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Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Sabina Camani
Titolo: L'uomo nero e i fiorellini profumati
Genere Fantasy Horror
Lettori 7580 526 157
L'uomo nero e i fiorellini profumati
Le strade erano deserte e silenziose già da qualche ora. La luce incerta dei lampioni filtrava appena attraverso la nebbia. Una figura alta, avvolta in un ampio mantello, si fermò un istante davanti alla vetrina di un negozio chiuso e la usò come specchio. Si aggiustò il cappellaccio fradicio di pioggia e rialzò il bavero intorno al viso poi, soddisfatto del suo aspetto, l'uomo nero si incamminò di nuovo dentro la notte.
Capitolo Primo

“Giovanni, è tardi. Vai a letto! Ci sono ancora i tuoi giocattoli in giro! Hai preparato la cartella?”
“Vado papà, un attimo!”
Giovanni stava leggendo un racconto di pirati. Le sue storie preferite. Era difficile chiudere il libro e andare a dormire ma lui aveva imparato che quando pensi a qualche cosa prima di addormentarti, a volte ti segue anche dentro ai sogni. Così, riordinò la sua cameretta, preparò lo zaino e dopo aver lavato i denti si stese e tirò le coperte fino agli occhi. Ripensò all'ultima frase che aveva letto nel suo libro: “La nave corsara lanciata all'arrembaggio fendeva le bianche creste delle onde; le numerose vele rigonfie di vento”. Gli sembrava quasi di sentirlo il profumo del mare, e si addormentò.
Intanto l'uomo nero, zuppo di pioggia, infangato e buio, si stava avvicinando alla casa del suo bambino da spaventare per quella notte.
La trovò, aprì l'uscio e un sibilo di vento gelido entrò assieme a lui.
Prese a salire le scale.
Il buio e il silenzio a tratti erano squarciati dal rombo di un tuono e dall'improvviso bagliore di una folgore che stagliava sulla parete la sua ombra sinistra, ingigantendola.
Entrò nella cameretta e, inatteso, si intrufolò nel sonno del bambino ma quali furono il suo stupore e il suo disappunto quando, al posto di un luogo buio e angusto con un bimbo da far tremare di paura, trovò invece il ponte, inondato di sole, di un veliero corsaro in mezzo all'oceano!
Doveva andarsene subito! Tutto quel sole, quel vento, tutto quello spazio! Uscì all'istante dal sonno di Giovanni il quale non si accorse di nulla e continuò a dormire cullato dalle onde.
L'uomo nero non riusciva a darsi pace. Come era potuto accadere? A lui poi? Che quando se ne andava dal sonno dei bambini li lasciava sempre urlanti e spaventati. Ah no, non era finita lì! Sarebbe tornato da Giovanni e avrebbe portato a termine la sua missione! Con questi pensieri si allontanò, scomparendo nelle tenebre dalle quali era venuto.
Iniziarono per Giovanni dei giorni un po' difficili.
La mattina, a scuola, era sempre più stanco. Quando c'era un'interrogazione chiedeva alla maestra di poter essere chiamato la volta successiva. La maestra sapeva che a Giovanni piaceva studiare. Era un bambino curioso e attento. Aveva buoni voti in tutte le materie. Come mai, si domandava, era così cambiato negli ultimi giorni? Quando glielo chiedeva, lui le rispondeva: “Sono un po' stanco maestra, non riesco a dormire.” La notte, appena si addormentava, Giovanni sentiva qualcosa avvicinarsi al suo letto. Cercava di svegliarsi, di alzarsi, di scappare perché quella cosa buia, enorme, emetteva un suono cupo e feroce ma il suo corpo restava pesante come un macigno mentre quell'essere lo sovrastava per prenderlo e farlo scomparire dentro la tenebra che portava con sé.
Finiva sempre allo stesso modo: Giovanni cominciava a gridare con la sensazione che nessun suono uscisse dalla sua gola e con uno sforzo grandissimo emergeva dal sonno, urlava finalmente sveglio, un istante prima che il buio figuro potesse ghermirlo.
La sera successiva dunque, il bambino iniziò le operazioni di difesa. Se l'uomo nero fosse tornato, non lo avrebbe colto alla sprovvista! Per prima cosa cosparse il pavimento tutt'intorno al suo letto di gusci di arachide vuoti. Li aveva messi da parte per molti giorni poi si stese ripensando all'ultima maratona cui avevano partecipato lui e il papà. Non avevano vinto ma si erano piazzati molto bene; e quella volta che era rimasto sveglio fino a tardi a vedere le Olimpiadi? Ah, la gara dei 100 metri piani. Appassionante! Da grande voleva diventare così: potente e veloce come quell'atleta che sembrava avere un motore nelle gambe.
Se fosse arrivato, l'uomo nero avrebbe calpestato i gusci vuoti, svegliando così Giovanni e lui, veloce come un centometrista e resistente come un maratoneta, gli sarebbe sfuggito fino all'arrivo della luce.

Capitolo secondo


Non si sa come ci riuscì ma l'uomo nero arrivò senza far rumore. Inatteso come sempre, si avvicinò a Giovanni annunciandosi con quel suono cupo che ormai il bambino conosceva bene ma questa volta dovette cominciare a correre.
Giovanni sembrava avere le ali ai piedi. Appena si accorse che l'uomo nero era dietro di lui, concentrò tutti i suoi pensieri su quello che desiderava di più: diventare un corridore, il Migliore dei corridori.
Ogni volta che sentiva avvicinarsi il suo inseguitore metteva nelle gambe tutta la forza che aveva e lo distanziò. Lo distanziò così tanto che il suono cupo e feroce alle sue spalle divenne appena un fastidioso bisbiglio mentre davanti a lui, la luce del primo sole accarezzava il cielo.
Giovanni si svegliò e prese una decisione. Voleva parlare alla sua maestra di quello che gli stava accadendo.
Aveva provato a parlarne con il papà e con la mamma e loro avevano provato ad ascoltarlo ma erano sempre pieni di lavoro, di fatica, di pensieri grandi. Forse, pensava Giovanni, i loro pensieri erano più grandi anche del suo uomo nero.
A scuola si poteva fare “Il tempo del cerchio”. Ci si sedeva a terra tutti vicini l'uno all'altro assieme alla maestra e ognuno poteva parlare dei suoi problemi e condividerli.
Sì, avrebbe fatto così! Lei sapeva molte cose interessanti e, se un bambino aveva un problema, conosceva anche le canzoni per fare passare la tristezza.
Voleva domandarle: “Maestra, tu cosa faresti, se succedesse a te?”
Quella mattina, durante la ricreazione, Giovanni le spiegò il suo problema e le fece quella domanda. Lei lo ascoltò con attenzione, sorrise tranquilla e chiamò i suoi compagni per rientrare in classe.
Giovanni si sentiva un po' triste e un pochino arrabbiato: avrà pensato che sono un bambino piccolo e pauroso! si ripeteva. Anche lei ha pensieri più importanti di questo: deve fare lezione, interrogare, correggere i compiti. Ma appena furono di nuovo seduti in classe, la maestra chiese ai bambini se qualcuno di loro avesse mai sognato l'uomo nero.
Due mani si sollevarono, e una apparteneva a lei.
Giovanni e i suoi compagni la guardarono con gli occhi grandi di sorpresa.
I bambini, con tutte le voci insieme, fecero domande su domande. Anche lei aveva avuto molta paura? Come era riuscita a convincerlo a non spaventarla più? E soprattutto: lei aveva mai visto il suo viso?
Jamie, il compagno di Giovanni che aveva alzato la mano insieme alla maestra, non lo chiamava uomo nero, lo chiamava Boogey man ma da come entrambi si comportavano, quei due dovevano essere parenti stretti!
Nel pomeriggio, dopo la mensa, il cielo si rabbuiò preannunciando un temporale. In questi casi non si usciva in giardino; ci si sedeva vicini a raccontare le storie e quel pomeriggio i bimbi chiesero alla maestra di raccontare la sua.

Capitolo terzo


Da piccola la maestra Nina viveva con la nonna. Si stava bene lì. Era tutto molto bello. Il grande giardino misterioso e la serra dove la nonna soccorreva le piante malate e le guariva.
Nina era felice. Di giorno si nascondeva nel fitto degli alberi e immaginava di essere un esploratore in mezzo alla giungla tropicale.
La sera si addormentava ascoltando i fruscii e i suoni di tutti gli abitanti del giardino, compresi gli elfi e i folletti. Si diceva che di notte quegli esserini organizzassero feste danzanti tra i rami degli alberi e nelle corolle dei fiori. Fu una di quelle notti che qualcosa accadde. Chissà come sarà la musica alle feste dei folletti? pensò Nina e senza accorgersene, scivolò nel sonno.
Una melodia deliziosa riempì l'aria profumata della sera e la bimba si addentrò nel bosco seguendo le piccole luci che danzavano davanti a lei.
Ce l'aveva fatta, stava per partecipare a una festa delle creature del bosco!
Forse mi insegneranno a cantare come loro... questo pensiero le diede una gioia così grande che le sembrò di camminare senza toccar terra.
All'inizio non fece caso a quel rumore. Il bosco di notte ne era pieno ma fermandosi e ascoltando con attenzione, udì uno scricchiolio leggero, leggero che si zittiva quando lei si fermava, riprendeva quando lei si muoveva.
Lo scricchiolio divenne un trapestio, dapprima ancora leggero poi sempre più pesante, di rami secchi, schiacciati. Nina capì all'improvviso e la paura le bloccò le gambe. Quel suono: l'uomo nero era lì! Doveva muoversi e scappare. Riuscì solamente a gettarsi in avanti verso le lucine, verso la musica. Diede un grido e si svegliò.
Anche nelle notti successive Nina si trovò nella stessa situazione e ogni volta si svegliava più spaventata senza sapere come o che cosa fare per ritrovare i suoi sogni sereni. Così, chiese aiuto alla nonna.
Lei la ascoltò attenta e sorrise per nulla stupita, come se già sapesse ciò che Nina stava per raccontarle poi le fece cenno di seguirla e insieme entrarono nella serra. La nonna prese diversi fiori e unendoli creò una nuova piantina dal profumo dolce e inebriante, piena di colori.
La consegnò a Nina: “Da questa sera, prima di dormire, mettila sempre vicino a te. Se l'uomo nero ritorna, girati verso di lui e soffiagli questi fiori sul viso continuando a ripetere i nomi delle cose che ti fanno felice. Saranno le tue parole magiche!”
“Ma nonna io ho paura, se mi fermo lui mi prende!” “No! -garantì la nonna- Non ti prenderà! Tutti quei colori e quei profumi lo confonderanno e lo sorprenderanno. Se avrai il cuore saldo e farai ciò che ti ho insegnato, lui perderà il potere di spaventarti e tu ritroverai i tuoi sogni sereni.”
*

Driiiiin... Driiiiin! La campanella trillò e i bimbi si fecero promettere dalla maestra che, appena possibile, avrebbe raccontato loro anche il resto della sua avventura.
Giovanni salutò i suoi compagni e salì nell'auto della mamma. Era emozionato.
Prima di arrivare a casa voleva raccontarle tutto quello che era accaduto quella mattina. I fiorellini profumati, le parole magiche... Una volta entrati, la mamma avrebbe dovuto occuparsi di mille cose e lui non sapeva dove trovare i fiori che gli servivano. Dopo aver ascoltato Giovanni, lei si fermò sul limitare di un grande prato e insieme riempirono un cestino di fiorellini profumatissimi facendo attenzione a raccoglierli insieme a un po' di terra. Quella sera Giovanni ebbe la sua piantina. La mamma gliela sistemò accanto al letto e, baciandolo per la buona notte, gli chiese quali fossero le sue parole magiche ma lui stava già dormendo. Quella era stata una giornata piena di emozioni.

Capitolo quarto


Appena lo sentì arrivare, Giovanni scappò di corsa. L'uomo nero lo aveva quasi raggiunto quando lui si rese conto di aver scordato la piantina ma inciampando e rialzandosi si accorse di avere le tasche del pigiama piene di fiorellini. Avrebbe pensato più tardi a come ci fossero arrivati. Ora doveva trovare il suo coraggio, fermarsi, voltarsi indietro e... PFFFFFFFFF! Soffiò forte tutti i fiorellini di cui si era riempito le mani verso la sagoma buia che ora gli stava davanti.
Presto! Le parole magiche, si disse, ma... non le ricordava! Si era addormentato prima di fissarle nella memoria e ora la fretta, la paura e quel bisbiglio continuo, così vicino, gli avevano confuso le idee. Non gli rimase altro da fare che ricominciare a correre. E fece così ma una strana sensazione entrava di continuo nei suoi pensieri. Gli sembrava di aver sentito o visto qualcosa di molto importante anche se non riusciva a ricordare cosa fosse.
Mancava qualcosa! Questa volta, mancava qualcosa. Rallentò la sua corsa, respirò lentamente e... certo! L'uomo nero non stava emettendo quel lamento. Quando il profumo dei fiorellini lo aveva investito, Giovanni aveva udito solo un bisbiglio, confuso, flebile e anche ora lo udiva dietro di sé. Un suono stanco, sempre più lontano. L'uomo nero si era fermato.
Si fermò anche Giovanni. Questa volta la paura che gli chiudeva la gola, non c'era. Era solo molto stanco. La sensazione di prima stava diventando più chiara. Il suono che udiva somigliava sempre di più a una parola. L'uomo nero, con molta fatica, stava cercando di dire qualcosa.
“Come fai? Bambino... come si fa?”
Giovanni aveva due possibilità: ignorarlo e sfuggirgli ancora chissà per quanto tempo oppure andare verso di lui e capire cosa stesse cercando di chiedergli.
La decisione non era semplice e non sapendo cosa fare, decise di non fare nulla! Si sedette a terra e mentre ridava il giusto ritmo al suo respiro, si accorse che l'uomo nero non si era più mosso e che anche lui pareva stanco.
Questo gli fece avvertire molto meno la paura e molto di più la curiosità. Decise di restare ancora fermo dov'era senza avvicinarsi troppo. Da lì riusciva comunque a udire quelle parole. Gli sembrava che l'uomo nero facesse attenzione a non spaventarlo e che gli interessasse molto di più ottenere risposta.
“Come si fa bambino? Come fai?”
Con un filo di voce Giovanni chiese: “Come si fa... che cosa? Cosa vuoi sapere?”
Un istante, un sibilo freddo e l'enorme mantello nero fu accanto al bambino senza che lui avesse potuto accorgersi di alcun movimento.
“Aiuto, aiuto! Non farmi male! Lasciami!”
Giovanni era immobilizzato e prima di farsi prendere dalla paura soffiò nel buio che lo avvolgeva i suoi ultimi fiorellini. Quando rialzò lo sguardo, l'uomo nero lo stava fissando... ma era parecchio giovane e non un vecchio come lui aveva sempre immaginato. Non aveva gli occhi piccoli e rossi e nemmeno cattivi. Cupi forse e malinconici. Questo sì, ma non cattivi. Davanti a lui non c'era alcun mostro. Solo un ragazzo alto, pallido e serio che ripeteva la sua domanda: “Bambino, come si fa?”
“Ok! Allora se vuoi che parliamo -propose Giovanni- smetti di muoverti come un fantasma! Pronuncia lentamente le parole e cerca di spiegarti perché non capisco quello che dici!”
L'uomo nero si tolse, con molta lentezza, il mantello di tenebra, lo posò poi si sedette. Giovanni gli si mise di fronte anche lui seduto a terra e ascoltò una storia che non aveva mai trovato nei suoi libri.

Capitolo quinto


Fosco della stirpe Buia era l'ultimo erede di un'antica dinastia di uomini neri. Nei tempi lontani, i suoi avi conoscevano i poteri delle “Arti interne”. Potevano vedere nel buio, potevano scomparire all'improvviso e ricomparire l'istante successivo molti metri più in là. Sapevano muoversi così veloci da far credere, a chi li guardava, di essere in più punti contemporaneamente. Essi erano “I Maestri dell'Invisibile”. E grazie al mantello di tenebra potevano trasportare l'energia dei loro pensieri anche dentro ai sogni.
Nessuno sapeva perché ma molto tempo prima la sua gente, all'improvviso, aveva abbandonato i villaggi sulle montagne per andare a vivere in luoghi oscuri e sotterranei: negli scavi delle città antiche, sotto alle metropoli o nelle grotte profonde. Essi salivano in superficie solo nel buio della notte e mai, per nessun motivo, si esponevano alla luce. Gli abitanti delle terre esposte non riuscivano a immaginare quale fosse il motivo per cui gli uomini neri avessero tanta paura della luce del giorno e questa cosa misteriosa e insolita li rendeva, ai loro occhi, creature incomprensibili e per questo motivo molto temibili; al punto che alcuni raccontavano ai bambini che se avessero disubbidito alle regole, un uomo nero sarebbe venuto a prenderli per portarli con sé nelle tenebre. Gli uomini neri, dispiaciuti e amareggiati di essere considerati in questo modo, si avvolgevano nel mantello, entravano nei sogni delle persone e le spaventavano davvero. Poi se ne andavano! Ma non tutti fra loro usavano così i poteri dell'Invisibile. Alcuni, come Fosco, si erano accorti che la gente delle terre esposte, in particolare i bimbi, sognava a colori; cosa completamente nuova per la gente delle terre buie! E poiché trovavano alquanto noioso e per nulla istruttivo passare le notti a far paura a perfetti sconosciuti, usavano il Potere per andare a vedere, almeno in sogno, luoghi aperti, colorati e pieni di suoni ma sempre fingendo di andare in missione “spaventatoria”, per non far adirare gli Antichi!
Il primo incarico di Fosco era stato quello di spaventare una bambina piuttosto vivace che viveva con la nonna in una casa circondata da un bellissimo parco. Fu mandato ad abitare per un po' nella cantina della casa.
A lui non interessava molto né vivere al buio né spaventare quella bambina ma cosa ci poteva fare? I suoi parenti gli avevano ben raccontato le cose terribili che succedevano agli uomini della Stirpe Buia quando si esponevano alla luce. E poi, gli uomini neri non potevano MAI dimostrare paura. Un vero uomo nero doveva provare L'ORGOGLIO di essere spaventoso.
Fosco non sentiva molto neppure quell'orgoglio. Di sera ascoltava la bambina cantare delle dolcissime canzoni e lui che amava quelle melodie, riusciva solo a emettere dei suoni rauchi e gutturali.
Fu allora che decise di disobbedire a tutte le regole della Stirpe. Nessuno lo avrebbe saputo! Solo per una volta, almeno per una volta, si sarebbe avvicinato alla bimba e invece di spaventarla, le avrebbe chiesto di poterla accompagnare alle feste nel bosco. Di poter ballare con lei le danze dei folletti e di imparare a cantare le melodie magiche degli elfi. Desiderava così tanto imparare quelle cose! Ma quando raggiunse la bimba nel bosco e cercò di parlarle, dalla gola gli uscì solamente un suono cupo e rauco, che lasciò sgomento anche lui. La bambina si svegliò spaventata e lui provò e riprovò nelle sere successive ma la sua voce produceva solo quel suono.
“Tu conosci Nina, la mia maestra! Era lei la bambina che dovevi spaventare?” Giovanni era stupito, emozionato.
Era già un'avventura alquanto insolita chiacchierare con un uomo nero ma non riusciva a credere di essere lì a parlare con lo stesso uomo nero di cui gli aveva narrato la sua maestra. Eppure tutti i particolari del racconto coincidevano. “Come hai fatto poi a imparare a parlare? Come mai con me ci riesci?”
“Sono andato a chiedere aiuto alla nonna di Nina, poco prima che ci andasse lei -rispose Fosco- Conosceva l'arte di costruire giardini di rara bellezza e sapeva tutti i segreti dei fiori e delle piante. Capì ciò che si doveva fare e insegnò a Nina a usare i fiorellini profumati, così potei parlarle e riuscimmo a comprenderci. Purtroppo l'azione dei fiorellini non dura per sempre e quando sono tornato dalle mie parti il loro effetto è sparito e ho ripreso ad avere la mia voce di prima.
Da allora, ogni volta che mi assegnano un bambino, faccio finta di partire in missione ma quando gli sono vicino cerco sempre di chiedergli quello che volevo sapere da te. Puoi mostrarmi come si fa a entrare nei luoghi che sogni? Come sei arrivato su quel veliero in mezzo al mare la prima sera che ti ho incontrato? Come fai a correre così veloce e leggero? Ti andrebbe di insegnarmi?”
“Sì, volentieri! -annuì Giovanni- Qual è la cosa che desideri più di tutte?”
“Più di tutto desidero salire a vivere sulle terre esposte. Smettere di stare nel buio e studiare tutte le cose che stanno nel sole. Le montagne, i boschi, i fiori... ma questo è impossibile.” Fosco abbassò lo sguardo, chinò il capo e smise di parlare. C'era in lui un che di rassegnato e dolente, come se avesse accettato l'idea di non poter essere niente altro che quello che era; un infelice uomo nero.
“Perché impossibile? -chiese Giovanni- Hai già provato?”
“Non sono mica matto -sbottò Fosco- Se un uomo nero si espone alla luce, si scioglie e svanisce, tutti lo sanno!”
Giovanni non riusciva a capire e chiese chi gli avesse insegnato questa cosa e come potesse essere certo che fosse vera.
Fosco si strinse nelle spalle e rispose serio: “I nostri Antichi ce lo insegnano da piccoli.”

Capitolo sesto

Quello che lui non poteva sapere era il vero motivo di questo insegnamento. Gli antichi della stirpe, temendo che prima o poi egli avrebbe potuto ricordare, gli avevano nascosto la verità in tutti i modi.
Fosco era figlio di una donna buia che non aveva rispettato la “legge”.
Quando era molto piccolo, un giorno, lo aveva portato con sé a vedere di nascosto i prati verdi e gli alberi, sopra alle terre buie, sulle terre esposte. Insieme avevano avvicinato il viso a tutti quei fiorellini profumati e carichi di ogni sfumatura di colore; la memoria di quelle sensazioni si era impressa profondissima. Così profonda che Fosco, quando ritrovava quei profumi, ritrovava anche la voce e le parole, pur non avendo alcun ricordo di ciò che era accaduto.
Gli avevano sempre detto che sua madre, la dolce Oscura, per volersi esporre alla luce proibita, si era sciolta. In realtà l'avevano rapita e consegnata a Petra. Il severo giudice, guardiana della legge, la teneva prigioniera ormai da molti anni.
Nessuno doveva sapere che L'Insegnamento della Luce Proibita serviva a trattenere la gente buia e non più a proteggerla. Se si fosse saputo, molti giovani come Fosco avrebbero smesso di aver paura e sarebbero partiti per le terre esposte. Fosco era l'ultimo discendente della Stirpe: un Principe. Sicuramente lo avrebbero seguito come in passato molti avevano seguito sua madre e per questo motivo anche loro erano scomparsi.
Anche Giovanni ignorava la verità quindi pensò di aiutare Fosco nell'unico modo che conosceva.
“Se sei sicuro che desideri salire alle terre esposte, devi provarci e basta! Non ci sono altri modi. Se non corri questo rischio non scoprirai mai come stanno le cose! Vieni con me sul veliero dei pirati, se il sole ti farà male io ti insegnerò dove sono le stive buie e fresche e ti aiuterò subito a ripararti lì sotto.”
Ancora una volta Fosco “sentì” che poteva e voleva fidarsi di quel bambino. Era la prima volta che provava questo per qualcuno e, piano, per non spaventarlo, lo abbracciò.
“Hey, hey! Ok, siamo amici! -fece Giovanni sorridendo a Fosco- Ma niente mantello di tenebra quando mi vieni vicino, d'accordo?”
Mentre entrambi scoppiavano a ridere, ricambiò il suo abbraccio.
Il Grande momento era arrivato. Fosco rimase nascosto nell'oscurità della notte aspettando che il suo amico si addormentasse. Aveva paura! E se gli Antichi avessero detto la verità? Se il sole davvero scioglieva gli uomini neri? Il desiderio di sapere ebbe la meglio sui suoi timori; si avvolse nel mantello di tenebra e si lasciò trasportare.
Trovò Giovanni ad attenderlo sul ponte della nave. Ma, era notte! Il sole non c'era.
“Beh! -Giovanni alzò appena le spalle sorridendo- Ho pensato che era meglio se ti abituavi un po' per volta. Sediamoci a prua. Il sole sorgerà tra poco.”
Fosco notò che quel bambino, pur non appartenendo alla stirpe buia, era lo stesso in grado di governare i suoi sogni. Da dove gli veniva quella capacità?
Giovanni lo guardò e intuendo i suoi pensieri, spiegò: “Allenamento! È tutta questione di allenamento.”
Il veliero scivolava silenzioso sulle onde e davanti alla prua, rivolta ad est, il cielo si tinse di delicata aurora poi arrivò l'alba più chiara e decisa, infine un enorme globo di luce sorse dal mare e illuminò il mondo.
Fosco chiuse gli occhi abbagliato ma rimase immobile, resistendo all'impeto di fuggire. Pose l'attenzione solo sul battito del suo cuore e usando il respiro ne rallentò il ritmo. Pian piano anche i suoi pensieri divennero più calmi poi si allontanarono dalla sua mente. Rimase così: rilassato, silenzioso e attese. Voleva sapere! Lo avvolse un calore benefico che fu dapprima molto piacevole poi sempre più insopportabile.
Era tutto vero allora! Quelle grosse gocce che gli bagnavano il corpo... si stava sciogliendo!
“Giovanni, presto, portami al buio!”
Giovanni lo osservò, attento.
“Al buio ti ci porto –rispose- ma non perché ti stai sciogliendo, stai solo sudando. Vieni, altrimenti ti scotti la pelle.”
Appena furono al riparo dal sole cocente la pelle di Fosco smise di sudare e rimase integra. Solo un po' arrossata.
Il sole non scioglieva gli uomini neri. Quale enorme bugia gli avevano raccontato? E perché? Fosco non riusciva a essere felice della libertà che aveva scoperto di possedere. Quello che era appena accaduto significava per lui una sola cosa: la sua mamma non era scomparsa perché si era esposta. Dov'era allora?
Voleva partire subito! Tornare nelle terre buie. Radunare la sua gente e raccontar loro quello che aveva scoperto. Avrebbe affrontato gli Antichi ed essi avrebbero dovuto rispondere alle sue domande. Forse Oscura era ancora viva e anche gli altri. Non c'era tempo da perdere!
Giovanni guardò Fosco pensando che il suo amico stesse per affrontare una prova molto difficile e lui non sapeva come aiutarlo. Mentre seguiva questi ragionamenti, gli risuonò nella mente il vocione burbero del suo allenatore quando si avvicinavano le date delle gare importanti: “Ragazzi, qual è l'unico modo per affrontare una gara importante?”
“Essere preparati, Mister!”
“E qual è l'unico modo per essere preparati?”
“Essere Allenati, Mister!”
Giovanni e i suoi compagni rispondevano in coro e subito dopo iniziava il periodo degli allenamenti che, giorno dopo giorno, rinforzava i muscoli, aumentava la resistenza e la potenza del respiro e donava leggerezza e velocità alla corsa. Questo era ciò che sapeva fare Giovanni. Ciò che lo rendeva felice.
Forse era proprio questo che serviva a Fosco. I giorni che seguirono furono giorni strani, un po' faticosi ma molto emozionanti. Fosco e Giovanni si incontravano tutte le mattine quando il sole sorgeva. Giovanni era un allenatore severo ma ora non si trovavano più in una zona protetta all'interno dei sogni quindi egli era sempre pronto a incoraggiare il suo amico quando la stanchezza lo vinceva o quando la luce forte e lo spazio aperto lo facevano sentire spaesato. Fosco correva e respirava l'aria profumata di erba e di fiori. Un po' alla volta il suo corpo diventava più forte, il suo respiro più potente e la sua mente più leggera e più lucida.Un giorno però, mentre si allenava, non si accorse della radice che sporgeva dal terreno e inciampò. Cadendo in avanti, finì col viso in mezzo all'erba, con le narici sprofondate nel profumo dei fiori e mentre stava per rialzarsi, mille immagini lo assalirono: il dolce viso di Oscura vicino al suo, le sue braccia che lo stringevano forte, grida confuse... Tutto tornò nella sua mente e ricordò! Il profumo dei gelsomini selvatici era stata l'ultima cosa che Fosco e sua madre sentirono prima di essere rapiti. Oscura lo teneva stretto a sé e con voce calma cercava di rassicurarlo mentre le grida dei soldati incitavano i cavalli lanciati al galoppo.
“Giovanni! Credo di sapere dove li tengono prigionieri! Ricordo che ci hanno separati prima che la carrozza entrasse nella grotta che conduce alle vie sotterranee; c'è un solo posto così nelle terre buie. Si trova sotto il castello del giudice Petra. Da lì in poi rammento solo il palazzo degli Antichi e ciò che loro mi raccontavano. Anche mio padre deve trovarsi nei sotterranei ma di lui non ho ricordi.”
Giovanni poggiò una mano sulla spalla di Fosco.
“Li troveremo! Ora sappiamo dove cercarli.”
“Allora mettiamoci in cammino -rispose Fosco- la strada è lunga.”
Nel momento stesso in cui iniziarono il viaggio, la mente di Fosco cominciò a brulicare di dubbi: loro erano solo in due. Come avrebbero eluso la sorveglianza delle guardie? E in quale parte dei sotterranei avrebbero dovuto cercare i prigionieri? Le vie sotterranee si diramavano in centinaia di direzioni.
I due amici camminarono lungo i sentieri che portavano alle montagne e verso sera giunsero all'ingresso del Luogo di Passaggio. Di fronte a loro, nella luce calda del tramonto, si stagliava una gigantesca quercia. Fosco spostò con la mano le foglie secche ai piedi del grande albero e tirò verso l'alto una piccola radice dalla forma arcuata. Dinanzi agli occhi increduli di Giovanni, una parte del tronco si aprì, svelando un antro ombroso e umido con le pareti ricoperte di muschio. Al suo interno, gradini di roccia scendevano verso il basso.
Giovanni esitò poiché non riusciva a vedere la fine della scalinata. Il buio era troppo fitto! Fosco, messi da parte dubbi e incertezze, si rivolse al suo amico: “Appoggiati a me, fidati, io conosco la strada e vedo bene nel buio.”
La discesa non durò a lungo e al termine della scalinata Fosco toccò una sporgenza di roccia nella caverna in cui erano appena entrati. Spinse con forza e la piccola sporgenza si spostò mentre, sopra di loro, si richiudeva l'antro del Luogo di Passaggio. Giovanni capì che stavano percorrendo delle strette gallerie. Ne sentiva l'umidità sulle pareti e a tratti Fosco gli faceva abbassare la testa per non ferirsi sulle stalattiti della volta. Dopo circa un'ora di cammino uscirono dalle gallerie in uno spazio ampio di cui Giovanni percepiva vagamente i contorni. Erano arrivati, erano nelle Terre Buie. E buie lo erano davvero! Solo qualche piccolo lume a olio qua e là faceva intravvedere le sagome delle case degli abitanti: tutte ricavate nelle radici degli alberi e adattate alle loro forme. Per quanto si sforzasse, Giovanni non vedeva quasi nulla. Non poteva proseguire.
“Vi saluto, gente delle Terre Buie! -esclamava Fosco incontrando le persone- Sono tornato per dirvi che potete accendere le fiaccole, illuminare le nostre case e le nostre vie!” .
Uomini e donne gli si avvicinavano dubbiosi e allora lui spiegava a tutti la sua avventura, raccontava del suo incontro con il sole e mentre parlava le fiaccole si accendevano e illuminavano il cammino.
Giovanni finalmente riuscì a vedere e Fosco fu attorniato dalla sua gente che dopo aver ascoltato ciò che gli era accaduto e quello che aveva scoperto, decise di seguirlo e di aiutarlo a cercare Oscura.
Sabina Camani
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