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Autore: Vinicio Salvatore Di Crescenzo
Triticum
Poesia
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Triticum
Semina
(nella natura)

I campi sono arati in autunno e pronti ad ac- cogliere la nuova vita che dovrà imbiondire le proprie superfici. I solchi in essi tracciati custodiranno i semi che durante l'inverno, germogliando, si trasformeranno in spighe di grano. Quando a primavera poi, la natura provvederà a risvegliare tutte le creature, i germogli saranno già in procinto di colorarsi d'oro in un tripudio di vita e di colori, che invaderà piacevolmente anche gli umani sentimenti. La semina è la promessa di creare, di dare vita; è speranza e ambizione. È il futuro affidato alle mani della natura che nutrirà con cura e amore ogni creatura le verrà affidata. Una natura che non osteggia la sua vera identità che la dipinge viva e prolifica, sincera e rigogliosa. Una natura che ci accompagna durante tutta l'esistenza e che riesce a stimolare primordiali sensazioni verso un mondo affascinante che non conosce asperità.


Spighe di grano

Creste ribelli carezzate dai venti e dalle lune
ammassate in fasci di luce d'oro dal profumo di sole.

Siete mature spighe dall'ispido sguardo
che irrompe e si dissolve nei campi aridi e duri.

Compagne fedeli
di un'estate che assale e asciuga le martoriate zolle
dopo aver abusato del torrido giorno appena consumato.

Tra le onde che le volontà dei venti fanno scivolare sul mutevole umore delle ritte superfici navigo sereno.

Esploro ogni sipario si apra al suo comando
per raggiungere il segreto imprigionato tra le insenature che fanno respirare le radici
aggrappate all'arido terreno dalle larghe crepe.

Aspetto l'alba
con la sua rugiada clandestina che si arrende al primo sole per godere delle bianche e farinose polveri assetate racchiuse nelle cariossidi ancora addormentate.

E fino all'imbrunire, giacché la mietitura, semina odore di primordiali essenze.

Attendo che finisca il tempo dell'attesa per nutrire ogni mia passione
col tuo biondo sguardo compassato
e col pane ancora crudo che mi donerai prima dell'autunno.


Stella marina

Ti cerco tra gli ultimi riflessi che il sole ancora dona dentro il tuo giaciglio che non trova pace.

Tra i flussi disperarti di maree emerse dagli oscuri anfratti.

Tra le conchiglie striate e logore di sale non trovo le tue impronte,
né il sole mi aiuta nel rischiarare le tue braccia inermi.

Calpesto gli spumeggianti capricci delle onde che con ardore trovano rifugio
sulla battigia pigra e desolata facendosi accudire fino a levigarne la superficie d'oro.

Osservo i resti digeriti e vomitati sui granelli d'oro sparsi lungo l'onda intrisa d'ira e sale
ma forse brilla altrove la sua creatura bianca.

Stella marina persa dentro i miei ricordi
e sostanza dei miei sogni al calare della luce,
fa che possa trovarti almeno dentro il buio del mio cielo per conoscere il destino che respira dentro il mare tuo.


La voce dei pini

Non si rassegna l'ultimo sole
che incoraggia la corteccia a tingersi d'arancio e veste i pini austeri con l'abito da sera.

Si lasciano baciare gli alti fusti concedendo i propri cespi d'aghi
confusi dagli ultimi toni arditi non ancora domi prima di esser divorati
dietro la faccia scura della terra.

Su in alto, tra gli alti rami affusolati,
il fruscio d'ali degli ingordi pappagalli, verdi come il mare sotto la tempesta
in balia di nubi che ne divorano la schiuma.

Mentre quaggiù,
tra fili d'erba ritta che esaltano i profumi della terra
le radici antiche solcano la superficie umida di pioggia, tra un respiro di sollievo
e uno sguardo che si perde.


Il coraggio del verdone
(sotto la tormenta)

Turbini di gelidi venti
si schiantano contro gli elementi lungo la scia della tormenta.

E tra i soffi siderali,
fiocchi di neve scaraventati ovunque dalla rabbiosa furia.

Opponi la tua resistenza a raffiche armate di gelo
deliri impietosi seminati dal cielo.

Occhi socchiusi e latente terrore incute la sorte che vuole strappare alla vita
quel debole respiro
che nutre ancora il tuo coraggio.

Ali strette a protezione dell'intirizzito corpo a difesa dell'ultimo calore
e l'ugola - che non ha più voce -
si ripara dietro il coraggioso cuore che ti spinge verso l'ultima speranza.

Resisti!
Piccolo verdone aggrappato all'esile tuo ramo
e non farti trascinare via dai venti che conosci bene.

Non farti sottrarre il tuo diritto di volare dentro il cielo e di domare ancora l'aria - che ora ingrata -
ti vuole invece divorare.


La calla nel fiume

Ventricoli nascosti che aprono il pertugio alle fluide e lisce lingue d'acqua trasparenti.

Figlie della fonte scivolano via mescolandosi con soave grazia,
in un tripudio di gorgoglii sommessi
e persi dentro i mulinelli di un destino ignoto.

Tra i ciottoli rotondi e bianchi cullati da correnti docili e graziate
il fiume trasparente racconta la sua vita fatta di vite, di sciagure e aride stagioni.

Sa bene che può nutrire le fronde affaticate lungo gli argini che con materno amore lo lusingano e quelle verdi alghe, nate dalle membra dei fondali
che ondeggiano fedeli, mai stanche o rassegnate, coltivate da correnti meste e malinconiche
nel loro lento andare.

Tra il fruscio dei venti che tornano a lambire i pacati mulinelli,
un solo cuoriforme petalo dal candido colore si erge verso il sole:
una calla, che orgogliosa volge il suo spadice dorato verso l'infinito.
Reca in sé la gioia di adornare la purezza che lieve scorre via, come fa il tempo prima di invecchiare.

Come faranno le prossime notti, quando con generoso ardire,
le doneranno un vestito di rugiada per l'alba in procinto di arrivare.

Sarà candido ornamento fino a quando il suo vitale ciclo la renderà stanca di esser la più bella,
e ormai fragile e appassita,
si unirà alle fronde avvolte al suo imponente stelo rimasto ancora forte.


Nel lago dei sogni

Mi sporgo oltre ogni plausibile confine per ascoltare il sapore delle vite.

Per osservare le candide escrescenze che fior di loto, timidi e confusi,
hanno donato alla limpida sostanza.

Nello spazio che attutisce ogni rumore e, dentro gli opachi anfratti sotto la scogliera, sfilano via le mie paure
lungo le vie incise dentro il gorgoglio delle fluide trasparenze.

Vortici cristallini
come rubini irraggiati da note tiepide di sole impregnano di speranza la mia mano - che tesa -
accoglie il desiderio di sfiorare una vita affidata al suo destino.

Granelli d'oro sotto la mia bianca pelle nuda che si adagia sui levigati ciottoli
e sopra la sinuosa chioma dirompente.

Come dirompente è la voglia di tenere tra le dita
anche se per un istante solo, la fuggevole voglia di infinito.


Chiocciola di pioggia

Sei preda del lento silenzio
che dimora dove si rintana il profumo della pioggia e dove non regnano le aride vie
per poter vedere il nubilóso cielo.

Vita che si aggrappa allo scrosciante temporale e negli anfratti umidi di ristagnante luce
filtrata a stento dai verdi arbusti che si inchinano alle acque.

Non c'è sole che possa attingere le spirali ardite che la chiocciola ostenta con orgoglio
mentre confusa con i fili d'erba e le radici cerca la sua strada verso l'infinito.

Fragile creatura che viaggia con pacato andare lungo i pendii del suo destino ... lentamente, come lento è il cammino scavato
tra le zolle colme di fluidi gorgoglii
che ne cullano il tenero corpo dentro un'esile corazza.


Albero d'autunno

Le sue foglie
non possono esimersi dal primo approccio dell'autunno e schiaffeggiate dalle scroscianti volontà del cielo danzano leggere mentre la pioggia
si avvinghia sopra i rami seminudi.

Foglie in bilico
tra le sferzate ventose e le residue speranze
di sottrarsi alla violenza di correnti irriguardose.

Foglie mosse dal desiderio di limpide carezze dispensate da un cielo che sgorga purezza ma che spesso non tollera premura.

E i freschi turbini rinfrancano le rosate chiome in procinto di morire
turbandole di repentine folate fino a sbarazzarsi del plumbeo rigore,
come fossero lacrime asciugate da rincuoranti affetti.

Vedo le gocce di pioggia
scorrere leggere lungo la corteccia dai garbati labirinti che celano cunicoli segreti e inesplorati.
Le osservo,
mentre si defilano leggere lungo le scaglie che vestono l'antico tronco
e giocano a disegnare brillanti intermittenze
che il sole evidenzia con pazienza e con solerzia.

Le scorgo infine morire nella terra
e confessare al mondo quale scopo era loro destinato: nascere dal cielo e finire sulle radici di un albero assetato che le inghiotte all'alba d'un piovoso autunno.


Mareggiata

E sono ammassate a gruppi
le conchiglie senza più compagno,
una sull'altra come i morti delle guerre.

Mai scampate alla persecuzione delle riluttanti volontà marine
che le hanno vomitate sotto la tempesta.

Aspettano inermi che arrivi un'onda nuova, prepotente e più aggressiva,
che le spogli degli aridi respiri di un'estate che sputa ancora fuoco.

E tra i miei passi rami intrisi d'alghe e di salmastri fiati tra ciottoli venati di bizzarre tinte
e sassi corrosi dalla salsedine perpetua.

Cerco ancora tra le dune
che non godono di ritempranti gorgoglii
le orme che ho lasciato durante il primo viaggio.

Quelle orme diventate ormai rifugio di conchiglie senza più una compagna.

Vinicio Salvatore Di Crescenzo

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