Un bambino può insegnare sempre tre cose ad un adulto: 1) A essere contento senza motivo. 2) A essere sempre occupato con qualche cosa. 3) A pretendere con ogni sua forza quello che desidera.
Paulo Coelho
Ora non gli restava che fabbricarsi un potente amuleto e lui sapeva bene come fare. Un rumore improvviso oltre la porta chiusa della sua camera lo fece balzare in piedi. Rimase in attesa, con i sensi allertati e i muscoli delle braccia tesi; ma il silenzio regnava ovunque e il rumore non si ripeté.
Meglio così. Questo era il momento in cui era più vulnerabile, senza un piano preciso e soprattutto senza un amuleto. Ritornò al suo problema principale. Naturalmente esisteva un rituale magico perché un semplice oggetto inanimato assorbisse il potere e lo trattenesse a lungo dentro di sé. E naturalmente solo lui era a conoscenza di questo rito segreto. Anzi, per quanto ne sapeva lui, doveva essere l'unico al mondo ad aver avuto questa interessantissima intuizione!
Afferrò il quaderno nero dove aveva avuto l'accortezza di segnare i complessi passaggi del Rituale del Potere e lo sistemò con cura all'interno dello zainetto. Una farfalla indugiò un poco davanti alla sua finestra, poi si posò sul davanzale per osservarlo meglio. Guardò a sua volta in direzione dell'insetto leggendo i disegni delle sue ali tremolanti e considerò l'evento come un presagio di fortuna: il Potere era con lui!
Si fermò indeciso davanti all'armadio a muro osservando con sguardo critico gli indumenti che vi erano riposti: certo non apparivano granché utili. Saggiamente decise di dover scendere a un odioso compromesso e scelse una camicia di cotone e il più leggero dei suoi maglioni, oltre al suo giacchetto di pelle nera che sua madre aveva ribattezzato il giubbotto del teppista. Poi si concentrò per compiere la scelta più complessa.
Dal cassetto della sua scrivania afferrò una grossa scatola di latta, ne rimosse con cura il coperchio e svuotò il suo allegro contenuto di figurine di calciatori. Fece un mucchietto di quelle più rare, un altro mucchietto che comprendeva i giocatori della nazionale e un ultimo gruppo di calciatori che militavano nella sua squadra del cuore. Soddisfatto, le ripose in una tasca dello zainetto, lasciando quelle scartate sparse disordinatamente sopra la scrivania e sul pavimento.
Ora era veramente pronto. Diede un ultime sguardo alla sua camera, al suo letto, al divanetto, alle scritte sui muri e ai poster dei tennisti; gli dispiaceva dover rinunciare a quello sguardo malvagio che tanto lo affascinava in Novak Djokovic, ma nello zainetto non c'era più posto nemmeno per un poster. All'ultimo momento si ricordò di prendere qualcosa da mangiare: una piccola scatola rettangolare contenente quattro cioccolatini ripieni di liquore e pochi biscotti avvolti in un fazzolettino di carta, ultime testimonianze del brillante furto commesso al party della zia Luisa (ancora oggi, a distanza di due giorni dall'evento, si sentiva pieno d'orgoglio per come aveva ingannato la zia riportando su di lei una vittoria storica, di quelle che annotava sul diario segreto che giaceva, invisibile a tutti, in una cartella criptata del suo tablet).
Ma era veramente tempo di andare; se la domestica fosse salita e lo avesse trovato dentro alla sua camera e si fosse accorta del suo zainetto, lui sarebbe stato costretto a ucciderla. Nella sua mente passò un'immagine di se stesso sopra al cadavere della donna, mentre estraeva il temperino dal petto sanguinante e lo puliva sulla sua gonna.
Tuttavia a lui non piaceva uccidere, anche se a volte poteva essere necessario. Così ripose a malincuore il lungo cappello da mago che ancora indossava, afferrò quello da Baseball dei New York Yankees, se lo mise in testa con la visiera sulla nuca e si lasciò cadere dal cornicione della sua finestra del secondo piano. Giunto senza danni tra l'erba profumata del giardino, si guardò le mani sporche di polvere, soddisfatto di aver superato così abilmente quella prima prova, a dir la verità non eccessivamente impegnativa.
Adesso però veniva la parte più pericolosa: uscire dal giardino senza essere visto. C'era la possibilità che sua madre fosse dietro i vetri della finestra che dava sulla strada; certo sarebbe stato difficile spiegarle come mai non fosse andato scuola quella mattina. La cosa migliore era mettersi a correre per minimizzare l'intervallo di tempo durante il quale sarebbe stato visibile. E così fece: si lancio in una folle corsa fino al cancelletto del giardino, infilò un dito all'interno del meccanismo di chiusura e lo fece scattare, raggiungendo il marciapiede. Fece appena in tempo ad attraversare la strada e a chinarsi sopra la bicicletta che aveva nascosto dietro al cassonetto della spazzatura, che la voce della signora Coletti lo colpì alle spalle.
- Ciao Robertino, niente scuola oggi? -
Con una straordinaria prontezza di riflessi si ricompose, assunse un'espressione tra l'annoiato e l'offeso e sostenne spavaldamente lo sguardo della vecchia signora.
- Sono un po' in ritardo... Mia madre ha già telefonato in direzione per avvertire che sto arrivando. -
- Capisco... Se vuoi dico a mio figlio di accompagnarti: che ne dici? Ha la macchina qui dietro. La scuola è lontana e andando a piedi arriverai ancora più in ritardo. -
Vecchia strega! Lo stava provocando per vedere le sue reazioni! Forse sospettava qualcosa.
- Grazie mille signora Coletti, ma farò senz'altro prima con la mia bici! -
Con un ultimo radioso sorriso, forse un ghigno, montò sul sellino della mountain bike e iniziò a pedalare il più veloce possibile in direzione della scuola.
Forse ce l'aveva fatta! A suo parere era stato assolutamente convincente e, d'altra parte, il fatto che avesse con se lo zainetto che usava sempre per andare a scuola, aveva reso il tutto più credibile.
Lasciò quindi che la brezza tiepida gli accarezzasse il volto e si lancio in una folle discesa, imponendosi di non toccare i freni fino al semaforo.
Più avanti si concesse di rallentare un poco e si attardò ad osservare il paesaggio circostante. L'eterna periferia che avvolgeva la città lasciava intravedere, man mano che si procedeva verso la campagna, brevi porzioni di verde, giardinetti incolti, a volte perfino un minuscolo orto ricolmo di strane piante a lui sconosciute.
Le autofficine si sovrapponevano a distributori di benzina, autolavaggi, capannoni dall'aspetto inquietante; un promettente odore di olio bruciato e benzina gli stimolava piacevolmente le narici, evocando nella sua mente immagini di rally polverosi, pieni di spettacolari incidenti.
Un enorme cartellone pubblicitario al lato della strada a tre corsie, pubblicizzava l'ultimo action movie fanta-horror attraverso immagini oscure e inquietanti. Rallentò per osservarlo meglio, mentre un enorme suv blu metallizzato lo superava, passando a una trentina di centimetri dalla sua bici; il risucchio lo sbilanciò, costringendolo a frenare e ad accostare al lato della strada. Si appoggiò al palo di un cartello stradale, per poi prudentemente proseguire all'interno della pista ciclabile che divideva in marciapiede dal tragitto pedonale.
Più avanti si fermò a riprendere fiato. Si asciugò il sudore dalla fronte e si concesse un paio di minuti di riposo. La città era già piena di gente diretta al lavoro con ogni mezzo, l'aria quasi irrespirabile.
Roby si sorprese a fissare un negozio di alimentari, dove un ampio specchio incrinato in più punti gli rimandava indietro immagini scomposte di se stesso a cavallo della bici e affascinanti forme in movimento che scivolavano dietro di lui, scomparendo e riapparendo un secondo più tardi moltiplicate all'infinito. Sedotto da quella magia, con gli occhi avidi di altri incanti, Roby non si rese conto di star bloccando la corsia pedonale e solo quando un uomo in sella a una grande bici nera dietro a lui suonò ripetutamente il campanello, si decise, spaventato, ad accostarsi al marciapiede.
Si rese conto di star perdendo tempo prezioso vagabondando per la città. Non erano questi i suoi piani. Non era certo fuggito di casa per fare il turista! Aveva bisogno di un potente amuleto per poter affrontare la sua nuova vita, le possibilità che gli offriva, i pericoli e le responsabilità che ne sarebbero derivate.
Mentre proseguiva deciso verso il muro della Scritta, si concesse di immaginare i suoi compagni, che in quel preciso momento sedevano sui banchi di scuola, annoiati e infastiditi, aspettando con impazienza la campanella della ricreazione. Chissà se a Bigliardo avevano già rubato la merenda che si ostinava a tenere sotto il banco? Ebbe un momento di incertezza pensando a Luca, il solo amico che considerasse tale e che forse non avrebbe più rivisto. "La vita è crudele", stabilì.
Alessio Moa
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