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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Sergio Bertoni
Titolo: L'Intruso
Genere Narrativa
Lettori 4082 48 66
L'Intruso
Ore sei di quel sabato mattina.
Le strade erano ancora semideserte; rari passanti camminavano veloci rasente i muri per recarsi al lavoro, alcuni si fermavano in piccoli gruppi presso le fermate dei tram. Altri saltellavano e sbattevano i piedi per terra, nel tentativo di accelerare la circolazione sanguigna per cercare di riscaldarsi. Un vecchio mendicante, infreddolito, si avvolse ancor più nel suo tabarro sdrucito, ricoprendosi le orecchie e il naso con una ruvida sciarpa di lana. Il vento soffiava gelido e la neve cadeva turbinosa, imbiancando ogni cosa. Da molti anni un inverno così freddo non si era abbattuto sulla capitale come in quella tetra e livida alba del cinque gennaio 1935
Il corridoio della clinica era, se possibile, ancora più tetro, gelido e inospitale dell'esterno. Il giovane Antonello continuava nervoso a passeggiare avanti e indietro, passandosi le mani tra i capelli, e, a volte, tappandosi le orecchie per cercare di non ascoltare i lamenti della sua sposa, che le porte chiuse della sala parto non riuscivano ad attutire. La sofferenza della puerpera era già iniziata da quasi due giorni ed era proseguita per tutta la notte. Anche ora, mentre le prime luci dell'alba diffondevano un velato chiarore, non accennava per nulla a diminuire.
L'andirivieni veloce e preoccupato, di medici e infermiere, con espressione severa, non poteva non accrescere l'angoscia che attanagliava l'animo dell'uomo. Maledisse la fretta che, l'imprevisto inizio delle doglie, annunziato dagli occhi terrorizzati della donna, l'aveva costretto a ricoprirsi con le prime cose che aveva trovato e a precipitarsi fuori per cercare un tassì e accompagnarla in clinica. Aveva dimenticato guanti e sciarpa; a stento si era ricordato di indossare un cappotto che ormai non riusciva più a ripararlo dal gelo: un freddo insolito per una città come Roma. Era stanchissimo. Aveva sonnecchiato a tratti sopra una panca del corridoio, e quelle maledette scarpe, comprate da poco, gli avevano stretto i piedi in una morsa. Una morsa simile alla tremenda preoccupazione che ormai da ore e ore lo tormentava. Da quasi due giorni il suo unico sostentamento era stato qualche cappuccino caldo e alcuni biscotti, forniti da una pietosa infermiera.
Una porta si aprì e il ginecologo, desolato e scuro in volto, gli si avvicinò circospetto. Antonello, pallido e scarmigliato, con gli occhi gonfi e arrossati sia per l'ansia sia per la notte insonne, lo affrontò con un disperato sguardo interrogativo. Sperava in una parola di conforto, anche se l'espressione tesa del medico non sembrava lasciar prevedere nulla di buono.
- Mi creda, - mormorò rattristato il sanitario - abbiamo fatto e stiamo facendo tutto il possibile. All'inizio era sembrato un parto normale e non abbiamo preso neppure in considerazione l'ipotesi di un taglio cesareo. Poi il travaglio si è prolungato più del dovuto e ormai la situazione è diventata molto seria. Il neonato è troppo grande, non riesce a venir fuori; la madre è stremata e non ce la fa più. Temo che lei dovrà fare una scelta. Una scelta che sarà molto grave e difficile... -
L'uomo si fece terreo in volto e sbarrò gli occhi.
- O proviamo a salvare la madre... o il figlio. - proseguì il medico, distogliendo lo sguardo dal viso devastato dell'uomo, - Sono addolorato, ma temo non vi siano altre scelte e, in entrambi i casi, la situazione resta grave. Molto grave. Non voglio darle false speranze, lei... lei cerchi di essere preparato a tutto. -
- La madre, - rantolò Antonello con voce roca, torcendosi le mani mentre sentiva mancargli il respiro, - salvate la madre. Vi prego. Salvate mia moglie, è lei la ragione della mia vita! Fate il possibile e l'impossibile. Non se ne abbia a male, ma è necessario qualche altro consulto? Devo chiamare qualcuno?... io non bado a spese, posso fare qualcosa? Qualsiasi cosa? -
- No, le assicuro che è in buone mani. Siamo in grado di affrontare ogni evenienza e tra l'altro... il tempo che ci resta è davvero poco. Cerchi, se può, di mantenere la calma, le prometto che faremo di tutto. Proprio di tutto, mi creda. -
***
La tensione, nella sala parto, era al massimo livello. La puerpera, smunta ed emaciata, emetteva lunghi lamenti, interrotti a tratti da grida strazianti. Un contenitore sterile, ripieno di soluzione isotonica, collegato con un agocannula alla vena del suo avambraccio, cercava di sopperire al grave stato di disidratazione della paziente, il cui cuore era affaticato. Il volto del ginecologo era pallidissimo e il sudore gli scendeva a rivoli dalla fronte. Un'infermiera si precipitò ad asciugargli il viso con un tampone. L'altro dottore presente, il suo vice, intento a controllare la puerpera, aveva gli occhi sbarrati e il respiro affannoso.
- Non mi è mai capitato un parto distocico di tale gravità. La dilatazione si è arrestata e non procede. Aritmie sempre più frequenti. Ha parlato con il marito? Che cosa ha deciso? - chiese il vice nervosamente.
- Ha chiesto di salvare la madre. Temo che, purtroppo, dovremo sacrificare il figlio, è troppo grosso. Troppo. Probabilmente oltre i quattro chili. È una responsabilità gravissima che mi spezza il cuore, eppure dobbiamo farlo, è necessario, anche se è un procedimento contrario a tutti i miei principi. Signora Teresa, sia gentile, vuole far venire subito qui quel dannato anestesista che si è allontanato nel momento meno opportuno? Dobbiamo sedare la puerpera per procedere per via chirurgica. -
L'anziana ostetrica lo fulminò con una gelida occhiata: - Io? Sta scherzando? Non tocca certo a me! Che vada l'infermiera a chiamarlo. Del resto, io non sono d'accordo con lei, caro dottore. Questa creatura vuole nascere, è viva e vitale. Certo, è sofferente, ma ho auscultato il battito del suo cuoricino, è accelerato, ma forte e regolare. Davvero lo vuole eliminare? -
Il ginecologo, irritato e confuso, la squadrò con attenzione, poi sbottò:
- Non vede che questa donna non ce la fa più? La sua resistenza è al limite, la pressione è bassissima e il cuore è affaticato. Se non interveniamo, non durerà a lungo! -
- Lo so bene, dottore. Lo vedo anch'io, ma non disperiamo, c'è ancora un tentativo da fare. Si fidi di me! -
La donna, Teresa Kutter, di origine tedesca, alta, magra, ossuta e molto autoritaria, era ben conosciuta per essere un'ostetrica di enorme esperienza, con un master di primo livello conseguito a Berlino. Si narrava che, anche da sola, fosse stata in grado di portare felicemente alla luce centinaia, se non migliaia di bambini, perfino nelle condizioni più critiche.
L'aiuto primario, dottor Moràbito, un giovane calabrese piccolo e grassottello, che si era specializzato presso un ospedale di Padova, li squadrò entrambi, stupito. Quella donna dimostrava una determinazione e un coraggio incredibile per osare opporsi così impunemente alle decisioni del medico. Lui, del resto, sebbene fosse stato trasferito in quella clinica romana soltanto da poco più di tre anni, sapeva bene, come la maggior parte dei presenti, che il primario ginecologo, benché conoscesse bene il suo mestiere, non fosse, purtroppo, uno specialista di capacità eccelse. Si sussurrava che quell'incarico gli fosse stato conferito perché, fascista entusiasta fin dalla prima ora, aveva a suo tempo partecipato alla marcia su Roma ed era tuttora amico di importanti gerarchi del partito.
***
Fuori aveva smesso di nevicare e il vento era aumentato, uno scroscio improvviso di pioggia stava annunziando l'arrivo di un violento temporale. Una serie di lampi accecanti, seguiti dal brontolio rimbombante dei tuoni, misero in fuga i rari passanti che, correndo, cercarono frettolosamente riparo all'interno dei pochi portoni ancora aperti.
Nel corridoio della clinica, Antonello, in preda a violente palpitazioni e con la vista offuscata, andava avanti e indietro disperato senza sapere che cosa fare. Si mise il cappello, scese le scale, aprì la porta a vetri e uscì all'aperto, rialzandosi il bavero del cappotto: una folata di vento lo fece traballare mentre la pioggia battente lo infradiciava da capo a piedi. L'acqua che gocciolava sul suo viso, scivolando dalla falda di feltro del Borsalino, si mischiava, nascondendole, alle lacrime che gli scendevano copiose dagli occhi.
Aveva lottato tanto per conquistare quella bella studentessa dal corpicino perfetto e dagli immensi occhi del color del cielo, della quale si era subito innamorato! L'aveva conosciuta all'università, quando frequentava la sua stessa Facoltà. In quel periodo lei era quasi fidanzata con un altro studente. Tuttavia l'improvvisa attrazione che lo aveva folgorato gli aveva fornito un coraggio da leone. Benché fosse un giovane molto attraente, bruno, di statura media, ma slanciato e ben fatto, questo non era stato sufficiente a superare le ritrosie, la riservatezza e la timidezza della ragazza, dal carattere severo e quasi selvatico. Era riuscito comunque, grazie alle sue notevoli capacità seduttive, a farle abbandonare il precedente innamorato, verso il quale lei non provava che una tiepida simpatia, e aveva messo in atto tutta la sua passione e tutti gli espedienti di arte amatoria in suo possesso pur di riuscire a conquistarla.
Era stata dura, molto dura, ma alla fine c'era riuscito. L'amore era infine divampato coinvolgendo entrambi. Lui aveva del tutto dimenticato di essere già da qualche tempo seriamente impegnato con una ricca giovane del suo paese di origine. Aveva persino contrastato con coraggio le perplessità di suo fratello Augusto verso il quale aveva sempre nutrito una sorte di rispettosa venerazione. Questi, più grande di lui di oltre quattordici anni, e già molto ben inserito nell'ambiente finanziario della capitale, ormai da anni gli stava facendo da padre, sovvenzionandolo, spronandolo a studiare, e procurandogli anche un lavoretto di rappresentanza presso una fabbrica di ghiaccio secco. Gli aveva persino donato, cosa molto rara per l'epoca, una piccola autovettura per agevolarlo nei suoi spostamenti lavorativi!
- Tu sei un pazzo incosciente, fratello mio. - gli aveva sibilato, scuro in volto, - Che cosa sappiamo di quella ragazza? Quasi nulla. Ha quattro anni più di te, viene dalla Sicilia ed è probabile che abbia una mentalità e delle abitudini completamente diverse dalle nostre. Perché ha lasciato la famiglia per venire a vivere e studiare qui a Roma? Anche a Palermo c'è l'Università! Qui abita con due sorelle che, per giunta, si fanno mantenere dai loro amanti, e quindi secondo me sono anche persone poco serie e affidabili! -
- Ti sbagli, Augusto, fratello caro, intanto, che diavolo! Siamo nel 1930 e non nel medioevo! È vero che una delle sorelle non è sposata, ma entrambe fanno una vita molto ritirata e dignitosa. Quella sposata, si è dovuta separare dal marito, un uomo violento che l'ha costretta a denunziarlo e a fuggire da Palermo, l'altra è invece fidanzata con un nobile russo, sfuggito alla rivoluzione del suo paese! Io le ho conosciute, sono persone molto orgogliose e rispettabili che si mantengono facendo le insegnanti. Tu invece non conosci questa mia ragazza, ma ti posso assicurare che è colta e onestissima, oltre che bellissima. Mezza università va pazza per lei, persino uno dei suoi professori, quando la vede, la saluta dicendo: ecco la mia insegnante d'inglese! -
- Sì, lo so bene, - brontolò Augusto, - ho preso le mie informazioni, è una ragazza onesta, questo te lo concedo, ma per quanto ne so, è alquanto svogliata, ha sostenuto pochi esami e quando il suo professore la chiama - la mia insegnante d'inglese - , lo dice con ironia, perché sa benissimo che quella ragazza della lingua inglese non capisce neanche una parola! E poi ti sei dimenticato della tua promessa sposa e dei tuoi impegni? Lei, innamorata, è ancora lì al paese che ti aspetta, e tu sai bene che appartiene a una famiglia ricca e importante che potrebbe fare la tua fortuna. Quando la smetterai di fare il farfallone? Credi che non sappia che mentre facevi il corso di allievo ufficiale a Fano, approfittando del tuo fascino e della tua sfolgorante divisa di ufficialetto, hai perso la testa per una ballerina creola, con la quale uscivi tutte le sere?! Francamente non so più che cosa fare con te. Ti distrai, lavori male e sei anche in ritardo con lo studio, mentre ora dovresti solo pensare a laurearti presto e a trovare un lavoro serio, invece di perdere il tuo tempo dietro le femmine! -
Augusto era veramente preoccupato e fuori di sé. Andava avanti e indietro con veloci passi nervosi e infine aveva quasi gridato:
- Antonello, se non farai così, e non lascerai stare quella ragazza, scòrdati ogni mio aiuto e dimentica che sono tuo fratello! Ho già fatto per te molto più di quanto tu meritassi, sai bene che babbo e mamma sono ormai molto anziani e in pena per te. Di tutti noi fratelli sei l'unico che non abbia ancora messo la testa a posto e al quale piaccia fare il dongiovanni! Deciditi! Vuoi o no, seguire i miei consigli? -
Il tempo era trascorso, e mai come questa volta Antonello aveva litigato col fratello che, indignato, non gli aveva più rivolto la parola. Augusto era di cuore generoso e voleva bene come se fosse un figlio a quel suo fratello minore, ma era di carattere severo e inflessibile, poco disposto a comprendere e perdonare. Antonello, invece, si era intestardito e la passione d'amore l'aveva travolto. Non aveva dato ascolto al fratello ma aveva compreso che, senza una laurea, non avrebbe potuto aspirare alla mano della piccola siciliana. Possedeva ancora qualche soldo da parte e si era davvero impegnato per superare gli esami. Nel novembre del 1933, a ventisei anni, era riuscito a conseguire la laurea in economia e commercio. Tuttavia, sempre più innamorato di quella ragazza che era con fatica riuscito a conquistare, alla fine dell'anno successivo l'aveva sposata, contro il parere del fratello che, esasperato, aveva troncato ogni rapporto con lui, sebbene, di nascosto, avesse agevolato una sua assunzione presso un importante istituto bancario.
Ora, nel tremendo giorno di questo difficilissimo parto, Antonello era solo, e senza il conforto di alcun parente. Accecato dall'orgoglio, non aveva avvertito nessuno, anche se nella capitale non mancavano altri fratelli e altre sorelle che aveva tenuto all'oscuro perfino in questa circostanza.
Un viandante che passava in fretta, riparandosi a stento sotto un ombrello che il vento continuava a capovolgere, gli lanciò un'occhiata stupita e interrogativa vedendolo immobile, e senza alcun riparo, sotto la pioggia scrosciante. Alla fine Antonello si riscosse e rientrò precipitosamente nella clinica, lasciando sul pavimento pesanti impronte fangose. Un'inserviente di passaggio, addetto alle pulizie, con un carrello ripieno di stracci e secchi, lo scrutò con disgusto, e, lanciandogli una feroce occhiata di sdegno, afferrò uno spazzolone per ripulire in terra.
Tutto intorno, nulla era cambiato: il corridoio restava sgombro e desolato, dalla porta chiusa della sala parto continuavano a trapelare gemiti strazianti che sovrastavano un sottofondo di voci maschili e femminili sempre più concitate. Ancora nulla! -Pensò Antonello– Quest'attesa mi uccide. Il mio amore, la mia Marialuce potrebbe morire da un momento all'altro per colpa di quell'intruso, di quell'esserino alieno comparso all'improvviso senza che io l'abbia davvero desiderato! Non so più che cosa fare, qui non si vede nessuno! Almeno, se mi lasciassero oltrepassare quella porta, potrei vedere con i miei occhi che cosa succede.
Si lasciò cadere su di una dura panca. Ripiegato su se stesso, con il capo chino, e il volto nascosto tra le mani, era l'immagine stessa della disperazione. Dal fondo del corridoio, una porta si aprì senza rumore e un uomo anziano, avvolto da uno svolazzante camice bianco, si avviò velocemente, ma senza fare alcun rumore, verso la sala parto. Un'infermiera lo seguiva, recando su di un carrello una numerosa serie di apparecchiature.
La porta della sala parto si dischiuse un attimo prima del suo ingresso, l'ostetrica, con il volto sempre più arcigno, si mise da parte e lo fece entrare.
Il primario accolse con grande sollievo l'arrivo dell'anestesista: - Eccoti, finalmente, benedetto uomo. Ma dove ti eri cacciato? Dobbiamo praticare subito alla paziente un'anestesia generale affinché io possa eliminare chirurgicamente il feto. -
- Ne sei sicuro? - interloquì perplesso l'anestesista, aggiustandosi gli occhiali sul naso, - A me sembra che la paziente sia molto debole e fin troppo provata, il pericolo che possa non farcela è alto. Questa faccenda non mi piace. Te ne assumi tu la responsabilità se qualcosa va male? -
- Non ce n'è alcun bisogno. - intervenne con durezza l'ostetrica, spingendo da parte con una gomitata l'esterrefatto primario, - È un parto distocico, questo sì, e anche serio, ma ne ho già visti molti altri in puerpere primipare, non proprio attempate ma neanche giovanissime. Lei, dottore, badi a farle un'iniezione per l'anestesia locale, e lei, signor primario, - aggiunse, con evidente espressione di sarcasmo, - sono certa che sarà in grado di praticare un'episiotomia medio-laterale che consentirà con un piccolo taglio al perineo di allargare la vagina. -
L'anestesista e l'aiuto primario si guardarono di sottecchi. Non era la prima volta che l'ostetrica si sostituiva, e imponeva la propria volontà, al tremebondo ginecologo. Questi, benché umiliato, sapeva bene sia di non essere all'altezza della situazione, sia che l'espertissima ostetrica era anche la madre di un alto ufficiale germanico, molto vicino al Fuhrer.
Passarono alcuni minuti, dopo l'anestesia locale, il chirurgo si era sforzato, con la mano più ferma possibile, di praticare il taglio richiesto. S'iniziava ora a intravedere la testa del bambino, tuttavia l'apertura non era ancora sufficiente.
Con voce bassa l'aiuto mormorò: - Forse sarebbe il caso di praticare la manovra di Kristeller... -
La Kutter lo gelò con uno sguardo, - La madre è esausta, questa manovra, in apparenza semplice, presenta diversi pericoli e può essere eseguita solo in circostanze estreme, non è questo il caso: guardi come si fa e... impari! -
L'ostetrica pose il palmo della mano sinistra sulla testa del nascituro mentre con la mano destra aiutava la dilatazione del perineo e, curvando le dita e applicando una pressione sul mento del bimbo, provocò, con molta dolcezza, la progressione della testa che infine fuoruscì quasi di colpo. Non fu ormai necessario che una leggera sculacciata perché l'aria si riempisse del potente vagito del neonato, mentre un profondo sospiro di sollievo usciva dalla bocca di tutti i presenti e un'infermiera, intenta in un angolo a sistemare una bilancia e preparare un bagnetto tiepido, nascondeva a stento, dietro un morbido telo, pronto per asciugare il nuovo nato, un raggiante sorriso.
La madre, per qualche tempo, dopo l'intervento del chirurgo che le aveva applicato alcuni punti di sutura per chiudere la ferita, era apparsa in deliquio e quasi morente. Ora riaprì faticosamente gli occhi, si guardò intorno confusa, vide il piccolo, comprese, e incurante della stanchezza e della sofferenza che ancora provava, tese ansiosa le braccia verso quella creaturina, ancora piangente, che era stata appena lavata, pesata, e ricoperta con un panno caldo.
- Davvero eccezionale questo parto, - mormorò l'ostetrica, quasi volesse confortare, con un filino di pentimento, l'umiliazione cui era stata costretta a sottoporre il primario, - un neonato talmente grosso non mi era mai capitato: un bel maschietto di quasi quattro chili e mezzo! - lanciò un'occhiata all'orologio che sovrastava la porta e completò alcune annotazioni su di un registro. - Le sette e trenta. Anche per questo giovanotto è iniziato un nuovo giorno. -
***
Quando i gemiti e i lamenti erano cessati, e si era levato alto, nel silenzio generale, il vagito di un neonato, Antonello era schizzato in piedi attonito- è il pianto di un bimbo, sì è il neonato... Sì, lui c'è, è vivo, ma la madre? Che cosa è successo alla madre? Che cosa accidenti ha combinato quel medico a mia moglie? Che cosa sta succedendo?- Si precipitò verso la porta della sala parto, pronto a spalancarla con violenza, ma questa si aprì e comparve il volto sorridente e rilassato del ginecologo:
- Stia tranquillo, tutto è andato bene! Sua moglie è salva e lei è padre di un bellissimo maschietto. Venga, venga pure. Venga a vedere; questo è un grande giorno per lei! -
Antonello si precipitò all'interno, inciampando in un carrello carico di strumenti che produsse un certo frastuono, a quel rumore la donna, giacente nel letto, rivolse verso di lui uno sguardo luminoso accompagnato da un leggero sorriso.

Antonello la abbracciò con delicatezza, baciandola dolcemente sulla fronte ancora gelida e un po' sudata. Marialuce gli accarezzò la guancia e, sollevando un poco il braccio sinistro gli mostrò il neonato che ora dormiva placidamente avvolto nella sua copertina.

- Ecco nostro figlio, amore, guarda quanto è bello! È un maschietto e lo chiameremo Luigi, lo stesso nome di tua madre che si chiama Luisa, vero? Vuoi prenderlo in braccio? -

- No, meglio di no, avrei paura di farlo cadere o di fargli male. - mormorò l'uomo, ritraendosi riluttante. - È meglio che stia al caldo presso di te. Ora cerca di guarire presto e di tornare a casa non appena possibile. Ti amo, amore mio, ti adoro. -
- Ora è meglio lasciare riposare la signora. È molto provata e ha bisogno di dormire e di riprendersi. - mormorò il ginecologo prendendo l'uomo per un braccio e accompagnandolo fuori nel corridoio.
- Mi ascolti bene. - disse poi, con espressione molto seria, - Sua moglie e il bimbo sono vivi per miracolo. Un miracolo che è bene cercare di non ripetere. Sua moglie ha dovuto necessariamente subire un piccolo intervento chirurgico, che ho suturato, e dal quale dovrà pian piano riprendersi con l'aiuto delle cure che ora le prescriverò. Per molto tempo, forse alcuni mesi, lei dovrà rigidamente astenersi dall'avere qualsiasi rapporto... maritale. È anche auspicabile che passino diversi anni prima di pensare a mettere al mondo altri figli. -
- Capisco, dottore, e la ringrazio di cuore per il suo impegno e per tutto quello che ha fatto. Seguirò il suo consiglio, anche se dover restare per così tanti mesi lontano da mia moglie, evitando rapporti intimi, sarà per me una cosa molto dura. Quanto ad avere altri figli non ci penso proprio. Stia tranquillo. Per quanto tempo ancora mia moglie dovrà restare degente? -
- Almeno per una quindicina di giorni. Lei ritorni domani per prendere le prescrizioni necessarie e, con comodo, potrà in seguito passare al reparto contabilità per il pagamento delle spese sostenute. -
***
Fuori il vento e la pioggia erano cessati, qualche fiocco di neve aveva ripreso a scendere lenta, senza riuscire a depositarsi sull'asfalto bagnato. Le strade iniziavano a essere affollate da impiegati e operai che si recavano al lavoro.
Antonello avvertiva con urgenza la necessità di recarsi a casa, togliersi gli indumenti bagnati, fare un bagno caldo e gettarsi sul letto sperando di dormire. Era stanchissimo ma sollevato che tutto fosse andato bene e che il pericolo che più aveva temuto fosse scomparso. Le parole del medico, però, gli ronzavano senza posa nel cervello e la situazione gli appariva molto deprimente.
I bambini non mi sono mai piaciuti, li ho sempre considerati noiosi e fastidiosi. So molto bene che parecchie persone e anche alcuni miei colleghi sarebbero impazziti di gioia all'idea di avere un figlio. Io, no. Proprio no. Non avevo e non ho mai sentito alcun sentimento paterno, e l'arrivo di questo neonato, che tra l'altro ha messo in pericolo la vita del mio grande amore, mi crea solo un forte senso di fastidio. La mia vita cambierà in peggio, io non sarò più nessuno. Ora questo moccioso assorbirà a mio discapito, ogni interesse e tutto l'affetto di mia moglie. L'ho subito compreso non appena l'ho guardata, mentre se lo stringeva con tenerezza al seno incurante di tutto e di tutti.
L'intruso era arrivato, e non nel migliore dei modi possibili. Questo era solo l'inizio.

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Perché - l'intruso - ? Perché ancora oggi vi sono alcuni genitori che non provano alcun affetto, né alcuna responsabilità per le creature che mettono al mondo. Purtroppo la cronaca ci narra anche di madri snaturate che arrivano al punto di sopprimere, o di gettare in qualche cassonetto, il frutto del loro ventre. Oltre a questo filo narrante, questo romanzo vuole raccontare, ai più giovani, i disagi e la sofferenza in cui noi tutti siamo stati costretti a vivere, o a cercare di sopravvivere, durante gli orrori della seconda guerra mondiale. La narrazione si snoda su più livelli e affronta temi diversi, sia sociali sia sociologici. Comprende numerose persone realmente esistite e poche altre di fantasia. É sempre difficile, talvolta impossibile, tracciare una netta linea di demarcazione tra la storia e la fiction. Tutti, o quasi, gli episodi narrati sono realmente accaduti mentre sia la vita, sia la storia d'amore del personaggio principale (la voce narrante), sono un espediente letterario per consentire di descrivere, senza stancare il lettore e senza appesantire il testo, le traversie e le sofferenze di un periodo della nostra storia che si spera non debba mai più ripetersi.
Seguono diversi racconti di genere vario dall'attualità alla fantascienza.

Sergio Bertoni
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