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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Roberta Marotta
Titolo: La fede di ferro
Genere Giallo
Lettori 4438 269 147
La fede di ferro
Luglio 1974
Nella notte silenziosa lo sciabordio del fiume sembrava ancora più rumoroso del solito, una civetta poco lontana stridette e poi volò via lasciando nell' aria solo il frusciare stropicciante delle sue ali e due piume scure in un' impalpabile caduta vorticosa verso la terra. A Dante parve un cattivo presagio ma continuò ad avanzare nel bosco in cerca del fratello maggiore. Mancava da casa dalla mattina e in assenza del padre, morto da qualche anno, si sentiva responsabile della famiglia.
Avrebbe fatto volentieri a meno di uscire quella sera ma non poteva permettere che sua madre o sua sorella andassero al suo posto. Così a malincuore lasciò la strada principale e si addentrò nella boscaglia non senza timore. Di tanto in tanto, forse per rassicurarsi lo chiamava a voce alta:“Giovanni! Dovei sei?”
La luna piena e diafana spuntava da qualche nuvola per poi tornare ad oscurarsi dietro ad un'altra nel cielo velato, lasciando visibile solamente il suo pallido alone. Alzò la testa per guardarla e farsi infondere coraggio dalla sua presenza immobile e millenaria. Questa in risposta si nascose nuovamente al di sotto delle nubi.
Stava per arrivare alla radura che portava al fiume, il suono ora era molto più vicino, poteva sentire distintamente grazie ai suoi sensi acuiti l'acqua infrangersi sui ciottoli sparsi sua riva e nel letto del torrente, quando un odore nuovo sostituì quello del sottobosco umido. Era dolciastro e ferroso. Un istinto primordiale lo fece immobilizzare, deglutì e si guardò attorno per sincerarsi di essere solo e quando ne fu convinto proseguì. Soltanto un cespuglio si frapponeva tra lui e l'acqua e qui l'odore era ancora più penetrante e fastidioso. Senza alcun motivo apparente rabbrividì.
“Giovanni...” chiamò di nuovo ma stavolta la sua voce fu quasi un sussurro. Poi i suoi occhi furono attratti da un oggetto metallico e lucente, li riconobbe subito, erano gli occhiali del fratello. L'inquietudine si trasformò in paura ed iniziò a tremare leggermente. Si spostò di qualche passo ancora e si trovò davanti il corpo nudo del fratello mutilato di piedi e mani, la testa era adagiata in acqua e sul lato destro era visibile una profonda ferita. Tentò di gridare ma dalla gola non uscì alcun suono, la paura lo attanagliava, il tremito divenne incontrollabile e le lacrime gli offuscarono la visuale. Si voltò di lato e vomitò rumorosamente dopodiché indietreggiò e corse verso casa. Con la vista appannata dalle lacrime e dal sudore si fermò davanti la porta di casa iniziando a gridare a squarciagola.

Febbraio 2018
La giornata era particolarmente atipica per essere Febbraio. Cielo azzurro, pulito ed un'aria decisamente tiepida, davano già un anticipato sapore di primavera nonostante fosse ancora parecchio lontana.
Pietro avanzò verso la finestra, poggiò le mani aperte sul davanzale e guardò fuori: sì, gli sembrava quasi di vederli i bambini in gita scolastica con le facce accaldate e sudate e giovani coppie a fare i turisti pigri ed innamorati. Li poteva vedere e poteva quasi provare le loro emozioni incoscienti, turbolente ed estasiate poi però, improvvise come erano arrivate, gli furono strappate via. Il frigo, un vecchio modello di almeno vent'anni, scrocchiò rumorosamente facendolo sobbalzare di scatto. Si voltò. I bambini emozionati ed i giovani innamorati si dileguarono all'istante per lasciare posto alla vista del suo appartamento.
Viveva in un monolocale ma a lui piaceva chiamarlo monomansarda. Aveva un mini angolo cottura con mobili spaiati e diversi tra loro, un divano trasformabile in un letto neanche troppo comodo e corto per la sua statura. Tra questi un piccolo tavolo tondo con due sedie. Nell'insieme era davvero brutto e poco accogliente ma se paragonato alla micro stanza adiacente, poteva apparire fin troppo lussuoso. Il bagno non disponeva di una porta, al suo posto era appesa una corda tenuta da due lunghi chiodi infissi al telaio che sorreggeva una tenda di plastica bianca di quelle che si usano per le docce su cui erano stampati una miriade di delfini azzurri catturati chi in fase di tuffo, chi in fase di discesa. Il produttore non si era neppure impegnato più di tanto nel disegno della posa in quanto erano tutti uguali, cambiava solo l'orientamento, alcuni in su, alcuni in giù. Ciò che si presentava spostando la tenda ed entrando, era alquanto squallido e triste. La stanza misurava più o meno un metro e mezzo per un metro e disponeva di una piccolissima finestrella che dava direttamente su una mezza vasca scrostata ed arrugginita in più punti, accanto era posto un lavabo, anch' esso di piccole dimensioni mentre al fianco della vasca, proprio di fronte all'entrata, c'era un water con un vecchio scarico a catenella. Le maioliche poi erano quanto di peggio ci si potesse aspettare: lucide, di color rosa acceso, molte erano senate e mancanti di spigoli. Fortunatamente il pavimento si limitava ad un bianco neutro ed asettico.
In effetti, quell' appartamento di caldo e confortevole non aveva davvero nulla ma il fatto è che quello in origine non era affatto un appartamento. Le vere case erano collocate nei quattro piani sottostanti, quello non era nient' altro che una soffitta che il proprietario dell'immobile, grazie al suo fiuto per gli affari, come diceva lui, aveva adattato neanche troppo bene, per poterlo affittare a qualche povero disgraziato che, pur di avere un tetto sulla testa ad un prezzo non estremamente eccessivo, avrebbe sorvolato sia sull'aspetto poco confortevole sia su qualche piccolo disagio. Ma in fondo niente è perfetto e si sa, nella vita bisogna pur adattarsi un po'! E Pietro era da sempre abituato a farlo.

Era cresciuto con genitori con forti e di divergenti personalità. La mamma, una fotografa romana benestante e di una religiosità che andava al di là di tutto che aveva cercato di inculcare nel figlio con scarsi risultati; il padre un ex militare di origini giapponesi rigido e riservato, nato e cresciuto in Italia ma con un forte attaccamento alle origini.
Pietro si era sempre chiesto come avessero fatto quei due individui così differenti l' uno dall' altra ad incontrarsi, sposarsi e generare un figlio. In effetti il loro rapporto, che terminò poco dopo la sua nascita, esplose e si estinse come una bolla di sapone, un attimo prima è lì e poco dopo come se non ci fosse mai stato, ma lasciò, a riprova della sua esistenza, lui. Aveva solo cinque anni quando i suoi decisero che non era più salutare per nessuno di loro continuare a stare insieme. Non che ricordasse che ci fossero mai state liti furibonde o scontri particolarmente violenti, si potrebbe pensare che fosse a causa della sua tenera età, ma lui in realtà non ne era davvero convinto, i pochi ricordi che conservava della sua famiglia ancora insieme erano il silenzio e l'indifferenza che suo padre e sua madre sembravano provare l'uno per l'altra. Con lui era stati sempre molto attenti e presenti a volte anche un po' soffocanti ma tra loro c'era davvero un mondo intero che li divideva.
I primi anni li trascorse a Roma circondato da un alone di misticismo che a volte, ripensandoci, sfiorava quasi un' ottusa superstizione medievale. C'erano da santificare tutte le feste con la presenza in chiesa e la partecipazione alle sacre messe anche per le ricorrenze che la maggior parte delle persone ignorava; c'era la preghiera prima di ogni pasto; c'erano le preghiere prima di andare a letto; c'era il segno della croce davanti ad ogni chiesa e ad ogni camposanto.
Riuscì a resistere per nove anni un tempo veramente lungo soprattutto per un bambino ma più cresceva e più si accorgeva che quelle credenze, quel modo di vivere un culto, quel ripetersi di gesti che per lui erano ormai diventati solo una noiosa abitudine, dopodiché comunicò a sua madre l'intenzione di andare a vivere con il padre. Lui non capì mai come lei avesse preso la notizia, la pacatezza che la contraddistingueva e forse anche la consapevolezza che non sarebbe mai stato come lei voleva, la facevano apparire indifferente alla cosa.
Si trasferì in provincia di Firenze in un appartamento più piccolo e ben arredato con angoli ed oggetti che riportavano all'oriente ma decisamente tendente all' occidentale. Questa nuova vita gli piacque di più. Fece nuove amicizie, instaurò un rapporto diverso con il padre che si rivelò, sì abbastanza introverso ma con la nuova convivenza lo trovò meno rigido ed intransigente di come lo ricordava. Ma soprattutto una cosa gli fu molto gradita: niente più preghiere, poteva mangiare e dormire quando voleva senza più dover prima recitare formule per lui inconsistenti ad un Dio invisibile e che non aveva alcuna voglia di cercare.
Insieme al padre un paio di volte si recò in Giappone. La prima volta era elettrizzato ed impaurito allo stesso tempo a quattordici anni il viaggio in aereo, il mito di un Paese sconosciuto ma di cui aveva sempre sentito parlare, l'incontro con persone di lingua ed usi differenti dai suoi, lo terrorizzavano e lo eccitavano. Purtroppo le sue aspettative furono largamente deluse. Andò a conoscere i nonni paterni e gli sembrò di essere tornato a pochi anni quando viveva con la madre. Trovò persone distaccate con modi di vivere totalmente diversi da quelli a cui era abituato che si portavano dietro antichi rituali e superstizioni. Non gli piacque affatto e tornati a casa quando lo accennò al padre si accorse, anche se non subito, di avergli dato un dispiacere. Era una prova quella del genitore, l'intenzione era di andare a vivere in Giappone con lui ed era fallita. Qualcosa tra di loro si era leggermente incrinato.
Il padre, però, non abbandonò mai completamente quell'idea e un giorno, senza alcun preavviso, gli comunicò che sarebbe partito di lì ad un mese e che se voleva poteva seguirlo o, in alternativa, tornare dalla mamma. Preso tra due fuochi e non riuscendo a scegliere quale fosse il male minore, si convinse che fosse meglio tornare a Roma, i problemi erano gli stessi ma almeno avrebbe evitato la fatica di imparare a parlare una nuova lingua per farsi capire.
Guardò l'aereo alzarsi in volo con un nodo in gola, poi si voltò verso sua madre che lo aveva accompagnato all'aeroporto e si sentì ancora più triste, sapeva già prima di cominciare che non sarebbe andata meglio dell'altra volta. E in effetti le cose andarono decisamente peggio: i caratteri agli antipodi, le sue crisi e ribellioni adolescenziali, unite alla poca malleabilità di sua madre, fecero sì che dopo pochi mesi dal compimento dei diciotto anni, Pietro lasciasse l' università e la casa materna per andare a vivere da solo.

Scelse Firenze, la città gli piaceva e ci si era trovato bene anni prima e perciò perché non ricominciare da lì. Grazie ai suoi risparmi, pochi, e ai soldi che gli furono offerti dai genitori, riuscì a trovare una camera e cucina ammobiliata al centro in via de' Macci e, grazie ai suoi vecchi amici di quando ci viveva con il padre, trovò un posto come cameriere in un bar vicino.
La casa era davvero ben fatta e ben tenuta e per quanto riguardava il lavoro, aveva orari un po' sballati ma avendo la gioventù dalla sua non gli faceva paura, disponendo di energie quasi inesauribili. Ebbe l'opportunità di conoscere la gente più disparata che gli fu utile anche per cercare una seconda occupazione alternandola con la prima come lavapiatti e/o cameriere in un ristorante. Non guadagnava certo una fortuna ma a lui andava bene così. Acquistò un'auto anche se di seconda mano, oggetti per abbellire casa e dei nuovi bonsai alcuni parecchio costosi. Era questa una delle sue principali passioni, lo era stata fin da bambino. L'aveva ereditata dal padre ed era forse la sola cosa che li accumunasse.
Per parecchio tempo gli parve di aver raggiunto una discreta stabilità sia economica che emotiva, ne andava fiero ed era felice, ma si sbagliava perché il meglio doveva ancora arrivare.
Nel bar dove lavorava conobbe e poi divenne amico di Francesco, un ragazzo ribelle e un po' sbandato con il maledetto vizio del gioco. Lo vedeva sera dopo sera giocare e perdere inesorabilmente alle slot, a carte, al biliardo. Sembrava attrarre come una calamita la sfortuna e con essa i guai. All'inizio era solo un cliente come tanti, ma più passava il tempo più lo vedeva cadere in quel baratro e più sentiva di voler fare qualcosa per lui. Lentamente entrarono in confidenza e, tentando di aiutarlo, per poco non finì in un brutto giro lui stesso. Andò bene ad entrambi per fortuna, dopo svariati tentativi Francesco ne venne fuori aiutato in parte da Pietro e in parte da un' associazione per liberarsi di quella debolezza. Il ragazzo non smetteva più di ringraziarlo: era stato l'unico che si era preso il disturbo di dargli una mano e prendersi dei rischi per lui, neppure la sua famiglia voleva più farlo, l'aveva fatto inutilmente per troppi anni. A dire la verità Pietro aveva preso più di qualche rischio. Una volta, mentre staccando dal bar stava tornando a casa, era stato fermato da due individui e picchiato a sangue per i debiti del suo nuovo amico. Ma la convinzione di avergli dato una nuova speranza e una possibilità, fecero dimenticare presto sia la paura che il dolore per le percosse ricevute.
Non ebbe più notizie di Francesco per parecchi mesi anche se ogni tanto il pensiero tornava a lui e spesso si chiedeva cosa facesse e come fossero andate le cose per lui, quando un giorno, quasi un anno dopo, la porta de bar si spalancò e se lo ritrovò davanti. Non lo riconobbe subito, pulito, ben vestito, anche un po' ingrassato ma gli occhi erano sempre quelli profondi e gentili. Gli fece un riassunto di come era stato da quando era entrato in quel centro di recupero e di come lo avessero aiutato e rimesso in piedi.
Passarono tutta la sera a chiacchierare prima al bar formalmente divisi dal bancone e poi a casa di Pietro seduti sul divano. Alla fine del resoconto era quasi l'alba e Francesco gli disse:”Non pensavo di poter ritornare alla vita così, avevo davvero bisogno di aiuto e tu, pur non conoscendomi me lo hai offerto incondizionatamente. Non ti ringrazierò mai abbastanza. C'è una cosa però che voglio fare io per te.”
“E sarebbe?”
“Penso di non avertene mai parlato durante i nostri discorsi. Mio padre, con il quale adesso ho di nuovo un buon rapporto, è proprietario di una fabbrica tessile a qualche decina di chilometri da Firenze.”
“Vuoi regalarmi un abito?” Disse Pietro scherzando per allentare l'imbarazzo che stavano provando entrambi.
“Se vuoi non c'è problema, ma non era questa la mia idea. Volevo offrirti un lavoro. Un contratto fisso, a tempo indeterminato nella fabbrica. Ne ho già parlato con lui ed è d'accordo, anzi sapendo quello che hai fatto per me, non vede l'ora di conoscerti. Allora che ne pensi? Dì qualcosa!”
“Che dovrei dire, mi hai spiazzato, sono senza parole, è un'offerta grandiosa ma mi sembra un po' eccessiva in fondo io non ho fatto altro che ascoltarti e parlarti di quel centro. Poi il resto lo devi solo a te stesso.”
“Mio caro Pietro tu hai fatto molto di più, tu mi hai rimesso al mondo e di questo ti sarò grato finché campo! Non ti chiedo di accettare così su due piedi, riflettici, valuta bene, ho detto a mio padre che ti occorrerà almeno una settimana di tempo per sistemare le cose con i tuoi attuali datori di lavoro. Quindi prenditi questi giorni per pensare. Tra una settimana da oggi mi dirai cosa hai deciso e spero sinceramente che accetterai la mia offerta.”
“Io ti ringrazio e ti assicuro che ci penserò. ”
“Bene, allora è deciso, giovedì prossimo ti tornerò a trovare e mi darai una risposta. E spero che sia positiva.”
La settimana trascorse e puntuale il giovedì pomeriggio Francesco si presentò a casa. Si sedettero, presero un caffè parlando del più e del meno e poi a bruciapelo gli chiese:“Allora cosa hai deciso, accetti la mia proposta? ”
“Sì, sto invecchiando per potermi permettere di fare due, tre lavori contemporaneamente, perciò ho deciso di accettare, anche se continuo a pensare che il tuo sia un modo decisamente esagerato per ringraziarmi.”
Francesco gli diede prima una pacca sulla spalla ma poi non riuscì a reprimere il suo entusiasmo e lo abbraccio forte.
“E adesso basta con questi caffè, non abbiamo niente di meglio con cui festeggiare?”
E dal momento che Pietro in casa aveva solo l'occorrente per sopravvivere, uscirono. Destinazione pizza e birra.
Il lunedì successivo Pietro si svegliò presto, fece una breve colazione, dedicò un po' di tempo alla cura delle piante, poi fece una doccia si rasò e scrutò nel suo armadio cercando qualcosa di consono da indossare: doveva incontrare per la prima volta il padre di Francesco ed era intenzionato a fare bella figura. Non possedeva abiti eleganti, non gli erano mai serviti né tantomeno piaciuti, quindi optò per un paio di jeans quasi nuovi e una camicia azzurra. La cravatta gli parve eccessiva.
Alle otto e trenta suonarono alla porta e convinto che Francesco fosse in anticipo, andò ad aprire trovandosi invece davanti un fattorino con in mano un bonsai spettacolare. Lo prese, ringrazio e lesse il biglietto che lo accompagnava “Ho notato che ami coltivare bonsai così ho deciso di regalartene uno. Dicono che questo sia uno dei più belli”
Il suo sguardo passò dal bonsai al biglietto per svariate volte, gli occhi accesi dall'emozione e la bocca spalancata per lo stupore e la meraviglia. Non riusciva a credere a quello che vedeva. Era magnifico, il sogno di una vita che pensava di non veder mai realizzato. Era un olmo giapponese alto una quarantina di centimetri con una chioma bella e folta ed orientata a destra rispetto al tronco. Il tipico stile denominato battuto dal vento.
Essendo un' estimatore della bonsaistica sapeva perfettamente quanto potesse valere una pianta di quelle dimensioni e quanto tempo era stato speso per portarla allo stato attuale. E poi quello stile era ritenuto uno dei più eleganti e difficili da ottenere.
Alle nove e mezza il campanello suonò nuovamente, ancora non era completamente in sé. Stavolta il suo ospite era davvero arrivato.
“Buongiorno, oh vedo che lo hanno già recapitato.” Disse soffermandosi ad osservare il bonsai.
“Che ne pensi si adatterà bene a vivere qui? “
“Io, io credo di sì, farò di tutto per farlo star bene, lo tratterò meglio di un figlio.”
E poi:“Francesco ma tu lo sai cos'è questo? E chissà quanto ti sarà costato! Tu devi essere completamente matto.”
“Sta tranquillo ragiono benissimo e non sono i soldi a mancarmi. E poi te l' ho detto sono in debito con te.”
“Questo non è ripagare un debito, è una pazzia bella e buona.”
Francesco sorrise e disse: “ Sarà come dici tu ma ora andiamo che rischiamo di arrivare tardi al tuo colloquio.”
Si chiusero la porta alle spalle e si avviarono in macchina verso l'autostrada.
Dopo circa quaranta minuti lasciarono la strada a pedaggio per immettersi in una traversa mal asfaltata che dopo pochi chilometri li portò direttamente davanti al cancello della fabbrica. La parte visibile era ben tenuta, alberi e piante da fiore le donavano un bell'aspetto. Un guardiano aprì e li fece entrare, lasciarono l' auto e percorso un breve tratto a piedi arrivarono davanti agli uffici, una segretaria ad un bancone li salutò educatamente e li scortò verso l'ufficio del padre di Francesco.
Bussò lievemente alla porta e dopo che una voce dall' interno li invitò ad entrare, la segretaria aprì spostandosi di lato. L'ufficio, pur essendo del capo, non era di enormi dimensioni ma luminoso ed ordinato. L'uomo, stempiato e con una barba tendente al grigio, si alzò dalla sedia ed abbracciò il figlio, poi si voltò verso Pietro stringendogli calorosamente la mano.
“E così sei tu il salvatore di mio figlio, finalmente ci conosciamo. Da quando Francesco è tornato non fa che parlarmi della tua generosità e di come lo hai aiutato. Devi essere un ragazzo speciale!”
Pietro visibilmente a disagio replicò:“La ringrazio dei complimenti signore ma non credo né di essere speciale, né di aver fatto chissà quale miracolo. Ho semplicemente visto una persona in difficoltà e la mia umanità non mi ha permesso di ignorarla.”
Stavolta fu Francesco a prendere la parola:“Non credergli papà, è stato fantastico con me. A proposito, sapevi che si è fatto anche picchiare per difendermi?”
“Sì, sì me lo avrai raccontato almeno un centinaio di volte. Ma non restiamo qui in piedi, sediamoci e potremo parlare più comodamente. Volete bere qualcosa? Vi faccio portare un caffè o un tè dalla segretaria?”
Entrambi declinarono l' invito.
“Allora Pietro ho saputo che hai accettato l'offerta di Francesco anzi dovrei dire la nostra offerta di venire a lavorare qui, sono molto felice. Ti ha già spiegato qualcosa?”
“Sì, vi ringrazio tanto per l'opportunità che mi state dando e no, mi ha detto solo che lei è nel campo tessile.”
“Innanzi tutto il mio nome è Luigi e se vuoi puoi darmi del tu, qui tutti lo fanno. Questa azienda esiste da tre generazioni, fu mio nonno a fondarla e tra alti e bassi siamo ancora all' avanguardia. Mi spiace solo che il ruolo che ricoprirai è di semplice operaio per ora non ci sono mansioni migliori disponibili.”
“Vorrà scherzare, per me è già un grande traguardo poter contare su un impiego ed uno stipendio fisso. Sul serio io non so come ringraziarvi.”
Luigi fece il giro della scrivania, si avvicinò ai due giovanotti e disse:“Ora devo tornare al lavoro, ho delle telefonate importanti che mi aspettano. Francesco ti accompagnerà a fare un giro sia nella parte dei laboratori sia in quella di produzione dove lavorerai. Vi aspetto qui al vostro ritorno per la firma del contratto.”
Altre strette di mano e la visita poté cominciare.
Francesco impiegò un' ora abbondante a mostrare tutto a Pietro, quando ebbero terminato tornarono nell' ufficio di Luigi dove il contratto venne firmato e sigillato da un brindisi a base di aranciata.
Pietro iniziò a lavorare pochi giorni dopo quell'incontro. Inizialmente lo trovò noioso e ripetitivo ma con il passare del tempo, con l'acquisizione di nuove conoscenze e competenze, imparò a sentirsi orgoglioso di ciò che produceva. Conobbe tra le altre persone una ragazza che svolgeva il suo stesso lavoro, cominciarono ad uscire e poco dopo si misero insieme. All' incirca dopo un anno Luigi lo fece chiamare nel suo ufficio. Pietro era preoccupato, temeva di aver sbagliato qualcosa o peggio di essere licenziato.
Entrò, fu invitato a sedersi e dopo i soliti convenevoli Luigi gli disse:“Quando ti assunsi ti dissi che quello che quello che avresti ricoperto era l'unico ruolo disponibile, ora se ne è liberato un altro. Certo non è come lavorare dietro ad una scrivania, lo so, ma almeno non starai in una catena di montaggio. Vorrei che diventassi uno dei magazzinieri. Che te ne pare?”
“E' sicuramente un bel salto di qualità ma il problema è che non saprei come manovrare quei carrelli. Non ho esperienza.”
“Di questo non devi preoccuparti, sono previsti dei corsi e poi non è così difficile, so farlo anche io.” disse sorridendo.
Questa nuova mansione si adattava maggiormente alle sue attitudini, si sentiva più libero ed utile fuori dalla linea di produzione senza contare che d'estate soffriva meno il caldo dello stabilimento sui carrelli che andavano veloci da una zona all'altra con i pantaloni arrotolati fin sotto le ginocchia che mostravano i suoi polpacci lunghi e magri.
Svolgeva un lavoro che gli dava soddisfazione, l'ambiente era familiare e piacevole, insomma stava bene. Riallacciò anche qualche rapporto con i genitori, più che altro telefonicamente data la lontananza da entrambi ma qualche sporadico fine settimana andava a Roma dalla mamma per passare qualche giorno assieme. E in più c'era Francesco sulla cui amicizia e presenza poteva sempre contare.
Per i successivi quattro anni la sua vita si svolse senza grossi intoppi, dopodiché ci fu un brusco capovolgimento.
Roberta Marotta
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