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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Matteo Capelli
Titolo: Il teorema dell'equilibrio
Genere Romanzo di formazione
Lettori 3741 76 284
Il teorema dell'equilibrio
Aveva il viso tumefatto. Le guance erano rosse, le labbra rovinate, gli occhi gonfi di lacrime. I lineamenti venivano mossi dal trucco che si era sciolto nel pianto. Chi era? Lo specchio restituiva un'immagine sbiadita e confusa. Irriconoscibile. Sembrava uno spettro.
Non poteva andare avanti così. Linda lo sapeva. Ma non aveva il coraggio, né la forza, di mettere fine a quella situazione. Cos'altro avrebbe potuto fare per cambiare le carte in tavola e volgere la partita a proprio favore? Nulla. Non aveva alcun asso nella manica. Aveva giocato pulito, con gli occhi dell'ingenuità, finendo per cacciarsi in un bel pasticcio. Ed ora non conosceva la strada per uscirne. Ammesso che ci fosse una via di fuga da un simile guaio.
Faceva male. Faceva tanto male. Quant'era stata stupida a dar retta a tutti quei discorsi. Aveva creduto ciecamente ad ogni singola parola. Ad ogni frase di circostanza. Ad ogni promessa. Come una sciocca bambina. Ecco cos'era. Soltanto una sciocca bambina. Si era divertita ad indossare la maschera della donna, ma alla prova della verità il suo personaggio era crollato. E lei era tornata un'adolescente insicura, incapace di capire quale fosse la cosa giusta da fare.
Era sola. Non aveva nessuno accanto con cui confidarsi. Nessuno con cui sfogarsi. Nessuno al quale chiedere aiuto. Od un semplice consiglio. Il peso dei suoi diciotto anni adesso si faceva sentire come non mai. Alla sua età avrebbe dovuto pensare a divertirsi, sognando un domani splendente e radioso. Invece era impantanata in una melma densa di incognite e timori. Altro che roseo futuro. Linda vedeva nero.
Il terrore di non farcela avanzava di pari passo con la paura di cadere nuovamente negli errori del passato. La sua fragilità caratteriale l'aveva infatti portata sull'orlo del baratro già in un paio di occasioni. E in entrambe le circostanze per motivi che risultavano futili se paragonati alle gravi difficoltà del presente. Dunque come poteva sperare di cavarsela questa volta, se non molto tempo addietro era stata sul punto di arrendersi per ragioni assai meno opprimenti delle attuali?
L'ansia la divorava. Magari una passeggiata le avrebbe ridato un po' di lucidità. E di respiro. Aveva bisogno d'aria. Aria fresca. Le pareti della sua camera le stavano togliendo il fiato. Doveva evadere. Da quella stanza. Da quell'impaccio. Da quella vita. Scappare non era di certo un atteggiamento da persona responsabile, comunque il raggiungimento di un'accettabile maturità comportamentale non era fra le priorità di Linda al momento. La priorità era la sopravvivenza. Un istinto che stava pericolosamente smarrendo.
Soffice ristoro. La tenera compassione di un fazzoletto di stoffa restituì un minimo di decoro al suo volto, segnato da un violento disincanto. Prima di uscire, Linda voleva almeno accertarsi di essere in ordine.
Prese le chiavi di casa, raccolse il rosario che le era stato ceduto in punto di morte dall'adorata nonna materna. Le risultava impossibile separarsi da quel simbolo religioso, non tanto per una questione di fede, quanto piuttosto per l'affetto smisurato che nutriva nei confronti di chi glielo aveva donato.
Quanto le mancava quella persona. Era scomparsa da poco meno di un anno, eppure a Linda sembrava trascorsa un'eternità. Per lei era stato un duro colpo perdere l'unica figura capace di fronteggiare la severa rigidità dei suoi genitori e farla sentire amata e protetta.
Nonna Elina era la sua solida certezza. La sua complice segreta. Un dolce supporto, oltre che un punto di riferimento al quale attingere saggezza. Era l'ombra che vegliava sul suo cammino. Aveva sempre avuto un rapporto speciale con lei. Finché un tumore al pancreas se l'era portata via. Lasciando Linda da sola a brancolare nel buio di un mondo che non percepiva come suo.
Era un clima ostile. L'inverno stava giungendo al termine, nonostante la temperatura non volesse affrettarsi a salire. Rimaneva incastrata sulla soglia fra l'insensibile e l'impalpabile, rallentando le stagioni. A nulla servivano i caldi abbracci di cappotto e maglione, così come inutile era respirare i profumi della natura.
Il grigio del cielo non faceva che accrescere l'insofferenza di Linda, mentre si addentrava nei fitti boschi che attorniavano la campagna nella quale abitava. Da qui ogni cosa pareva lontana. La civiltà, fatta eccezione per il fornaio davanti casa e per la tabaccheria adiacente, distava chilometri. Ed anche il peso dei problemi sembrava abbandonarla. Ma era soltanto un tragico inganno. La menzogna di una fuga. Una commedia che non poteva proseguire oltre. Perché la protagonista era stanca. La sua recita era durata abbastanza.
* * *
Ancora una volta, era andata. Che sollievo. La mattinata horribilis di Manuel si era chiusa senza ulteriori scossoni. Il bilancio complessivo era però negativo. Sebbene la sua scarsa ambizione gli facesse considerare il sei scucito al professor Rossi alla stregua di un successo, la nota disciplinare ricevuta rovinava il labile equilibrio del suo quieto vivere. Non fosse bastata l'ingiustizia patita, avrebbe dovuto subire pure la ramanzina dei suoi genitori. Davvero una seccatura. Fosse stato facile spiegar loro che lui non aveva commesso alcuna malefatta...
Era stato stolto. Si era fatto carico di una colpa che non gli apparteneva. Mentre i veri responsabili dell'accaduto erano rimasti nell'ombra. E dire che sarebbe stato semplice accusarli e tirarsi fuori dalle sabbie mobili con mani e vestiti completamente lindi. Ma De Amicis non era una spia. Non avrebbe mai gettato fango su nessuno dei suoi compagni, benché questi avessero lasciato che lui venisse imbrattato al posto loro.
- Vigliacchi... -
Ormai quel che era stato, era stato. Non si poteva tornare indietro. Ad ogni modo, dopo la sicura sfuriata dei suoi, il week-end di Manuel sarebbe stato tutto sommato tranquillo. Fin troppo. Già, perché la sua condizione di alienato non migliorava granché neppure durante il fine settimana. Al contrario, si acuiva. Se possibile.
I suoi coetanei lo ignoravano. E Manuel non aveva quel carattere necessario ad alzare la voce per attirare l'attenzione. Chissà, forse gli andava bene così. Essere emarginato non comportava obblighi, né costrizioni. Non c'era il rischio di deludere altrui aspettative, dal momento che nessuno nutriva mai aspettative nei suoi confronti. In un certo senso, era comodo giacere nell'anonimato. Allora perché era tanto insoddisfacente ricoprire quel ruolo da lupo solitario?
Il suono del telefono spezzò le rimuginazioni di Manuel. Qualche istante più tardi, sua madre fece ingresso in camera sua.
- È per te - , disse.
Manuel la guardò, come a voler captare dai suoi occhi il nome di chi lo stava cercando. Era sorpreso e un po' intimorito. Non era abituato a ricevere telefonate. Il suo terrore era che si trattasse della scuola. Stavano per caso chiamando a casa per avvisare i suoi genitori del provvedimento preso nei suoi riguardi? Con un pizzico di agitazione si diresse verso il corridoio, dov'era l'apparecchio. Nonostante la tremarella, era curioso di conoscere l'identità del suo interlocutore.
- Pronto -
- Ehi amico, come te la passi? -
Nebbia totale. Per quanto il tono facesse intendere una certa complicità fra di loro, per Manuel la voce all'altro capo del ricevitore rimaneva senza padrone.
- Non male - – rispose, tentando di dissimulare il proprio impaccio con una domanda diretta – - ... chi parla? -
- Come, non mi riconosci? - – replicò stupita la voce – - Sono Tommaso. Tommaso Corelli... -
- Ah... - , sibilò Manuel, ma dentro di sé non sapeva che cosa pensare. Perché il Pazzo doveva interessarsi proprio a lui? Nemmeno sospettava che avesse il suo numero.
- Volevo dirti che io e i ragazzi abbiamo apprezzato il tuo comportamento di stamattina. Sei stato un duro a non aprire bocca. Sei un tipo tosto -
Cavolo. Le ultime parole che Manuel si aspettava di udire erano appena state rivolte a lui dalla massima celebrità del Liceo Scientifico Albert Einstein. La sua dimora adottiva. Che cosa poteva ribattere? Non era avvezzo alle lusinghe. Lo mettevano a disagio, sempre per quella vecchia storia che finché non ci si espone non si corre il pericolo di essere ammirati. E di conseguenza di venir meno alla fiducia conquistata. Era confuso dall'inspiegabile emozione che provava. Un misto fra eccitazione e nervosismo. Così pronunciò l'unica verità inconfutabile della quale avesse piena coscienza.
- Non so cosa dire -
- Nulla, amico. Non devi dire proprio nulla - – riprese a sproloquiare Tommaso – - Piuttosto, hai qualche impegno per la serata? -
- Impegno? - – ripeté Manuel – - No... nessuno. Nessuno... -
- Io ed altri compagni di classe pensavamo di fare un giro al Rock Planet. Ci farebbe piacere se ti unissi al gruppo. Sì, insomma... se venissi a fare un po' di casino con noi -
La questione si faceva seria. Se da un lato si stava schiudendo la possibilità di entrare in contatto con una diversa e più appagante dimensione sociale, dall'altro veniva richiesto un coraggio non indifferente per riuscire a spaccare un guscio protettivo a prova di bomba ed aprirsi a nuove e indecifrabili esperienze. Era pronto Manuel ad affrontare la comune realtà degli adolescenti come lui? Probabilmente no, tuttavia non era pronto neanche a congedare il Pazzo con un rifiuto. Pertanto accettò di finire in trappola.
- D'accordo - , sentenziò. E sul suo corpo calò il gelo. Improvvisamente ebbe paura. Della normalità.
- Fantastico - – esclamò dal canto suo Tommaso – - Ci vediamo a mezzanotte davanti al locale -
- Perfetto -
I giochi erano fatti. Manuel era ufficialmente incastrato. E la confessione da rivolgere a mamma e papà non poteva che essere rinviata.
* * *
- Pub o discoteca? -
- Discoteca -
- Ci sto -
Stemperata la rabbia per il voto conseguito nell'interrogazione di matematica, finita in archivio con un risultato mediocre per quelli che erano i suoi standard, Laura si era proiettata prontamente verso la pianificazione delle attività della notte. Ovviamente i suoi progetti non potevano prescindere dall'opinione e dalle intenzioni di Sara, sua eterna alleata.
- Allora passi tu, sto tranquilla... -
- Conosci qualche alternativa? - – chiese Sara, colorando la retorica con una punta di sarcasmo – - Sono l'unica ad avere la macchina e a non bere superalcolici -
- È per questo che ti adoro! - , sghignazzò Laura.
La telefonata era stata produttiva. Un evento raro, quando Laura e Sara si mettevano a chiacchierare tra loro appese alla cornetta. Di solito infatti iniziavano a discutere di scuola e ragazzi, finendo per dimenticarsi del motivo stesso per cui si erano chiamate. Altre volte passavano ore a darsi reciproci consigli sul look e sul taglio di capelli da adottare, oppure si scambiavano informazioni sui negozi d'abbigliamento appena aperti e sui vestiti che avevano visto in vetrina. Discorsi da ragazze, insomma. Come la premura nello stabilire un punto di ritrovo per la serata.
Il divertimento era alle porte. Ci voleva proprio un po' di svago, dopo una pesante settimana di studio. Laura non stava nella pelle. Aveva voglia di uscire, di ballare, di scatenarsi. Era talmente disciplinata e solerte nell'adempiere agli obblighi scolastici, che almeno nel tempo libero desiderava lasciarsi andare. Se lo meritava.
Era un'ottima studentessa. La migliore. Intelligente, preparata, con un rendimento costantemente al di sopra della sufficienza. Questo non significava però che appartenesse alla cerchia dei cosiddetti secchioni, fenomeni sopra i libri ed imbranati fuori dalla scuola. Anzi, Laura sapeva come godersi la propria giovinezza, appena ne aveva la possibilità. Comunque non oltrepassava mai il limite. Non era né spericolata, né sprovveduta. Quando era il momento di dire basta, diceva basta. E stop. Riuscire a darsi alla pazza gioia senza esagerare era un'altra delle sue qualità.
Soltanto in una circostanza era successo che perdesse il controllo e la situazione le sfuggisse di mano. Accadde alla festa per i diciotto anni. Per i suoi diciotto anni. Ma la colpa tuttavia non fu sua. Furono alcuni degli invitati, suoi pseudo-amici, a fare in modo che lei varcasse quella soglia. Quei farabutti le fecero mangiare un tortino di hashish, a tradimento, senza rivelarle quale ingrediente segreto contenesse il dolce. Le conseguenze furono terribili. Laura sprofondò negli abissi della mente per diverse ore. Ebbe una forte crisi psicologica. E più i presenti tentavano di tranquillizzarla per rimediare al loro stupido scherzo, più la sua angoscia aumentava. Divenne ansiosa, impaziente, nervosa. Fu travolta dal pessimismo e cominciò a vedere tutto nero. La fine del mondo le sembrava vicinissima. Finché l'effetto della droga assunta svanì. E di quello che capitò negli interminabili frangenti precedenti nemmeno le rimase memoria.
A vedere il bicchiere mezzo pieno, quell'esperienza negativa le servì da lezione. Dopo un trauma del genere, era inevitabile che diventasse molto più attenta a ciò che la circondava, in modo da non farsi fregare nuovamente da caproni come quelli che allora frequentavano il suo giro. Così iniziò a guardarsi bene dal far comunella con certa gentaglia. Perché l'ingenuità di ieri doveva trasformarsi assolutamente nella scaltrezza di domani.
* * *
- Lo chiamo o non lo chiamo? -
Sara fissava il telefono aspettando l'adeguata ispirazione. Aveva sottratto apposta il numero di Manuel dall'elenco presente nel registro di classe, tuttavia, ora che lo teneva stretto fra le mani, non trovava la sfrontatezza per usarlo. Cosa la bloccava? Riserbo? Prudenza? Timidezza? Non era da lei una tale indecisione. Lo doveva chiamare. Punto e basta. Cosa sarebbe potuto succedere di grave? Male che fosse andata, il suo invito sarebbe caduto nel vuoto.
- Grazie, ma ho altro da fare... Mi piacerebbe, però ho già un impegno... Scusa, ma purtroppo non posso - , bisbigliava fra sé e sé Sara, provando ad immaginare quello che Manuel avrebbe potuto risponderle.
Voleva scongiurare l'effetto sorpresa, per non farsi trovare impreparata, qualunque fosse stata la sua reazione. E se avesse accettato di vederla? L'ipotesi la allettava. Sarebbe stato fantastico uscire insieme a lui e avere la possibilità di conoscerlo più approfonditamente. Un incontro, due chiacchiere, qualche risata. Poi chissà, se le cose fossero andate nel verso giusto, magari si sarebbero persino baciati. Frena, frena, frena. Stava volando troppo con la fantasia. Ed era meglio evitare di precipitare, per non schiantarsi al suolo. Bisognava fare un passo per volta. Non c'era altra soluzione. Doveva assolutamente chiamarlo.
Sollevata la cornetta, Sara digitò con cura le dieci cifre che componevano il numero di casa De Amicis. Dall'altra parte, la linea risultava libera. Tuuu. Tuuu.
- Pronto -
- Pronto... ciao... - – balbettò Sara, che non si era scrollata di dosso il senso d'insicurezza, sebbene i monologhi di simulazione le avessero fatto rompere gli indugi – - ... Manuel? -
- Sì... -
- Sono Sara -
- Sì... ciao... - , bofonchiò dal canto suo Manuel, incredulo per l'ingente mole di attenzioni cui di colpo doveva far fronte. Ben due telefonate nell'arco del medesimo pomeriggio. Da due diversi compagni di scuola. Addirittura da una ragazza! La sua vita sociale non era mai stata tanto attiva. E ciò lo spaventava.
- Forse ti starai domandando per quale motivo ti abbia chiamato... - – attaccò Sara, improvvisando un'arringa malferma – - ... a dire il vero non ce n'è uno specifico... o meglio, ci sarebbe... però non è vincolante... cioè... anche se non ci fosse stato, avrei comunque avuto voglia di sentirti... che poi, tirando le somme, è questo il motivo della mia chiamata... senza fraintendimenti, sia chiaro... -
La confusione mentale di Sara era superiore a quella cronica in cui navigava Manuel stesso. Rifletteva la vivacità del suo animo in subbuglio.
- Ehm... grazie - – la assecondò Manuel, convinto d'aver ravvisato nel caotico farneticare di Sara un qualche elogio implicito meritevole di un suo platonico inchino – - ... -
Fare conversazione non era il suo forte. Per fortuna invece a Sara non mancava la parlantina, anche se talvolta la sua bocca dava impulso più ad una travolgente tempesta di frasi sconnesse che ad un elegante fluire di pensieri logici. Indice di un'emotività capace di eccedere la fredda ragione.
- Hai programmi per la serata? - – domandò senza fronzoli, avanzando immediatamente una proposta audace – - Perché... sai... in genere di sabato mi piace andare fuori, visto che domenica non c'è scuola... e siccome stavo organizzando un'uscita con Laura, avevo pensato che magari avremmo potuto fare qualcosa insieme... anche a te... sempre se ti va... o se puoi... -
Manuel ammutolì. Era spiazzato. Sara gli aveva realmente recapitato un invito o stava sognando? Non poteva essere vero. D'accordo che lei non era in cima alla lista delle ragazze più desiderate della classe, benché fosse carina e simpatica, ma lui poteva seriamente considerarsi il massimo esponente di quella categoria di teen-agers che in gergo giovanile venivano definiti sfigati colossali. E di ciò era consapevole.
Aveva le palpitazioni. Che doveva fare? Era una situazione nuova per lui. Oltre al disagio di non sapere come ci si comportasse in quei casi, doveva pure rendere conto dell'appuntamento già scritto in agenda. Cosa, questa, più unica che rara. E poi amava Linda. Perché dunque uscire con un'altra?
Era costretto a declinare l'offerta. Però non voleva deludere Sara. Manuel era cosciente di quanto potesse far male sentirsi respinti, lui che respirava ai margini della società ogni benedetto giorno. Perciò doveva agire con delicatezza. Una banale scusa avrebbe risolto il problema senza ledere la sensibilità di nessuno. Doveva inventare qualcosa.
- Sarebbe bello... - – esordì, usando un condizionale che non lasciava presagire nulla di buono per Sara – - ... purtroppo però non riesco a farcela. Mi è venuta la febbre -
- Oh, mi dispiace - – replicò Sara – - In effetti oggi a scuola sembravi un po' strano -
- Eh sì... - – ammiccò Manuel, abile nello sfruttare l'accondiscendenza di Sara – - Probabilmente stavo già male - , disse poi, fingendo un colpo di tosse.
Aveva mentito. Ma era stato per una nobile causa. Preservare il docile cuore di una tenera fanciulla. A pensarci bene, anche questa era una menzogna. A sé stesso. Perché in verità era stato il timore di venire giudicato a fargli dichiarare il falso.
- Pazienza. Sarà per un'altra occasione - – chiosò Sara, congedandosi con un augurio – - Cerca di riprenderti in fretta -
- Speriamo... -
* * *
Non riusciva a riaversi. Aveva davvero visto quel che aveva visto? Carlo era sotto choc. Mentre si dirigeva a passo svelto verso l'auto, il dubbio cominciava ad insinuarsi nei meandri del suo subconscio. E se fosse stata un'allucinazione causata da un abuso di marijuana? No, troppo fantascientifica come spiegazione. Neanche sapeva se questo fosse un possibile effetto collaterale dell'erba. Certe cose sono plausibili solamente nei film.
- Mi sto fumando il cervello? - , pensò.
Di sicuro c'era il fatto che non si sarebbe voltato per tornare indietro a verificare l'attendibilità di quella che avrebbe potuto essere la sua testimonianza.
Testimonianza? La schiena di Carlo fu percorsa da un brivido. Mica doveva per forza lasciare una deposizione presso la polizia. Poteva cavarsela in altro modo. Con una telefonata anonima, per esempio. Questa poteva essere una soluzione. E se fosse stato rintracciato? Fottuti sbirri. Gira e rigira, il problema erano sempre loro.
E se invece avesse taciuto? Chi lo avrebbe scoperto? Poteva lasciare la patata bollente nelle mani di qualcun altro, restando zitto ad aspettare che il cadavere fosse rinvenuto da una terza persona. Era il metodo 'Ponzio Pilato'. No, non era attuabile. Qualcuno poteva averlo visto a spasso sulle colline. Nel bosco. Oppure aver notato il bolide di papà arrampicarsi sulle salite fuori città. Era una macchina che dava nell'occhio. Magari avevano persino appuntato la targa. A quale scopo poi? Fottuta paranoia. Dopo sì che sarebbe stata dura fornire una giustificazione convincente.
Che razza di guaio. Perché doveva capitare proprio a lui di restare coinvolto in qualcosa di così grosso? Sarebbe stato più opportuno rimanere chiuso nella propria tana. Non poteva pensarci prima? Se si fosse accontentato dei trenta metri quadrati della sua camera, anziché uscire, a quest'ora sarebbe stato tranquillo e beato a sguazzare fra gli agi dei suoi appartamenti. Invece si trovava a vagare per i monti, in preda al panico. Tutto questo perché aveva saltato la scuola. Fottuto assenteismo, portatore di tempesta. D'altronde, se lui seminava vento...
- Con la morte non si scherza - – continuava a ripetere Carlo – - Con la morte non si scherza - , e intanto riconduceva la BMW verso la rimessa di casa.
Doveva fare la cosa giusta. Ma qual era? Effettuata l'ennesima curva sulla strada del ritorno, da dietro il tornante spuntò una cabina telefonica. Carlo la fissò a lungo. Quindi decise di accostare.
Rapido, diretto, deciso. Poche parole e poi riattaccare. Al cinema funzionava così. Usando un telefono pubblico, nessuno avrebbe potuto ricondurre la chiamata proprio a lui. Era pronto. Composto il centotredici, attese qualche secondo.
- Parlo col Comando della Polizia? - – esordì Carlo – - Salve, vorrei segnalare il ritrovamento di un cadavere -
Matteo Capelli
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