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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Mario Costanzo
Titolo: La camera segreta di Ranisar
Genere Distopico Fantascientifico
Lettori 3834 46 62
La camera segreta di Ranisar
La straordinaria scoperta di Mario Warvich.

Sais, Delta occidentale del Nilo - Egitto 568 A.C.
- ...Quando arrivai, con il mio maestro, furono fatti grandi festeggiamenti, difatti il sommo Solone era già famoso nella città di Sais.
Al giungere della notte, andammo nel tempio di Neith, la dea della caccia, conosciuta anche nella città di Atene.
Quella visita era il motivo del nostro viaggio: Solone voleva ascoltare dai sette sacerdoti di Neith i racconti che si dicevano misteriosi, perché di tempi molto lontani e dei quali solo in quel edificio sacro si conservava il ricordo.
Giunti nel tempio, il mio maestro mi disse di aspettare nel nartece procurandomi tanta tristezza, lo vidi avvicinarsi al fuoco sacro attorno al quale, nella penombra, i sacerdoti lo attendevano per incominciare la loro narrazione.
Tanta era la mia curiosità che disubbidii, nascostomi tra le colonne avvolte dal buio di quella notte, mi avvicinai per poter ascoltare il loro racconto che era già incominciato.

- ...A causa della deviazione di un corpo celeste, che girava attorno alla Terra, una terribile catastrofe si scatenò, codesta fu la causa di morte più grave di tutte quelle accadute. - - le parole di quel sacerdote erano solenni, animate, ancora, dalla paura che quegli accadimenti avevano provocato alle antiche popolazioni - - Tutti morirono, chi di caldo soffocante nelle colline e nelle alte montagne, chi affogato nelle inondazioni causate dal mare, altri, in terre lontane, da un freddo eccessivo che era calato improvviso. - - Mi rannicchiai per terra, tremante per quelle parole, non potevo immaginare una disgrazia così grande - - Alcune zone, quelle pianeggianti, furono risparmiate dal fuoco e dall'acqua. Le terre del Nilo furono tra quelle, per questo motivo noi conserviamo tali ricordi, tramandati alle generazioni dai papiri scritti da antiche dinastie.
Questi ci raccontano nel modo in cui, nella medesima distanza di anni, come una disgrazia voluta dagli dei, arriva questo terribile fuoco dal cielo che cancella intere città, insieme a tutto il loro sapere, facendo tornare il popolo come in principio: non ricordando non solo il cataclisma avvenuto nella terra, ma anche quelli che in precedenza ci sono stati.
Voi ignorate queste tragedie perché i vostri superstiti, per molte generazioni, non hanno più conosciuto le scritture, ritornando così nello stato primordiale, ignoranti e selvaggi.
In quelle antiche terre vi erano sfavillanti città d'oro e le conoscenze degli abitanti superavano l'incredibile, tanto da saper costruire macchine volanti che sfidavano il potere degli dei. Potevano curare tutte le malattie e le loro conoscenze filosofiche erano senza limiti, così che compresero la grandezza dello Spirito presente in ogni uomo, donna, bambino.
Prima del cataclisma, questi popoli nascosero tutte le loro ricchezze e le loro conoscenze. C'è chi dice che lo fecero proprio in queste terre del Nilo, perché loro sapevano che queste zone si sarebbero salvate dal cataclisma. Ma di anni se ne sono contati ottomila da tali avvenimenti e mai nulla è trapelato su dove fosse quel luogo... -

...da quel giorno ho raccontato alle genti questa tremenda narrazione, affinché venga tramandata ai posteri. Affinché, non vada perduta la memoria di quegli antichi popoli. -

(Felidosso di Cnido – VI sec. A.C.)

Giulia

Roma, 21 marzo 2102

In quell'istante Giulia era più attenta che mai, l'ologramma dinamico, annunciato dal presidente della Commissione, scorreva tra i banchi dei partecipanti alla fase finale del Concorso Nazionale di Giornalismo. Con timore e curiosità lesse lo scritto, era il testo dell'ultima prova d'esame, quella decisiva.

“Intervistare un personaggio famoso della società, il video dovrà essere presentato entro quindici giorni da oggi. I termini della valutazione finale saranno la scelta del soggetto intervistato e gli argomenti trattati.”

Solo pochi attimi prima avevano aggiornato la classifica generale. Si era così ritrovata quarta in graduatoria, un posto invidiabile, uno più in alto rispetto all'ultima prova. Si sentiva appagata. Questo risultato, tuttavia, aumentò la sua tensione: era importante mantenere quella posizione, così determinante per raggiungere il suo scopo, ovvero arrivare tra i primi cinque e garantirsi, così, un contratto presso un importante network.
Mentre l'ologramma continuava a muoversi nell'aula, fluttuando sempre più velocemente, il presidente della Commissione, con severità, congedò tutti i partecipanti, che uscirono, silenziosi, dal grande salone.
Solo quando si trovarono nel giardino del palazzo, i futuri giornalisti iniziarono a parlare tra loro, riunendosi in piccoli gruppetti. Quelle voci creavano un persistente brusio che diede a Giulia una sensazione di disagio. Uscita, si coprì gli occhi a causa del sole, ritrovandosi immersa in quella calca che non le dava la possibilità di proseguire. Aveva paura di quello spazio affollato.
Eppure, era una bella giornata, la prima dopo un lungo inverno freddo; mentre i ragazzi nel giardino ridevano e scherzavano, godendo la fresca brezza primaverile, Giulia, appartatasi, si fermò ad osservare il cielo terso pensando a quanto fosse piacevole quel momento, poi, un leggero tocco di vento mosse i suoi fini capelli, soffiando via, per un attimo, le sue preoccupazioni.
Avanzò, quindi, verso l'uscita. Alla fine del viale vide un gruppetto di ragazzi fissarla. Li riconobbe, erano quelli con cui condivideva i primi posti in classifica. Avrebbe voluto evitarli per non rovinare quella bella sensazione, ma ormai era troppo tardi cambiare direzione, pertanto respirò profondamente e si fece coraggio. Continuò a camminare, quando passò vicino a loro questi si zittirono immediatamente e la guardarono con un disprezzo che lei pensava ingiustificato.
- Ehi, Giulia Presenti, ti avevo avvisata, non mi devi pestare i piedi, mia madre fa parte del Governo Supremo. Mi sembra d'avertelo già detto... - , urlò di fronte a lei con cattiveria la più antipatica del gruppo, mentre gli altri cinque stavano dietro godendosi la scena divertiti.
- Quindi? - , Giulia si fermò di fronte guardando le sue labbra sottili, così sgraziate, e i suoi occhi troppo vicini tra loro.
- Quindi... sarò molto chiara. Se ti presenterai all'ultimo esame avrai un mare di guai con la Polizia - , le puntò l'indice a pochi millimetri dal naso. Un senso di soffocamento strinse la gola a Giulia, poi sentì una vampata di calore salirle sul corpo. Fissò i capelli nero-pece della ragazza e quella acconciatura a caschetto che sembrava finta. Per sfidarla, Giulia abbozzò solo un sorriso di biasimo, arretrò di due passi e poi riprese il suo cammino verso l'uscita. Si sentiva a disagio, udiva quei ragazzi ridere di lei. Probabilmente la stavano ancora osservando.
Non era riuscita a replicare e questo la infastidiva. Si era dimostrata succube, il nodo alla gola la stringeva ancor di più, rendendola debole. Proseguì lungo la via, che la conduceva alla stazione degli airbus, con la sola voglia di scomparire il prima possibile.
La sua camminata era elegante, si sentiva leggera trasportata da quel venticello fresco di primavera, ma quel senso d'inquietudine avanzava con lei. Si fermò davanti a una vetrina scura di un ufficio finanziario, si ammirò nel riflesso, come assorta. I suoi occhi erano nascosti in quell'ombra, non poteva vedere quanto erano tristi, ma il suo corpo, longilineo e slanciato, la rincuorò. Non voleva che i problemi, creati da altre persone, potessero disturbare la sua vita, lei voleva solo raggiungere i suoi obiettivi. Questa determinazione, ritrovata, le fece allungare il passo, anche perché pensava di essere in ritardo per la navetta.
Raggiunse la stazione degli airbus, fortunatamente la vettura che doveva prendere non era ancora arrivata. Si sedette sbuffando sotto una vecchia pensilina, il tempo di arrivo era stimato in sei minuti, rimase in attesa con lo sguardo fisso, cercando con la mano di sistemarsi i suoi spettinati capelli neri, senza riuscirvi.
Continuava a pensare: non capiva se fosse stato meglio per lei fermarsi e accontentarsi di un semplice diploma di giornalismo, o proseguire vincendo il concorso sapendo, però, che poi avrebbe avuto problemi con la Polizia. Aveva paura di quelle minacce, sembravano serie. Forse quelli sarebbero stati in grado di scoprire o trovare delle prove della sua precedente attività sovversiva. Già... il suo passato. Ogni tanto ritornava a galla nella sua mente. Durante gli anni universitari aveva frequentato persone legate a una organizzazione segreta, riconosciuta col nome “I Cogitandi”. Un gruppo che osteggiava il regime con azioni di sabotaggio digitale e Giulia, tramite un suo avatar, era stata un'importante influencer politica, faceva comparire, nei social ufficiali del regime, messaggi contro il Governo Supremo e inneggianti alla ribellione e alla libertà. Lo faceva perché, a quei tempi, era sicura di non poter essere rintracciata, sapeva però di essere iscritta nelle liste delle persone controllate, ma di questo non era tanto preoccupata, in quelle liste c'erano quasi un po' tutti gli studenti universitari. Solo per caso, due anni prima, non fu arrestata durante un'operazione della Polizia Governativa, da allora si era eclissata nei suoi studi, non frequentando quasi più nessuno. Dopo quell'episodio, iniziarono i suoi incubi: lei seduta su una sedia in una stanza vuota, interrogata su dove si nascondessero i suoi amici, minacciata, insultata, torturata. Si risvegliava sempre respirando affannosamente, sollevata che quella non fosse la realtà, ancora...
Era una ragazza cauta, non esprimeva mai in pubblico i suoi pensieri politici, agiva con prudenza e da quando aveva iniziato il Concorso di Giornalismo non scriveva più messaggi criptati. Aveva paura di essere scoperta, vincere quel concorso, quello era ora il suo principale obiettivo, così avrebbe aiutato il movimento in una maniera ancor più efficace. Ma perché succedesse era necessario tenere un basso profilo, non suscitare sospetti.
“Devo chiamare la nonna appena tornata a casa!”, rammentò. Il giorno prima se ne era dimenticata e a tarda notte era arrivato un messaggio di sua zia Fabiola, per chiederle come mai non avesse chiamato. Le piaceva che la sua famiglia vegliasse su di lei, si sentiva sola in quella grande città.
Giulia proveniva da un piccolo paesino abruzzese, si era trasferita a Roma dove si era laureata in Scienze Sociali e Politiche con il massimo dei voti, aveva deciso, poi, di iscriversi a quell'esclusivo concorso. Era stata sua nonna a permetterle di farlo, trasferendole sul suo conto una discreta somma. Giulia non capiva da dove potessero arrivare quei soldi, dato che non era, di per certo, ricca. Anche se sospettosa, non le aveva mai domandato la provenienza. Del resto, considerava sua nonna un essere strano e misterioso, in tutti quegli anni non era mai riuscita a farsi raccontare qualcosa del suo passato, di lei sapeva che aveva vissuto a Roma, lavorando per l'università, questa era l'unica cosa che era riuscita a scoprire da sua zia.
Trovare qualcuno da intervistare, quello era, ora, la sua più grande incertezza, si sentiva, veramente, svantaggiata per la prova d'esame, non conosceva proprio nessun personaggio pubblico, e men che meno qualcuno che la potesse proteggere. Lei era sola e questo la angosciava.
La sua bocca disegnò una smorfia che esprimeva tutta la sua afflizione, si sentiva impotente e si arrese alla malinconia.
“Non diventerò mai una giornalista famosa, è tutto così difficile, ho voglia di arrendermi”, sussurrò a sé stessa accarezzando, lentamente, il tessuto dei suoi pantaloni color panna. L'airbus numero 16 arrivò. Giulia si avvicinò al gate e salì, alla volta della stazione della periferia nord di Roma. Dopo soli sette minuti, la navetta atterrò, scese e iniziò il cammino verso il suo monolocale. Entrata, aprì la finestra del piccolo terrazzo che si affacciava sulla città, si scaldò una tazza d'acqua, per poi sciogliervi una gelatina di erbe aromatiche naturali.
Con la tazza in mano, si sedette sulla sedia sul terrazzo, sorseggiando la tisana mentre guardava la città illuminata dal sole. Sorrise per i variegati e intensi colori che osservava, respirò profondamente, ripetendosi quanto il suo obiettivo primario fosse prendere il diploma e arrivare fra i primi cinque. Decise di sostenere la prova e ignorare le minacce. Ma chi intervistare? Continuava a chiedersi...
Mentre beveva l'ultimo sorso di tisana, tutto a un tratto, si rese conto che solo una era la risposta che desiderava darsi: “vorrei intervistare mio papà, sedermi davanti a lui e parlare, osservando i suoi occhi per la prima volta in vita mia”. Incominciò a commuoversi, e, dopo essersi asciugata le lacrime dal viso, si ricordò che avrebbe dovuto chiamare sua nonna, la sua cara nonna Rosina con cui aveva vissuto la maggior parte della sua vita.
Era stata quella donna ad accoglierla nella sua casa come fosse orfana, dopo la decisione di fuggire da una famiglia che non sentiva più sua. Sua madre si era fidanzata solo da cinque mesi quando scoprì di essere incinta. Dopo tre settimane dalla notizia, il padre Roberto, giovane archeologo, partì per un'importante missione di scavi in India, con il progetto di ritornare prima della sua nascita. Morì durante la spedizione, in un incidente di cui i contorni non furono mai chiariti. La madre, dopo la nascita di Giulia, andò a vivere con un uomo, dal quale ebbe un altro figlio due anni dopo. Lei non fece mai parte di quella famiglia perché il patrigno non la considerava come una figlia, mentre la madre non perdeva l'occasione per farle capire di essere il frutto di un amore lontano, ormai dimenticato. Così, dopo un violento litigio col patrigno, appena adolescente, decise di lasciare per sempre quella casa, andando a vivere da nonna Rosina. Quasi tutte le sere si sentiva con lei e ne era molto contenta, aveva bisogno di quella sicurezza. Quell'abituale telefonata era l'unico abbraccio che riceveva durante tutta la giornata.
Giulia prese il suo olox e lo collegò a un piccolo proiettore tridimensionale. Digitò il nome della nonna e lei comparve, in dimensioni reali, subito di fronte a lei. Parlava con un'espressione trafelata e dispiaciuta, raccontò subito a Giulia che nella mattinata tutte le sue galline erano scappate dal pollaio, finendo sulla strada del paese. I vicini cercavano di aiutarla a catturarle, ma due di loro avevano preso la direzione del bosco, sparendo. Giulia sorrise, dopotutto le mancava la semplicità del suo paese. Dopo averla consolata, raccontò ciò che era successo nella riunione plenaria la mattina stessa, della sua quarta posizione e della nuova prova che doveva sostenere. Confessò anche di aver pianto, pensando al padre. Vi fu un lungo minuto di silenzio, interrotto da nonna Rosina che le chiese, con una certa ingenuità:
- Chi conosci di famoso da intervistare? -
- Purtroppo nessuno! - , Giulia si stringeva una ciocca di capelli. Le due rimasero di nuovo in silenzio.
- Mi è venuta in mente una persona. -
- Chi sarebbe? -
- Hai menzionato tuo papà, forse lui ti potrebbe aiutare. -
- Non ti seguo nonna! Mio padre è morto. -
- Parlo del Dottor Warvich! Era il suo capo spedizione quando morì, oltre che suo amico... potremmo chiedere aiuto a lui. La sua scoperta in India fece scalpore in tutto il mondo, ancora adesso è definita come il rinvenimento archeologico più importante di sempre - , disse la donna con entusiasmo, tanto da invadere lo spazio olografico di Giulia e causare un'interferenza sull'immagine, che durò alcuni secondi.
- Nonna! Lo so chi è Mario Warvich, lo conoscono in tanti, ma non si sa dove viva, sembra sparito... e poi ha rilasciato la sua ultima intervista vent'anni fa, figurati se la concede a me che non sono ancora una giornalista. -
- Eh! Credo di sì, cara ragazza. -
- Cosa stai dicendo, cos'è questa sicurezza, perché lo credi? -
- Era venuto a trovarmi appena ritornato dall'India dopo la morte di tuo papà, è una persona molto buona, sai è ancora affezionato a tuo padre, da allora ci siamo rivisti diverse volte e mi chiama ogni tanto per sapere come sto e vuole sempre avere informazioni su di te! -
- Ma nonna, non mi hai mai detto niente - , gli occhi di Giulia si illuminarono improvvisamente.
- Quindi tu hai il suo numero? -
- Sì, ho il suo numero, però lui mi ha detto che questa amicizia deve rimanere un segreto... Tu non dirai niente di questa storia, vero? -
- Nonna, lo sai che sono affidabile. Mario Warvich è una persona importante, con un'intervista a lui, potrei risolvere molti dei miei problemi! - , disse cercando inutilmente di prenderle le mani, causando un'interferenza pure lei.
- Ma sì, lo so... Facciamo così, provo a chiamarlo e a chiederglielo. -
Giulia si sedette sul letto esterrefatta. Non ci credeva ancora, in quell'istante la paura per la minaccia subita fu dimenticata. Lasciò acceso il proiettore. Dopo mezz'ora, mentre incominciava a cucinare, l'ologramma della nonna comparve all'improvviso in mezzo alla stanza. Giulia si fermò di fronte a lei con un piatto di riso bollito in mano, trepidante, trattenne il respiro.
- Ciao ragazza mia, mi ha risposto! Gli ho riferito tutto. Mi ha detto che avrebbe piacere di conoscerti ma di non sapere ancora se è disponibile per un'intervista, prima vuole vederti. -
Giulia riprese a respirare e le chiese dove lo avrebbe incontrato.
- Ha voluto il tuo numero, ti manderà un messaggio con tutte le informazioni. Dormi tranquilla mia cara e stai sempre attenta, Roma è una città pericolosa - , concluse con apprensione e sparì.
Era incominciato il tramonto. Giulia era contenta, aprì una bottiglia di vino rosso che nascondeva sotto il letto da mesi e si versò un bicchiere. Andò di nuovo sul terrazzo, la città di Roma si vedeva in lontananza, avvolta dalla luce rossa del sole, come in preda alle fiamme. Era uno dei tramonti più belli che avesse mai visto. Sorrise, orgogliosa del suo coraggio ritrovato.
Finì la bottiglia di vino, si coricò stordita sul letto senza cambiarsi d'abito, non era abituata a bere così tanto, i suoi pensieri iniziarono a percorrere le lunghe strade dell'immaginazione insieme all'archeologo misterioso, stanca si addormentò quasi subito. Si risvegliò dopo un'ora, trafitta da un forte mal di testa e dalla paura di aver spento il suo olox. La notte era calda, il vento che arrivava dal mare sembrava abbracciarla ardentemente. Sentì delle voci che, rimbombando tra i palazzi, arrivavano dalla strada. Guardò giù dal terrazzo, vide quattro uomini che parlavano tra loro noncuranti di essere ascoltati e del divieto di riunirsi per strada durante le ore di buio. Giulia era curiosa, ridevano tra loro, era piacevole guardarli. Improvvisamente, dall'angolo della strada una sirena d'allarme dal suono acuto e stridente, la spaventò. Precedeva l'arrivo di una cam volante della polizia comandata da una stazione remota: “Identificatevi! Siete colpevoli del reato 3.4.7. riunione non autorizzata”. Giulia , impaurita, indietreggiò nascondendosi dietro la finestra, pur continuando a sbirciare. I ragazzi si misero a correre per direzioni diverse e si coprirono il volto come potevano. Lei seguì, con lo sguardo, uno di loro fino alla fine della strada, mentre la cam volante, per fortuna, non avendo ricevuto il comando di inseguirli, si fermò. Chiuse la finestra e le tende, prese lo spray contro il mal di testa e lo inalò. Ritornata sul suo letto, si avvolse nelle coperte innervosita per il sopruso a cui aveva nuovamente assistito.


Roma, 22 marzo 2102

Si risvegliò alle nove, spossata, guardò sul suo olox se ci fosse il messaggio che aspettava, ma nulla. Sotto la doccia, impostò quattro diversi programmi di massaggi idrici da tre minuti ciascuno. Erano così caldi e piacevoli, che ripeté l'operazione.
Finita la doccia e asciugatasi, andò verso il guardaroba, non aveva abiti costosi, per lo più li comprava da un negozio online africano, ma era fortunata: il suo corpo era slanciato, armonioso, capace di dare dignità a qualunque vestito, anche se di scarsa fattura. Scelse una tuta aderente amaranto, decise di metterci sopra una leggera tunica bianca impermeabile, poi, come sempre, anche il suo immancabile cappellino grigio. Guardando quei vestiti gettati sul letto i suoi pensieri ritornarono alle paure del giorno prima, riascoltò la voce cattiva che l'aveva minacciata. Sapeva molto bene cosa volesse dire essere sotto osservazione della Polizia Governativa, come avrebbe potuto gestire la sua futura carriera di giornalista e anche la sua semplice vita?
Ritornò a guardare fuori dalla finestra, “ho ventiquattro anni e non sono più una ragazzina, devo prendere le mie responsabilità”, pensò ansimando. Aveva ragione, sapeva che i giovani come lei venivano sopraffatti da quelle preoccupazioni, la paura era la miglior arma che la dittatura esercitava contro le persone che si opponevano, però con Giulia non avrebbe funzionato, era troppo determinata, troppo ostinata, lei voleva diventare una giornalista importante. Percorse la solita strada che, tutte le mattine, la portava alla navetta. In realtà, in quel momento, non sapeva dove andare, camminava indecisa perché il messaggio dell'archeologo non era ancora arrivato.
“È meglio cercare qualcun altro da intervistare”, con quest'idea, l'andatura della ragazza accelerò, ora voleva raggiungere il centro città il prima possibile, aveva intenzione di chiedere aiuto a Letizia, un'influente redattrice del Roma Civitas, uno dei più importanti network online della nazione, dove Giulia lavorava saltuariamente come apprendista. Si diresse verso la stazione degli airbus, da lì era facile arrivare alla sede del network. Arrivata in centro, scese sotto la Stat aspettò che il tubo per la fermata Pigna si fermasse, entrò dentro, si sedette e si legò con la cintura. In meno di un secondo il tubo si richiuse e l'antigravità fu ripristinata. Percorsi poco più di tre chilometri, i passeggeri della Stat si fermarono, dopo un minuto, alla stazione che avevano scelto, Giulia fu espulsa dal tubo. Era arrivata, una piattaforma la riportò in superficie insieme agli altri passeggeri, si ritrovò nella zona vecchia della città, in cui lei amava camminare e in cui si trovava la sede del Roma Civitas.
Entrata in quegli uffici notò che tra i giornalisti c'era molto fermento. Durante la notte, infatti, era stata ufficialmente annunciato, dal Presidente del Consiglio Mondiale, l'inizio della costruzione di nuove città e di centrali di ossigenazione su Marte. Dieci anni di lavori necessari prima di incominciare la colonizzazione di massa del pianeta.
Andò verso gli uffici dove stava Letizia e la intravide dal vetro di una sala riunioni, stava dibattendo con dei colleghi. La vedeva vivace, gesticolava guardando in alto, a un tratto, dopo l'intervento di uno dei giornalisti, si avvicinò a lui puntandogli il dito, quasi a minacciarlo. Era veemente, spontanea come sempre, animata da quella luce negli occhi che lei aveva sempre ammirato: Letizia era la giornalista a cui voleva assomigliare. Giulia la osservò per un po', avvicinandosi al vetro fino a toccarlo con il naso, poi si sedette su una poltroncina nella sala adiacente, aspettando. Estrasse dal suo zaino un anello di stanene , dove erano contenuti tutti i suoi terabyte di memoria, lo sovrappose all'anello dell'olox e prese dalla tasca l'hanky di grafene, che tirandolo con le mani, s'irrigidì, dopo che alcuni fregoli elettrostatici conclusero quella veloce operazione, la schermata home comparve nella sottilissima tavoletta che lei aveva appoggiato sul tavolino della sala d'attesa. Il suo book era operativo. Lesse alcune notizie sui social, per lo più inutili pettegolezzi, poi visitò i siti commerciali più alla moda, anche se non aveva crediti per fare acquisti. A un certo punto, annoiata, guardò fuori dalla finestra. Davanti a lei c'era un muro di colore verde non poteva vedere altro. Su quella superficie proiettò, con la sua immaginazione, lo sguardo di Letizia, ora la luce di quegli occhi, che aveva appena visto, catturò anche i suoi, come ipnotizzata. Aveva capito cos'era quell'emozione che la redattrice le aveva trasmesso: era la coerenza verso le proprie idee, verso i propri ideali. Riprese il book e digitò una nuova ricerca “Mario Warvich”:

“Archeologo di fama mondiale, nato a Roma il 16 dicembre 2040 figlio di Paul Warvich e Marlene Barbero, anch'essi archeologi. Paul Warvich apparteneva a una famiglia nobile inglese e morì ancor prima della nascita del figlio. Le misteriose scoperte di Mario Warvich sono state tante ma non convincenti dal punto di vista scientifico. Per tali motivi è stato indagato dalla Magistratura del Consiglio Plenario per sospette truffe e per cospirazione contro il Consiglio Mondiale. Da queste indagini non furono ricavate imputazioni; è stato condannato, invece, per il suo coinvolgimento in un omicidio, senza, peraltro, dimostrare reali prove di colpevolezza, da allora l'archeologo ha fatto perdere le sue tracce.”

Proprio mentre si chiedeva cosa fosse mai quella storia dell'omicidio, arrivò Letizia.
- Ciao Giulia, volevi parlare con me? - , chiese entrando improvvisamente nella stanzetta. Lei si girò di soprassalto, agitando i suoi soffici capelli:
- Mario Warvich? Lo conosci? -
- Mario Warvich? Neanche un ciao... e poi non è gentile evocare fantasmi, così all'improvviso! -
- Hai ragione, scusa. Ciao Letizia. Ma... fantasmi? Cosa intendi? Vorrei scrivere un articolo su di lui per il concorso che sto facendo. -
- Lo sai che è un personaggio ricercato dal Governo, sei sicura sia una scelta intelligente? -
- Beh! Non lo so... Però la sua è una storia interessante e poco conosciuta - , Giulia era in imbarazzo.
- È un personaggio intrigante, senza dubbio, però è anche un nemico del Governo, devi trattarlo come tale. Stai attenta per il concorso. -
- Perché hai detto fantasmi? -
- Mi ero interessata a lui parecchi anni fa con un mio collega, si chiamava Regoli... Piero Regoli. Ora non c'è più, è morto - , disse alzando le spalle e aggrottando le sopracciglia. Poi continuò:
- Ho scritto anche un articolo sulla sua storia, parlando con le poche persone che lo conoscevano a Roma, ma non sono mai riuscita a contattarlo... Lo avevo cercato invano, sapevo che abitava vicino alla città, sul mare, ma è stato impossibile trovarlo, neanche la polizia lo sa, e sai quanto vorrebbe saperlo! Il suo olox e il suo book non sono rintracciabili. Ti giro l'articolo che avevo scritto... forse l'unico recente su di lui. Sai, qualcuno dice che sia grazie alle sue strane scoperte se adesso abbiamo l'antigravità e i motori a fusione fredda. Ma sono voci offline... -
Mentre parlava di Warvich gli occhi di Letizia si erano caricati di odio misto ad ammirazione, quegli occhi a Giulia facevano paura. Decise di non chiedere altro, dato che non aveva previsto quella strana inquietudine alla richiesta d'informazioni e rimase sorpresa di sapere che Letizia avesse già indagato su di lui. Entrò una collega per farle leggere un articolo su un chartam . Mentre le due donne parlavano, Giulia osservò Letizia per la prima volta nelle vesti di semplice donna: era alta, magra, dall'aspetto nobile, i suoi capelli disordinati e mal curati nascondevano la sua innata bellezza, ancora ben conservata, nonostante avesse già superato i cinquant'anni. Pensò a quanto sarebbe stato bello averla come madre e a tutte le cose che le sarebbero piaciute fare con lei. Questi semplici pensieri avevano distratto Giulia, tanto da non accorgersi che Letizia, liberatasi dalla collega, la stava osservando.
- Giulia ma a cosa stai pensando? - , le chiese, poi, osservandola così innocente, aggiunse: - Come sei giovane e bella! -
Noncurante del complimento, la ragazza la guardò ancora, immaginandola, di nuovo, nelle vesti di sua madre e sbottò:
- Letizia, hai figli? Hai un compagno? -
- No e vivo da sola! - - rispose abbracciandola - - Stai attenta a non metterti nei guai, se scopri qualcosa chiamami, succedono strane cose attorno a quell'uomo... Se vuoi un consiglio: lascia perdere. -
Letizia, di nuovo, la strinse forte a sé, quasi a perdere l'equilibrio con lei. Giulia, anche se un po' inquieta al suono di quelle parole, si perse nel calore di quella stretta.
- Come ti ho detto, spero tu non vada avanti, ma se scopri qualcosa chiamami, anche per cose irrilevanti. Mi raccomando! - , e le diede il suo biglietto da visita.
Uscì dal palazzo, contrariata. Letizia era palesemente curiosa su Warvich. Perché? Decise di andare a piedi verso la stazione degli airbus per pensare guardando le vetrine dei negozi. Passò per piazza Campo de Fiori, davanti a dove, fino a poco tempo prima, ergeva la statua di Giordano Bruno. Giulia pensò intensamente a lui, arso vivo nel 1600 dalla Sacra Inquisizione per eresia. Ormai per molti giovani era simbolo di resilienza contro il regime. La statua era stata rimossa dal governo e buttata in qualche magazzino ma il ricordo rimaneva. Le repressioni politiche avevano spaventato così tanto i giovani che avevano smesso di ribellarsi. Anche su Internet non c'era più libertà, ogni inneggio sui social a Giordano Bruno veniva censurato e represso. L'unica forma di opposizione rimasta era quella di passeggiare lungo Campo de' Fiori e fermarsi, anche se per solo cinque secondi, nel punto in cui prima si trovava la statua di bronzo. Giulia lo fece anche quel giorno, come spesso accadeva, incurante delle parecchie videocamere che la osservavano.
Arrivò in un piccolo parco con grandi alberi ornamentali e seduta in una panchina iniziò a ripensare a Warvich: “nemico del governo” e su quanto fosse poco rintracciabile il segnale del suo olox, come disse Letizia, poi a quella frase “succedono cose strane attorno a quell'uomo”.
Pensò che fosse inutile nascondere a sé stessa che la Polizia, dopo avere presentato l'intervista al concorso, l'avrebbe interrogata, era una situazione senza dubbio pericolosa. Giulia, però, era testarda, non voleva cambiare idea e non presentarsi all'appuntamento. Voleva assolutamente fare il servizio giornalistico su Mario Warvich, anche perché quell'uomo, come Giordano Bruno, era per tanti giovani un'icona di libertà. Non si sa come, nessuno era mai riuscito a oscurare i suoi social dove non venivano lesinate critiche al regime. In più, ogni tanto, capitava di avere fra le mani alcune fra le sue frasi o pensieri, stampate sulla carta che Giulia procurava al gruppo di hacker a cui apparteneva e che poi veniva distribuita clandestinamente nelle università. Warvich era un mito per molti giovani.
Seduta su quella panchina, si trovò di nuovo a osservare il cielo limpido e celeste. Solo in quei momenti poteva liberare i suoi pensieri più sinceri, lei voleva solo sentirsi senza catene in ogni momento della sua vita, doveva fermare le sue paure, smettere di dirsi che le cose non potevano cambiare.
Strinse la borsa tra le braccia e chiuse gli occhi riuscendo a placare dolcemente i pensieri per qualche minuto, mentre cercava un abbraccio dai raggi del sole, anche se deboli. Guardò l'olox, lo spense nervosamente, controllando che nessuno intorno avesse visto quel suo gesto di stizza, un altro respiro ansioso e riprese il suo itinerario. Arrivata in stazione, sentì vibrare il suo anello di stanene, le era arrivato un messaggio. Continuò non curante a guardare di fronte a lei, come se non avesse sentito nulla, aveva paura che fosse il solito messaggio pubblicitario. Salita sulla navetta numero 16, questa ripartì sbuffando aria depressurizzata. Il decollo antigravità fu impercettibile, l'accelerazione un po' di meno, una volta presa la giusta velocità, Giulia lesse il messaggio:

“Lat. 42-45-31,53 N - Long. 10-52-13,54 E, domani alle 14,00. Warvich.”

Appena arrivata a casa, di corsa, controllò le coordinate del luogo: si trattava del lungomare di Castiglione della Pescaia, un piccolo borgo toscano. Era pronta a partire. Finalmente era felice.
Giulia ripensò alle parole di Letizia, su quanto Warvich fosse difficile da rintracciare. Sospettò. “Una persona furba come Warvich dà un appuntamento in un posto così preciso ad una sconosciuta? Io potrei collaborare con la Polizia, lui che ne sa?”, pensò. Prese il biglietto da visita di Letizia, cercò una matita e scrisse le coordinate sul retro, poi cancellò il messaggio nel suo olox.
S'impose di essere prudente, non doveva far nessun passo falso. Era consapevole dei rischi che stava prendendo. Passò tutta la sera a pianificare il viaggio e a leggere tutte le possibili informazioni di Warvich. Usò il sistema di connessione più sicuro, quello meno rintracciabile.
Si trovò davanti a una sua foto, riconobbe subito i lineamenti di suo padre vicino a Warvich. Di fianco a lui c'era anche una donna con i capelli corti scuri. Sembravano veri amici, suo padre rideva, era bello vederlo così felice, la donna lo guardava allietata, mentre Warvich sembrava avesse appena finito di dire parole divertenti. Immaginò quel momento, zummò sui loro occhi, cercando di interpretare i loro pensieri, mentre quell'immagine si rifletteva nei suoi bellissimi occhi neri.
Vedere suo padre con Warvich la rese tranquilla. Si ricordò delle parole della nonna, molto care nel ritrarre l'archeologo.


Roma, 23 marzo 2102

Alle sette del mattino, il giorno dopo, Giulia aprì gli occhi, aveva dormito intensamente, si sforzò a ricordare se avesse sognato qualcosa, si strinse a sé, sentiva freddo dentro quel letto. Desiderava essere abbracciata da qualcosa o qualcuno. Repentina si alzò, prese la vecchia coperta verde che si ostinava a conservare e, avvolgendosi in essa, ritornò sotto il piumone.
“Warvich” di soppiatto ritornò prepotente quel pensiero. Immaginò l'incontro, forse sulla banchina del porticciolo di Castiglione, forse in un tetro appartamento di un palazzo in periferia, non sapeva. Ritenne inutile preparare le domande da fargli.
Si ricordò quante volte si era chiesta quale fosse la verità sulla morte di suo padre, quell'incontro poteva essere l'occasione per conoscerla, l'intervista per il concorso era molto importante per lei, ma gli interrogativi, che da adolescente si faceva, sulla causa della morte del padre lo erano altrettanto, lei sperava di scoprire, anche, quel mistero.
Continuò a pensare, abbracciandosi al cuscino, quante domande aveva fatto alla nonna su quell'argomento, lei rispondeva sempre con delle banalità come “è così che doveva andare...”, “tuo padre ha fatto quello che più gli piaceva, è stata una fatalità...”. Non le aveva mai dato dettagli. Lo stesso, le era capitato all'università. Era andata nella stessa dove il padre aveva studiato, la stessa frequentata da Warvich. Aveva cercato una risposta sulla sua morte, trovando solo omertà tra i professori anziani e alcuni dipendenti che non ricordavano, oppure dicevano di aver sentito da altri cose futili.
All'improvviso ripensò alle galline della nonna scappate e al suo paesino, un ameno luogo in cima a una montagna, poche case vecchie con gli intonaci scrostati, un negozietto di alimentari e un bar, una vecchia chiesa abbandonata. Quel pensiero dava a Giulia tanta serenità. Si strinse ancor di più nella sua coperta verde.
Uscì di casa con la voglia di un cappuccino caldo e un buon croissant, colazione che faceva ogni qual volta doveva superare un esame universitario, decise di andare al bar del centro commerciale, quel giorno era importante. Arrivata alla stazione delle navette, girò a destra e proseguì per un centinaio di metri, fino ad arrivare al centro commerciale. Non amava frequentare quel posto perché c'era sempre tanta gente, era pieno di negozi e di tutti i tipi di distributori automatici immaginabili, utilizzati specialmente di notte, quando i negozi erano chiusi, da chi voleva risparmiare perché, i prodotti venduti in essi, costavano quasi la metà. Venivano usati da buona parte della popolazione, quella definita dal Governo “gente in esubero”, quella che faceva fatica a far fronte alle spese; durante la quinta rivoluzione industriale, infatti, la totalità delle aziende aveva introdotto la robotizzazione di massa nei loro processi produttivi, molte persone persero, così, il lavoro.
Giulia arrivò al bar, ordinò un cappuccino e un croissant alla crema, si spostò su un tavolino libero, dove c'erano ancora residui lasciati da un precedente cliente, appoggiò la sua tazza. Conosceva altri bar dove poteva far colazione con maggior tranquillità, si rimproverò di non aver pensato a loro.
“Cosa guardano quelli lì?”, si era accorta che due poliziotti la stavano osservando. Era abituata, molti uomini non disdegnavano di mettere i loro occhi su di lei. Dato che era bella, anzi molto, in tanti le facevano proposte, quasi sempre sfrontate, ma quei poliziotti la inquietavano, soprattutto in quel momento.
Mangiò velocemente il suo croissant e bevve solo metà cappuccino, voleva evitare di attirare troppa attenzione, quei due continuavano a fissarla. Uscì velocemente dal centro commerciale e si avviò verso l'airbus.
Prima di entrare dentro la stazione, si soffermò a osservare la città da uno scorcio di strada che si apriva tra due palazzi, poche persone conoscevano quella visuale. Il vento gelido, ricomparso improvvisamente in quel giorno di primavera, fece scendere alcune lacrime dai suoi occhi neri e un brivido di solitudine l'abbracciò. Sentì un bambino piangere in lontananza, si girò a guardarlo mentre veniva sgridato dalla madre, dietro di loro vide quegli stessi due poliziotti che si stavano avvicinando. Proseguì allungando il passo e facendo finta di non averli notati. Entrò nella stazione e si avvicinò al distributore di biglietti, si fermò nell'acquistare quello per Grosseto, notando che i poliziotti erano entrati nella piccola sala d'imbarco. Esitò ancora, uno dei due poliziotti la stava osservando, erano vicino alla porta d'ingresso. Decise istintivamente, ne prese uno per il centro città. Appena Giulia afferrò il biglietto, i poliziotti si avvicinarono a lei.
- Fammi prendere il tuo chip! - le chiese quello con gli occhiali scuri e la voce minacciosa. Giulia allungò il braccio, nel Pad del poliziotto, dopo aver letto il chip, comparvero la sua foto e tutti i suoi dati.
- Dove stai andando? - , domandò l'altro, un tipo tarchiato e con i capelli rossi, strappandole il biglietto dalle mani. Giulia non rispose.
- Fermata 1- Roma. Mhmm... Cosa ci vai a fare in centro? - , chiese il primo poliziotto con un tono indispettito.
- Vado in centro, che c'è di strano. Sono una studentessa del Concorso Nazionale di Giornalismo, lì c'è la scuola, ho delle lezioni da seguire - , disse sfrontata.
- Puoi dimostrarlo? -
Giulia allora accese l'olox e fece vedere la tessera d'iscrizione al concorso. Il suo cuore batteva fortissimo, aveva paura che i poliziotti lo potessero udire.
- Non ci sono messaggi sospetti - , disse quello con i capelli rossi dopo averle clonato la cronologia Internet e i messaggi dal suo olox. L'altro confermò che dal loro server era un'osservata di quinto grado, quindi non pericolosa.
- L'iscrizione a quel concorso è stata confermata dal sito della scuola... quinto livello? Hm! Universitaria... Per me è tutto ok! -
- Puoi andare - , le dissero in coro. Solo in quel momento li guardò dritti negli occhi. La sua tensione rallentò, si toccò il collo, lo sentiva indolenzito. Osservò le persone vicino a lei, nessuna la stava guardando, l'ora sulla parete opposta indicava che mancavano due minuti, soltanto, alla partenza della navetta per Grosseto. Rimase immobile, senza respirare. Appena fu sicura che i poliziotti erano usciti dalla stazione, concentrata sulla tastiera digitò “Grosseto”, ebbe un attimo di esitazione prima di cliccare “ok”, si affrettò poi ad avvicinarsi al gate.
La navetta era già nella rampa di partenza, con il rombo dei motori antigravità in azione, pensò di non potercela fare. Giulia corse, appena arrivata davanti alla porta d'ingresso, lanciò il suo zaino dentro mentre gli sportelli si stavano chiudendo, l'infrarosso di sicurezza non li riaprì, con tutta la sua forza fece un balzo all'interno, le porte si chiusero con lei in mezzo. Il responsabile della stazione le riaprì immediatamente e fece suonare un allarme dal rumore acuto. Giulia, liberata, si spinse nuovamente all'interno, cadendo rovinosamente sul pavimento dello shuttle che stava decollando. Si rialzò, dopo che l'accelerazione della navetta era terminata, recuperato il suo zaino, si sedette nel primo posto disponibile. Adesso poteva respirare. Aveva un dolore alla spalla ma non le importava, il suo cuore continuò a battere forte. Era la prima volta, da quando viveva a Roma, che veniva fermata dalla Polizia.
“Perché proprio oggi?” si chiese, i suoi pensieri accelerarono, chiuse gli occhi. Pensò a cosa avrebbe fatto se avesse trovato un poliziotto ad aspettarla a Grosseto. “Dico che ho un appuntamento di sesso con il Rettore della mia Università, col cavolo che vanno a controllare!” pensò rabbiosa, “devo stare attenta, non hanno le prove che mi sto incontrando con Warvich, possono solo contestarmi che sono a Grosseto e non nel centro di Roma, al massimo mi rimandano indietro”, i pensieri ora erano più razionali.
Mentre la navetta proseguiva il viaggio, la ragazza si calmò, si guardò intorno, c'erano pochi passeggeri, tutti attenti ai fatti loro. Probabilmente non si era accorto nessuno dell'entrata rovinosa della giovane. Il sole illuminava la giornata e guardare fuori dall'oblò era piacevole, i paesaggi marini erano i suoi preferiti. Osservava le profumate campagne vicine al mare, le dolci colline laziali, i paesi di pietra imponenti all'orizzonte e i pini marittimi maestosi, senza pensare a nulla. Quei luoghi le sembravano così famigliari e non capiva il perché. In certi punti dagli oblò dirimpetto si scorgeva il mare che rifletteva lamine di luce sui suoi occhi, peccato che nessuno dei passeggeri si accorse quanto erano belli, in quei brevi istanti.
Dal suo zaino prese un piccolo specchio che conservava in una tasca interna, si guardò, poi cercò affannata ancora nello stesso posto, trovò lo stick di burrocacao che cercava, lo passò delicatamente sulle labbra che osservò compiaciuta.
Riguardò fuori dall'oblò, le vennero in mente le poesie del ‘900 che a lei piaceva leggere sotto la quercia dietro la casa di sua nonna, in particolare quelle di Montale, in quel momento immaginava di sentire l'odore intenso dei limoni “che non sa staccarsi da terra” , di scaldarsi al sole rovente del primo pomeriggio lungo i muri dell'orto, e poi di vedere le scogliere a strapiombo nel vuoto, gli spruzzi d'acqua, il delirio del mare. Sensazioni per lei infinite.
Passò mezz'ora prima che la navetta arrivasse a Grosseto. In quella stazione, piccola rispetto a quelle rionali di Roma, fu l'unica a scendere. Lungo la banchina della stazione si sentivano i suoi passi che rimbombavano tra i pavimenti e le pareti di cemento, dentro la sala d'attesa c'era solo il controllore che sonnecchiava scomposto sulla sedia. Niente Polizia. Il suo passaggio distrasse il sonno di quell'uomo che dopo aver accennato ad aprire gli occhi li richiuse. Fuori dalla stazione Giulia vide quattro ragazzi seduti sopra un muretto, due bevevano una birra, gli altri due fumavano una sigaretta.
- Ciao bella! - , sentì gridare verso lei, sorrise mostrando un veloce e impercettibile movimento delle labbra, poi allungò il passo. Quelli scesero dal muretto e la seguirono. Giulia non aveva paura, le sembravano i soliti ragazzetti di provincia, innocui. Si girò improvvisamente, elegante e sicura, statuaria con le sue lunghe gambe. Quelli rallentarono intimoriti.
- Sto cercando uno sled - , disse con voce tranquilla e abbozzando un sorriso. I giovani si guardarono.
- C'è Ruggero, a cento metri da qua, vieni con noi - , disse il più alto imitando le movenze da rapper. Gli altri tre bisbigliarono tra loro, Giulia sentì solo le parole figa e foto.
- No! Niente foto per favore, il mio ragazzo non deve sapere che sono qui, capito? - fingeva. Li bloccò, stentando a trattenere un sorriso. Si avviarono, spintonandosi con scherno, emozionati tra loro, mentre Giulia li seguì a qualche metro di distanza. La portarono davanti a un vecchio caseggiato, sembrava abbandonato, urlarono tutti e quattro: - Ruggeroooo!!! - .
Uscì un uomo di statura media, con i capelli ricci, arruffati.
- Vorrei affittare uno sled - , disse Giulia con sicurezza.
- Ok! Vieni dentro a vederli. Quanta strada devi fare? -
- Quello lì va bene - , rispose, facendo intendere al tizio che non voleva fare troppe chiacchiere.
- Quanto fa? - , poi chiese.
- Ottanta bit al giorno, per lo sled vecchio. Se vuoi ne ho di più moderni. -
La ragazza lo guardò facendo finta di non aver sentito.
- OK. Due minuti ed è pronto - . Ruggero aveva capito che non era il caso di fare troppe domande. Giulia si guardò intorno, il soffitto del magazzino era pieno di ragnatele e i vetri erano molto sporchi, da parecchi anni nessuno li puliva. Il pavimento era di cemento con delle ombre nere, dovevano essere vecchie macchie di olio combustibile. Pensò che in passato, forse, fosse stata un'officina di auto con motore termico.
Dopo qualche minuto, Ruggero la chiamò, lo sled era pronto. Giulia passò le sue credenziali con il suo chip, poi schiacciò il bottone di avviamento e lo sled si sollevò di trenta centimetri. Vi salì sopra.
- A che ora chiudi? -
- Alle sette di sera, però abito qui, chiamami se fai tardi - . Uscì lentamente dal caseggiato, i ragazzi erano ancora fuori che l'aspettavano. Alzarono la mano timidamente in segno di commiato.
- Grazie ragazzi! - . Li salutò divertita.
Come previsto arrivò dopo sedici minuti al punto delle coordinate, però mancava ancora un'ora all'appuntamento. Era un piccolo parcheggio, non c'era nessuno, solo qualche sled parcheggiato qua e là, le siepi ai margini della strada non erano curate e poi c'erano per terra vecchie cartacce. Le dava fastidio vedere quel degrado.
Giulia scese dallo sled, aspettò qualche minuto un poco spaesata, aveva paura di stare sola in quel posto, riguardò l'ora. In fondo al lungomare vide delle ombre, forse persone, e decise di raggiungerle. Vicino all'attracco delle barche c'era un piccolo bar, vi entrò per mangiare qualcosa, seduti ai tavoli c'erano solo dei pescatori, oziosi.
Si accomodò vicino alla finestra, da dove riusciva a scorgere un piccolo porticciolo con delle barche a vela. Era la prima volta che le vedeva da così vicino, le barche ondeggiavano, spinte dal mare leggermente agitato. Sembrava che gli alberi maestri, con le vele abbassate, si toccassero tra loro, come lunghe alabarde che combattevano, mosse da cavalieri invisibili.
Mangiò di fretta, quasi controvoglia. Uscita dal bar camminò lentamente, c'erano tre persone che erano intente a riparare una barca, urlavano tra loro perché non riuscivano a risolvere un problema al timone del natante, ognuno voleva fare a modo suo, decisero di dare ascolto alla persona che urlava più forte degli altri. “La legge della giungla!” pensò Giulia, girandosi vide un negozio di accessori per la navigazione, si avvicinò, c'erano oggetti strani, mai visti prima, erano belli; delle vecchie corde di juta, avvolte con esperienza, sembravano antiche, percepiva il loro odore. Quei piccoli momenti di vita normale le tenevano compagnia. Si sentiva tremendamente sola. Ogni minuto guardava l'ora sull'olox, il tempo non passava. Si sedette sul muretto del lungomare, vicino al suo sled, per il momento era tutto sotto controllo, si sentiva tranquilla.
Finalmente l'ora dell'appuntamento arrivò. Tornò al punto dell'incontro, ma di Warvich ancora nessuna traccia. Continuò a guardarsi intorno, nessun segno in nessuna direzione, nessun umano, neanche un cane o un gatto. Un rumore che proveniva dall'alto non la distrasse. Continuava impassibile a osservare. Quel rumore si fece più insistente: era un minidrone. Atterrò vicino a lei, rilasciò un piccolo chartam e volò via. Giulia si guardò ancora intorno e poi lo raccolse. Vi erano scritte altre coordinate. Le ricopiò sull'olox, il chartam si cancellò simultaneamente. Forse Warvich la stava osservando con il minidrone.
Le indicazioni dell'olox la portarono fuori dal paese, in una strada in mezzo al bosco. La percorse, poi si fermò, lesse la distanza, mancava più di un chilometro, nessuno la seguiva, non vide più neppure il minidrone, gli alberi oscuravano quasi tutto il cielo. Terminò il suo viaggio in uno slargo non asfaltato, l'olox segnalava ora quarantatre metri al punto delle coordinate, che si trovava, probabilmente, sulla spiaggia adiacente. Posteggiò lo sled nella piazzola, scese. Iniziò a camminare su un selciato di pietre, intorno a lei, un assoluto silenzio. Nascosto tra piante di alloro e corbezzolo, vide un sentiero che portava al punto indicato, dopo pochi metri si allargò, i suoi passi ora sprofondavano nella soffice sabbia, poteva sentire le onde del mare.
Una volta sulla spiaggia, si avvicinò all'acqua. Guardò ipnotizzata le onde, i riflessi del sole sul mare accendevano tanti piccoli luccichii che si rincorrevano tra loro, assomigliando a minuti diamanti che galleggiavano su una lastra di argento fuso. Si accorse di un'ombra che si avvicinava. Si girò. Era un giovane uomo con indosso occhiali scuri, i capelli molto biondi che spuntavano da un berretto beige.
- Buongiorno - , disse intimorita.
- Ciao Giulia. Mi chiamo Michele, il Dottor Warvich ti sta aspettando - , il suo tono era gelido, come se privo di emozioni, poi si girò e iniziò ad andare. In silenzio, Giulia lo seguì camminando a tre passi da lui. Michele prese un nuovo sentiero nella macchia, poi, dopo qualche minuto, attraversò una vecchia recinzione di rete metallica arrugginita, dietro la quale un grande prato verde circondava una piccola casa di legno, che un tempo doveva essere di un rosso acceso. Si avvicinò alla casa e indicò la porta a Giulia. La porta si aprì, un uomo apparve di fronte a lei. Era Mario Warvich.
- Buongiorno Dottor Warvich. Sono Giulia, la figlia di Roberto Presenti. -
Lo disse quasi sottovoce, allungando la mano. Si fissarono negli occhi per qualche istante, in silenzio. Lo sguardo di Warvich era profondo e altero, quello di Giulia interrogativo. Warvich le strinse finalmente la mano, la stretta della ragazza fu decisa, quella del dottore, dolce, quasi paterna.
- Sono contento di conoscerti Giulia. Vieni, entra dentro. -
Lo seguì. La casa era molto piccola: un tavolo, una credenza, un mobile per cucinare e una finestra che illuminava la stanza in trasparenza, niente di più; era un ambiente povero, con tanto legno e molta atmosfera, sentiva buoni profumi. Vicino alla finestra c'era un uomo seduto. Si alzò e si avvicinò presentandosi.
- Ciao Giulia. Andrea Prandelli. Sono contento di conoscerti! Assomigli tanto a tuo padre... Sai anch'io lo conoscevo, ero con lui quando... è successo quell'incidente - , disse con esitazione, cercando di nascondere il viso commosso e massaggiandosi la fronte con la mano. Giulia lo guardò incredula, non aveva mai sentito parlare di lui. Subito dopo si accorse che le sue gambe erano bioniche: un piccolo cavo gli usciva da dietro la nuca. Forse comandava quegli arti artificiali. Così avanzati non li aveva mai visti. Era spaventata da Andrea, aveva paura di essere al cospetto di un testimone diretto dell'incidente di suo padre. Si rese conto di aver paura di conoscere quella verità e di rivivere tutti i dolori che la mancanza del suo genitore gli aveva procurato in quegli anni. Fece un piccolo passo indietro.
- Siediti, hai già pranzato? - , chiese Warvich con fare premuroso.
- Sì! Grazie Dottore, ho mangiato qualcosa in paese. -
- Allora ti faccio un caffè, lo prendiamo anche noi, vero Andrea? -
Andrea, ancora commosso, guardò in basso e alzò la mano in segno di assenso. Warvich prese una vecchia caffettiera in alluminio. Giulia conosceva quell'attrezzo perché sua nonna ne aveva una simile. La teneva come una reliquia. C'era un silenzioso imbarazzo in quella stanza. Giulia osservò il Dottor Warvich mentre preparava il caffè: era un uomo una spanna più alto di lei, i suoi movimenti erano sicuri ed eleganti, i capelli brizzolati e tagliati corti, la corporatura atletica, sembrava avere quarant'anni a prima vista, all'anagrafe doveva averne almeno una sessantina. Giulia era stupita dalla sua prestanza fisica e dai suoi occhi verdi che rubavano la scena di quel momento. Il silenzio continuava mentre i tre si stavano studiando reciprocamente.
- Non avrai mica paura di noi? - , domandò Andrea vedendola esitante.
- No, assolutamente. Conoscevate bene mio padre, è una specie di riunione di famiglia! - , disse ridendo per smorzare il forte imbarazzo che aleggiava.
- Raccontaci qualcosa di te - , chiese Warvich guardando di nuovo Giulia negli occhi, con tenerezza.
- Su di me? - , era impacciata.
Andrea rise divertito: - Sei sempre così diretto nelle domande Mario! Sì, Giulia, raccontaci cosa hai fatto in questi ultimi ventiquattro anni! Si può dire che ti abbiamo vista nascere, vogliamo sapere tutto di te. -
Giulia raccontò a grandi linee come era andata la sua vita, seccata. Come si poteva spiegare la vita di qualcuno in due minuti?
- Tua nonna ci ha detto che sei tra le prime del concorso per diventare giornalista. Dicono che bisogna accettare dei compromessi per arrivare fino a quella posizione... - , Andrea aveva l'aria sospetta.
Giulia lo guardò, i suoi occhi lo fulminarono.
- Ho imparato a non dire mai quello che penso, soprattutto sul regime... quello è l'unico compromesso che ho accettato, per il resto sono in quella posizione perché sono brava. -
I due la ascoltavano in silenzio e lei continuò: - Voglio diventare una giornalista perché amo la libertà di dire la verità, lo so che non è facile, anzi credo impossibile in questo contesto. Se ho deciso di venire qui è per questo motivo, non lo so se un'intervista al Dottor Warvich sarà ben vista alla mia commissione d'esame ma non m'importa. Non nego di essere qui anche per altri motivi: uno è per sapere la verità su mio padre, che forse voi sapete... e un altro è perché lei, Dottor Warvich, è un personaggio molto famoso e io vorrei presentare alla Commissione un'intervista che piaccia soprattutto a me, il terzo motivo è che la storia del ritrovamento di Ranisar ha molti punti oscuri e vorrei raccontarli al mondo. Se allude al fatto che molti giornalisti siano al servizio dei politici, a me, quel tipo di giornalismo non interessa. -
Warvich, senza scomporsi, si alzò, prese dei biscotti dalla credenza, li mise sulla tavola e poi chiese a Giulia se desiderasse un altro caffè. Non disse altro. La ragazza fece cenno di no, si alzò e si avvicinò alla finestra per guardare fuori. Sentiva disagio, non sapeva come comportarsi. Nel cielo si erano formati grossi nuvoloni e si era alzato il vento che soffiava forte. Scorse Michele nel giardino. Era seduto vicino a un albero, un cane voleva giocare con lui, ogni tanto lo accarezzava ma non di più, guardava fisso il sentiero, immobile. Forse quell'uomo era un androide, sfuggito al depotenziamento dell'intelletto, voluto dal Consiglio Mondiale in seguito a parecchi incidenti accaduti tra androidi e umani. Fosse stato davvero così, sicuramente era uno degli ultimi.
Il silenzio nella stanza era pesante, i due uomini guardavano Giulia. Lei si avvicinò ad Andrea, con affetto gli accarezzò un braccio, immaginava gli ultimi minuti di vita di suo padre con quell'uomo, avrebbe voluto chiedere di più ma sapeva che non era il momento. Andrea le ricambiò il gesto d'affetto con il suo sorriso contagiante e prese la mano che la ragazza gli aveva proteso. Giulia ritornò a sedersi sulla stessa sedia e con coraggio disse: - Sono venuta qui per un'intervista... ma ho l'impressione che siate voi a volere qualcosa da me - .
Warvich bevve la tazza di caffè e mangiò un biscotto, la guardò beffardo.
- Volevamo conoscerti! - , disse Andrea allargando le sue braccia forti, massicce.
- Come, volevate solo conoscermi? - , Giulia era sorpresa. Warvich posò la tazza e si alzò, camminando verso la finestra, poi ritornò al tavolo.
- A Ranisar abbiamo trovato molte altre cose, è arrivata l'ora di dire tutto, però ci sono delle persone che non vogliono. Tu puoi scrivere tutta la storia e divulgarla, se accetti, entri nella squadra con tutti i rischi relativi - , parlò con una voce stanca, poco convinta, consapevole di chiedere troppo a Giulia e con la recondita speranza di ricevere un rifiuto. Lei ritornò a guardare fuori dalla finestra.
- Vivete in questa piccola casa in rovina, due vecchi, che squadra è questa? Anche mio padre ha accettato i rischi relativi come sta chiedendo adesso a me? Me lo volete dire come è morto? - , il tono di Giulia questa volta era decisamente arrabbiato, adesso voleva saperne di più.
Andrea si mosse verso di lei, le sue gambe bioniche facevano un rumore fastidioso.
- Va bene. Ma una cosa devi saperla Giulia: anche lui ha accettato ed era consapevole di tutti i pericoli. La responsabilità della sua morte è anche la nostra, ma non solo. Lui era deciso ad andare avanti - , disse abbassando il tono e, appena finito, i suoi occhi si commossero nuovamente. Aveva aspettato tanti anni per conoscere quella ragazza, per togliersi il rimorso che gli rodeva dentro, la morte del giovane archeologo, al quale lui era molto amico, se non responsabile del reclutamento. Fuori, nel bosco, il vento soffiava ancora più forte, era in arrivo una tempesta. In cucina si erano tutti seduti attorno al tavolo in silenzio, ognuno con le proprie paure, ogni tanto si guardavano come a chiedersi chi dovesse iniziare a parlare, anche se sapevano quanto fosse il turno di Mario Warvich. E lui, finalmente, ruppe il silenzio. - Giulia, non credo che tu ti debba preoccupare, io vorrei registrare la mia storia, tu dopo averla sentita puoi fare quello che vuoi - , si versò dell'acqua in un bicchiere. Lei annuì guardando in basso, aveva deciso:
- Se mio padre si fidava di voi, mi fiderò anch'io. Immagino che la sua storia sia molto interessante dottor Warvich, la voglio senz'altro ascoltare - . Poi prese dalla sua borsa il book e la cam, li accese. La cam si alzò a due metri di altezza, Giulia regolò l'immagine; i tre seduti al tavolo comparvero sullo schermo, Warvich iniziò a raccontare.
Mario Costanzo
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