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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Daria Giuffra
Titolo: Ci si può solo perdere
Genere Letteratura Musicale
Lettori 5500 135 76
Ci si può solo perdere
Era una mattina afosa di fine estate e l'aria stagnante faceva presagire un'altra giornata torrida. Il caldo tuttavia non rappresentava l'unica fonte di disturbo, dei rumori arrivavano dalla strada e impedivano a Luca di dormire. Aveva soltanto la domenica per ricaricare le batterie e avrebbe dato qualsiasi cosa per un po' di riposo. Del resto nell'ultimo periodo si era arreso all'insonnia, ogni sera giungeva a casa sfinito dopo una giornata di lavoro nell'azienda di famiglia, cenava e tentava di rilassarsi, ma quando decideva di andare a letto iniziava una lunga agonia che lo avrebbe spinto ad alzarsi confuso, frustrato e arrabbiato con il mondo. Puntualmente cercava un capro espiatorio per giustificare il proprio malessere, una volta era colpa di un ubriacone che cantava una goffa serenata sotto il suo appartamento, un'altra volta il responsabile veniva identificato nel camion della spazzatura che interrompeva la quiete dell'alba. Quel preciso mattino, la goccia che fece traboccare il vaso fu il clacson di una macchina parcheggiata di fronte alla finestra di camera. Tanto valeva che si mettesse in piedi e cercasse di dare un senso alla giornata accendendo lo stereo. Inserì nel lettore un vecchio album di Ben Harper e cominciò a preparare la colazione con calma. Il connubio perfetto tra cibo e musica gli fece dimenticare l'ansia della notte appena trascorsa, ma ecco che a disturbare la piacevole tregua arrivò il rumore delle chiavi nella toppa della porta. Era Teresa.
“Amore, meno male che sei sveglio! Mi sono dimenticata di dirti che oggi vengono a pranzo Massimo e Carla! Te li ricordi vero? I fidanzati di Roma che hanno frequentato il mio stesso corso di cucina. Aspettano un bambino, nascerà a febbraio, ci pensi? Dobbiamo sbrigarci, mancano un sacco di cose e non posso certo fare brutta figura. Mi dovresti aiutare, vai al supermercato a prendere un po' di pane, del vino bianco e delle olive per l'antipasto, al resto penso io!”
Queste parole sul ragazzo ebbero lo stesso effetto di una doccia fredda in pieno inverno, avrebbe desiderato urlare fino a perdere la voce.
Il pranzo non deluse le aspettative di nessuno, neanche quelle di Luca che si ritrovò nella situazione che aveva immaginato, sommerso da decine di domande su argomenti che avrebbe preferito non sfiorare neppure. Cose del tipo: “Come vanno le vendite in azienda?”, “Avete già pianificato le prossime vacanze?” o “Non avete in programma di allargare la famiglia?”.
Dopo ben due ore di interrogatorio gli amici di Teresa ringraziarono e salutarono, Luca aiutò a mettere in ordine la cucina ma appena trovò il momento giusto scappò con la scusa del caffè.
Uscì di casa in fretta, come se avesse paura di essere richiamato dalla fidanzata. Abitava al terzo piano di un palazzo futuristico costruito in un quartiere residenziale della città, non troppo lontano dal centro ma al tempo stesso in una zona tranquilla. Scese le scale due alla volta e in attimo fu in strada. Il sole gli investì la faccia in modo feroce, estrasse dalla tasca dei jeans gli occhiali e li indossò con un gesto automatico della mano, poi si diresse con passi decisi in fondo al viale, svoltò a destra e giunse davanti al Royal Cafè, il bar dove andava ogni giorno. Qui secondo lui facevano il migliore caffè di Firenze, inoltre il proprietario era un vecchio amico con il quale scambiava sempre volentieri quattro chiacchere. Varcò la soglia, chiese un ristretto al banco e si sedette su uno sgabello ad aspettare, il suo sguardo si perse dietro la vetrata polverosa che dava sul marciapiede. All'improvviso un dolore lancinante lo riportò alla realtà.
“Ahi! Ma che cavolo!” urlò facendo una smorfia. Un tizio che aveva ordinato pochi istanti prima di lui gli aveva rovesciato un'intera tazza di tè sulle gambe. Quest'ultimo si scusò cercando in tutti i modi di rimediare al danno fatto.
“Quanto mi dispiace, che sbadato che sono. Vado subito a prendere dei tovaglioli...”
“Lascia perdere, ci penso io.”
Il ragazzo andò in bagno, mentre cercava di tamponare con dei fazzoletti le macchie di tè sui jeans, pensò che solo a un folle poteva venire in mente di ordinare una bevanda del genere ad agosto. Dopo qualche minuto tornò al banco per ritentare di bere l'agognato caffè, ma il barista gli indicò il tipo di prima che per farsi perdonare aveva già preso, pagato e portato la consumazione al tavolo. Luca si avvicinò controvoglia, non aveva nessuna intenzione di fare nuove conoscenze, tanto meno con quello lì che per poco non gli ustionava gli arti inferiori. Quando fu a pochi centimetri l'altro scattò in piedi.
“Ciao, scusami ancora! Certe volte sono terribilmente maldestro... mi chiamo Michel.”
“Io sono Luca...”
“Siediti e bevi il tuo caffè, altrimenti si raffredda.”
Sin da piccolo Luca amava indovinare la provenienza delle persone ascoltando il loro accento, ci riusciva quasi sempre, aveva una dote innata. Quel pomeriggio però il suo interlocutore gli dava del filo da torcere, parlava un italiano perfetto, privo di cadenza. Divorato dalla curiosità gli domandò:
“Di dove sei?”
“Amico, mi spiazzi con questa domanda... in realtà non mi sento di appartenere a nessun posto in particolare. Per il momento mi limito a valutare ogni possibilità che mi incuriosisca.”
“Affascinante la tua teoria.” affermò Luca che aveva una mentalità pragmatica, “Tuttavia ognuno di noi proviene da qualche luogo. Potresti ad esempio cominciare a dirmi dove sei nato, perché non sembri proprio di queste parti...”
In effetti si avvertiva subito qualcosa di atipico in Michel. Era un ragazzo alto, di bella presenza. La prima caratteristica che si notava osservandolo, era la folta chioma di capelli ricci che gli cadeva in maniera disordinata sulle spalle. Indossava una camicia stampata con una fantasia improbabile, a Luca pareva una stoffa adatta per delle tende vintage. Inoltre portava un paio di jeans arancioni e per finire un paio di scarpe di cuoio verde. Nessun fiorentino se ne sarebbe andato in giro vestito in quel modo.
“Hai proprio ragione, non sono di qui, si nota davvero così tanto? Sono nato a Parigi, mia madre è francese mentre mio padre è di Milano.”
“Quindi sei cresciuto a Parigi?”
“Si, più o meno. I miei si sono sempre spostati molto per lavoro e sin dalla tenera età ho considerato casa non tanto un luogo specifico, ma il posto dove si trovano le persone che amo. A diciotto anni ho deciso di venire a studiare in Italia e ho iniziato anche a viaggiare, in realtà ho più viaggiato che studiato...”
Risero entrambi, poi Luca chiese:
“Come mai ti trovi a Firenze?”
“Mi sono trasferito un paio di mesi fa, dopo la tanto anelata laurea in filosofia. Avevo programmato un anno sabbatico, così ho deciso di venire qui a trovare alcune persone che avevo conosciuto durante l'Erasmus. Firenze è una città meravigliosa, ricca di arte e di storia... i primi tempi ero frastornato dalla bellezza che si respira nelle strade e nelle piazze. Proprio nei giorni in cui sono arrivato un amico ha aperto un pub, mi ha offerto un lavoro e la possibilità di sfogarmi con il mio primo grande amore: la batteria. Mi sono pure riavvicinato al mondo universitario e ho iniziato a frequentare un master, quindi in realtà il mio anno sabbatico si è trasformato nell'anno più incasinato della mia vita, ma ne sono felice.”
“Wow, che storia! Ti sei inserito bene. Sai, anche io sono un grande appassionato di musica, avevo un gruppo ma adesso è tanto che non suono più.”
“E come mai?”
“Beh, sai com'è che succede... le situazioni cambiano, le responsabilità aumentano e ti ritrovi senza nemmeno accorgertene incastrato nella routine quotidiana.”
“Si, è vero, di solito è così. Sei sposato? Di cosa ti occupi?”
“Sono fidanzato da quasi cinque anni, ma le cose non vanno per il verso giusto. Sarà una fase, alla fine credo sia normale avere degli attimi di incertezza quando si sta insieme da tanto tempo. Per quanto riguarda il lavoro, una volta finita l'università ho iniziato a collaborare con l'azienda di famiglia, un autosalone. Io gestisco sia la contabilità che le vendite vere e proprie.”
“Ti piace quello che fai?”
“Si, è un mondo che tutto sommato mi attrae anche se in questo momento non sono più sicuro di niente. La realtà è che ho sempre fatto ciò che gli altri pensavano fosse giusto per me, mentre adesso avrei voglia di provare qualcosa di diverso. Magari mettermi in proprio o collaborare con qualcuno che non sia un mio parente...”
“Allora cosa aspetti?” esclamò Michel, “Parli come se fosse una cosa impossibile. Se non sei soddisfatto della tua vita devi provare a cambiarla. Scardina le tue certezze, osserva le cose da una nuova prospettiva e vedrai che non vorrai più tornare indietro. La paura è un sentimento legittimo, ma ho imparato sulla mia pelle che è oltre essa che le cose si fanno interessanti... e comunque se la strada intrapresa non ti convince puoi cambiare nuovamente direzione, in questo io sono un asso!”
Luca si rese conto che se avesse incontrato quel ragazzo in un altro periodo non lo sarebbe stato ad ascoltare neanche cinque minuti. Lo avrebbe definito un radical chic viziato, un individuo confuso con qualche soldo in tasca che vagabondava perché non era riuscito a costruire niente di solido in nessun posto. Invece inspiegabilmente ne subiva il fascino. Si ritrovò a confidargli segreti e pensieri che a mala pena aveva elaborato dentro di sé. Dal caffè i due passarono alla birra, dalla birra al Campari, così la chiacchierata andò avanti fino alle sette passate, quando Michel guardò per caso l'orologio e capì di essere in ritardo. Si salutarono e Luca promise di andare a trovare il nuovo amico al locale appena possibile. Uscirono dal bar, uno correndo, l'altro godendosi ogni passo della breve passeggiata che lo divideva da casa.
Luca varcò l'uscio e notò che l'appartamento era deserto, Teresa era dovuta andare al negozio dove lavorava per sostituire una collega, aveva lasciato un biglietto sul tavolo. Si sentiva affamato, cucinò un sugo con le verdure che erano rimaste nel frigo, mentre la pasta cuoceva si diresse verso la cantinetta per scegliere una bottiglia di vino. La conversazione con il francese l'aveva messo di buon umore, era stata liberatoria. Fino ad allora si era annientato in nome dei doveri, convinto che prima o poi avrebbe ricevuto qualcosa in cambio. Negli ultimi tempi però faticava sempre di più a soffocare la voce interiore che gli diceva che la vita non è fatta soltanto di lavoro, casa, bollette e spese condominiali. Stabilì che era necessario un cambio di rotta. Pensando alla routine delle sue giornate, si rese conto di essere ormai così assorbito dalla famiglia dall'aver perso di vista le proprie aspirazioni. Aveva la fortuna di poter contare su delle brave persone, non poteva negarlo, ma erano tutte troppo concentrate sugli aspetti materiali dell'esistenza. Decise che avrebbe tentato di farglielo capire, e se non lo avessero ascoltato si sarebbe comunque ritagliato degli spazi. Buttò nel lettore cd Mellon Collie and the Infinite Sadness degli Smashing Pumpkins. Adorabili Smashing. Si versò un generoso calice di vino e iniziò a canticchiare:
“The impossible is possible tonight, believe in me as I believe in you tonight...”
Si rese conto di essere magicamente tornato indietro negli anni, a quando da ragazzino gli sembrava che le canzoni fossero scritte per lui e che assumessero forma e significato in base all'onda dei suoi pensieri.
Quella notte, complice l'effetto soporifero del vino, sprofondò presto tra le braccia di Morfeo. Non si accorse neanche del rientro di Teresa. Un unico sonno profondo e guaritore, come non gli capitava ormai da mesi. Nell'attimo in cui suonò la sveglia non provò l'abituale senso di disgusto che lo accompagnava al mattino, si alzò di scatto e andò a fare una doccia. Poi si avviò in cucina e mise sul fuoco la caffettiera, l'odore del caffè era una delle cose per le quali valeva la pena svegliarsi ogni giorno. Una volta tornato in camera notò che la fidanzata aveva aperto gli occhi, stava seduta sul letto e lo fissava con uno sguardo torvo che non prometteva niente di buono. Dopo un lungo silenzio prese la parola:
“Ti sei divertito ieri mentre ero a lavorare?”
“Che cosa staresti insinuando? Sono rimasto tutta la sera a casa...”
“Sono andata via alle sette e non eri ancora rientrato.”
“Ho incontrato un amico e mi sono fermato a chiacchierare. Non credevo fosse un problema. Del resto dovresti capirmi, quando vedi le tue amiche anche te passi ore a parlare!”
“Lascia stare le mie amiche, non hai capito il nocciolo della questione. Ieri sono rientrata a mezzanotte, la casa sembrava una stalla nonostante avessi passato il pomeriggio a pulire. Ho trovato una bottiglia di vino vuota in salotto e hai anche macchiato il tappeto nuovo! E poi, santo cielo, ti sei scolato una bottiglia di vino da solo? Divido il tetto con un alcolizzato?”
“Mi sembra che tu stia esagerando.”
“Ah, io starei esagerando? Meglio che esca subito e ti dia tempo di riflettere sulle idiozie che stai dicendo, forse non ti è ancora passata la sbornia...”
Teresa uscì di casa sbattendo la porta.
Luca rimase per qualche istante immobile, sconcertato da ciò che era appena avvenuto. Erano bastati pochi minuti per farlo ripiombare nella solita opprimente quotidianità. Il regime dittatoriale era stato ristabilito e non ammetteva licenze di alcun genere.
Il ragazzo guardò l'orologio, era in ritardo. Si preparò in fretta, il suo ruolo nell'azienda gli imponeva di vestirsi elegante. Indossò dei pantaloni blu e una camicia bianca, prese la giacca e uscì correndo.
Il caldo era già prepotente, Luca desiderò con anima e corpo di trovarsi in qualsiasi luogo vicino al circolo polare artico, lontano dall'afa e dai problemi. Salì in macchina, una Cinquecento cabrio rossa. Non gli era mai piaciuta, aveva delle dimensioni ridotte che si adattavano a fatica alla sua statura, ma l'aveva pagata poco rispetto al valore di mercato e per giunta era il modello preferito da Teresa. Pensò che il colmo per un venditore di automobili consisteva nel non riuscire a imporre la propria volontà neanche sulla scelta della vettura. Partì e si rese conto appena svoltato l'angolo che c'era un gran traffico, di solito imboccava quella strada venti minuti prima e riusciva a evitare con agilità la coda che si formava ogni mattina. Arrivò sul viale dei Mille e entrò nell'autosalone, lo accolse suo padre Cosimo, ammonendolo per il ritardo:
“Hai perso la cognizione del tempo questa mattina? Non ti sei accorto di che ore sono?”
“Dai, smettila babbo, è la prima volta che mi succede in cinque anni...”
“Appunto, non mi sembra il caso di cominciare proprio oggi! Fra meno di dieci minuti viene il Signor Franchi a ritirare l'auto, datti da fare!”
Cosimo, detto ironicamente Cosimino a causa della sua mole, risultava uno stacanovista. Sin da giovane si era impegnato senza riserve nell'azienda e aveva ottenuto numerosi successi. L'attività era rimasta in piedi nonostante la crisi iniziata due anni prima e causata da un'epidemia diffusa in tutto il mondo. L'intero pianeta si era fermato per alcuni mesi, le persone non potevano muoversi dalle abitazioni e le città avevano assunto un'aria spettrale. Assieme al problema sanitario si era presentato quello economico, molte imprese erano state costrette a chiudere i battenti. Questo momento di incertezza aveva contribuito a rendere Cosimo ancora più determinato. Luca era sicuro che suo padre non frequentasse altri posti al di fuori della casa e dell'ufficio. Aveva anche smesso di andare allo stadio, adesso la Fiorentina la seguiva in tv. Nel medesimo stile di vita monotono aveva coinvolto perfino Anna, sua moglie. Appena sposata la donna organizzava viaggi e trascorreva le vacanze estive all'Isola d'Elba, luogo al quale era legata perché da lì proveniva la sua famiglia. Con il passare del tempo però il marito e il figlio si erano mostrati sempre meno entusiasti delle trasferte al mare e il lavoro era diventato pesante, riuscire a strappare qualche settimana per riposare rappresentava un'impresa titanica, così aveva finito per arrendersi e non si era più mossa da Firenze.
Luca vide la madre in ufficio, appariva assorta nei propri pensieri. La salutò e in cambio ricevette un sorriso stanco insieme a una pila di documenti da sistemare.
La mattina proseguì lenta e noiosa. Il ragazzo concluse la vendita dell'auto del Signor Franchi e si occupò di altre faccende urgenti, sperava che il lavoro lo distogliesse dai problemi ma ciò non accadde. Capì di non riuscire a frenare l'insofferenza che lo attanagliava. Si chiedeva quanto tempo fosse passato dall'ultima volta in cui aveva staccato un po' la spina, dovevano essere trascorsi anni. Fu in quel momento che un pensiero cominciò a farsi spazio nella testa. Provò a ignorarlo, ma più lo combatteva e più questo prendeva forza. Cedette e si abbandonò senza freni alla fantasia, accarezzando l'idea di un'uscita di scena improvvisa. Iniziò così a programmare la propria fuga.
Il primo particolare da definire era la meta, ragionò un po' ed ebbe l'ispirazione giusta. La conversazione con Michel aveva risvegliato un sopito desiderio fanciullesco, da piccolo infatti aveva sognato di visitare Parigi, sarebbe potuto partire da lì. Si trattava di una città splendida e non troppo lontana, una volta giunto nella capitale francese avrebbe potuto decidere con comodo come muoversi. Si sentiva eccitato come un bambino la vigilia di Natale, non c'era paura nel suo cuore, solo una gran voglia di partire.
Focalizzò l'attenzione sui dettagli pratici del viaggio. Innanzitutto gli servivano dei soldi, aveva un conto corrente con circa diecimila euro, una somma ottima che gli avrebbe concesso del tempo per organizzarsi con tranquillità una volta arrivato a destinazione. L'unico problema era rappresentato dalla delega di sua madre, la quale non avrebbe esitato un attimo a prosciugare i fondi per spingerlo a rientrare. Decise che sarebbe andato via dall'ufficio alla solita ora per non destare sospetti, una volta raggiunta la banca avrebbe passato novemila euro su una prepagata personale, gli altri li avrebbe ritirati in contanti. Dopo si sarebbe diretto a casa per preparare una valigia con dentro lo stretto indispensabile.
Uscì dall'autosalone e cominciò a seguire alla lettera il piano. Sistemò ogni cosa alla cassa di risparmio anche se impiegò più del previsto, gli restavano appena trenta minuti prima che Teresa terminasse il turno al negozio. Salì in macchina e sfrecciò come una saetta verso casa, mentre guidava mille dubbi gli affollavano la mente. Pensò di essere un codardo, non aveva il coraggio di prendere in mano la situazione e spiegare a tutti come stavano le cose. In parte era vero, ma capì che stava scappando perché quello risultava l'unico modo per poter dare una svolta alla sua vita, la situazione era stata trascinata troppo a lungo e se non avesse compiuto un gesto folle non lo avrebbero mai preso sul serio, sarebbe rimasto per sempre incastrato in un limbo di rimpianti.
Arrivò sotto il condominio, salì di corsa le scale ed entrò nell'appartamento. Fece mente locale per cercare di ricordarsi dove fossero le valigie, rammentò che si trovavano nella cassapanca in mansarda. Prese il trolley più piccolo, voleva viaggiare leggero. Ci infilò dentro un po' di abiti comodi, il pc portatile, il passaporto mai utilizzato, lo spazzolino e il dentifricio: era pronto. Fu colto dal desiderio di lasciare due righe, un messaggio che spiegasse il suo comportamento, ma non cedette alla tentazione. Nei giorni seguenti avrebbe inviato una breve mail ai genitori per chiarire la questione e chiedere di non essere cercato. In questo modo sperava di tranquillizzare un po' la famiglia, evitando di diventare il protagonista di una puntata di Chi l'ha Visto.
Aveva fatto una ricerca su internet per capire in che modo raggiungere Parigi, aveva così scoperto che poteva arrivarci in treno. Tale dettaglio per lui rappresentava un enorme conforto dato che, sebbene non lo avesse mai ammesso fino in fondo, era terrorizzato dall'idea di volare.
Per un istante valutò anche l'ipotesi di partire in macchina, ma era un viaggio lungo e una volta giunto a destinazione non avrebbe saputo che farsene dell'auto. Aveva letto che i parigini raramente si spostano con le proprie vetture, dispongono di una rete di trasporti pubblici molto efficiente. L'automobile avrebbe rappresentato un problema in più da gestire.
Terminati i preparativi si diresse verso la stazione di Santa Maria Novella, abbondonò la Cinquecento in un parcheggio un po' defilato e corse in biglietteria. Tirò un sospiro di sollievo quando l'addetta gli confermò che il treno esisteva e sarebbe partito alle sei di mattina dalla stazione di Milano Centrale. Comprò un biglietto per la città lombarda, adesso doveva solo attendere cinquanta minuti. Cominciò a camminare nel sottopassaggio, cresceva in lui il timore di essere scoperto, immaginava di scorgere all'improvviso la sagoma di Teresa. Si sarebbe sentito ridicolo, forse non sarebbe neanche riuscito a portare a termine il suo progetto. Ma le cose stavano in un altro modo: Teresa era lontana, il cellulare era spento e tra poco avrebbe salutato Firenze. Scacciò via i brutti pensieri e andò a mangiare un panino per ingannare l'attesa. Comprò un libro da leggere durante il viaggio, scelse Il Vecchio e il Mare di Hemingway, poi guardò l'orologio e notò che era giunto il momento di avviarsi al binario. Trovò il treno già lì ad aspettarlo. Salì in carrozza e provò un brivido di terrore e gioia, gli mancò quasi il respiro. L'avventura aveva inizio.

Il treno cominciò a spostarsi lento sui binari, emettendo un suono metallico. Luca aveva sistemato il bagaglio e raggiunto il posto prenotato, reclinò il tavolinetto e si lasciò dondolare dai movimenti della carrozza. Era calmo e sempre più convinto di aver preso una decisione dolorosa ma necessaria. Sentì le palpebre farsi pesanti, non oppose resistenza e in pochi minuti scivolò nel sonno. Dopo un lasso di tempo non quantificabile venne riportato alla realtà da qualcosa che gli aveva urtato un piede, aprì gli occhi di scatto e vide una giovane donna che si stava sedendo nella poltrona di fronte alla sua. Lei gli sorrise e chiese scusa per averlo svegliato.
“Sai dove ci troviamo?” domandò Luca, nascondendo uno sbadiglio con la mano.
“Siamo alla stazione di Bologna Centrale... per caso devi scendere qui? Il treno sta per ripartire!”
“No, devo arrivare fino a Milano.”
“Per fortuna! Comunque piacere di conoscerti, sono Chiara...”
“Piacere mio, mi chiamo Luca.”
Chiara era una ragazza magra e di bassa statura, il suo viso era incorniciato da una folta chioma di capelli neri che portava sciolti sulle spalle. Aveva gli occhi grandi, le labbra sottili e un naso che sembrava troppo grosso per le dimensioni della faccia. Indossava due canottiere a righe colorate sovrapposte, dei jeans strappati e un paio di Converse usurate. Luca era incuriosito dal suo aspetto, pensò che avesse qualcosa di divertente che faceva venire voglia di conoscerla. Le chiese:
“Anche tu sei diretta a Milano?”
“Si! In realtà sarei dovuta partire prima, ma con il mio lavoro non si sa mai a che ora si finisce!”
“Che lavoro fai?”
“Faccio la cameriera in un bar... e proprio oggi che ci tenevo a uscire in orario la collega che doveva darmi il cambio è arrivata con venti minuti di ritardo! Una vera tragedia... sono mesi che attendo questo concerto!”
“Ah! Ecco dove stai andando! E di chi sarebbe il concerto?”
“Stasera suonano i Red Hot Chili Peppers a San Siro!”
“Wow! Mi sono sempre piaciuti i Red Hot, hanno un'energia pazzesca. Ho quasi tutti i loro album. Un mio amico che li ha visti dal vivo però mi ha detto che non sono impeccabili.”
“Chi ama la perfezione è libero di seguire altre band, qui si parla di una magia che trascende le piccole sbavature. Anthony ha un timbro vocale unico, una grande originalità nella scrittura dei testi e nella metrica con cui li canta! E poi gli altri, che dire... sono dei musicisti immensi. Non sto nella pelle! L'unica mia paura è di non riuscire a entrare... la data è sold out ma di solito si trova sempre qualcuno all'ingresso che vende biglietti. Incrocia le dita per me, altrimenti avrò fatto un bel viaggio a vuoto!”
“Cioè... vuoi dirmi che stai andando a Milano, da sola, senza avere neanche il biglietto?”
“Esatto. Lo trovi così strano?”
“Si, un po'! Anche se stasera deve essere un bello spettacolo... sarebbe stato ancora più bello se John Frusciante non fosse uscito dal gruppo.”
“Parli sul serio?”
“Si!”
“Quindi hai vissuto su Marte negli ultimi mesi?”
“Perché?”
“Perché John è tornato nel dicembre del 2019, poco prima che l'epidemia imperversasse in tutto il globo! Il sogno di ogni estimatore dei Red Hot Chili Peppers è diventato realtà! Non mi fraintendere... sarò eternamente grata a Josh per aver aiutato la band a rinascere in un momento molto delicato, donando energia e idee per ben dieci anni. Ma John... lui è un'altra storia. L'amicizia che lo lega agli altri membri della band è profonda e questo sentimento si trasforma in arte sul palco. Stasera forse lo vedrò suonare live per la prima volta, non posso crederci! Ho vissuto in ansia per mesi, nel timore che succedesse qualcosa e gli eventi venissero annullati come due anni fa.... Adesso però raccontami un po' di te, cosa stai andando a fare a Milano?”
“In realtà questa è solo la prima tappa del mio viaggio, devo arrivare a Parigi e il treno parte proprio da Milano alle sei di domattina...”
“Viaggio di lavoro?”
“No, è una storia lunga. Sentivo da tempo il bisogno di cambiare aria e oggi ho deciso di partire.”
Lei lo osservò, poi gli chiese a bruciapelo:
“Ma tu, una volta arrivato a Milano, hai qualche impegno improrogabile o devi soltanto aspettare il treno?”
“Non ho molto da fare, passeggerò per il centro e...”
“Ma allora è perfetto! Puoi venire al concerto con me! Andiamo subito a San Siro, cerchiamo i biglietti, se li troviamo bene... altrimenti ce ne andiamo un po' in giro. Dai...”
Luca non riuscì a rimanere impassibile davanti all' entusiasmo di Chiara e accettò l'invito. Tutto sommato era un colpo di fortuna avere un programma, se avesse dovuto impegnare la serata in solitudine si sarebbe annoiato a morte. Inoltre vedere i Red Hot Chili Peppers dal vivo non gli dispiaceva affatto.
Un'ora dopo il treno entrò nella stazione di Milano Centrale. Luca cercò un deposito dove poter lasciare il trolley, poi si diresse con la sua nuova amica verso la metro.
Una volta arrivati allo stadio, i due notarono che i cancelli non erano ancora stati aperti. Scrutarono a lungo tra la folla in fila, con grande disappunto però non scorsero alcun venditore dell'ultim'ora. Stavano per gettare la spugna quando una donna li chiamò:
“Ehi, voi... cercate biglietti? Ne ho due in più, i miei amici mi hanno dato buca!”
Queste parole suonarono come musica nelle loro orecchie, avevano trovato il lasciapassare per lo show. Fecero scorta di birra e panini in un chiosco, entrarono nel pit e si sedettero sul prato, sugli spalti c'era un fiume di gente. Il sole tramontò, giunse il momento del gruppo spalla. Si esibirono dei musicisti francesi, calcarono il palco per trenta minuti e riuscirono a catalizzare l'attenzione del pubblico, anche se ormai la folla fremeva nell'attesa del quartetto di Los Angeles.
L'ingresso di Chad fu accompagnato da un boato, roteava le bacchette tra le dita e sorrideva al pubblico, una volta seduto davanti alla batteria cominciò a picchiare seguendo un ritmo crescente. Ecco che oltre alla batteria si iniziavano a distinguere altri suoni: prima un leggero giro di basso, poi una chitarra distorta. Flea si palesò saltando, sfoggiava una bizzarra chioma leopardata, tanto per ribadire la sua stravaganza. Dall'altra parte John avanzava guardando in alto, dal suo strumento fiorivano splendide note. Nell'istante in cui entrò Kiedis lo stadio esplose tra urla e applausi. Il frontman indossava un cappello da baseball, una t-shirt strappata, un paio di bermuda colorati e delle comode scarpe da ginnastica. Il concerto partì con la bella Can't Stop seguita da Dani California e Scar Tissue. Il tempo volava tra una canzone e l'altra, Luca pensò che quando Anthony e Flea avevano fondato la band lui non era ancora nato. Trentanove anni e diversi dischi dopo i due ragazzacci si trovavano ancora lì, a divertirsi come dei matti. Fu il turno di Snow, Right on Time, Blood Sugar Sex Magic, Purple Stain e Californication. Arrivarono le dolci note di Soul to Squeeze, una parentesi di tranquillità prima di By the Way. I quattro fecero una pausa ma furono subito richiamati sul palco dal pubblico in delirio. Venne suonata un'intensa Goodbye Angeles, infine l'adrenalinica Give it Away che da tempo decretava la fine dello show. La folla iniziò a dirigersi verso le uscite, era bello notare come la band californiana riuscisse a unire persone appartenenti a generazioni diverse.
Luca non trovava più Chiara, nella confusione delle prime file era difficile restare vicini. La vide poco più tardi, la ragazza non riusciva a smettere di sorridere sventolando orgogliosa il suo trofeo: una bacchetta di Chad Smith in persona. Entrambi erano estasiati dallo spettacolo, decisero di cercare un pub per bere qualcosa e rilassarsi. Girarono un po' a vuoto, alla fine chiesero un consiglio a dei passanti. Furono indirizzati verso un locale pittoresco, si trattava di un bar che vantava la più vasta scelta di birre artigianali della città. Un'altra caratteristica di questo posto era la selezione musicale esclusivamente rock. Chiara e Luca ordinarono due doppio malto che bevvero in pochi minuti, ne presero altre due e iniziarono a ballare i Ramones saltando e gridando:
“Hey! Ho! Let's go!”
I ragazzi erano zuppi di sudore e di birra che fuoriusciva dai boccali. All'improvviso Chiara ebbe l'idea di mimare i titoli delle canzoni che venivano trasmesse, un vero spasso se non fosse che, mentre tentava di parodiare un pezzo di Bruce Springsteen, Born to Run, inciampò nella zampa di un tavolo e cadde per terra trascinando con sé tre bicchieri che si frantumarono sul pavimento. A quel punto il proprietario della birreria, un uomo di mezza età dall'aspetto inquietante, si infuriò e cominciò a gridare. Luca intervenne subito, Chiara si alzò come se non fosse successo niente e gli disse all'orecchio:
“Corri più veloce che puoi...”
I due uscirono di corsa, l'uomo li inseguì ma dopo qualche centinaio di metri dovette arrendersi e lasciarli andare.
“Tu questa notte mi farai arrestare!” urlò Luca con il cuore in gola.
“Senti, per come si è comportato il minimo che potessimo fare era scappare senza pagare il conto! Ma hai sentito come mi ha aggredita? Se ci ripenso torno indietro e gli spacco la faccia!”
Il cielo si stava schiarendo, era l'alba di un nuovo giorno. Chiara fu la prima a partire da Milano, lasciò il suo numero di telefono a Luca e gli propose di organizzare un'altra trasferta per un concerto, magari proprio a Parigi. Si abbracciarono, poi lei salì sul treno e lui andò a ritirare il bagaglio.
Daria Giuffra
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