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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Giovanni Della Corte
Titolo: Allo zero cielo
Genere Narrativa di genere
Lettori 3967 54 66
Allo zero cielo
L'alba fa ormai capolino sul piccolo paese di Roccacima, ancora immerso nel silenzio. Nell'aria si sente solo il fruscio delle foglie degli alberi mosse da un leggero vento e il canto di un gallo che proviene da un campo lontano.
D'improvviso ecco da uno dei piccoli viottoli dei passi leggeri e veloci di un bambino, porta tra le mani un piccolo pacchetto, lo sorregge con molta attenzione come se avesse paura di farlo cadere. Rallenta nei pressi della chiesa, ci sono delle scalinate da salire alte e malandate, si rischia facilmente di perdere l'equilibrio. Bussa più volte a una porta laterale della chiesa e dopo alcuni istanti appare sull'uscio il parroco, il quale prende il pacchetto e saluta il bambino con una carezza e un sorriso. Non appena si chiude la porta il bambino fugge via di corsa, ora non ha più nulla da temere, non ha con sé cose che si possono rompere.
Un paio di volte alla settimana Jolanda Zotti, una contadina rimasta da poco vedova, dona al parroco del paese don Luigi una mezza dozzina di uova fresche ancora calde perché appena tolte da sotto alle galline; lo fa per devozione al Santo patrono. Ogni volta manda Marco, il suo unico figlio; non ci va lei perché non vuole che qualcuno in paese ne parli male, ci sono in giro troppe malelingue.
Il paesino è arroccato in cima a un monte e celato da vari speroni di roccia, è pertanto un po' isolato dal mondo. Gli abitanti sono persone devote, veri timorati di Dio, perché grazie alla costante e impressa opera del parroco si è creato un tale stato di totale abnegazione ai doveri religiosi che chi più e chi meno si cimenta in dimostrazioni di affetto ecclesiastico. Il parroco è molto contento della compatta partecipazione alle funzioni e processioni.
Il sole inesorabile incomincia ad affacciarsi sul piccolo paese, i rintocchi delle campane della chiesa giungono nelle case, nelle quali tutti si stanno svegliando. Man mano le stradine ancora fresche dell'umidità della notte si riempiono di gente che si reca in chiesa per assistere alla messa delle sei. Ci vanno tutti gli abitanti del paese, sindaco compreso. Tra questi c'è una persona che ogni mattina è ansiosa di arrivare per prima in chiesa per mettersi al primo banco: Giacinto Giglio. È gentile e cordiale, stimato da tutti, vive da solo in una casa del centro da quando una ventina di anni fa morirono i suoi genitori. Giacinto fisicamente non è un gran che, non è certamente un uomo dall'aspetto attraente e anche per colpa del suo carattere timido malgrado abbia ormai superato la quarantina fino a oggi non è riuscito ancora ad ammogliarsi. È impiegato negli uffici dell'Anagrafe e conosce bene ogni abitante del paese fin dalla nascita: per qualsiasi modifica anagrafica si passa prima da lui.
Giacinto non è il solo a preoccuparsi di arrivare per primo in chiesa, c'è anche il sindaco Procopio Battistino, corto e panciuto, capelli tirati indietro a lucido di brillantina e baffetti all'insù. Sotto al suo braccio la moglie Carmela Cece, che ha la stessa corporatura del marito, bruttina in viso, anche se si trucca in modo pesante non riesce mai a migliorare il proprio aspetto.
Ogni mattina si assiste alla stessa scena. Quando giungono in prossimità della chiesa i due coniugi vedono arrivare dall'altra parte Giacinto che procede a passo veloce; loro fanno altrettanto, per come camminano sembrano due caciocavalli con i piedi. Mentre cercano di guadagnare per primi l'entrata della chiesa Giacinto e Procopio si guardano l'uno con l'altro per vedere se hanno un vantaggio sull'avversario, ma arrivano puntualmente insieme. Si fermano per un istante, si scrutano, poi Giacinto cede il passo in segno di rispetto verso il sindaco che ne approfitta e sguscia via veloce ma viene fermato per alcuni istanti dal parroco per i saluti di circostanza. Giacinto arriva quindi vittorioso al primo banco e si siede al posto del sindaco, che quando vi giunge non può far altro che sedersi al suo fianco esprimendo piccole espressioni di disappunto; lui invece sorride soddisfatto.
Gli altri, contrariamente, non hanno questa smania di affrettarsi per entrare in chiesa e uno dopo l'altro con calma prendono posto tra i banchi. Non c'è una disposizione prestabilita, ogni volta cambia a seconda di dove uno trova il posto libero. Questa mattina subito dietro al banco dove siede Giacinto e la famiglia del sindaco c'è il farmacista Porfirio Gigante, che al contrario del suo cognome è basso e secco. La moglie Serafina invece è bassa ma pienotta, mentre i due figli Giancarlo e Rosanna rispettano in base al sesso la fisionomia dei genitori. Poi il notaio Fiorenzo Battifiori, un omone alto e grosso vestito sempre elegante, sfoggia oggi un bel gessato blu; la moglie Gemma, molto bella, della stessa statura ma mingherlina; l'unica loro figlia, un po' bruttina, Giannetta, ha l'età per andare in cerca di marito. Poi ancora l'avvocato Oreste Scocca, anche lui elegante ma meno impettito del notaio, con la moglie Maria anch'essa bella e l'unico figlio Bruno, con l'aspetto dell'imbranato e i modi un po' maldestri che ogni tanto butta l'occhio su Giannetta. Lei fa finta di niente ma ha capito già da tempo che può nascere tra di loro qualcosa di più di una semplice conoscenza.
Man mano che la chiesa si riempie c'è anche la Forza pubblica: il maresciallo dei Carabinieri Benedetto Nicolino accompagnato dai due appuntati Vinci Augusto e Di Nunzio Antonio; poi ancora i due vigili urbani Esposito Giuseppe e Barone Orazio. Poi Pasquale Sentimento, che ha il bar proprio a pochi passi dalla chiesa: è inutile aprire prima, tanto sono tutti in chiesa. Poi ancora alcuni piccoli gruppi di famiglie contadine.
Infine gli ultimi ad arrivare sono sempre Jolanda Zotti e il figlio Marco. Si mettono in fondo perché non appena finisce la funzione escono subito; non hanno molta simpatia per alcuni dei personaggi presenti e non vogliono incontrarli sulla scalinata della chiesa.
Ma non proprio tutti frequentano la funzione, c'è una persona che non lo farà mai: Onofrio Malachia. È un tipo schivo, curvo nella schiena come se avesse la gobba. Veste sempre di nero e l'espressione del suo volto, aiutato dalla forma lunga e adunca del naso, ricorda quella di un rapace: nei suoi occhi c'è una strana luce che colpisce chiunque lo guardi dritto. In paese lo temono non solo perché ha un carattere difficile, ma anche perché voci dicono che è un usuraio. Ha ereditato una vera fortuna in soldi, case e terreni; ciò ha attirato sotto i suoi artigli quelle povere persone che necessitavano urgentemente di una somma di danaro e Malachia si è approfittato dell'ingenuità e della semplicità degli abitanti del paese riducendoli al lumicino. Ci fu molti anni addietro qualcuno che addirittura per disperazione fu costretto a ricorrere al suicidio, si disse allora che lo aveva fatto per dispetto perché così Malachia i suoi soldi non li avrebbe mai più presi. Da allora si è ammorbidito nell'usare i suoi metodi coercitivi per recuperare il danaro dato in prestito. Nel corso degli anni molti sono finiti nelle sue mani; oggi si dice che tutti in paese, nessuno escluso, gli devono ingenti somme.
In chiesa man mano che si riempie salgono nei toni i segni della presenza dei devoti: colpi di tosse; brusio di voci sommesse; fruscio di abiti della domenica; tacchettii di scarpe da donna e da uomo; starnuti strombazzanti o smorzati per darsi un contegno seguiti poi dalla classica soffiata al fazzoletto. La sinfonia dell'orchestra dei devoti si interrompe nell'istante in cui si sente la campanella che decreta l'inizio della messa e i fedeli rimangono immobili come statue di cera mentre il prete sale sull'altare; sembrano automi che scattano automaticamente quando durante la funzione ci si deve alzare o sedere, o per recitare le preghiere. Ci tengono a esibire un lodevole atteggiamento migliore degli altri. Dopo aver letto il Vangelo il sacerdote fa l'omelia prendendo spunti dall'Imitazione di Cristo e il disprezzo delle vanità del mondo. La folla rimane colpita fin dal primo rigo: - Chi segue me non camminerà nelle tenebre - dice il Signore. Sono parole di Cristo, le quali esortano a imitare la sua vita e la sua condotta se vogliamo essere veramente illuminati e liberati da ogni cecità interiore.
Per il parroco è stato facile inoculare queste idee nelle menti dei paesani perché quasi isolati dal mondo, hanno sempre avuto come guida di vita le sue parole pronunciate ogni giorno dall'altare. Anche se sono presenti persone alquanto erudite, a furia di partecipare alle funzioni si sono convinte anche loro delle affermazioni del parroco e certe volte le seguono alla lettera. Non si contano più quanti sono gli anni da quando don Luigi ha incominciato a esercitare, ben pochi si rammentano quando esattamente prese in consegna le anime del piccolo paese; l'unica cosa che la gente ricorda di lui è che viene da una città molto lontana – nessuno tiene a mente più quale, forse nemmeno lui – e si dice fosse stato mandato qui per punizione. Può darsi perché è un gesuita. Alcuni paesani lo avevano scoperto perché una volta aveva anteposto alla sua firma la sigla SJ cioè Societas Jesus, la Compagnia di Gesù, ed era stato costretto a spiegarne il significato per soddisfare la loro martellante curiosità. Don Luigi aveva dettagliato i motivi per i quali aveva intrapreso questa scelta di vita e che lo avevano condotto a insegnare loro i principali concetti della Compagnia di Gesù e ne erano rimasti entusiasti a tal punto che avevano sparso subito la voce in paese, tutti volevano conoscere i nuovi concetti: il parroco che c'era stato prima a stento riusciva a fare una predica decente, nessuno era riuscito mai a capirlo perché nei suoi brevi discorsi si mangiava il finale di quasi tutte le parole. Adesso invece c'era un prete giovane che scandiva bene le parole e che aveva pensieri straordinari sulla vita di Gesù, si diceva in giro. Giorno dopo giorno la chiesa si era riempita fino all'inverosimile, tutti i paesani presenziavano comprese le Autorità e così don Luigi aveva trovato terreno adatto per edificare i fondamenti della sua disciplina.
Ma come si è detto non tutti entrano in chiesa. Onofrio Malachia non ha mai prestato orecchio alle parole del prete, spesso lo incontra per le vie del paese ma riesce sempre a defilarsi con una banale scusa se gli rivolge la parola. Don Luigi ha insistito nei tentativi di farlo redimere, lo ha fatto per molto tempo, poi tutto di un tratto ha terminato questa sollecitazione spirituale; non si sa perché ma il prete non gli ha più prestato quell'attenzione che gli dedicava prima, come se non gli importasse più di salvare la sua anima. Il fatto che sia l'unico che non si presenta in chiesa ora gli è del tutto indifferente.
Don Luigi non è solo sull'altare, ci sono due angioletti di bambini figli delle famiglie meno abbienti che a turno servono messa con impeccabile solerzia. Si è arrivati a questa soluzione dopo tribolanti discussioni: tutti volevano essere presenti sull'altare per dare il proprio contributo al Signore, tutti si vantavano di avere maggiori qualità rispetto agli altri. La questione era arrivata fin dentro la sala del Consiglio comunale, ne erano scaturite vivaci discussioni e qualche volta erano arrivati pure alle mani. La Forza pubblica non era stata da meno, persino il maresciallo dei Carabinieri Benedetto Nicolino aveva cercato di prevaricare utilizzando i suoi gradi, pretendendo di servir messa con l'uniforme delle grandi occasioni. Prima di ogni funzione insomma regnava il caos più totale. Allora il sacerdote aveva preso l'iniziativa, aveva tirato a sé due bambini figli delle persone più bisognose di aiuto e aveva comunicato ai presenti che d'ora in poi solo loro avrebbero servito la messa perché anime innocenti.
E non vi dico cosa succedeva quando il prete invitava a scambiarsi un segno di pace, era un continuo via vai di abbracci e di strette di mano, ognuno si muoveva tra i banchi affinché non mancasse a tale gesto: volevano stare in pace con tutti, una cosa che durava molti minuti. Don Luigi aveva posto fine a tale quadriglia fissando dei limiti, avrebbero potuto fare il gesto di pace solo con le persone dei banchi confinanti. Ma non è finita, la gara presentava ancora un importante traguardo da raggiungere: durante la messa arrivava puntuale l'agognato momento della Comunione e resse e spintoni per chi voleva essere il primo non si risparmiavano. Il prete aveva messo fine a tale scempio consegnando a ognuno un elenco con l'ordine delle persone che dovevano presentarsi; partiva dal ceto più basso, l'ultimo era il sindaco, proprio quello che si dava più da fare per essere il primo. Che faccia aveva fatto Procopio Battistino quando aveva ricevuto la comunicazione! Si era presentato insieme a tanti altri per chiedere spiegazioni immediate ma don Luigi era salito sul pulpito e aveva somministrato loro una predica con i fiocchi che aveva placato in pochi istanti gli animi. Accondiscendendo tutti a ciò che il prete aveva stabilito, da quel giorno uno dopo l'altro si alzano per fare la Comunione nell'ordine fissato. Giacinto Giglio, di ceto più basso, si alza quindi molto prima del sindaco che è seduto vicino a lui e se ne va con un atteggiamento un po' gongolante. Poi i fedeli inginocchiati in totale silenzio si concentrano per la meditazione successiva alla Comunione.
Finita la cerimonia Jolanda Zotti così è arrivata per ultima e così se ne va per prima, e quando escono gli altri con moto ordinato lei è già in fondo alla piazza e incede senza voltarsi.
È seguita a ruota da Pasquale Sentimento, che corre verso il suo bar. Fra poco il locale si riempirà di clienti: molti gradiscono prendersi un caffè o qualcos'altro subito dopo messa. La macchina per il caffè è già calda, lui furbamente prima di andare in chiesa l'accende così non gli resta che servire la clientela.

È ormai primavera inoltrata, il cielo è sereno ed è particolarmente gradevole stare seduti ai tavolini, ogni famiglia ne ha occupato uno e gli avventori sono intenti a consumare caffè o brioche con caffellatte con fare molto garbato. Giacinto Giglio, essendo solo, è stato invitato dal sindaco ad accomodarsi al suo tavolino in qualità di collaboratore di ufficio. Tra i tavolini si svolgono spezzoni di discorsi di vario genere, ognuno si rivolge all'altro con un tono di voce di belle maniere: il farmacista con il notaio; il notaio con l'avvocato; l'avvocato con il sindaco e così viceversa; poi così ancora le rispettive mogli mentre i figli, rispettosi nei confronti dei genitori, fanno colazione composti e silenziosi. C'è invece Bruno, il figlio dell'avvocato, che fa cenni con lo sguardo a Giannetta che sembra accettarli e guarda di lato leggermente arrossita in viso. Il tutto gira come una giostra dai movimenti simmetrici e sembra che niente possa rovinarne gli ingranaggi.
Ma poi d'un tratto si ammutoliscono e guardano in un punto preciso della piazza: vedono arrivare Onofrio Malachia. Ogni mattina preciso come un orologio si presenta al bar per prendersi un caffè e un amaro come ammazzacaffè; ha un tavolino tutto suo posizionato in un punto strategico, ha la totale panoramica sugli altri tavolini. Si mette gli occhiali da sole anche se c'è poca luce e guarda diritto a sé sorridente. Lo fa apposta, molti sono suoi debitori e con il suo atteggiamento vuol ricordargli che sono in mano sua e non lo devono mai dimenticare. Quando arriva saluta a malapena, pochi rispondono e lo fanno di malavoglia, in sordina; anche se sono sotto la sua stretta sorveglianza dopo un po' riprendono i discorsi di prima e cercano di mostrargli indifferenza ma Malachia li guarda uno a uno scorgendo ogni piccolo dettaglio dei loro gesti o dei loro discorsi. Man mano che si fa tardi uno a uno i clienti si congedano da quel luogo per recarsi negli altri che li impegnano quotidianamente, l'ultimo ad andarsene è proprio lui.

La giornata in paese trascorre tranquilla, così come accade da quando don Luigi ha iniziato a divulgare le parole scritte nei Sacri libri; ognuno ha il proprio dovere, più o meno gravoso, e dà il meglio di se affinché tutto si svolga nelle migliori prospettive. Ma c'è un luogo dove in questo preciso istante non c'è spazio per i gesti complimentosi e si respira nell'aria un certo odore di baruffa. I primi ad andarsene dai tavolini del bar, con una certa fretta, son stati il farmacista Gigante Porfirio e Barone Orazio, uno dei due vigili urbani, seguiti a ruota dall'avvocato Oreste Scocca; senza dare nell'occhio si sono recati presso lo studio dell'avvocato: c'è una questione da chiarire subito.
Qualche anno fa Fernando Zotti, marito di Jolanda, incorse in un incidente nei campi, fu travolto dal trattore e morì sul colpo. Era un uomo alto e robusto che sapeva farsi rispettare in paese, onesto e grande lavoratore, possedeva un bell'appezzamento di terreno su cui coltivava in spazi ben delineati varie specialità ortofrutticole. Prima dell'incidente anche i coniugi Zotti la mattina si recavano in chiesa e camminavano a testa alta quando passavano nelle vie del paese. Fernando Zotti non era solo un gran lavoratore ma anche una persona previdente, diceva sempre alla moglie Jolanda che qualsiasi cosa gli sarebbe successa lei non doveva mai vendere le terre, era l'unica sicurezza per il loro figlio Marco e chissà anche per quelli che eventualmente sarebbero venuti dopo. Quando però lei rimase sola in breve tempo venne assalita da avidi rapaci che si contendevano la proprietà dei suoi terreni e il primo fu Barone Orazio, che essendo uno dei vicini di terreno le fece una proposta che non aveva né capo né coda, un vero imbroglio; lei, ricordandosi cosa le aveva raccomandato il marito, lo cacciò via in malo modo. Barone Orazio si indispettì a tal punto che da quel giorno le combina ancora dei brutti scherzi, certe volte le rovina persino l'intero raccolto. Il secondo fu il farmacista Gigante Porfirio: anche lui è confinante ma il suo appezzamento è di modeste dimensioni, lo fa coltivare da dei mezzadri giusto per ricavarne un qualcosa per sé e la loro famiglia. Anche lui partì all'attacco come l'altro e fu respinto allo stesso modo, anche lui si indispose nei confronti di lei e aveva cercato di avvelenarla facendole prendere, giorno dopo giorno, piccole dosi di un potente veleno al posto di un medicinale per curarle la tosse. Più Jolanda assumeva il medicinale e più stava male, non si era accorta di cosa le stava succedendo fin quando un giorno per distrazione aveva fatto cadere a terra la boccetta, una gallina era andata a beccarne alcuni sorsi e dopo pochi istanti aveva barcollato cadendo morta stecchita. Lei aveva capito allora che c'era qualcosa che non andava in quel farmaco e da quel giorno non lo assunse più; oggi per curarsi usa i vecchi metodi che utilizzavano tanto tempo fa i suoi nonni.
Le continue incursioni dei due avidi rapaci avevano creato a Jolanda Zotti una situazione alquanto difficoltosa per la gestione dei terreni: il primo aveva causato un calo nella produzione delle terre; il secondo un calo fisico di lei. Questo stato delle cose, messe insieme, nel tempo aveva determinato una riduzione dei guadagni con conseguenze disastrose, i debiti erano divenuti sempre più numerosi. I due pretendenti si fecero allora avanti con offerte sempre più allettanti e ci fu un momento in cui lei stette per cedere, ma poi ricordando la richiesta del marito di non vendere mai le terre si barricò in casa e non volle parlare più con nessuno. Intanto i debiti crescevano e i creditori erano giunti quasi alla sua porta, per molti giorni ci fu una specie di assedio attorno alla sua proprietà, Forze dell'ordine e Autorità si alternavano per far capitolare Jolanda Zotti. Vedendo che lei non cedeva alle varie sollecitazioni per farla ragionare, tentarono con l'ultima possibilità rimasta: don Luigi. Tuttavia il parroco si presentò a lei non solo con delle belle parole ma anche con una borsa piena di soldi, una somma sufficiente a pagare i creditori tasse comprese! Tutti rimasero basiti, da dove saltavano fuori quei soldi?! Subito si pensò a Onofrio Malachia ma i preti non possono fare prestiti con gli strozzini, sembra che sia un peccato capitale, questo era noto. Don Luigi assecondò tale convinzione spiegando che un lontano parente gentilmente gli aveva donato una somma di danaro. Poi chiamò a sé in disparte i due rapaci e fece loro una di quelle partacce che difficilmente si dimenticano, disse che sapeva cosa le avevano combinato, non si dovevano permettere più altrimenti lo avrebbe raccontato all'intero paese, avrebbero perso la faccia per sempre e lui non li avrebbe più fatti entrare in chiesa. Jolanda Zotti gli aveva riferito ogni cosa qualche giorno prima nel confessionale, non sapeva più cosa fare; era stato lui allora a consigliarla di barricarsi in casa in attesa del suo arrivo.
I pretendenti furono così di nuovo messi fuori dei confini della proprietà della Zotti, avrebbero dovuto aspettare un altro anno per sapere se lei se la sarebbe cavata di nuovo; ma le cose andarono per il meglio perché, sotto l'occhio vigile di don Luigi, non ebbero più la possibilità di commettere cattive azioni nei confronti della donna. Lei, riconoscente nei confronti del sacerdote, spesso gli porge tutt'ora dei presenti che fa considerare come offerte al Santo patrono: uno di questi è proprio la mezza dozzina di uova che il figlio Marco porta un paio di volte alla settimana.

- Tutto è in ordine, è stato pagato fino all'ultimo centesimo! - sancisce l'avvocato in modo categorico ai due rapaci mostrando i documenti comprovanti il saldo dei debiti della Zotti.
- Dannato di un prete, come ha fatto ad avere tanti soldi in così breve tempo?! - interviene il farmacista battendo il pugno sulla scrivania.
- Già, come ha fatto? È possibile che non sei riuscito a scoprire niente? - chiede il vigile urbano rivolto verso l'avvocato.
- No, purtroppo! E comunque Malachia non centra nulla, non li ha avuti da lui - , l'avvocato ha un tono convincente.
- Come fai a esserne certo?! - domanda il farmacista.
- Lo so e basta! Comunque c'è poco da fare - .
L'avvocato ha un tono che non dà spazio a repliche, fornisce i risultati dei rilevamenti fatti sulla gestione dei terreni di Jolanda Zotti nell'ultimo semestre: ha accumulato abbastanza danaro da poter pagare i creditori per molto tempo, l'unico modo per poterle togliere i terreni è farle una offerta alla quale non può rinunciare.
- È una parola, io più di quello che le ho già offerto non posso, e chi ce l'ha! - protesta il farmacista Porfirio Gigante profondamente deluso.
- Dannazione! - , il vigile è costernato e scuote la testa.
L'avvocato Oreste Scocca illustra la prospettiva di avere una cospicua somma di danaro: la potranno ottenere con un piccolo sacrificio, entrambi chiederanno a Onofrio Malachia un prestito e metteranno insieme il capitale per poter fare una sostanziosa offerta alla signora Zotti.
- No per carità, non se ne parla proprio, già ho delle pendenze con lui! - dice il farmacista immerso nello sconforto.
- E io no?! Non dormo la notte ormai da parecchio tempo - controbatte il vigile urbano.
L'avvocato alza le braccia in segno di rassegnazione: - E ti pareva! - .
I due sono così ostinati per possedere i terreni di Jolanda Zotti non perché sono terre di ottima qualità ma perché molti anni fa Porfirio Gigante ebbe tra le mani una vecchia mappa della zona – ma non ricorda più dove l'ha vista e che fine abbia fatto – sulla quale erano indicati alcuni luoghi dei dintorni dove con molta probabilità c'è la possibilità di estrarre il petrolio e quello più plausibile è proprio il terreno della Zotti. Erano venuti gli americani subito dopo la guerra a saggiare il territorio, se n'erano andati con la promessa che sarebbero ritornati ma fino a oggi non si è visto nessuno. Adesso che non c'è più Fernando Zotti la moglie si tiene stretto quel fazzoletto di terra con la speranza che un giorno ritornino i petrolieri per diventare ricca; solo per questo motivo si accanisce a non lasciare i terreni, mica per qualche ragione sentimentale. Quindi per farla desistere bisogna che ci sia un qualcosa che la convinca, e l'avvocato ha studiato un piano perfetto. Assumeranno una persona, meglio un attore, che si presenterà a lei come un facoltoso petroliere americano, farà finta di sondare di nuovo il terreno, le dirà che purtroppo all'epoca si erano sbagliati e che non c'è petrolio sotto i suoi terreni, che quindi valgono assai poco. A quel punto i rapaci si ritroveranno una donna molto amareggiata per aver combattuto tanto inutilmente una battaglia persa dall'inizio e così alla fine le faranno una offerta che di sicuro non potrà rifiutare.
Giovanni Della Corte
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