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Writer Officina
Autore: Emiliano Federico Caruso
Titolo: Il silenzio dell'oceano
Genere Horror
Lettori 4043 72 76
Il silenzio dell'oceano
Nei giorni seguenti, Alberto passò la maggior parte del suo tempo a studiare i documenti, le carte e il diario del padre. Di tempo libero ne aveva, poiché il resto dell'equipaggio, venuto a conoscenza della sua decisione di lasciare la proprietà della Holy Grace a Colin, decise per riconoscenza di dispensarlo da ogni compito a bordo che non fosse quello della semplice e piacevole compagnia.

Così, mentre i suoi compagni si alternavano nella gestione della nave, compito reso più facile dal fatto che la navigazione, nonostante i timori iniziali, procedeva senza problemi, Alberto passava le sue giornate ad esaminare con attenzione le carte del padre, scoprendo che solo le ultime pagine del diario contenevano qualche descrizione sulle sue recenti ricerche.

In breve, la storia era questa. Dopo un'intera vita passata in giro per i mari, Fulvio Ferranti aveva deciso di convertire la Holy Grace in una nave adatta alla ricerca di tesori sommersi. Lo scopo principale, parole sue, era quello di "Guadagnare in pochi anni abbastanza denaro da garantirsi una vecchiaia dignitosa". Per evitare di attirare troppa curiosità ad Aberdeen, dove era fin troppo conosciuto, decise di recarsi a Dublino per reclutare un piccolo equipaggio di persone fidate. Fu così che, dopo una lunga ricerca nei porti, nei pub e in certe associazioni di ex marinai, mise insieme Anderson, MacFarlane, Logan, MacNiven e i fratelli Breiner. Tornato ad Aberdeen, Fulvio disponeva quindi di un'ottima nave e di un piccolo e capace equipaggio ma, prima di investire denaro, risorse e permessi in questo nuovo progetto, iniziò a recarsi a Edimburgo per studiare i documenti di archivio risalenti agli anni d'oro della pirateria, intorno al 1600. Visitò molti musei, biblioteche, collezioni private e archivi con lo scopo di trovare indizi per risalire a un qualsiasi tesoro ancora sommerso che valesse l'investimento.

Ogni volta tornava a Aberdeen con una nuova, promettente traccia da seguire, e ogni volta le ricerche si rivelavano inutili, poiché i vari tesori erano stati già scoperti o non si trovavano nei punti indicati dalle ricerche, oppure si rivelavano troppo onerosi da portare alla luce per le sue limitate attrezzature, finanze ed equipaggio. Quando stava ormai per rinunciare, liquidare i suoi uomini e rimandarli in Irlanda, decise di cambiare metodo e di spostare le sue ricerche d'archivio al materiale risalente al 1900. Quasi subito trovò dei documenti navali appartenuti a Heinrich Schneider, un famoso capitano tedesco che nel 1971 fondò la Schneider Maritime Genossenschaft, un'agenzia di recupero tesori sommersi che guidò fino al 1979.

Il capitano tedesco, secondo i documenti ritrovati da Fulvio, sembrava aver investito ogni sua risorsa nella ricerca di una nave francese, la Reine Émeraude, affondata da qualche parte tra il Mare del nord e l'oceano Atlantico. La sua intenzione era di recuperare il carico della nave e trasferirlo in un luogo chiamato Eilean Dubh. Purtroppo l'uomo morì intorno a settembre del 1979, sembra annegato in mare in seguito a una forte tempesta. Il ragionamento che fece Fulvio fu che un capitano come Schneider non avrebbe mai investito una tale mole di denaro, tempo e risorse nella ricerca di una nave affondata se non avesse avuto prove più che solide della sua importanza. E se il tedesco era convinto di quel che faceva, perché non avrebbe dovuto esserlo anche Fulvio? L'uomo incrociò quindi gli appunti di Schneider con una lista dettagliata di tutte le isole chiamate Eilean Dubh e ne trovò alcune, ma nessuna di queste sembrava trovarsi a nord delle isole Shetland. Ormai ostinato nelle sue ricerche, Fulvio finalmente trovò nel National Archives Of Scotland un diario di bordo che, tra numerose note senza alcuna utilità, conteneva un brevissimo riferimento a una “Eilean Dubh avvistata all'alba del 15 dicembre 1980 da Connor McNelly, capitano della St Magdalene" e, cosa molto importante, una serie di precise coordinate. In tutta evidenza il capitano McNelly non aveva la minima idea dell'importanza di quel luogo, e ne fece solo quel breve accenno sul suo diario di bordo. A differenza di Schneider e di McNelly, Fulvio disponeva invece di tutti i dati necessari sia per raggiungere il luogo, sia per comprenderne l'importanza.

Tornò quindi ad Aberdeen e comunicò al suo equipaggio che avrebbero iniziato un ultimo viaggio, questa volta sicuro. Ma fu di nuovo troppo ottimista. Le spedizioni nel nord delle Shetland continuarono senza successo per due anni, finché Fulvio morì d'infarto nel suo appartamento e le ricerche furono interrotte, per essere infine riprese da Alberto e Colin.

Il terzo giorno da quando erano partiti da Aberdeen, Alberto si trovava sul parapetto a prua della Holy Grace, quando gli sembrò di notare in lontananza la sagoma di alcune terre emerse. Avvisò il resto dell'equipaggio, e il primo a salire fu Noah Breiner, che subito tirò fuori un binocolo da una cassa di legno attaccata al parapetto e lo puntò verso la direzione indicata da Alberto. Dopo alcuni istanti sorrise e gridò qualcosa in ebraico al fratello Gavriel, questi annuì e si diresse subito verso l'ufficio del capitano.

Colin stava esaminando con attenzione la mappa delle Shetland, incrociando le coordinate della carta nautica con quelle prese dal suo taccuino. Secondo i suoi calcoli dovevano ormai essere molto vicini alla costa orientale. Fuori dall'ufficio, qualcuno bussò con forza alla porta e, senza aspettare una risposta, entrò nella stanza.

“Capitano, ci siamo quasi” disse Gavriel ansimando di impazienza “L'italiano ha visto qualcosa all'orizzonte”.

Colin non rispose, indossò la sua giacca e seguì Gavriel fino al parapetto di prua, dove trovò il resto dell'equipaggio. Stavano tutti osservando un punto indefinito verso ovest. Il capitano prese il binocolo dalle mani di Alberto e lo puntò verso in quella direzione.

“Bonnie Isle” mormorò, sorridendo. Si voltò verso Alberto e, vedendo il suo sguardo interrogativo, si affrettò a precisare “Il nome che noi uomini di mare diamo all'isola Whalsay, figliolo. Siamo arrivati alle coste orientali delle Shetland”.

Al comando di Colin, l'equipaggio continuò a condurre la Holy Grace senza mai perdere di vista le coste orientali delle Shetland. Arrivarono così fino ad avvistare il porto di Haroldswick, da lì proseguirono a nord.

Il giorno dopo la Holy Grace era ormai arrivata nel punto indicato dalle ultime coordinate segnate sul diario di bordo di Fulvio Ferranti, ma per molte ore tutto quel che si poteva vedere per decine di miglia era solo l'infinita distesa dell'oceano.

Colin era rimasto a prua della nave per tutta la mattina, scrutando con il binocolo l'orizzonte in ogni direzione e controllando a intervalli di pochi minuti una carta nautica e alcuni appunti su fogli fissati a una tavola sul parapetto. Sentì dietro di sé i passi di qualcuno che stava salendo le scale di metallo.

“Ancora niente, Colin?” disse la voce di Alberto.

Il capitano abbassò il binocolo “No, figliolo. In vita mia ho passato più tempo a navigare che a camminare, ti dico, eppure non capisco” rimise il binocolo nella scatola e prese la carta nautica, mostrandola ad Alberto “Secondo gli ultimi calcoli di tuo padre questa Eilean Dubh dovrebbe trovarsi qui, entro un raggio di poche miglia. Eppure in dodici ore abbiamo avvistato solo qualche scoglio emerso, dei grossi banchi di alghe, una nave arenata in lontananza, alcuni delfini e, per il resto, il nulla”.

Alberto prese la carta nautica e la esaminò. Dopo alcuni giorni passati sulla Holy Grace, aveva iniziato a capirci qualcosa di navigazione “Forse mio padre si sbagliava?”.

“No, ragazzo” rispose Colin quasi offeso “Tuo padre non ci avrebbe mai trascinati in quelle avventure se non fosse stato fermamente convinto di quel che stava cercando. Sono ore che stiamo navigando in cerchio, allontanandoci sempre di più dalle coordinate indicate nel diario”.

La mattina dopo, Colin decise di invertire la rotta, e di esaminare di nuovo ogni miglio quadrato navigando a spirale fino a riavvicinarsi al punto indicato sul diario di Fulvio. Mentre la Holy Grace era ferma in mezzo all'oceano e l'intero equipaggio osservava con attenzione l'orizzonte, nella speranza di scorgere la presenza di una qualsiasi isola, Alberto stava sul ponte di coperta a babordo, esaminando per l'ennesima volta gli appunti presi da Colin il giorno precedente, poi afferrò il binocolo, che ormai teneva sempre a portata di mano, e lo puntò verso ovest. Dopo alcuni istanti si diresse in fretta verso Gavriel e gli disse qualcosa, indicando prima la carta nautica, poi il punto a ovest. Gavriel annuì, entrò nella cabina di comando e rimise in moto la Holy Grace.

Colin uscì dal suo ufficio di capitano, chiedendo il motivo di tutto quel trambusto.

“Che accidenti succede, figliolo?”.

Alberto era tornato a babordo e sorrideva mentre guardava verso l'oceano “Forse ho capito, Colin”.
Emiliano Federico Caruso
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