lunare con capsula Apollo, usando cifre fornite dalla NASA. La simulazione inizia a 0 secondi, con il modulo a 120 miglia dal suolo lunare, con 16000 libbre di carburante e una velocità di 2600 miglia orarie. Ogni dieci secondi il sistema fa un check di velocità, altezza e carburante rimanente e il giocatore può decidere l'utilizzo di carburante per l'intervallo di tempo successivo. L'obiettivo è di atterrare in sicurezza sulla Luna.” Come era capitato già ad altri giochi prima e come sarebbe già successo altre volte, Rocket, o Lunar Landing, ebbe un rapido successo e, grazie alla newsletter, si diffuse in modo pervasivo ovunque erano disponibili i sistemi DEC. Molti studenti e programmatori, ispirati dall'intuizione di Storer, studiarono il codice e si misero a modificarlo con l'intenzione di migliorarlo. Fiorirono quindi le versioni personalizzate del gioco di Storer, con modifiche alle formule matematiche o l'introduzione di nuove variabili, come Apollo II di David A. Moon della Wayland High School, nel quale, oltre a doversi destreggiare anche con lo spostamento orizzontale, in aggiunta a quello verticale, il giocatore deve misurarsi con piccoli errori casuali nelle letture strumentali. Quando il gioco venne portato in BASIC, la sua diffusione aumentò drasticamente per via del fatto che poteva essere eseguito e giocato profusamente anche su sistemi informatici diversi da quelli di DEC su cui era stato programmato originariamente. Più il gioco si diffondeva su sistemi differenti, maggiore pubblico raggiungeva, dando modo ad aspiranti programmatori di cimentarsi nel creare innumerevoli variazioni sul tema. La semplice genialità del gioco di Storer era un richiamo irresistibile per tutti, studenti e programmatori esperti, e molti lo usarono come punto di partenza per creare una versione personalizzata, oppure per fare qualche cosa di completamente nuovo. Tra i tanti che conobbero Rocket, una delle figure chiave è certamente quella di David H. Ahl, di cui abbiamo già parlato. Molto colpito dalla diffusione del gioco di Storer, al punto di scrivere “questo gioco, nelle sue tante versioni con nomi differenti (ROCKET, LUNAR, LEM e APOLLO) è di gran lunga il più gioco per computer più popolare” , decise di includerlo sin dalla prima versione del suo libro BASIC Computer games, nel 1973, con il nome ROCKET e il titolo “Fai atterrare una capsula Apollo sulla Luna”, unitamente a due delle tante versioni derivative: quella scritta da Eric Peters, dipendente DEC di Maynard, e quella di William Labaree II di Alexandria. Particolare divertente della versione BASIC di ROCKET pubblicata da Ahl è che il gioco viene introdotto in modo diverso rispetto all'originale. Nella prima versione di Storer, l'utente aveva una concisa e laconica spiegazione del background del gioco: “Centro di controllo chiama modulo lunare. Il controllo manuale è necessario.” Nella sua versione, Ahl cambia le carte in tavola e non perde l'occasione per fare una salace battuta sui computer della concorrenza: “Il computer di bordo ha un'avaria (non è stato costruito da Digital), quindi devi far atterrare la capsula con i comandi manuali”. Nelle versioni successive del suo libro, lo scherzo di Ahl cambia nuovamente e assume un bersaglio ben mirato(“È stato fatto da Xerox”) anche per via del fatto che, nel frattempo, tra Ahl e DEC c'è stata una definitiva rottura. Curiosamente, Rocket non fu l'unico gioco sviluppato alla Lexington High School e poi incluso nel libro di Ahl. Un anno prima, nel 1969, tre coetanei di Storer, Larry Cram, Luther Goodie e Doug Hibbard, scrissero un lungo e complesso gioco di simulazione bellica dal nome Civil War. Il programma poneva il giocatore di fronte alla sfida di non vincere una singola battaglia, ma concludere vittoriosamente l'intera campagna composta da quattordici dei più famosi e importanti scontri della guerra di secessione. Avendo a disposizione due tipi di risorse, uomini e soldi, il giocatore/generale doveva decidere come agire in battaglia all'interno di una breve lista di possibili strategie offensive o difensive. Il programma procedeva poi a calcolare l'esito dello scontro tenendo conto del morale (dipendente dai soldi spesi), degli uomini impegnati nell'azione e della strategia che si era rivelata storicamente più adatta alla battaglia, e segnalava le perdite sotto forma di morti e disertori, per poi passare allo scontro successivo. Differentemente dal gioco di Storer, Civil War era stato scritto nativamente in BASIC e Ahl non dovette quindi adattarlo per pubblicarlo nel suo libro. Grazie alla pubblicazione di Ahl, Rocket acquisì una grande popolarità, fino ad arrivare prima nei circoli degli hobbisti e poi nelle case dei primi acquirenti dei microcomputer. Ma, prima di finire nelle memorie RAM dei computer di Trinity, il codice di Rocket fece due passi importanti. Nello stesso periodo in cui Ahl pubblicava la prima versione del suo libro, la creazione di Storer veniva utilizzata direttamente da DEC a scopo commerciale e dimostrativo. Nel 1973, la compagnia aveva da poco commercializzato un terminale a grafica vettoriale, il GT40, che aveva specifiche tecniche veramente innovative. Venduto a meno di 11.000 dollari (equivalenti a 66.000 dollari del 2021), il GT40 era qualche cosa di più di un semplice terminale con grafica avanzata: poteva essere usato anche stand-alone, come un normale computer, e disponeva di una penna ottica che l'utente poteva usare come dispositivo di input. Coerentemente con la politica di DEC, anche il GT40 aveva bisogno di software per mostrare le vere potenzialità della macchina, per altro decisamente costosa, e venne quindi presa la decisione di riutilizzare il concetto elaborato da Storer e il gameplay di Apollo II, per produrre un gioco che sfruttasse la grafica vettoriale e le piene potenzialità del terminale. Il programma venne programmato da Jack Burness con il nome di Moonlander. Il giocatore, usando la penna ottica, doveva regolare la potenza del motore e ruotare l'astronave a sinistra e destra (dirigendo il raggio luminoso della penna verso apposite frecce) per applicare al veicolo l'opportuno vettore di spinta. Per complicare la vita al giocatore – e sfruttare le capacità grafiche del terminale – Burness decise che il suolo lunare non dovesse essere uniformemente piatto, ma creò colline e aguzze e pericolose montagne, sulle quali non era possibile atterrare e che ostacolavano la via del lander. Non contento, Burness inserì anche uno dei primi easter egg: se il giocatore dirigeva abbastanza lontano il modulo, portandolo in un'area inizialmente non visualizzata nello schermo, poteva atterrare vicino a un “MacDonald” o addirittura schiantarsi sul ristorante ricevendo uno scherno finale da parte del gioco: ”hai appena distrutto l'unico MacDonald's presente sulla Luna”. Come era già successo con Spacewar!, anche Moonlander iniziò a diffondersi velocemente, ovviamente con il limite della disponibilità di un terminale GT40. Il seme era gettato e non tardò a produrre i suoi frutti. Nella seconda metà degli anni '70, Atari iniziò a esplorare la possibilità di utilizzare un monitor vettoriale, ossia un dispositivo nel quale, a differenza dei comuni monitor rasterizzati, l'immagine era disegnata con linee e non con singoli punti. Come al solito, l'incarico venne girato alla sussidiaria di Atari, la Cyan Engineering. Quando lo sviluppo dell'apparecchiatura fu abbastanza avanzato, i tecnici di Atari iniziarono a chiedersi quale potesse essere l'utilizzo della nuova tecnologia. Tra i tecnici della Cyan ce n'era uno, da poco assunto, che all'università aveva avuto un contatto diretto con Moonlander. Si chiamava Howard Delman e la sua vicenda spiega bene come l'esperienza dei videogiochi spesso fosse formante per le generazioni successive di sviluppatori. Delman: “Anche prima di diplomarmi sapevo che non avrei mai voluto spendere la mia vita respirando vapori tossici. [...] All'avvicinarsi del diploma, fui di fronte al dilemma di dover decidere che tipo di lavoro volevo fare. Non volevo proprio spendere il resto dei miei anni in un laboratorio da qualche parte... Volevo creare qualche cosa. Quindi, un pomeriggio d'estate, mentre il semestre stava per finire, me ne stavo con i miei compagni di classe alla Cold Spring Tavern, a bere e giocare a uno dei nuovi videogiochi. Era Tank. Improvvisamente, ebbi un'epifania. Avrei usato la mia conoscenza per creare videogiochi. Ruotai letteralmente la macchina per leggere il nome e l'indirizzo del produttore. Scrissi una lettera per chiedere un posto di lavoro, e in breve venni assunto come ‘ingegnere'” . Il primo incarico di Delman in Atari era stato Super Bug, di cui era stato allo stesso tempo ingegnere dell'hardware e programmatore. Il confine tra lo specialista dell'hardware e quello del software era molto sottile e spesso le due figure si confondevano e si fondevano in una sola, come nel caso di Delman. L'hardware veniva spesso progettato ex novo per il gioco che si intendeva produrre e il tecnico che disegnava la scheda aveva già anche in mente come programmarla. Delman: “Visto che era il mio primo gioco, avevo particolarmente bisogno di aiuto, e presi molta ispirazione dai designer più esperti. Il gioco inizialmente era chiamato ‘City Driver'. Mi mostrarono qualche disegno, che credo venne fatto dal mio primo manager, Lyle Rains. Non posso davvero dire che lo ‘scelsi' come mio primo gioco, ma ero entusiasta del fatto che mi fosse data l'opportunità di svilupparlo. Devo dire che ogni piccola cosa fu impegnativa, dato che non avevo mai progettato un gioco prima di allora. Dovetti imparare come funzionava il sistema di sviluppo del software, come fare un prototipo e come erano fatte le schede circuitali. Era molto più complesso di qualsiasi cosa avessi fatto a scuola.” Una delle parti più difficili, come constatò Delman, era creare un prototipo funzionante e riproducibile, con una solida documentazione e un design che ne rendesse il più semplice possibile la produzione e, all'occorrenza, la manutenzione. Non era raro che gli sviluppatori di un gioco si lasciassero assorbire completamente dal design del gameplay, trascurando aspetti chiave per il successo commerciale, come quello produttivo e l'affidabilità delle macchine. Proprio per via di questo tipo di errori, diverse compagnie si erano arenate, avevano perso soldi, visto sfumare occasioni irripetibili e, spesso, erano fallite. Delman: “Inoltre [il gioco] doveva essere prodotto senza la mia assistenza personale. Non potevo starmene alla linea di assemblaggio, sistemando ogni cabinato. Quindi dovetti imparare a produrre un'adeguata documentazione, testare il prodotto, curare l'aspetto dell'acquisto della componentistica e ogni sorta di cose che non avevo mai considerato quando stavo costruendo un gioco. Alla fine dello sviluppo, che richiese quasi nove mesi, ero molto orgoglioso di quel che avevo creato, e certamente avevo imparato un sacco di cose, sia software che hardware.” Il gioco successivo di Delman fu Canyon Bomber. L'idea veniva direttamente da Nolan Bushnell e il gameplay competitivo a due giocatori, prevedeva che ogni utente controllasse un dirigibile in volo su una valle, vista frontalmente, in due dimensioni, letteralmente ricolma di mattoncini numerati, con lo scopo di distruggerne il maggior numero lanciando delle bombe che percorrevano una traiettoria balistica a parabola. Ogni mattone distrutto dava punti al giocatore, ma la partita terminava appena uno dei due utenti per tre volte di fila mancava di colpire almeno un mattone con la propria bomba. Lo sviluppo del gioco non fu particolarmente lungo o complesso, anche per via del fatto che l'hardware era già pronto. Delman, infatti, riutilizzò le schede disegnate per Super Bug e dovette quindi concentrarsi solo sull'aspetto software del gioco. Questa pratica, impossibile con il vecchio modo di produrre giochi usando logiche discrete, era divenuta via via più diffusa nell'industria degli arcade. Disegnare una scheda, impratichirsi con i chip usati, imparare a programmare la CPU, erano operazioni che richiedevano molto tempo ed erano quindi decisamente costose, soprattutto se poi l'arcade non aveva un buon successo. Le compagnie di arcade, quindi, avevano imparato a sfruttare la tecnologia sviluppata producendo il maggior numero di giochi possibili con le stesse schede, o con versioni leggermente modificate. Come si vedrà più avanti, questa strategia consentiva di abbattere i tempi di sviluppo e uscire sul mercato più spesso, con prodotti più affidabili e concepiti, dal punto di vista software, in modo più efficiente. Il terzo gioco a cui Delman lavorò fu Fire Truck, un arcade dal gameplay derivativo di Super Bug, concepito per essere cooperativo a due giocatori. Delman “Il gioco nacque da una sessione di brainstorming in cui qualcuno chiese ‘Come mai non ci sono giochi di guida cooperativi a due giocatori?' La ragione, credo, è che nessuno aveva mai avuto idea di come realizzarne uno. Ma qualcuno arrivò alla conclusione che un camion dei vigili del fuoco ha bisogno di due guidatori che cooperano, e così nacque il gioco.” Dopo Fire Truck, divennero disponibili i display vettoriali, che in Atari presero il nome di quadrascan, e lo stesso Delman fu coinvolto nelle fasi finali dello sviluppo, quando fu necessario creare da zero la tecnologia necessaria per sfruttare i nuovi display per fare giochi. Fu mentre collaborava con la Cyan che Delman, ricordandosi di Moonlander su GT40, propose di farne una versione arcade. In realtà non era la prima volta che ad Atari qualcuno accarezzava l'idea di creare un arcade incentrato sull'allunaggio: era già successo nel 1975, quando alcuni tecnici, impressionati da Moonlander, avevano provato a creare un gioco simile usando però la grafica rasterizzata. Non era andata bene e il progetto era stato accantonato. Con la nuova grafica vettoriale, pensò Delman, questa volta poteva funzionare. Insieme a un collega, Rich Moore, Delman ricreò il gameplay di Moonlander con le modifiche necessarie per adeguarlo al suo scopo principale: incentivare i giocatori a inserire quanti più quarti di dollaro possibili nella macchina operata a monete. Differentemente dal gioco originale, l'arcade creato da Delman e Moore che stava vedendo la luce con il nome di Lunar Lander, era un gioco in cui l'utente poteva comprare carburante al costo di un quarto di dollaro. Ogni moneta faceva aumentare la quantità di carburante disponibile di 1800 unità. Lo scopo era il solito: atterrare lentamente e in un punto in cui la superficie lo consentiva, ovvero era piatta. Tali posizioni si distinguevano per la presenza di una piccola piattaforma con l'indicazione del moltiplicatore di difficoltà (x2, x3, x4, x5). A ogni atterraggio, il giocatore veniva retribuito con dei punti che dipendevano dalla velocità di impatto con il suolo, opportunamente moltiplicati dal fattore difficoltà dipendente dalle caratteristiche orografiche dei dintorni. Se l'atterraggio non riusciva bene – perché il veicolo impattava troppo velocemente o non toccava il suolo nelle sole zone pianeggianti in cui era consentito scendere – il lander veniva distrutto. La partita, però, non terminava immediatamente: l'unica penalità era la perdita di carburante. Il gioco finiva davvero solo quando il giocatore rimaneva senza combustibile. La versione arcade sviluppata da Atari del gioco di Storer ebbe un successo commerciale limitato anche per via del fatto che, poco dopo la commercializzazione di Lunar Lander, Atari mise a disposizione delle sale giochi un secondo arcade, costruito con la medesima tecnologia e che, oltre al tema fantascientifico, aveva in comune con il gioco di Delman e Moore anche una parte del codice. Si trattava di Asteroid. Il successo del nuovo arcade finì per oscurare il prodotto di Delman e Moore, al punto che i primi esemplari di Asteroids a uscire dalle linee di montaggio di Atari erano stati costruiti riutilizzando i cabinati già dipinti di Lunar Lander e avevano quindi la grafica del gioco di atterraggi. Eppure la storia di Rocket non finì con l'uscita di produzione di Lunar Lander a tutto vantaggio del titolo gemello di maggior successo: numerosissime versioni di Rocket vennero programmate e vendute per i microcomputer di Trinity e le successive piattaforme. Alcune di queste erano più rudimentali, solo testuali e ispirate al lavoro di Storer, mentre altre, dotate di grafica e di un gameplay più complesso, erano chiaramente prodotti derivativi di Lunar Lander o Moonlander. Tra le tante, vale la pena di ricordare Lunar Lander per Atari 400/800 pubblicato da Adventure International, una compagnia fondata nel '79 dai coniugi Alexis e Scott Adams con lo scopo principale, come indicato chiaramente dal nome, di pubblicare le avventure testuali scritte da Scott. Come accadde spesso nei primi anni '80, il gameplay alla base di Rocket era così elementare e intrigante che si prestava per infinite variazioni, peraltro rese possibili dal fatto che la stessa Atari, quando aveva provato a brevettare Lunar Lander, si era scontrata con il fatto che Moonlander costituiva un precedente ingombrante, tale da impedire a qualsiasi compagnia di appropriarsi del gameplay e impedire alla concorrenza di inventarsi qualche cosa di simile o derivativo. Per questo motivo i giochi con fisica inerziale, attrazione gravitazionale e gameplay incentrato sul padroneggiare le leggi fisiche, finirono per continuare a essere prodotti per diversi anni su praticamente tutte le piattaforme hardware reperibili sul mercato e facendo tesoro delle tecnologie che venivano progressivamente rese disponibili. La stessa Atari nel 1982 provò a riproporre questo gameplay con Gravitar, un gioco a grafica vettoriale a colori in cui l'utente non deve solo destreggiarsi tra inerzia e gravità, ma deve anche sparare ai bunker nemici, attivare il raggio traente per fare rifornimento di carburante e, nei livelli più avanzati, destreggiarsi con una gravità invertita, che porta la nave verso l'alto dello schermo. Un gioco molto simile venne programmato dalla Mastertronic per C64 con il nome 1985 The Day After (sfruttando così la popolarità del film per TV su un ipotetico conflitto termonucleare uscito solo un anno prima, pur avendo un gameplay che non aveva nulla a che fare con il prodotto cinematografico). Disorientata dalla quantità di cloni e derivativi, la stampa specializzata dei primi anni '80 non colse le peculiarità del filone di giochi scaturito dal programma scolastico di Storer. Nel 1981, La rivista Electronic Games, per esempio, liquidava il gioco in termini abbastanza negativi “un altro gioco nella sovraffollata categoria degli imitatori di Space Invaders. A volte sembra che qualsiasi compagnia capace di copiare una cassetta stia cercando di vendere un gioco su questo tema.” La realtà era molto diversa. Tutti i giochi alla Rocket erano caratterizzati da un rigido rispetto delle leggi newtoniane, cosa che li rendeva in un certo modo delle simulazioni più o meno sofisticate. Dotate di una forte capacità didattica, al momento inespressa, né compresa, queste simulazioni avevano la potenzialità di porre qualsiasi utente, dal più giovane al più anziano, di fronte a concetti astratti e complicati come inerzia e accelerazione, rendendoli semplici e gestibili con le dita della mano con cui veniva impugnato il controller e premuti i tasti per dare carburante ai motori. Eppure, l'obiettivo era forse troppo astratto per una parte del pubblico, che era abituata a giochi più semplici e immediati, con scopi concreti da raggiungere, come sparare al carro nemico, completare un giro di pista e abbattere una parete di mattoncini con una pallina rimbalzante. Non di meno, la via era segnata: la tecnologia sviluppata per Lunar Lander sarebbe stata usata per giochi di maggior successo. Era solo questione di tempo. |
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