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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Sonia Alcione
Titolo: Stavo per dimenticare
Genere Thriller
Lettori 3924 42 61
Stavo per dimenticare
Alessia guardò fuori dalla grande vetrata dell'ufficio, la nevicata aveva preso vigore e non sembrava destinata a durare poco. Diede l'ennesima occhiata all'orologio. Le 17.00, e suo marito Nicola non era ancora arrivato. L'aveva chiamata dopo pranzo, quando avevano iniziato a cadere i primi intensi fiocchi, dicendole che sarebbe passato a prenderla dal lavoro visto che la neve stava già attaccando sulla strada e non voleva che guidasse in quelle condizioni. Aveva un appuntamento di lavoro a casa ma si sarebbe liberato per le 15.00, arrivando da lei poco dopo.
Lo aveva richiamato almeno cinque volte sia sul numero fisso di casa che al cellulare. Nessuna risposta. I pochi colleghi erano già andati via, quindi aveva provato a chiamare un taxi, nella speranza di trovare qualcuno disponibile, ma iniziavano a esserci i primi problemi sulle linee telefoniche, e il numero composto non dava alcun segnale.
Riprovò con suo marito ed anche il suo, questa volta, risultò irraggiungibile. Si innervosì, avrebbe potuto avvisarla e sarebbe partita prima, quando ancora la neve non aveva attaccato. Decise di farsi coraggio, uscì dall'ufficio e si avviò alla macchina. Entrò con i piedi bagnati e infreddoliti. Aveva un paio di scarpe col tacco e fu piuttosto difficoltoso fare quei pochi passi. Ripensò al sole splendente di quel mattino e si chiese come potesse cambiare il tempo così repentinamente. Le previsioni avevano parlato della possibilità di una lieve nevicata a partire dalle prime ore della notte mentre in terra vi erano già una decina di centimetri. Per fortuna abitava a pochi chilometri.
Uscì dal parcheggio aziendale alla velocità di una tartaruga, riuscendo a evitare di slittare. Poi, alla fine del breve viale deserto, si trovò a dover fare i conti col traffico. Auto messe di traverso, qualcuna appoggiata ai muri, qualcuna addirittura lasciata nel bel mezzo della corsia con nessuno a bordo. Sembravano essere state buttate a caso per la strada come si buttano i bastoncini dello Shangai. Anche a lei era venuta voglia di scendere e lasciare lì la sua macchina. Poi tornò a guardare le sue calzature e la gonna sopra il ginocchio e pensò che le si sarebbero congelate le gambe a camminare. Ammesso che fosse riuscita a rimanere in piedi. Cercò di restare calma, continuando a contattare il marito.
Meno male che nevicava raramente, pensò, quando finalmente riuscì a imboccare la strada che conduceva alla sua casa. Da un paio di mesi si erano trasferiti in una discreta villa ai piedi del Piazzale Michelangelo, a Firenze, in una contrada piuttosto tranquilla a due passi dal centro, e quando si trovò su quell'ultimo breve tratto tirò un sospiro di sollievo. Erano le 18.00. Aveva impiegato quasi un'ora per fare sei chilometri.
Scorse la jeep del marito parcheggiata in strada, probabilmente l'ingresso del garage era inagibile, pensò, e lasciò la sua proprio dietro. Guardò verso casa e dal lieve bagliore che si intravedeva capì che la luce era accesa. Ebbe un moto di stizza. Possibile che si fosse dimenticato di lei? Sentì la rabbia crescere dentro, e tirò due lunghi sospiri cercando di calmarsi.
Poi suonò il clacson, se Nicola si fosse affacciato gli avrebbe chiesto di portarle un paio di stivali. Non si affacciò nessuno. Lo suonò una seconda volta, attese qualche istante, poi scese e si avviò verso il cancello che era aperto. Si era nuovamente innervosita e si diresse verso casa piuttosto irritata.
La visibilità era minima e proprio a pochi metri dalla porta, che solo in quel momento realizzò fosse aperta, notò uno strano cumulo di neve che spiccava in quella piatta distesa bianca. Arrivata a due passi arretrò. Sotto il cumulo di neve giaceva una persona in un lago di sangue e, dal volto leggermente piegato, riconobbe suo marito. Si avvicinò a lui, chiedendogli cosa fosse successo, ma non ricevette alcuna risposta. Era in camicia e in prossimità del petto, ben visibili, diverse coltellate. Lo sguardo non faceva presagire niente di positivo.
Presa dal panico iniziò a urlare, correndo, per quanto possibile, verso la strada. Si girò tre o quattro volte, temendo, da un momento all'altro, di vedere qualcuno alle sue spalle che la rincorreva per riservarle la stessa fine.
Era una zona molto signorile e le poche case in quella strada erano piuttosto distanziate fra loro, contornate da vasti giardini. Molte erano vuote, essendo ancora periodo di vacanza. Corse verso la villa di fronte, quei metri le sembrarono chilometri, inciampò un paio di volte faticando a rialzarsi sul manto scivoloso. Infine si tolse le scarpe per essere più agile. Si attaccò al campanello e dopo qualche istante venne ad aprire la dirimpettaia che, vedendola sconvolta e completamente fradicia, le fece immediatamente cenno di entrare.
Alessia non riusciva a calmarsi, tremava per il freddo e la paura. Solo dopo qualche minuto le disse di chiamare la polizia, suo marito era accasciato davanti casa e sicuramente era morto. Non fu facile mettersi in contatto con le forze dell'ordine per via del maltempo e, quando ci riuscirono, gli agenti dissero che si sarebbero precipitati ed avrebbero contattato loro un'autoambulanza.
Compatibilmente con il caos per le strade, in breve tempo arrivarono polizia e ambulanza, annunciate dal suono delle sirene. Purtroppo l'uomo non dava segni di vita e fu immediatamente dichiarato il decesso. Accanto a lui, un piccolo pupazzo di pezza, completamente intriso di sangue.
I primi ad essere ascoltati furono i vicini, in particolar modo la famiglia che abitava di fronte. La donna che aveva aperto a Alessia disse di essere rincasata circa un quarto d'ora prima che lei suonasse e di non aver notato niente di anomalo. Aggiunse che in realtà il vicino poteva già essere lì, non ci aveva fatto caso, nevicava così forte che la visibilità era minima. Era scesa di macchina e si era rifugiata in casa.
Il fatto che l'uomo si trovasse in mezzo alla neve rese anche difficoltoso, per il medico legale, stabilire l'ora del decesso, che comunque non doveva essere superiore alle due o tre ore. A conferma la dichiarazione della moglie, che diceva di averlo sentito telefonicamente poco prima delle 14.
Il pupazzo trovato addosso al cadavere era in realtà un insieme di vecchie pezze avvolte intorno a due legni a croce e anche la testa era stata fatta avvolgendo un piccolo gomitolo di lana in un po' di stoffa. Sicuramente era stato fatto a mano da qualcuno, non era certo un oggetto acquistabile in un negozio.
Fu mostrato a Alessia, che confermò di non averlo mai visto. Avevano trattenuto qualche gioco dei loro figli, ormai grandi, ma quel bambolotto, piuttosto logoro, non era loro. Anzi, la donna aggiunse di non averci neppure fatto caso quando aveva rinvenuto il corpo del marito, poiché era fuggita immediatamente in preda al panico.
Un'ora dopo l'arrivo della scientifica sul luogo del ritrovamento, l'agente Berni chiese ad Alessia se potevano scambiare due parole. Lei acconsentì, raccontando che il marito era primario del reparto di neurochirurgia presso l'ospedale della città. Aveva inoltre una clinica privata, nella quale operava due volte alla settimana. Aveva 54 anni. L'agente prese nota di tutte le cose personali che riguardavano la vittima poi pose le domande di prassi: se potesse avere dei nemici, se la moglie fosse a conoscenza di qualche fatto che poteva aver generato una reazione eccessiva in qualcuno, se avesse debiti, se avesse un' amante, o l'avesse avuta in passato, o dei figli nati da precedenti relazioni.
Alessia rispose che Nicola era un uomo per bene. Erano sposati da quasi venticinque anni, a marzo avrebbero dovuto festeggiare le loro nozze d'argento e avevano già organizzato un grande ricevimento, visto che, all'epoca del loro matrimonio, si erano dovuti accontentare di una modesta cerimonia. Il marito le aveva regalato un bellissimo viaggio in Sud Africa, lui era stato a un congresso a Cape Town cinque anni prima e lei si era innamorata di quel posto dai suoi racconti.
Lo descrisse come un marito affettuoso e un padre modello. Nonostante la loro situazione economica fosse privilegiata, avevano educato i figli ad essere rispettosi nei confronti di chi, purtroppo, non era stato fortunato come loro.
Alessia aveva ripreso a lavorare da meno di un anno, dopo che il figlio minore, Riccardo, ora ventenne, aveva preso il diploma e si era iscritto all'università, facoltà di medicina. Era sempre rimasto affascinato dal lavoro del padre e il suo sogno era diventare medico. La figlia Lucia, invece, 22 anni, studiava psicologia e a breve avrebbe terminato il triennio. Suo marito non aveva ostacolato la sua decisione di trovare un impiego, pur dicendole che non ce n'era bisogno, ma lei aveva insistito. Non era il tipo di donna che adorava passare le giornate in casa o a fare shopping.
Era riuscita a rispondere a ogni domanda mantenendo un certo contegno, poi improvvisamente Alessia scoppiò in un pianto irrefrenabile. Era il 3 gennaio, venerdì, lei sarebbe dovuta rientrare solo il 7, e quel giorno era tornata al lavoro per sostituire una collega. Si malediva per non essere rimasta a casa, convinta che quella tragedia potesse essere evitata.
L'agente cercò di darle un po' di conforto dicendole che non doveva sentirsi in alcun modo responsabile, anzi non era da escludere che la tragedia sarebbe potuta essere anche maggiore, raccomandandole di fare attenzione fino a quando non avessero scoperto chi fosse stato e perché.
I figli erano in settimana bianca con un gruppo di amici e Alessia decise di informarli direttamente, compito che si rivelò alquanto difficile per la donna.
La zona fu transennata, fortunatamente intorno alla mezzanotte le temperature si alzarono leggermente, trasformando la neve in pioggia.
Nel frattempo Nicola era stato trasportato all'obitorio. Sul corpo dell'uomo vennero trovate 3 coltellate al petto, e una al fegato; quella mortale era stata quella inferta in pieno cuore. Nel suo organismo furono rinvenuti residui di un normale pasto e qualche traccia di vino rosso. L'agenda e il computer furono messi sotto sequestro per essere esaminati con attenzione.
Da una prima scorsa sull'agenda, che riportava diversi appuntamenti con pazienti, direttori di aziende farmaceutiche, riunioni di lavoro e congressi, qualcosa attirò l'attenzione degli inquirenti. Quel giorno era stato cancellato un appuntamento con un paziente, segnato per le 14.30. Quando l'uomo fu contattato, il mattino seguente, disse che era stato il medico a chiamarlo, dicendogli che a causa di un imprevisto doveva annullare il loro incontro. Si era scusato per il poco preavviso e gli aveva proposto una nuova data dopo l'Epifania.
Sull'agenda però non appariva segnato alcun nuovo nominativo, anche se la cosa non destò alcuna meraviglia. La chiamata da parte di Nicola al paziente risultava essere stata fatta poche ore prima del loro appuntamento, se lo avesse spostato per incontrare qualcuno a casa nel pomeriggio, non se lo sarebbe certamente scordato. Rimaneva da capire chi dovesse incontrare, se quella persona si fosse recata da lui, viste le condizioni meteorologiche, se potesse aver visto qualcosa o essere addirittura il colpevole.
I figli avevano interrotto la vacanza ed erano tornati, distrutti dalla morte del padre e dal modo in cui era avvenuta. Nonostante fossero stanchi per il lungo e difficoltoso rientro, avvenuto nella nottata, la polizia chiese di poterli incontrare subito, insieme alla madre. Quando i tre arrivarono, fu l'agente Berni ad andare loro incontro, offrendo del caffè caldo. L'uomo si mise seduto davanti alla donna dicendo che a poche ore dall'omicidio del marito, un altro uomo era stato trovato ucciso a coltellate e lasciato davanti al garage della sua casa. La moglie lo stava aspettando per cena, erano passate le 21 e doveva essere rincasato almeno da qualche ora.
Viste le condizioni meteo, non si era inizialmente preoccupata, poi aveva provato più volte a chiamarlo. Anche in quel caso i contatti telefonici si erano rivelati difficoltosi per via del maltempo, così la donna era uscita di casa nella speranza di avere un po' più di fortuna con il cellulare e in quel momento lo aveva visto accasciato in terra in un lago di sangue.
Vi era una cosa che accomunava i due uomini: entrambi erano stati uccisi a coltellate e anche sul corpo della seconda vittima era stato ritrovato un pupazzo intriso di sangue, molto simile a quello trovato sul corpo di Nicola Varanni.
Alessia chiese se il marito e l'altro uomo potessero essere vittima di un serial killer, che lasciava quel pupazzo come firma.
L'agente rispose che inizialmente quella era stata la prima ipotesi. Ma dopo aver verificato l'identità della seconda vittima non ne erano più convinti. A quel punto svelò il nome dell'uomo, Flavio Spinelli.
Alessia sgranò gli occhi, chiedendo se si trattasse del Flavio Spinelli che lavorava nella clinica privata di suo marito. L'agente annuì, aggiungendo che difficilmente un serial killer avrebbe colpito in modo casuale due persone che lavorano insieme. Erano invece convinti che alla base dei due omicidi ci fossero altri motivi e il colpevole avesse messo in atto un goffo tentativo di farli sembrare opera di un killer seriale per sviare le indagini.
A quel punto Berni chiese nuovamente se ci potesse essere qualcosa che accomunava i due uomini al punto di farli uccidere a distanza di così poche ore.
Di nuovo Alessia scosse la testa. Spiegò che Nicola e Flavio non erano solo collaboratori, si erano conosciuti in occasione della nascita delle loro figlie, coetanee, ed erano diventati grandi amici. All'epoca suo marito aveva iniziato a farsi una buona posizione in ospedale, dove sarebbe diventato primario una decina di anni più tardi. Era molto ambizioso e in breve tempo aveva deciso di aprire una clinica privata, che grazie alle competenze amministrative di Flavio, assunto dopo pochi mesi, era riuscita a ingranare bene fin dall'inizio. L'ultima giornata trascorsa insieme era stata quella di Capodanno, in compagnia di altri amici.
Anche Paola, la moglie di Flavio, era stata interrogata nel frattempo ed era emerso che il marito conducesse una vita piuttosto tranquilla e regolare. Avevano avuto un momento di crisi nel loro matrimonio, separandosi per qualche mese, poi tutto era tornato alla normalità. Questo era successo una decina di anni prima, lui non aveva mai confessato ma Paola era convinta che avesse avuto un flirt con una segretaria presso l'ospedale nel quale lavorava a quel tempo come responsabile amministrativo. Poi aveva avuto un'ottima opportunità di lavoro presso la clinica privata che un loro amico aveva aperto e la loro vita era cambiata, in tutti i sensi.
Alla fine del colloquio, era stata messa a conoscenza, a sua volta, che poche ore prima era stato ucciso un altro uomo, con le stesse modalità, il cui nome era Nicola Varanni, il titolare della clinica dove lavorava il marito.
I funerali dei due uomini furono eseguiti e le due amiche vedove, si trovarono ben presto a fare i conti con una dura realtà.

Chi rimase particolarmente colpito da questi due omicidi fu Gabriele Sacchetti. Conosceva sia Nicola che Flavio da diversi anni e da poco più di due era stato assunto all'ospedale, diventando vice primario nel reparto di neurochirurgia dopo appena due mesi dal suo arrivo. Solo negli ultimi tempi però si era instaurato anche un rapporto di amicizia, tant'è che aveva partecipato, insieme alla moglie Alice, al pranzo di Capodanno in casa di Nicola.
Alice notò la sua preoccupazione e gli chiese cosa lo turbasse. Lui esitò un attimo prima di rispondere. Qualunque cosa le avesse detto lei avrebbe posto delle domande e lui avrebbe dovuto rispondere. Non poteva certo dirle la verità. O forse si? Era ormai questione di giorni, poi gli inquirenti sarebbero arrivati anche a lui. Si chiedeva se sua moglie avrebbe capito e si sarebbe messa dalla sua parte, oppure doveva mentire anche a lei? Il loro era un rapporto giovane, stavano insieme da due anni e sposati da uno. Alla notizia dei due colleghi morti si era preparato un piano e in quel momento decise che doveva portarlo avanti. Non c'era altra strada. Neppure se Alice lo avesse appoggiato.
Fu a quel punto che Gabriele le disse che temeva per la sua stessa vita. Le raccontò che da qualche tempo i colleghi stavano lavorando a un progetto molto ambizioso e non era da escludere che le loro morti dipendessero da quello, visto che avevano incontrato non pochi ostacoli. La sua paura era che lui dovesse essere la terza vittima del killer che si firmava con quel misero pupazzo nella speranza di deviare le indagini.
Alice lo guardò, dicendogli prontamente di non preoccuparsi. Secondo lei, se nel programma del killer ci fosse stato anche lui, sicuramente sarebbe già stato a far compagnia ai due colleghi. Poi, senza dar modo al marito di replicare, chiese a cosa stessero lavorando.
Le rispose che doveva uscire per un appuntamento, promettendole che al suo ritorno le avrebbe raccontato tutto.
Poco dopo Gabriele era in compagnia di Carlo, responsabile del reparto infermeria del carcere principale della città. Lo aveva avvicinato durante i funerali dei colleghi e gli aveva messo in tasca un biglietto indicando luogo e orario dove vedersi. Carlo si era presentato puntuale all'appuntamento. Non si erano mai contattati telefonicamente e non era certo ora il momento di iniziare a farlo.
Si incontrarono in un giardino pubblico dalla parte opposta della città, fortunatamente era tornato il sole e poterono parlare tranquillamente su una panchina, lontano da occhi e orecchi indiscreti. Era così freddo che la zona era deserta. Il primo a parlare fu Gabriele, esternando la sua paura, condivisa da Carlo, di poter essere la vittima successiva. Chi aveva ucciso Nicola e Flavio poteva avere a che fare con i loro esperimenti, ciò significava per loro essere in pericolo. Sperava che sua moglie avesse ragione nel dire che in quel caso sarebbero già stati uccisi. Carlo lo guardò con aria preoccupata, chiedendogli se ne aveva parlato con lei.
Gabriele rispose che fino a quel momento non ne aveva fatto parola con nessuno, ma ora si aspettava di essere interrogato e rischiava di dover rispondere a domande scomode, oltre a dare giustificazioni alla moglie. Gli aveva già fatto qualche domanda prima di uscire e al suo rientro avrebbe dovuto affrontare l'argomento con lei.
Disse a Carlo di avere in mente un piano, che li riguardava entrambi, e gliene parlò. Lui era certo di uscirne pulito facilmente. Lavorando a stretto contatto con le due vittime, che vedeva ogni giorno, difficilmente il suo nome sarebbe apparso sulle loro agende, e in ogni caso non avrebbe destato particolari sospetti. Più difficile sarebbe stato invece affermare di non essere a conoscenza di chi potesse essere C., anch'esso presente piuttosto spesso sull'agenda di Nicola, che non si era mai preoccupato di annotare i loro appuntamenti in codice altrove.
Lo sguardo di Carlo si fece serio e pensieroso.
A meno che questa C., proseguì Gabriele, non fosse collegata a Coliani. Carlo lo guardò, comprendendo in un lampo le sue intenzioni. Gli sorrise, affermando che aveva avuto una splendida idea. Qualora le indagini avessero portato a indagare sul carcere, l'unica via d'uscita era far ricadere la responsabilità sul povero Alfredo Coliani, collega di Carlo, deceduto a metà novembre. Per fortuna da allora non vi erano stati ulteriori incontri, così come non erano stati presi ulteriori appuntamenti, avvalorando la tesi che potesse trattarsi di lui. Rimasero a parlare un'altra oretta, la strategia era molto semplice. Se mai si fossero trovati insieme, avrebbero finto di non conoscersi. Carlo avrebbe affermato di essere all'oscuro di tutta la faccenda, gettando l'eventuale responsabilità sul collega morto. Anche in occasione dei funerali non si erano rivolti parola e Gabriele era riuscito a mettere il biglietto in tasca di Carlo fingendo di inciampare e aggrapparsi a lui, scusandosi. Infreddoliti si salutarono e ognuno tornò alla propria vita.
Non appena varcò la porta di casa Alice si precipitò da lui. Era stata preoccupata per tutto il tempo, gli disse, chiedendogli immediatamente di parlarle del progetto con i colleghi, cui aveva fatto riferimento prima di uscire.
Gabriele le disse che era una storia piuttosto lunga e complicata e di essere completamente estraneo a tutto l'accaduto. Aveva conosciuto Nicola una decina di anni prima, in occasione di un congresso e avevano iniziato a lavorare ad alcuni progetti, insieme a un gruppo di ricercatori. Diversi anni più tardi Nicola lo aveva assunto nella sua clinica, dove era rimasto poco tempo, per poi essere trasferito all'ospedale dove questi lavorava come primario, diventando il suo braccio destro dopo neanche due mesi.
Ciò aveva causato diverse ostilità nei suoi confronti da parte dei vari medici e operatori del reparto e della persona che, per merito e anzianità, avrebbe dovuto ricoprire quell'incarico. Ma Nicola aveva le giuste conoscenze e aveva fatto in modo che quella posizione toccasse a lui. Gabriele apparve piuttosto rattristato, aveva impiegato parecchio tempo per farsi apprezzare dai colleghi per il suo lavoro e le sue capacità, e ora rischiava di perdere tutto.
A pochi giorni dalla fine dell'anno, proseguì, Nicola lo aveva chiamato chiedendogli di recarsi a casa sua e gli aveva presentato il conto. Uno dei progetti ai quali avevano lavorato dieci anni prima col gruppo di ricercatori, riguardava lo studio e la realizzazione di un farmaco, in grado di determinare una perdita di memoria parziale nei soggetti pericolosi.
Alice lo guardò, senza comprendere. Gabriele proseguì. Secondo importanti laboratori, esisteva la possibilità di immettere nel corpo umano delle sostanze in grado di agire su quella parte di cervello che porta una persona a commettere dei crimini. In quel modo, somministrando una certa dose di farmaco, la memoria cosiddetta “cattiva” sarebbe stata completamente dimenticata permettendo al soggetto di passare a una fase successiva con la quale veniva riabilitato e portato a ricondurre una vita normale e onesta.
I primi test, nonostante le varie critiche e le discordanze fra le autorità competenti, erano stati superati ed era stato possibile accedere alla fase successiva, che prevedeva la sperimentazione sugli animali. Erano state fatte diverse prove su bestie feroci come tigri, leoni, squali e i risultati avevano suscitato non poche perplessità. Se da una parte gli animali avevano infatti perduto gran parte della loro aggressività, dall'altra vi erano stati molti effetti collaterali, fra cui perdita della motilità, disorientamento, cecità e, in qualche caso, la morte. Dopo quasi un anno di lavoro al miglioramento del farmaco, era stato imposto di fermare le ricerche.
Nicola vi aveva investito tempo e denaro ed era convinto che alla base della mancata approvazione del medicinale si celassero ragioni che andavano ben oltre la sua validità. Aveva quindi deciso, un paio d'anni più tardi, di iniziare nuovamente a studiarne le proprietà per cercare di mettere sul mercato qualcosa di rivoluzionario, in grado di portare enormi benefici alla collettività e guadagni esorbitanti per lui e per chi avesse collaborato.
Ora Nicola gli aveva chiesto di tornare a collaborare su quel progetto. Gabriele disse di essere rimasto un po' dubbioso su quella proposta, c'era qualcosa che non lo aveva convinto. Non solo erano trascorsi diversi anni e ancora questo farmaco risultava in fase di sperimentazione, dopo aver già subito una bocciatura da varie commissioni, ma questo avveniva all'interno di un laboratorio non accreditato, dove gli era stato detto che lavorasse in pieno segreto un ricercatore americano.
Inoltre quel giorno Nicola gli aveva consegnato una scatola contenente diverse fialette di medicinale, chiedendogli di tenerle per un breve periodo. Le teneva nascoste in cantina e, vista l'imminente partenza dei figli per la settimana bianca, temeva che qualcuno avrebbe potuto vederle o romperle mentre si recava a prendere l'occorrente per la montagna. Aveva aggiunto che nessuno in casa sua era a conoscenza di quel lavoro; aveva preferito non creare aspettative su un progetto così a lungo termine.
Poiché Gabriele aveva i minuti contati, aveva preso quella scatola e se ne era tornato a casa, nascondendola a sua volta in soffitta. Quando si erano visti per Capodanno Nicola gli aveva chiesto un parere sulla sua proposta e lui gli aveva risposto che sarebbe passato da casa sua qualche giorno più tardi. Aveva intenzione di restituirgli la scatola e dire che non avrebbe accettato, anche a scapito di un eventuale licenziamento. Purtroppo nel frattempo Nicola era stato ucciso.
Alice domandò a Gabriele se la scatola con i medicinali fosse ancora nella loro soffitta e dove l'avesse nascosta esattamente. Si chiedeva se non fosse pericoloso tenere in casa quel materiale. Il marito la rassicurò, dicendo che l'avrebbe fatta sparire a breve. Si trattava di una piccola scatolina con una quindicina di fialette o poco più, portarla fuori da casa sarebbe stato un gioco da ragazzi. Alice si mostrò comprensiva nei confronti del marito, aggiungendo che, trattandosi di un plico piccolo, se ne sarebbe occupata lei. L'avrebbe messa nella sua borsa e nessuno vi avrebbe fatto caso.
Gabriele la ringraziò e tirò un sospiro di sollievo. Le sue spiegazioni avevano convinto la moglie e la conversazione era terminata li. Decise anche di non dare più enfasi alle sue paure di fare la stessa fine dei colleghi, anche se la cosa lo mandava fuori di testa.
Restava l'ultima decisione da prendere, ovvero se avvisare la polizia della proposta di Nicola, omettendo la parte che si riferiva alle fiale di medicinali, oppure attendere gli sviluppi dell' inchiesta. Decise di chiedere consiglio a Alice. Voleva che si sentisse coinvolta nelle decisioni di suo marito, sia per rafforzare la sua teoria, nel caso qualcosa fosse andato storto e qualche sospetto fosse ricaduto su di lui, sia perché ne era innamorato e non voleva ci fossero ombre fra di loro. Almeno da ora in poi. Le esternò quindi il suo dubbio e lei gli consigliò di parlare apertamente con la polizia. Non poteva sapere se Nicola avesse detto a qualcuno di avergli proposto una collaborazione, e tirare fuori quella storia durante un eventuale interrogatorio o, peggio ancora, per difendersi da qualche accusa, non sarebbe stato positivo. Non correva rischi di essere accusato per gli omicidi, visto che quel giorno era in ospedale con diversi testimoni. Nonostante Gabriele sapesse che quella raccontata alla moglie non era la verità, ritenne che potesse aver ragione. Non aveva garanzie che Nicola non avesse parlato con qualcuno del loro progetto, e voleva evitare qualsiasi passo falso.
Salì in soffitta insieme alla moglie, prese la scatolina e lei la mise in borsa, dicendo che se ne sarebbe occupata immediatamente. Lui suggerì di versare il contenuto nel lavandino e poi gettare le fialette da qualche parte ma Alice disse che preferiva vuotarle da un'altra parte, per evitare qualsiasi traccia in casa loro. Sarebbe entrata in un bar e, con la scusa di andare in bagno, lo avrebbe fatto li. Poi avrebbe fatto sparire le fialette in qualche cassonetto. Per quanto Gabriele trovasse eccessiva quella sua accortezza, ritenne che in fondo non era così sbagliato. Sua moglie ostentava tranquillità, sicuramente per non agitarlo, ma era certo che anche lei non fosse per niente serena. Alice uscì pochi minuti più tardi per fare rientro dopo più di un'ora, confermando di essersi liberata di tutte le fialette.
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