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Writer Officina Blog
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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa,
teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana
di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, Non ora, non
qui, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri
sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese,
swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale
alcune parti dellAntico Testamento. Vive nella campagna romana dove
ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A
grandezza naturale", edito da Feltrinelli. |
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama
con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi,
attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano
Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di
ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera
(Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime
di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il
purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati
da Einaudi Stile Libero). |
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria,
si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata
alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice
emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre
Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato
a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus".
Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé,
conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo
libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio
Strega 2021. |
Altre interviste su Writer
Officina Magazine
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Follia e Inferno
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Era stata forse l'estate più triste della sua vita. Anzi lo era stata sicuramente. Questo fu il primo pensiero della dottoressa Sofia Mannelli appena rientrò in casa dopo una vacanza quasi solitaria di dieci giorni. Era partita dietro insistenza di una sua amica che l'aveva invitata a trascorrere le tre settimane di ferie presso di lei, promettendole cene con amici, serate in locali strepitosi, ristoranti, gite in barca e quanto di meglio si potesse avere. “Questa vacanza ti rimetterà al mondo” le aveva assicurato. Sofia aveva trascorso gran parte delle giornate da sola in giardino o facendo qualche passeggiata in spiaggia all'alba, mentre la sua amica non aveva perso occasione di prendere parte a qualsiasi iniziativa diurna e notturna, esortandola a fare altrettanto. Alla fine Sofia si era lasciata convincere a partecipare a un paio di serate, ma quella forzata euforia che aleggiava nell'aria aveva solo contribuito ad accentuare la sua tristezza. Così era rientrata prima del previsto. Suo marito l'aveva lasciata alla fine di giugno, non aveva perdonato il suo errore. Che poi, in realtà, un errore non era. Sofia, stanca dei continui tradimenti, gli aveva reso pan per focaccia e lui non c'era passato sopra. Per un uomo è diverso, le aveva detto con tono arrogante e un risolino offensivo. Poi aveva fatto le valigie e se n'era andato, dopo aver messo su una tragedia familiare degna di oscar e continuando a colpevolizzarla anche nelle settimane a seguire. A metà luglio suo figlio Iacopo, ventiduenne, le aveva inviato un messaggio con su scritto: stasera non torno a dormire. Dopo pochi minuti ne aveva inviato un altro con aggiunto: anzi, non torno più, mi avete rotto. Solo una decina di giorni più tardi e dopo diverse ricerche presso amici e conoscenti era venuta a sapere che si era trasferito in Puglia da un'amica. Da quel momento era riuscita a parlarci una sola volta. Dopo avergli inviato un'infinità di messaggi e provato a chiamarlo più volte al giorno, Iacopo le aveva telefonato per dirle di lasciarlo in pace. Non era arrabbiato con lei, né con il padre, ma voleva vivere la sua vita senza l'oppressione di quei due genitori che facevano tanto i maestri di vita per poi arrivare al quel risultato. Si sarebbe fatto vivo lui. Forse. A dare il colpo finale a quel bel quadretto che si era appena dipinta, la notizia di cronaca sul quotidiano acquistato quella mattina, che non aveva ancora letto. Un paio di giorni prima un carro funebre era stato fermato all'ingresso del cimitero, dove avrebbe dovuto aver luogo la sepoltura di un uomo deceduto per morte naturale. Durante il giro mattutino di ricognizione, il custode aveva notato una bara nel posto a lui destinato e aveva dato l'allarme. Sul luogo erano arrivate polizia e scientifica che si erano occupate di aprirla. All'interno vi era il corpo di una donna, apparentemente sulla quarantina, completamente fasciato come una mummia. Appoggiato sopra le fasce c'era un biglietto con su scritto: non mi ha detto cosa fare. Sotto la fasciatura la donna era nuda e il corpo presentava segni di tortura e di maltrattamento. Era stato facile risalire a chi appartenesse quel cadavere: Maria Cattaneo, psicologa, sparita il 28 maggio. Non aveva lasciato alcun biglietto e nessuno aveva rivendicato la sua sparizione, lasciando tutti nel dubbio se la sua fosse stata una decisione propria o qualcuno l'avesse rapita. L'autopsia aveva rivelato un'atroce verità: la donna, deceduta da circa un mese, era stata sepolta viva. La difficoltà invece stava nel capire quanto tempo avesse trascorso nella bara prima di morire e dove fosse stata tenuta in quel lasso di tempo. La bara appariva pulita, quindi era ipotizzabile che non fosse stata messa sotto terra da un'altra parte, prima di essere portata a quel cimitero. Vi erano anche dei piccoli fori, quasi certamente per far passare dell'aria e prolungare l'agonia della povera vittima. Sofia smise di leggere la restante parte del trafiletto e mise via il giornale. Si rese conto che a quella donna era stato riservato un destino ben peggiore del suo, anche se quel sollievo fu sostituito in breve tempo dai suoi tristi pensieri. 28 agosto, primo giorno di riapertura dello studio. La dottoressa Mannelli guardò l'orologio, le diciannove e venti. Emise un sospiro, immaginando che sarebbe rientrata a casa molto tardi. I coniugi Barbieri, oltre a fissare i loro appuntamenti oltre l'orario di chiusura, arrivavano sempre con un ritardo mostruoso, avvalendosi delle scuse più stupide. Aveva cercato, con la delicatezza che la distingueva, di sensibilizzare i suoi clienti in tal senso; loro però, evidentemente, non avevano mai compreso a pieno il suo invito. O forse, semplicemente, lo avevano sempre ignorato. Avevano sicuramente un fardello ben più grosso da portarsi dietro. Francesca, la loro piccola di appena cinque anni, era morta alcuni mesi prima e quella tragedia improvvisa li aveva devastati. Mentre attendeva il loro arrivo, il suo pensiero si focalizzò sul post-it appiccicato sulla pagina dell'agenda alla data del 28 agosto: avvisare Ettore Rinaldi. Il collega era rientrato alla metà di agosto dopo aver trascorso due mesi in Svezia, millantando un corso di aggiornamento di cui nessuno era a conoscenza. Ettore, quarantasei anni, era un gran bell'uomo e aveva la nomea di essere un don Giovanni. Per quel motivo era convinta che il corso d'aggiornamento riguardasse il corpo di qualche giovane scandinava che durante una vacanza in Italia era caduta nella sua rete di donnaiolo. Rinaldi era un tipo dall'innamoramento facile, e altrettanto facilmente si stancava delle donne conquistate. Ed era anche il protagonista del suo errore. Sofia era una discreta donna di quarantotto anni e non le era stato difficile, durante un summit di psicologia tenutosi all'inizio di giugno, portarselo in camera dopo una cena. Aveva trascorso tre giorni con lui, poi lo aveva liquidato dopo aver raggiunto il suo scopo. Aveva calcolato tutto e la sua previsione si era rivelata corretta. Dopo appena tre settimane c'era stata un'ennesima lite con il marito che aveva trascorso la notte chissà dove e lei gli aveva spiattellato sul viso di averlo tradito, mostrando con orgoglio anche un paio di foto fatte al suo amante di nascosto. Non si aspettava però che le cose andassero in quel modo. Si era fatta un film tutto suo, aveva immaginato che suo marito restasse a bocca aperta, capisse il male che le aveva fatto negli ultimi anni, implorasse il suo perdono e tornassero a essere la coppia felice di un tempo. Ma il film era stato ben diverso e lui se n'era andato. Anche se quella separazione faceva un male cane, rise ripensando alla faccia di suo marito. Era l'unica magra consolazione, ma c'era rimasto davvero male. Poi aprì il cassetto, estrasse uno dei pochi inviti rimasti e scrisse sopra il nome di Ettore Rinaldi. Rimase qualche istante a guardare quel biglietto, avrebbe avuto voglia di annullare l'imminente festa che aveva organizzato per la fine di settembre ma sapeva di non poterlo fare. Così lo mise in borsa, glielo avrebbe portato direttamente al suo studio il mattino successivo. Sofia aveva organizzato quella festa per festeggiare venti anni di meritata carriera come psicologa e il tempismo di suo marito, nel lasciarla una settimana dopo aver spedito gli inviti, non le avrebbe permesso di soprassedere. Chiuse gli occhi al pensiero di dover raccontare ad amici e colleghi cosa era successo. L'alternativa era inventarsi una storia diversa, ma sapeva bene che una bugia, nel tempo, sarebbe venuta fuori in un modo o nell'altro, quindi tanto valeva dire subito cosa era accaduto, tralasciando magari la sua avventura durante il convegno. Chissà, qualcuno l'avrebbe giudicata, altri le avrebbero detto che era ora, altri ancora l'avrebbero invitata immediatamente a cena, come era avvenuto quando ancora era sposata. Si chiese anche come avrebbe reagito Ettore, che era rimasto spiazzato dal fatto che la decisione di non vedersi più fosse partita da lei. Non era abituato né a un rifiuto, né a essere messo da parte. A mettere fine a quei pensieri fu il suono del campanello. La sua segretaria avrebbe ripreso il lavoro il giorno successivo, così la Mannelli alzò la cornetta del citofono per chiedere chi ci fosse, anche se immaginava che si trattasse dei coniugi Barbieri. Le rispose una voce maschile: “Sono Angelo Torresi.” La Mannelli esitò un attimo, poi aprì. Forse l'appuntamento con i Barbieri era saltato ed era stato sostituito con questo signor Torresi? Forse Claudia, la sua segretaria, si era scordata di informarla? Scosse la testa, Claudia Pollini era giovane, era al secondo anno di psicologia e lavorava part-time per potersi pagare gli studi. Aveva accettato con entusiasmo di fare da segretaria proprio a una psicologa perché questo l'avrebbe molto aiutata. Ma restava una ragazza di ventun anni con, ovviamente, anche tanti grilli per la testa e questo aveva fatto sì che in un paio di occasioni avesse fatto un po' di confusione. Quando il suo cliente entrò Sofia rimase perplessa nel vederlo. Non solo per il fatto che si trattasse del Signor Barbieri e si fosse presentato dando un altro nome, ma per il modo in cui la salutò. “Buonasera dottoressa Vegano, come sta?” “Sto bene, la ringrazio, mi scusa un attimo?” La Mannelli si precipitò al desk di Claudia, provò ad accendere il computer e poi si rese conto che la ragazza, alla chiusura dello studio all'inizio di agosto, aveva staccato una serie di cavi che lei non provò neppure a ricollegare. Dal punto di vista tecnologico era proprio una schiappa. Avrebbe potuto dare un'occhiata su internet dal cellulare, ma non voleva farsi vedere da lui, così decise di lasciar perdere. Tornò in studio e iniziò a parlare con il suo paziente. “Oggi facciamo qualcosa di diverso” gli disse “mi parli lei liberamente di ciò che vuole.” In realtà voleva capire a cosa era dovuto quel cambio di identità, ma soprattutto doveva capire perché l'aveva chiamata con il nome di una collega, di quella collega. Non voleva e non doveva volare con la fantasia, aveva appreso della sparizione della dottoressa Vegano quasi di sfuggita, pochi giorni dopo che suo marito se n'era andato e ogni suo pensiero si era focalizzato sul suo matrimonio finito. Forse ricordava male il nome? Le scocciava non aver potuto controllare subito ma non aveva voluto correre il rischio di far innervosire il suo cliente, anche se era convinta che si trattasse proprio di lei. L'uomo parlò per quasi dieci minuti di fila, poi la Mannelli pose una domanda ben precisa. “Come mai non è venuta oggi sua moglie, signor Barbieri?” Dal modo in cui l'uomo la fulminò con lo sguardo comprese di aver fatto una domanda scomoda. Per tutta risposta lui le disse che si era fatto tardi e doveva andare. Sofia rincasò alle venti e quaranta. Ad accoglierla, il silenzio di quella casa troppo grande e troppo vuota. L'avevano acquistata sei anni prima, la sua carriera e quella di suo marito, un ingegnere navale, erano decollate ormai da tempo ed erano riusciti a mettere via un bel gruzzoletto. Era una bella villetta a due piani, appena fuori città, con un giardino su quattro lati. Il classico taglio, zona giorno a piano terreno, e camere al piano superiore. Vi era anche una piccola piscina con annesso un idromassaggio, nel quale lei e il marito adoravano immergersi la sera al rientro dal lavoro. Poi quei bagni si erano diradati nel tempo, fino a sparire quasi completamente. Suo marito aveva iniziato ad avere diverse cene di lavoro che terminavano sempre più tardi e negli ultimi mesi era capitato in molte occasioni che avesse trascorso la notte fuori, dando giustificazioni sempre meno credibili. Ma qualche macchia di fard sulla camicia e un orecchino trovato sotto il sedile dell'auto le avevano svelato una dolorosa verità. Mise da parte quel pensiero, che ormai era diventato un chiodo fisso ogni volta che entrava in casa, fece un panino per mettere a tacere quel buco allo stomaco che aveva da almeno due ore e si precipitò al computer. Dottoressa Vegano psicologa. Uscì un solo risultato e digitò di nuovo, allargando l'area di ricerca. Uscì lo stesso risultato. Provò a digitare una terza volta, omettendo la parola psicologa, e i pochi risultati che uscirono furono sufficienti a fornirle la certezza che si trattasse di lei. Simonetta Vegano, trentanove anni, psicologa, era stata vista l'ultima volta il 5 luglio alle venti da una vicina di casa. Le due donne si erano incrociate nel parcheggio, avevano scambiato qualche parola, poi ognuna di loro si era diretta verso la propria abitazione. Quella stessa sera, Simonetta aveva chiamato la madre intorno alle ventuno, come faceva ogni giorno, e avevano fissato di vedersi due giorni più tardi per cenare insieme. Il giorno successivo però Simonetta non si era fatta sentire. Erano gli ultimi giorni di lavoro prima di prendersi una settimana di ferie e sua madre aveva pensato che avesse fatto tardi al lavoro o avesse avuto qualche impegno o, semplicemente, se ne fosse dimenticata. Anche se non era da lei. Ma quando la sera del 7 luglio non si era presentata a cena, sua madre aveva iniziato a preoccuparsi seriamente e aveva sporto denuncia. Simonetta era sparita nel nulla, nessun biglietto e nessuna rivendicazione che fosse stata rapita per qualche motivo. Sicuramente non per i soldi. Era single e viveva del proprio lavoro, non era certo un soggetto appetibile per chi era in cerca di riscatto. Sofia chiuse il computer e rimase seduta a pensare. La dottoressa Vegano non dava più notizie di sé da alcune settimane e ora si era presentato il Signor Barbieri, da solo, dando il nome di Angelo Torresi e salutandola con il nome della collega sparita. Perché? Romano Barbieri e Vanessa Colli erano suoi clienti dalla fine di luglio. Forse erano stati clienti della Vegano prima di rivolgersi a lei? Ci poteva stare, ma perché era venuto solo il marito presentandosi con un nome diverso? No, non aveva senso. La sua mente di psicologa si mise in moto e iniziò a ripercorrere la loro situazione. La loro figlia di appena cinque anni era morta a dicembre, all'improvviso, e da quel momento la loro vita si era trasformata in un vero e proprio inferno. Li aveva incontrati tre volte in tutto e le loro sedute erano sempre avvenute a fine pomeriggio per motivi di lavoro dell'uomo. Le loro chiacchierate riguardavano soprattutto il tema ingiustizia. La morte della bambina in fondo lo era stata e quell'uomo non aveva pagato per ciò che aveva fatto, queste erano le parole dei suoi clienti nei riguardi del responsabile. La Mannelli non aveva ancora compreso esattamente come fosse avvenuta quella morte prematura. Ogni volta che aveva cercato di entrare nel dettaglio la coppia si era irrigidita. Non menzionavano mai termini come uccidere, ammazzare, togliere la vita. Quell'uomo gliel'aveva portata via, gliel'aveva strappata via. Erano quelli i termini che utilizzavano. Però parlavano di lei usando la parola morta, anche se la Mannelli si era resa conto che non erano ancora pronti a considerarla come tale. Erano trascorsi diversi mesi dalla tragedia e i Barbieri parlavano di lei come se dovesse tornare da un giorno all'altro. Non avevano neppure mai menzionato il suo nome. Sofia aveva ipotizzato che la bambina fosse deceduta in seguito a un incidente, probabilmente era stata investita e il responsabile era scappato. Da quei primi colloqui non le era venuto in mente altro. Così, durante l'ultimo incontro con entrambi aveva azzardato, menzionando la parola incidente. I Barbieri non avevano né commentato né smentito e si erano limitati ad annuire. E poi c'era l'altra psicologa, la dottoressa Maria Cattaneo, sparita tre mesi prima e ritrovata in un cimitero dentro una bara, sepolta viva. Coincidenza o qualcosa di più inquietante? Sofia spense il computer, cercando di scacciare quei pensieri. Era una serata caldissima. L'estate sembrava essersi mossa al contrario. Dopo un inizio di agosto non oltre i ventisette, ventotto gradi, le temperature avevano iniziato a salire via via che i giorni passavano. E quel 28 agosto nel pomeriggio si erano toccati i quaranta gradi con un tasso d'umidità al novanta per cento. Guardò l'orologio, le ventuno e quindici. Indossò il costume e si concesse una nuotata in notturna, dopo aver acceso lo stereo per avere un po' di compagnia. Come entrò in acqua provò un senso di pace che durò pochi secondi. Riemersero ricordi belli ma dolorosi. Risentì quella voce che, venticinque anni prima, le aveva chiesto se avesse bisogno di aiuto. Il sorriso fu spento da un'ondata di nostalgia. Quante volte lei e suo marito Marcello avevano riso ricordando quel momento. Sofia era rimasta ferma in una strada, il tacco di uno stivale si era infilato nella grata di un tombino posto subito sotto il marciapiede e il resto del mondo sembrava non avesse niente di meglio da fare che stare a guardarla. Come se non bastasse, a complicare quella situazione il fatto di avere diversi sacchetti in mano e dover tenere l'ombrello perché stava piovendo a dirotto. Era una strada molto stretta e tutte le auto si erano dovute fermare per non investirla. Poi lui era sceso dalla macchina, le aveva tolto i sacchetti di mano per permetterle di aprire la cerniera dello stivale e l'aveva sorretta per far si che non dovesse poggiare il piede in terra. L'aveva fatta accomodare nella sua auto e si era precipitato a recuperare, con non poca difficoltà, lo stivale che nel frattempo si era inzuppato d'acqua. Da quel momento erano diventati inseparabili. Cercò di pensare ad altro e la sua mente tornò alla visita del signor Barbieri, nelle vesti di Angelo Torresi. L'argomento che l'aveva distolta dai ricordi del marito non era una gran consolazione. Lo aveva fatto parlare senza porre alcuna domanda, ascoltando con particolare attenzione ogni singola parola, ma non era arrivata ad alcuna conclusione. Durante i dieci minuti in cui l'uomo aveva parlato non aveva detto niente che potesse dare una spiegazione né all'essersi presentato da solo e con un altro nome, né perché l'avesse salutata con il nome della dottoressa Vegano. Aveva parlato dell'estate appena trascorsa con malinconia, della mancanza delle sedute con lei, della speranza che il suo stato d'animo potesse migliorare con il passare del tempo. Non aveva più menzionato né il nome della collega, né il suo, conseguentemente non aveva potuto capire con chi pensasse di parlare il suo cliente. Nessun riferimento alla piccola, al risentimento verso l'uomo che gliel'aveva strappata via, a quel futuro che ogni tanto lui e la moglie immaginavano, in cui si vedevano nonni. Le parole pronunciate da quell'uomo avrebbero potuto riassumere la storia triste e problematica di qualunque dei suoi pazienti. O dei pazienti di una collega. E quando gli aveva chiesto perché fosse andato da solo, utilizzando il suo vero nome, lui l'aveva guardata, muto, con gli occhi fissi su di lei, poi aveva detto che si era fatto tardi e se n'era andato in fretta e furia. Proprio in quel momento la sua mente si focalizzò sulle parole esatte dell'uomo, al momento dei saluti: è tardi, devo andare, ma ci vediamo presto così potrà dirmi cosa fare. Era normale che i suoi clienti le chiedessero aiuto, eppure aveva la strana sensazione che in quelle poche parole ci fosse altro. Sofia iniziò a sorseggiare il cocktail che si era versata nel tumbler e che aveva appoggiato sul bordo piscina. Adorava il suo lavoro e nonostante i suoi clienti si recassero da lei vomitandole addosso i loro problemi e cercando una soluzione, era l'unica cosa che riusciva a non farla pensare a suo marito. Non riusciva a dimenticarlo, non riusciva a dimenticare lo sguardo di lui che l'aveva colpevolizzata, l'aveva fatta sentire sporca. Chiuse gli occhi e per un attimo immaginò che lui apparisse con un mazzo di fiori e le chiedesse scusa, le chiedesse di poter tornare a casa. Non avrebbe esitato a rispondere. Poi si immerse completamente nell'acqua, la temperatura costante di trentaquattro gradi, regolata automaticamente da un termostato, faceva sì che fosse sempre piacevole. Riemerse dopo qualche secondo, incrociò le braccia sul bordo e appoggiò sopra la testa. Fu in quel momento che due braccia le cinsero la vita e il suo respiro si fermò. Si girò col cuore in gola. “E tu come sei entrato?” disse a Ettore che era completamente nudo dietro a lei e l'aveva abbracciata. Per tutta risposta lui la baciò. Lei rispose a quel bacio e si abbandonò a tutte le effusioni che lui le riservò, prima di trascinarla sull'ultimo scalino della piscina e fare l'amore con lei. Ci sapeva fare anche con il sesso, oltre alla sorpresa le stava regalando passione e dolcezza, facendola impazzire. “Insomma vuoi dirmi come sei entrato?” chiese di nuovo Sofia con uno sguardo che, oltre a curiosità e divertimento, lasciava facilmente intendere di aver gradito la sua visita e cosa si aspettasse dopo la sua risposta. “Dal cancello” rispose Ettore. “Come dal cancello?” “Era aperto, e ringrazia il cielo che sono entrato io, uno migliore di me non ti sarebbe potuto capitare.” “No, Ettore, scherzi a parte, il cancello era chiuso, da dove sei entrato?” “Sofia il cancello era aperto, sono passato per caso, stavo andando da un amico che abita vicino. Ho provato a chiamarti al cellulare ma non mi hai risposto, così sono entrato. Non è che l'hai lasciato aperto perché speravi che passassi?” Sofia ripensò ai suoi ultimi movimenti: era arrivata a casa di corsa, voleva cercare quella notizia sulla Vegano e probabilmente non lo aveva chiuso. Aveva sempre avuto il vizio di portare il telecomando in casa quando scendeva di macchina e in più di un'occasione non lo aveva ripreso la mattina. Come gran parte dei cancelli automatici, l'apertura avveniva al passaggio dell'auto davanti a una fotocellula all'interno del giardino. Questo aveva fatto sì che in più di un'occasione si trovasse chiusa fuori la sera al suo rientro. Fino a quando abitava insieme al marito e al figlio non era stato un grosso problema, ma dopo essere rimasta da sola, le era capitato un paio di volte di dover chiamare i tecnici per poterlo riaprire al suo rientro. Per quel motivo aveva volutamente tolto ogni automatismo, in modo da non avere più problemi. Con la fotocellula staccata, il cancello non si sarebbe aperto senza telecomando e l'avrebbe abituata a lasciarlo in auto. O a tornare in casa a riprenderlo. E per lo stesso motivo, occorreva richiuderlo usando il dispositivo. Si, era chiaro che per la fretta non lo aveva richiuso. Sofia lo guardò e gli sorrise, lui le aveva detto quelle ultime parole con quel suo sorriso misto ad arroganza e sicurezza che le facevano rabbia da una parte e la mandavano fuori di testa dall'altra. Le piaceva, quella era la verità, a prescindere dal dolore per il suo matrimonio finito lui le piaceva e anche molto. Pensò di raccontargli della storia di Barbieri per conoscere il punto di vista di un collega, poi sentì le dita di Ettore toccarle il naso, scendere lungo il collo e far scivolare piccoli getti d'acqua sui suoi seni. Lui la rivoleva e per lei era lo stesso. Il pensiero del cancello aperto e di Barbieri che si era presentato come Torresi erano già lontani anni luce, mentre lui la guardava fissa negli occhi. Di nuovo sensazioni di piacere dosate con maestria, di nuovo il corpo di lui che premeva contro quello di lei, muovendosi in una danza sensuale, di nuovo quell'alternanza di dolcezza e passione che la rendevano completamente inerme a quelle sensazioni di cui aveva bisogno. Mancavano venti minuti a mezzanotte, Sofia propose a Ettore di fare una pasta al volo, che lui accettò con entusiasmo. Lei aveva mangiato solo un panino per poi mettersi al computer e lui era digiuno. Mentre si gustavano un ottimo spaghetto al pomodoro, Ettore le confessò di non essere passato per caso davanti a casa di lei. Aveva visto le finestre aperte nel suo studio a fine pomeriggio e l'aveva attesa per invitarla a cena. Poi si era distratto dall'arrivo di una telefonata e quando si era concentrato nuovamente sulle sue finestre, si era accorto che erano chiuse. Lei era uscita e lui aveva perso l'occasione. Si era diretto verso casa ma poco prima di arrivare aveva cambiato idea e aveva provato a chiamarla, senza ricevere risposta, così aveva deciso di provare a passare da lei. Il resto lo sapeva già, aggiunse poi con sguardo malizioso. Sofia gli sorrise di nuovo, evidentemente non aveva sentito la chiamata e per la prima volta dopo diverse settimane si accorse di essere contenta di quella sorpresa inaspettata. Colse l'occasione per raccontargli in poche parole quanto accaduto quel pomeriggio con il suo cliente, includendo quell'ultima frase che risuonava nella sua mente senza riuscire a capirne il motivo. “Probabilmente ti riporta alla mente il biglietto trovato sul corpo della Cattaneo” le disse Ettore guardandola. Avevano già finito di mangiare e si stavano gustando un ottimo Rum, accoccolati sul divano. Prima che Sofia potesse commentare ciò che Ettore le aveva appena detto, lui le si avvicinò, le prese le mani e la condusse verso le scale. “Presumo che al piano di sopra staremo più comodi” le disse sferrando un sorriso che faceva intendere che la notte era ancora lunga. “Vuoi restare a dormire?” gli chiese, quasi meravigliandosi di quella domanda che era uscita da sola e pentendosi quasi subito. “La prossima volta. Domani a mezzogiorno ho un volo per Sydney, vado a trovare un amico conosciuto l'anno scorso. Devo ancora preparare tutto.” Sofia provò a immaginare l'amico di Ettore. Forse era una bionda, forse una mora? Voleva quasi chiederglielo, non solo per mera curiosità, ma non voleva che ci fossero segreti fra di loro, almeno non quel tipo di segreti. Non erano fidanzati, avevano avuto un'avventura qualche mese prima e ora, di nuovo, avevano trascorso qualche piacevole ora insieme. Quarantotto ore più tardi Ettore avrebbe sicuramente ricoperto di attenzioni un'altra donna e forse si sarebbero visti di nuovo al suo rientro. O forse no. Punto. Lo scroscio dell'acqua gelida la fece svegliare di colpo. Poi quella luce gialla, fortissima. Simonetta Vegano era legata a quella poltrona e non poteva muoversi. Cosa sarebbe successo oggi? A breve lui sarebbe arrivato ad arrecarle nuove torture fisiche e psicologiche. Poi udì l'inconfondibile rumore dell'altoparlante che gracchiava ogni volta che veniva acceso. Cercò di non farsi distrarre dal tremito che quella doccia ghiacciata le stava provocando e si mise in ascolto. Si rese conto che veniva strascicato qualcosa. Ebbe un sussulto. Era arrivato il suo turno? Forse no, non era lo stesso rumore che aveva sentito alcune settimane prima, quello che assomigliava alle ruote inceppate di un carrello. Era diverso, non c'era niente di metallico. Doveva esserci qualcosa di nuovo, altrimenti non c'era spiegazione all'accensione di quell'altoparlante. Nessuno parlava ma riconobbe i rumori emessi dall'apertura del cancello e poi dalla piccola porta laterale nell'altra stanza. Forse il suo carceriere stava riportando la dottoressa Cattaneo? No, sapeva bene che fine aveva fatto, anche se nessuno glielo aveva detto esplicitamente. Aveva vissuto il supplizio della collega giorno dopo giorno, a cominciare da quando era stata tirata su la tenda per permetterle di vederla un'ultima volta. Aveva visto il terrore nei suoi occhi quando le era stato chiesto di entrare dentro quella bara di sua spontanea volontà. Il suo rifiuto le era costato caro. Era stata torturata, picchiata, poi il suo corpo era stato fasciato come una mummia. Simonetta Vegano aveva assistito a quel rito con orrore, aveva urlato, aveva supplicato quel mostro di lasciarla stare, che avrebbero trovato il modo di aiutarlo. Aveva ascoltato con gran dolore le urla insopportabili della dottoressa che chiedeva pietà. In quel momento avrebbe voluto tapparsi le orecchie per non sentire Maria che supplicava di non essere rinchiusa li dentro. Ma era legata e non poteva fare altro che guardare con orrore. Poi il mostro si era girato verso di lei e aveva fatto una grossa risata, prima di chiudere la cassa e abbassare di nuovo la tenda. Non lo aveva mai visto in volto, si presentava sempre con una maschera di carnevale, che si divertiva a cambiare frequentemente, chissà per quale contorto motivo. Maria era rimasta in quella bara una decina di giorni, e ogni giorno Simonetta aveva condiviso con lei quella paura, anche se non poteva darle sollievo. Aveva udito con sofferenza le sue strazianti suppliche quando implorava quel mostro di farla uscire. Aveva sentito la sua voce farsi ogni giorno più fievole e aveva impresso nei suoi occhi lo sguardo di quel pazzo che le aveva mostrato cosa sarebbe successo a chi non collaborava. Simonetta non aveva idea di dove fosse. Era convinta di trovarsi in qualche scantinato o in un garage. C'erano due stanze molto piccole, saranno state tre metri per tre, poste una di fronte all'altra. Da un lato doveva essere stata tirata su una parete di recente, perché il muro era diverso dagli altri due d'angolo. Lì vi era una piccola porta laterale, che permetteva l'ingresso a quell'essere. In un angolo era stato creato un piccolo bagno, che riusciva ad utilizzare solo quando lui glielo permetteva. La quarta parete era completamente a vetri. Erano molto spessi, sicuramente antisfondamento, e da quella stanza non si udiva il minimo rumore. Doveva essere stata insonorizzata. Di fronte c'era una stanza identica, separata da una sorta di corridoio largo un paio di metri. Ma raramente aveva avuto modo di vedere cosa succedeva lì dentro. Una tenda molto spessa posizionata esternamente a entrambe le vetrate, toglieva ogni visuale. La Vegano ripensò a quella sera del 5 luglio. Verso le ventidue e trenta aveva sentito un miagolio provenire dal giardino. Abitava in una casetta a schiera formata da cinque unità abitative. La famiglia che abitava in uno dei due appartamenti con cui confinava era già partita per le ferie, mentre la ragazza che abitava nell'altra era single e l'aveva incontrata al suo rientro. Probabilmente era uscita a cena con il suo ragazzo. La vicina aveva un gattino ancora abbastanza piccolo ed era già successo che la bestiolina fosse entrata nel suo giardino, saltando da un mobiletto posizionato vicino alla recinzione divisoria, senza poi riuscire a tornare dall'altra parte. Così Simonetta era uscita, aveva messo il piccolo scaleo a tre gradini vicino alla recinzione, aveva preso il gattino e lo aveva appoggiato sul mobiletto dal quale era saltato. Appena scesa dalla scaletta si era girata e in quel momento qualcuno le aveva messo qualcosa sulla bocca, facendole perdere i sensi, poi si era risvegliata in quella stanza. Aveva sempre pensato che il suo rapitore, dopo averla tenuta d'occhio per un po', avesse approfittato dell'assenza dei vicini, si fosse intrufolato nel giardino accanto, avesse preso il gattino e fosse entrato nel suo, per poi attenderla nascosto dietro un albero o dietro il dondolo, aiutato dal buio della notte. In quel momento i pensieri della Vegano furono interrotti, lui era entrato nella stanza e con l'ormai conosciuta voce metallica, le aveva ordinato di stare in silenzio. Sapeva cosa succedeva quando disubbidiva. Dopodiché la luce si spense e dall'altoparlante non uscì più alcun suono. |
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