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Autore: Simona Matarazzo
Al tempo dei lupi
Dark Fantasy
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Al tempo dei lupi
La carrozza saltellava sulle strade dissestate. Malgrado ciò, il mio unico pensiero era di raggiungere quanto prima la mia destinazione. Avevo i piedi irrigiditi e il corsetto non mi faceva respirare.
Da bambina andavo a Lago di Mezzo due volte l'anno. Ricordavo i fienili e i ripari collegati dagli innumerevoli viottoli che passavano in mezzo al bosco.
Quella domenica d'autunno il villaggio dormicchiava ancora. Di sicuro, le casette tutte in fila sussurravano vecchie storie di fantasmi. Il fumo dei camini si confondeva con il cielo grigio. Ero felice di trovarmi nella Contea dei Tre Laghi, di rivedere ancora una volta le pietre color miele e i tetti a punta. Qua e là zucche arancioni affioravano dai giardini o sbirciavano dalle finestre.
Ai margini dell'abitato si trovava il collegio, immerso tra le colline spigolose di Lago di Mezzo.

Una volta scesa dalla carrozza respirai a pieni polmoni l'aria proveniente dal bosco. Il terreno sotto i piedi era gelido, privo di fango e di pozzanghere.
Il collegio era un vasto edificio quadrato con delle imponenti torri ai lati. Si espandeva sia in larghezza che in altezza, eppure le mura grigie e gli archi medievali gli donavano un aspetto lugubre.
All'entrata dell'istituto mi venne incontro il rettore, Stephen Baker.
“Siamo fortunati ad avervi qui signorina Gada”, disse facendo un lieve inchino.
“Sono contenta di aver accettato la vostra proposta”.
Il signor Baker chiese alla governante, la signora Collins, di prepararci un tè.
Gli interni del collegio ricordavano un monastero. Le grate alle finestre rendevano l'ambiente pesante e severo. Le classi erano scure, poco illuminate e i dormitori erano gelidi. Mi chiesi come facessero le ragazzine a non morire di freddo.
Dopo la breve visita all'edificio, venni condotta in un salone, dove fui contenta di trovare il caminetto acceso. La governante ci portò il tè e, quando si chiuse la porta alle spalle, il signor Baker iniziò a parlare: “Dove è finita la mia educazione? Non vi ho nemmeno chiesto se avete fatto un buon viaggio”.
“È stato piacevole, grazie”.
“Mi hanno parlato bene di voi. Avete delle ottime referenze. Insegnavate calcolo, francese, storia e cucito alle bambine della signora Lee. Pensate di essere pronta per questo lavoro? Sembrate così giovane...”.
“Le apparenze ingannano”, risposi accennando un sorriso.
“Dovete sapere, cara signorina, che in questo collegio gli inverni sono rigidi. Le ragazze non sono di buona famiglia. I genitori le hanno mandate qui perché diventino delle perfette padrone di casa o, al massimo, delle istitutrici. Non voglio mentirle. Non ci sono abbastanza fondi per riscaldare tutta la struttura e siamo a corto di insegnanti. Non disponiamo di quelle comodità a cui vi eravate abituata presso i coniugi Lee”.
“Vi ringrazio per la franchezza, ma sono contenta di essere qui”, risposi assaporando il tepore proveniente dal camino.
“Domani vi presenterò alle studentesse”.
“In effetti, non ho ancora visto nessuna delle ragazze”, notai con stupore.
“Sono ad una lezione di disegno tra le colline. Oggi non hanno ricevuto visite... stranamente non si è fatto vivo nessuno”, disse il signor Baker sovrappensiero. “Il sole sta tramontando, saranno qui a momenti. La governante vi farà vedere la vostra stanza. Spero vi troverete bene qui, signorina Gada”.

La mia camera era all'ultimo piano del collegio, con una finestra sufficientemente grande da poter scorgere le stelle di notte. Nonostante fosse priva di tappezzerie alle pareti e di tendaggi preziosi, nell'insieme era graziosa. Dato che non c'era mai stata un'insegnante donna in tutta la contea, tanto meno al collegio, la signora Collins mi spiegò che il rettore aveva scelto quella soluzione perché, diceva lui, voleva che la scuola fosse all'avanguardia.
“Ho notato le vostre casse. Sono singolari per un'istitutrice”.
“Dite?”.
“Oh, scusatemi, sono un'impicciona!”, esclamò la governante, stropicciandosi le mani. “Spero vi piaccia la stanza, signorina Gada”.
“Sarei felice se mi chiamaste Anna”.
“I signori non acconsentirebbero”.
“Capisco”, risposi, facendo una smorfia.
“Vi faccio portare dell'acqua calda. Qui si congela”. Poi, lanciandomi uno sguardo furtivo, aggiunse: “Sembrate perplessa, signorina Gada”.
Assicurai la signora Collins che andava tutto bene e la ringraziai per le sue premure. E, poiché mi sentivo stremata dalla stanchezza del viaggio, le dissi che avrei riposato un po' prima di cena.
Benché la camera fosse gelida, mi slacciai la giacca per respirare meglio e pensai che le intenzioni del signor Baker fossero tutt'altro che altruiste.
La stanza era ampia, il letto piccolo in legno scuro. Oltre all'armadio c'erano una cassettiera ricca di lenzuola e coperte pulite, un vecchio specchio, candele, lampade a petrolio, una brocca piena d'acqua e il pitale accanto ad una minuscola vasca di stagno.
La camera in cui avrei soggiornato non aveva nulla in comune con quella di casa Lee. Non c'era un letto intagliato in legno di palissandro, né un'elegante specchiera o un caminetto decorato. Non vi erano fronzoli, foglie, riccioli, nemmeno un motivo floreale. Ringraziai la mia buona stella per la tinozza di stagno.
Aprii una delle mie casse e tirai fuori gli abiti, pensando che alcuni non li avrei più indossati. Il ruolo di un'insegnante in un collegio imponeva un abbigliamento austero.
Mi spogliai velocemente, mi infilai un vestito verde scuro col collo alto e il corpetto in velluto nero. Mi pettinai i capelli castani e li raccolsi in uno chignon, sostituendo il pettinino di perle con uno opaco e poco vistoso.

A cena il rettore Baker mi presentò ai signori Louis Stone, Bram Stevenson, James Freeman e Robert Gardner. Il pasto, a base di zuppa e pane duro, fu alquanto silenzioso. Fu solo dinanzi ad un bicchiere di Porto e a un budino di prugne che il signor Stone iniziò a farmi domande.
“Come mai avete accettato questo lavoro, signorina Gada? Il collegio non è adatto ad una...”, si fermò imbarazzato.
“Donna?”, terminai la frase.
“Signora”, mi corresse lui.
“Il vostro arrivo ha sorpreso anche me”, rimarcò il signor Gardner. “Stephen ci ha parlato di voi, elencando le vostre qualità. Tuttavia, se permettete, le donne non dovrebbero insegnare”.
“E cosa dovrebbero fare, se è lecito chiedervelo?”, chiesi, non poco infastidita.
Prima che Gardner potesse rispondere, il rettore esclamò: “Basta così, signori! Abbiamo bisogno di persone come la signorina Gada. Confido nelle sue capacità... per il bene del collegio!”.
Gli occhi castani del signor Baker divennero due fessure e si fissarono in quelli del signor Gardner che, con voce flebile, disse: “Vogliate scusarmi, signorina. Sono stato davvero scortese”.
“Scuse accettate”, risposi. “Ad ogni modo, sono qui perché amo il mio lavoro”.
Durante la conversazione, venni a sapere che gli insegnanti lavoravano da molto tempo in quell'istituto, e che le rispettive mogli vivevano a Lago di Mezzo. Il rettore, invece, pur essendo un uomo rispettabile e di bell'aspetto (non più nel fiore degli anni ma ancora energico), non si era risposato dopo la morte della signora Baker.
Ultimata la cena, mi congedai.

Sopraffatta dalla stanchezza, mi diressi verso le cucine.
“State cercando qualcuno?”, chiese la governante.
“Sì, proprio voi”, risposi sorridendo. “Posso avere dell'acqua calda?”.
“Certamente, signorina Gada. Vi farò portare anche altre candele, coperte e uno scaldaletto”. Dopo un attimo di esitazione, aggiunse: “I signori sono stati crudeli con voi. Non dovevano mettervi in quella specie di soffitta”.
“Oh, non vi preoccupate, signora Collins. Me la caverò”, risposi.

Libera dalla gabbia del corsetto, versai un po' d'acqua calda in un catino e mi massaggiai la pelle intorno al collo. La stanza era gelida, quindi mi lavai velocemente e mi infilai sotto a un paio di coperte. Assaporai il tepore del letto riscaldato dalla pentola in ottone.

Nel cuore della notte fui svegliata da un suono, insolito e tetro. Pensai che fosse il rumore del vento, quando tutto ad un tratto sentii qualcosa accarezzare la porta della mia camera. Come un picchiettio, da prima tenue, poi sempre più forte.
Udii distintamente dei passi e nuovamente quel ticchettio. Mi infilai velocemente uno scialle, accesi una delle candele e aprii con circospezione la porta. Non c'era nessuno...

Simona Matarazzo

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