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Autore: Laura Donghi
E poi arrivi tu
Romanzo Rosa
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E poi arrivi tu
Che ne sarà di me?

Si alzò presto quella mattina. Avrebbe fatto colazione con lui poi si sarebbe preparata per la sua gita fuori porta.
Il porto di Moniga distava solo una piacevole passeggiata di venti minuti sul lungolago e la sua caratteristica andatura rapida le permise di arrivare giusto in tempo per acquistare i biglietti e fumare una sigaretta sul pontile. Quando il traghetto arrivò, si mise in coda e salì, scegliendo un posto in seconda fila sulla parte anteriore della barca. Davanti a lei prese posto una coppia di olandesi con un figlio molto piccolo che pianse tutto il viaggio e accanto a loro si mise un'altra coppia, probabilmente di loro amici, con una bambina e un bambino che sembravano rispettivamente la copia della madre e del padre in miniatura. Le due donne erano molto belle ma molto diverse tra loro, pensò. Una era così magra che, quando si chinava per dare il biberon alla figlia, le si potevano vedere le scapole spuntare dalla canottiera bianca di seta che indossava. L'altra donna era più “morbida”, proprio come lei, pensò.
Sara era decisamente una bella ragazza, non di certo esile, ma non si poteva nemmeno dire che avesse dei chili di troppo. Era formosa al punto giusto, aveva due occhi azzurri come il cielo ed era alta un metro e settanta, con un metro solo di gambe. La folta chioma castana che da ragazzina aveva tinto di nero, blu, viola, rosso e una volta addirittura bicolore (rosso sulle punte e nero tutto il resto) e che si ostinava a piastrare ogni singola mattina affinché i suoi capelli risultassero lisci come la seta (non bastavano di certo shampoo e balsamo, checché ne dicessero alla TV o sulle riviste) era oggi al naturale, libera dagli schemi quotidiani e dal rigore militare dei giorni lavorativi.
La prima sosta, Manerba, raccolse altre persone e due signore inglesi paffute le si sedettero accanto. Con la mente Sara tornò subito a Londra dove qualche anno prima, appena ventenne, aveva trascorso un anno come ragazza alla pari in casa della famiglia Razdan per prendersi cura del piccolo Amal. La famiglia Razdan l'aveva accolta fin da subito come una figlia tanto che quell'esperienza era rimasta un bellissimo ricordo per tutti. A Londra le settimane scorrevano veloci e Sara trascorreva i fine settimana liberi visitando luoghi e posti che il turista medio non riusciva di certo a vedere tutti: il quartiere delle ambasciate, il lungo tragitto a Fulham verso lo stadio del Chelsea, la Temple Church. Aveva addirittura assistito ad una messa cantata nella Cattedrale di Southwark. Era stata a Oxford, Cambridge, Brighton e avverato il suo sogno di bambina appurando che l'isola di Wight non era solo una canzone dei Dik Dik. Chissà se avrebbe mai realizzato il suo sogno di ragazza? E se anche fosse, quale tra i tanti? Quello di scrivere libri di grammatica inglese e lavorare alla prestigiosa MacMillan? Oppure quello di aprire un bed and breakfast sul lago di Garda? Magari quello di trasferirsi in Australia? Oppure quello di scrivere romanzi in uno di quei paesini meravigliosi delle storie d'amore di Inga Lindstrom? Ogni tanto pensava anche che se avesse avuto un sogno soltanto magari sarebbe stato più facile realizzarlo. Una cosa è certa: Sara amava sognare, con la mente aveva già vissuto mille vite e si può dire con certezza che se mai qualcuno avesse indetto un concorso per incoronare il più grande sognatore della storia, lei avrebbe sicuramente conquistato il podio.
“Sirmione”, disse la vocina automatica dei mezzi di trasporto turistici che la riportò immediatamente alla realtà. Approdò nella piazzetta del porticciolo e il gioiello del Garda si manifestò nel suo massimo splendore: giugno, un sole caldo non fastidioso, pochi turisti perlopiù nordici e di gran bell'aspetto, una giornata calma e vivibile a dispetto della frenesia e del caos del mese di agosto. Si addentrò nei mille vicoli che dal castello conducono alle famose grotte di Catullo e ispezionò ogni singola vetrina. Il progetto di lavorare al lago per la stagione estiva era ancora attivo, nonostante sua madre cercasse in tutti i modi di convincerla a desistere, adducendo sempre come ultima scusa “E io cosa faccio mentre tu sei lì?”.
Le grotte di Catullo sorgono in posizione predominante sulla punta della penisola di Sirmione dalla quale dominano l'intero bacino del lago di Garda. L'intera area archeologica ospita al suo interno i resti di una delle più grandiose ville residenziali del nord Italia con annesso un museo e si estende per oltre 2 ettari, circondata da uno storico uliveto che conta oltre 1.500 piante. L'intera zona è suggestiva, ad iniziare dal complesso archeologico sino al parco la cui vista sul lago è davvero mozzafiato. Diciamo pure che in fatto di bellezza il lago di Garda non ha nulla da invidiare ad altri luoghi. La passeggiata che separa le grotte di Catullo dalla piazza dove sorgono le rinomate terme di Acquaria e da cui poi si snodano innumerevoli vicoletti caratteristici è di circa 1km ma in estate è in funzione un simpatico trenino elettrico che regala un tocco folcloristico alle giornate. Trenini e battelli erano sempre stati la passione di Sara per cui la gita a Sirmione si rivelò perfetta, due in un colpo solo!
Cercasi commessa con inglese e tedesco, anche senza esperienza. Dannazione, maledetto il giorno in cui non scelse il tedesco all'università. Non avrebbe mai dato a sua madre la soddisfazione di ammettere che alla fine aveva ragione lei quando ciclicamente le ricordava che il giapponese non si rivelò una scelta molto saggia (tolto ovviamente il tatuaggio che portava sul polso destro con scritto il suo nome in katakana). Non credeva bastasse dire “Hallo, ich heisse Sara” per convincerli che avrebbe potuto rispolverare alla svelta le sue conoscenze linguistiche del liceo. Non era mai stata quella da presentarsi agli esami senza avere studiato. Era piuttosto una di quelle che si presentava agli appelli solo dopo aver studiato attentamente persino l'indice! Figuriamoci se avrebbe finto anche solo una discreta conoscenza del tedesco (che, dopo 3 anni con la professoressa Castelli, realmente aveva) ma quella pecca non la rendeva all'altezza della situazione e non si sarebbe mai messa in gioco se non fosse stato un colpo quasi certo.
Era andata così anche con Paolo.

Il Carlingo

“Ti vedrei bene con un ragazzo come Paolo”.
“Ma finiscila! E perché proprio Paolo?”.
“Perché è un bravo ragazzo, ti tratterebbe bene e non è di quelli che sbavano dietro a culi e tette a tutto spiano”.
“Carlo, basta!”.
I battibecchi tra Sara e il titolare del bar nel quale aveva iniziato a lavorare quasi per scherzo dieci anni prima, per guadagnare qualche soldo durante l'estate della prima superiore, erano all'ordine del giorno ed erano sempre incentrati su tette, culi e trombate. Una sera durante uno degli aperitivi tanto amati da Sara e Vanessa, sua amica del cuore e compagna d'avventure, le due avevano stimato che Carlo fosse riuscito a portare a letto tante donne quante gli abitanti di Arcene (nds un piccolo paese della bassa bergamasca), non certo Milano, ma seppure tante per un uomo sulla cinquantina consumato da un lavoro estenuante e da uno stile di vita tutt'altro che sano e oltretutto non più così attraente com'era da ragazzo, a detta della sua adorata e adorabile madre Rosaria. “Carlo, quand'è che ti trovi una donna e ti sistemi? Tua figlia ha quasi diciotto anni e non ti starà sempre appresso e io, io c'ho un'età, non è che starò sempre bene” gli ripeteva sempre, allo sfinimento. Ma Carlo non era quel tipo d'uomo da “e vissero tutti felici e contenti”, era un ribelle, un uomo che viveva sempre sopra le righe, nato per collezionare scappatelle a destra e sinistra. A Sara Paolo piaceva molto. E non perché Carlo lo reputasse adatto a lei ma perché quel ragazzo la affascinava, aveva un animo buono ed era molto, molto attraente. Sotto quell'aria da orso bruno, imperscrutabile e seriosa, lei sapeva si celasse l'anima di un bambino capace di commuoversi di fronte alla pubblicità della Barilla (vi ricordate la bambina con l'impermeabile giallo sotto la pioggia e quel gattino minuscolo tanto tenero? Dove c'è Barilla, c'è casa).
Nell'arco della sua decennale carriera Sara aveva conosciuto una miriade di ragazzi e buona parte di questi le avevano chiesto di uscire. È risaputo, la figura della barista ha sempre avuto il suo fascino. È altrettanto risaputo, però, che l'avventore medio non ce la fa proprio. NCS: non ci siamo. O addirittura NCSP: non ci siamo proprio. I clienti di un bar si possono facilmente suddividere in categorie ben distinte: prima categoria – il fedelissimo, quello che quando entra non hai bisogno di consultare l'orologio per sapere che ore sono o che puntualmente precedi nell'ordinazione perché gli prepari già il piattino al banco prima che ti ordini il caffè; seconda categoria – il molesto, quello che si piazza al bancone e tenta in ogni modo di attaccare bottone nonostante tu faccia di tutto per evitarne lo sguardo; terza categoria – il saltuario, quello che generalmente rivedi con piacere perché tra un'occasione e l'altra passa solitamente del tempo sufficiente per avere qualcosa da raccontarsi; quarta categoria – il forestiero, quello che si vede lontano un chilometrico che non ha la più pallida idea di dove si trovi e che nove volte su dieci ti chiede un caffè per usufruire del bagno; quinta e ultima categoria – il pezzo d'arredamento, quello che solitamente apre e chiude il bar assieme all'inserviente di turno. A Sara era capitato una sola volta di frequentare un ragazzo conosciuto al bar ma la storia non aveva funzionato e si era quindi ripromessa di non cadere in tentazione una seconda volta. Ovviamente per Carlo la questione era decisamente diversa. Con lui era più facile chiedersi quale donna non avesse portato a letto piuttosto che il contrario.
Carlo era nato e cresciuto nella periferia di Milano, in uno dei quartieri più difficili della città e aveva lasciato gli studi a 13 anni per lavorare come lavapiatti in un ristorante. Da lavapiatti era diventato inserviente, da inserviente cameriere di sala e compiuti 18 anni si era iscritto ad un corso di barman. A vent'anni gestiva già il suo primo locale. A 40 rilevava il Carlingo che all'epoca era un comunissimo e semplicissimo bar di paese ma che Carlo riuscì a trasformare in un locale di tendenza, non tanto per un fattore estetico (anzi, direi decisamente NON per un fattore estetico visto l'arredamento non proprio moderno e di dubbio gusto) quanto per il puro e semplice fattore Carlo. Lui sì che ci sapeva fare, aveva sempre la battuta pronta, sapeva lusingare tanto quanto ammaliare, era sul pezzo e sapeva benissimo come tenersi i clienti. Morale, le donne impazzivano per lui. Carlo aveva una figlia sola, di sedici anni ed era separato dalla madre di sua figlia già da dieci anni. In questi anni (e molto probabilmente anche in quelli precedenti) si era susseguito un numero infinito di donne ma mai nessuna gli era stata accanto per più di una notte consecutiva. Promiscuità e frivolezza erano due doti che Carlo possedeva alla perfezione, soprattutto da sobrio. Da ubriaco non parliamone neanche, ogni cosa era amplificata tanto che spesso e volentieri si rendeva ridicolo e qualche volta addirittura imbarazzante. Per fortuna certi scomodi siparietti erano soliti verificarsi a tarda notte oppure nelle serate pesantemente alcoliche che, a dispetto di quanto si possa reputare probabile, erano un'eccezione piuttosto che la regola. Normalmente la situazione era abbastanza gestibile. O meglio, normalmente Carlo era abbastanza gestibile.
Il Carlingo era una sorta di istituzione per i ragazzi del paese ma anche per quelli dei paesi limitrofi in realtà. E Carlo era molto conosciuto. Si sa come funziona. Se un locale piace, è un attimo che prenda piede e si sparga la voce. Difatti, come si liberò un locale sull'altro lato della via, proprio speculare al Carlingo, Carlo pensò bene di affittarlo e farci dentro un'osteria, o meglio ancora un bistrot (per dirla alla francese).

“Verrai anche tu all'inaugurazione del locale qui di fronte?” chiese Sara, posando la tazzina di caffè e la sambuca con ghiaccio sul tavolo dove Paolo sedeva nell'attesa che lo raggiungessero Gigi, Luca e gli altri.
“Sì, certo. Quand'è che non ricordo?”.
“Venerdì dalle sette in poi. Organizziamo una sorta di apericena e sicuramente Carlo non lesinerà sulle portate quindi ti direi di venire per cena così mangi anche qualcosa”.
“Tranquilla che mangiare è l'ultimo dei miei problemi”.
“Come vuoi, ti aspetto allora!”.
“Contaci!”.
Sara non disse nulla a Carlo sapendo che altrimenti avrebbe fatto di tutto per metterci il suo zampino e combinarne una delle sue. L'ultima cosa che Sara voleva era una relazione programmata e men che meno una relazione sponsorizzata da Carlo, frutto della sua più fervida fantasia. Era palese che Carlo tenesse a Sara quasi come a sua figlia e che di conseguenza desiderasse il meglio per lei ma era pur sempre vero che i suoi modi alquanto bizzarri e curiosi sortivano spesso effetti indesiderati. Meglio fingere di non nutrire affatto alcun interesse per Paolo. Proprio così, fingere.

L'amica del cuore

Vanessa si era trasferita a Bilbao subito dopo la laurea triennale e una volta terminata anche la specialistica, si era iscritta a un master di linguistica spagnola presso l'università dei Paesi Baschi.
Il mezzo flirt che aveva avuto con il suo insegnante di lingua spagnola alla triennale le era valso pure un contatto con l'editore di una rivista spagnola per ragazzine (l'equivalente di Cioè in Spagna per intenderci), il quale l'aveva convinta che avrebbe anche potuto candidarsi come redattrice una volta portato a termine un master degno di questo nome.
Vanessa proveniva da un famiglia benestante e apparteneva a quella categoria di persone dalla vita facile. Mi piace un vestito? Lo compro. Ho visto un paio di scarpe fantastiche in vetrina? Le prendo. Voglio la macchina nuova? Chiedo al papi. Ecco, Sara non avrebbe nemmeno potuto permettersi quella specie di cabina telefonica portatile che ai tempi si osava chiamare cellulare se non fosse stato per gli straordinari sudati al Carlingo.
La differenza di status sociale e la notevole diversità delle rispettive disponibilità economiche non erano mai state un problema tra di loro. Vanessa era una ragazza semplice, umile, onesta e sincera. Non aveva mai fatto pesare nulla a Sara, nemmeno quella volta in cui entrambe dovettero rinunciare alla vacanza dei loro sogni, pianificata in ogni minimo dettaglio da mesi, perché sul più bello Sara dovette scegliere tra la macchina nuova, un'auto di seconda mano d'occasione e una settimana all inclusive in un resort a 4 stelle ad Ibiza. Roba da commettere un “amichicidio”. Fortunatamente per la gioia di entrambe, la vacanza venne solo rimandata perché l'anno successivo recuperarono alla grande e onorarono per bene la versione by night della loro meta, riuscendo a spendere più soldi in extra che di all inclusive.
Vanessa e Sara si erano conosciute sui banchi di scuola, in prima media. Litigarono subito al primo giorno e per un anno intero non si parlarono. A metà del secondo anno, complice una gita scolastica che le vide costrette a sedersi una di fianco all'altra nel viaggio in pullman, divennero inseparabili. Dov'era una, era l'altra. Dopo la scuola, pranzavano a casa dell'una o dell'altra, si dedicavano alle rispettive materie di studio e, per concludere, spettegolavano a destra e sinistra fino all'ora di cena quando il padre dell'una o dell'altra le andava a prendere e le portava a casa. Scelsero entrambe il liceo linguistico e la richiesta di essere messe nella stessa classe venne accolta quindi l'organizzazione della giornata scolastica venne riproposta pari pari, per la gioia delle rispettive madri. L'unica differenza fu che le ragazze erano autonome, dotate di Phantom Malaguti, bianco per l'una e blu per l'altra, così che i padri potessero tirare un sospiro di sollievo.
La scelta dell'università non fu casuale. Sara, dovendosi pagare gli studi dal primo all'ultimo centesimo, optò per la statale di Milano, facoltà di lettere e filosofia, mentre Vanessa non badò a spese e puntò dritto alla Cattolica del Sacro Cuore. Uno dei più grossi rimpianti di Sara del periodo universitario fu quello di aver rinunciato all'Erasmus, scelta all'epoca ponderata ma molto, molto sofferta. Diversò fu per Vanessa che ebbe la fortuna di trascorrere un intero semestre nei Paesi Baschi tanto da innamorarsene e decidere di andarci a vivere. Diciamo pure che non si innamorò solo del luogo ma prese una bella e potentissima cotta per il suo insegnante di spagnolo.

“Credo che il professor Munez abbia truccato i bigliettini per far uscire il mio nome”, Vanessa era molto seria. Erano le nove di un comune lunedì sera e, puntuali come il sole a ferragosto, le due ragazze tenevano fede al proprio appuntamento in Skype.
“Probabilissimo” le fece eco Sara molto sarcasticamente.
“Dico davvero” insistette Vanessa.
“E sti cazzi dove li mettiamo? E poi, scusa, usate ancora i bigliettini come alle medie?”.
“In realtà è successo solo una volta”.
“E non potrebbe essere semplicemente stato un caso fortuito?”.
“Lo definirei un segno del destino”.
“Vanessa, perdonami se ti sbatto in faccia la realtà ma tu hai 25 anni, una laurea specialistica alle spalle, un master ancora da affrontare e vivi a Bilbao in un residence per studenti universitari. Lui ha il doppio dei tuoi anni, è un professore universitario di tutto rispetto, è sposato e vive tra Granada e Milano. A Bilbao ci sta sì e no quattro settimane all'anno. Mi dici in che modo le vostre vite si potrebbero incrociare ulteriormente se non a lezione?” non si può certo dire che Sara non fosse realista.
“Ti dico che c'è qualcosa tra di noi, io lo sento. Sarà il modo in cui mi guarda e il modo in cui mi parla ma ti dico che sicuramente non gli sono indifferente. Lui è attratto da me tanto quanto io lo sono da lui”.
“Ma sì, magari ti reputa una ragazza attraente e gli piaci anche un pochino ma credimi, non pensare che lasci la moglie per mettersi con te. Non illuderti Vanessa, non farti strani film in testa e resta con i piedi ben piantati a terra”.
“E invece no, voglio sognare. Almeno quello puoi concedermelo?”
“Fai come credi ma non venire a piangere da me quando ti renderai conto che questa storia esiste solo nella tua testa”.
“E va bene Miss Realismo, cambiamo argomento adesso. Come va con Paolo? Ti sei finalmente dichiarata?”.
Ok, Vanessa batte Sara dieci a zero. La domanda fu posta in maniera talmente diretta che arrivò dritta dritta in pancia, con un colpo ben assestato. “Scusa???” fu l'unica parola che Sara riuscì a proferire.
“Che c'è? Hai dimenticato l'italiano a suon di ripetizioni d'inglese?” la punzecchiò Vanessa.
“Non essere ridicola, che cazzo di domande mi fai? Si dà il caso mia cara che non ci sia nulla da dichiarare. Paolo è semplicemente un amico, anzi un conoscente direi”.
“Sì certo, raccontalo a qualcun'altra. Credi che non mi sia mai accorta di come lo guardi? Sguardo perso, sognante”.
“Ma smettila, non è assolutamente vero”.
“Sara, tesoro, ti conosco come le mie tasche e credimi, sei cotta a puntino”.
Ok, un conto era fingere con Carlo, tutt'altra storia era fingere con Vanessa, praticamente una partita persa in partenza.
“Addirittura cotta a puntino? Adesso non esagerare. Ammetto di trovarlo interessante”.
“Interessante” le fece eco l'amica.
“Sì, interessante. E attraente”.
“Ok, interessante e attraente. E dimmi un po', quando sarebbe l'ultima volta che ti ho sentito usare questi due aggettivi per una persona di sesso maschile?” continuò a punzecchiarla Vanessa.
“Onestamente non ricordo ed è proprio questo che mi spaventa. Il fatto è che non capisco nemmeno io cosa provo. Di sicuro non posso dire di aver avuto un colpo di fulmine. Conosco Paolo da così tanti anni, più o meno dagli stessi anni che lavoro al Carlingo e sinceramente non l'avevo mai visto con questi occhi. Mi piace, ok lo ammetto ma non so altro”.
“E cosa diavolo d'altro ci sarebbe da sapere?” chiese Vanessa con un tono di voce palesemente alterato.
“Vanessa, per favore, smettila di usare quel tono inquisitorio e cerca di capire almeno tu cosa sto cercando di dirti. Razionalmente parlando, Paolo è il ragazzo perfetto: intelligente, divertente, gentile, simpatico e oltretutto affascinante. Sulla carta è l'uomo da sposare ma l'amore non dovrebbe essere quella sensazione di farfalle nella pancia? Non dovrebbe essere un sentimento così forte da toglierti il respiro?” chiese Sara concitata.
“Quanti romanzi di Rosamunde Pilcher ti sei letta, scusa? Sara, per carità, dai tempo al tempo! Tanto per cominciare potreste uscire a cena oppure andare a bervi un aperitivo e magari fare due parole che non siano strettamente inerenti alla consumazione da servirgli oppure alle solite domande di circostanza quando vi vedete da Carlo” rispose Vanessa con tutta la naturalezza del mondo.
“Forse hai ragione tu” replicò Sara con poca convinzione.
“Certo che ho ragione io! E poi, cara la mia Sara, ti ricordo che non è tutto oro quel che luccica e che anche i colpi di fulmine possono rivelarsi un totale fallimento. Questo dovresti averlo imparato, o sbaglio?” la incalzò Vanessa con molta enfasi.
Di nuovo, uno a zero per Vanessa. Colpita e affondata.
Il famoso colpo di fulmine a cui Vanessa accennava si chiamava Francesco, era un ragazzo di qualche anno più giovane di Sara che frequentò il Carlingo assiduamente per diversi mesi negli ultimi due anni. Con Francesco Sara non ebbe un colpo di fulmine qualunque, ne restò letteralmente folgorata. Un bel giorno d'estate, nel bel mezzo del suo turno pomeridiano al Carlingo, Sara era tutta intenta a rassettare per bene il bancone quando sentì il suono vagamente famigliare delle campanelle appese sulla porta del bar e sollevò lo sguardo di scatto. TA DA, eccolo lì, bello da togliere il fiato: un ragazzo poco più che ventenne, con gli occhi verdi come l'acqua cristallina del mare, la pelle leggermente abbronzata e un fisico da paura. Morta, stramazzata al suolo. Francesco si accorse subito dell'effetto che aveva suscitato su Sara e iniziò subito a provocarla e a corteggiarla. Ci vollero due mesi prima che Sara cedette e lo baciò ma da quel bacio nacque una storia tormentata che durò poco più di un anno. Un anno di alti e bassi pazzeschi, di risate e di pianti, di baci appassionati e di liti furibonde, finché Francesco un bel giorno non si innamorò di una pseudo amica di Sara, la classica “amica dell'amica” e sparì dalla circolazione. Con il senno di poi fu una liberazione ma le lacrime che versò Sara per lui avrebbero fatto esondare persino il Po.
Ok, no. Di sicuro Paolo non era tutto questo ma la cosa anziché rasserenare Sara, la turbava e il motivo non le era chiaro. Forse aveva ragione Vanessa e forse era solo una questione di tempo.
“Ti prego, non voglio parlare di Francesco. Non merita nemmeno di essere nominato. Piuttosto dimmi un po', a che ora atterri venerdì? Sai che c'è l'inaugurazione, vero?”.
“Se lo so? Certo che sì, come potrei dimenticarlo? Ho anticipato il volo apposta per quello! Atterro alle 11 del mattino”.
“Tranquilla, stavo scherzando. Non sarebbe la stessa cosa senza di te”.
“Cuoriciona, non mancherei per nulla al mondo! Ci vediamo venerdì, buonanotte”.
“Ok, a venerdì, buonanotte anche a te”.
L'amicizia che legava le due ragazze era un sentimento autentico, mai dato per scontato e coltivato negli anni. Per quanto non potessero più frequentarsi assiduamente come una volta, l'appuntamento fisso in Skype e gli sms che regolarmente si scambiavano le tenevano unite nonostante la distanza che oramai le separava.
Chissà se Vanessa avesse ragione. Certo, è facile giudicare se non ci sei dentro ma è anche vero che se ci sei dentro non sei obiettivo e certe cose non le vedi oppure fai finta di non vederle, pensò. E con la testa invasa da mille pensieri, come un automa Sara spense il computer, si mise il pigiama, si lavò i denti e si infilò nel letto.

Galeotta fu l'inaugurazione

Quando arrivò il giorno della fatidica inaugurazione, al Carlingo si iniziò a respirare aria di festa già di prima mattina. Carlo trafficava e spadellava in cucina come se non ci fosse un domani tanto che sua madre Rosaria quasi non gli stava dietro a lavar le pentole. Una cosa era certa, ci sarebbe stato cibo a sufficienza per sfamare un intero continente, forse due.
Il locale, che si trovava esattamente sull'altro lato della strada, avrebbe aperto al pubblico verso le ore 18 con un buffet di piatti caldi e freddi e consumazioni gratuite al tavolo. Al Carlingo sarebbe rimasta Olga fino alla chiusura, che ad ogni modo venne anticipata di qualche ora per l'occasione, mentre Carlo avrebbe presidiato l'inaugurazione con il valido aiuto di Sara in sala e con il supporto di Vanessa che avrebbe servito ai tavoli e sparecchiato. Questa cosa succedeva tutti gli anni alla vigilia di Natale e all'ultimo giorno dell'anno perché tra un calice e l'altro, pur di trascorrere la serata con l'amica del cuore, Vanessa si improvvisava barista e considerato il numero di aperitivi che le due ragazze regolarmente consumavano durante il servizio, possiamo tranquillamente affermare che in quanto a sobrietà e serietà in quelle occasioni Carlo non chiudeva soltanto un occhio ma li chiudeva entrambi.
Prima ancora di spalancare la porta d'ingresso e dichiarare ufficialmente aperti i battenti, i primi avventori – categoria fedelissimi – avevano già preso il proprio posto a sedere (non sia mai di dover stare in piedi). E per quanto Facebook e Instagram non fossero ancora di moda all'epoca, il buon vecchio passaparola fece comunque il suo dovere e ben presto il locale si riempì di gente, clienti del Carlingo e non.
Lungi dall'assomigliare a un canonico ristorante di paese, il Balengo era proprio un'osteria fatta e finita. Sembrava quasi una di quelle taverne svedesi a cui accedi percorrendo una serie di gradini, con mattoni e pietre a vista, tavoloni di legno grezzo e brocche di ceramica appese alle pareti. Di fatto l'arredamento era molto simile, alternando il legno alla pietra ovvero quanto di più lontano possibile dal gusto moderno e freddo dei locali modaioli che aprivano e chiudevano in men che non si dica negli ultimi anni. Dalla porta d'ingresso si accedeva a un unico grande salone con una quarantina di posti a sedere e in fondo al salone una grossa vetrata si affacciava direttamente sul piccolo giardinetto arredato con qualche tavolino di ferro battuto e una decina di sedie perfettamente abbinate. Sulla destra un bagno e sulla sinistra una cucina ottimamente attrezzata completavano la struttura, abilmente ricavata da un vecchio centro estetico. Vien da sé che Carlo non prese mezza decisione in fatto di arredamento (visto il pessimo gusto che era lì da vedere al Carlingo) ma si affidò a un disegnatore d'interni suo amico nonché cliente abituale del bar.
In queste occasioni i convenevoli si sprecavano proprio e così le frasi fatte, i mezzi sorrisi e le classiche conversazioni di circostanza.
“Buonasera e ben arrivati, cosa posso offrirvi? Mi raccomando, non fate complimenti”. Come se ci fosse il bisogno di dirlo.
“Ciao ragazzi, grazie di esser venuti. Bevete qualcosa?”. Ovvio, che domanda.
“Ma ciao, che sorpresa! Non pensavo ce l'avreste fatta”. E ti pareva, chi mai avrebbe rinunciato a uno scrocco di cibo e alcol di questa portata? La mano di Carlo era ben nota, se c'era uno che amava gli eccessi quello era lui!
A metà serata Sara intravide Paolo e gli altri e li raggiunse per una sigaretta mentre Vanessa circolava tra i tavoli tenendo sotto controllo la situazione al posto dell'amica.
“Allora, ti piace il locale?” chiese Sara per attaccare bottone.
“Decisamente. È davvero molto bello, stavolta Carlo si è superato!” rispose Paolo con un sorriso a trentadue denti.
“Concordo, il Milani ha fatto un ottimo lavoro”.
“Addirittura Marco Milani, Carlo non ha badato a spese proprio”.
“E meno male, io gli farei dare una sistematina anche al Carlingo”.
“Ma il Carlingo è bello di suo, non ha bisogno di ristrutturazione” la punzecchiò Paolo.
“Sono costretta a dissentire, puoi dire tutto del Carlingo ma non che sia bello” e scoppiarono entrambi in una sonora risata.
“Ma dimmi un po', chi gestirà il Balengo?” chiese Paolo visibilmente incuriosito.
“In teoria Carlo, in pratica non ho la più pallida idea di come possa pensare di gestire due locali da solo”.
“Ma infatti, assumerà qualcuno quindi?”.
“Dubito, inizialmente si arrangeranno Carlo e Olga anche perché in settimana sia io che Gaia riusciamo comunque a fare qualche ora al bar e nel weekend come ben sai, siamo in metà di mille!” spiegò Sara con convinzione.
Olga era una ragazza ucraina molto carina che lavorava ormai da qualche anno al Carlingo ma, a differenza di tutte le altre bariste storiche, non frequentava l'università ed era quindi assunta a tempo pieno. Gaia, laureanda in scienza naturali, era arruolata da un paio di anni.
In quel momento il telefono di Sara iniziò a squillare, “Scusa un attimo Paolo.. Pronto, sì, ciao! Perché non sei passato? Ah ok, capisco, va bene. Sì, sì, per carità! Meglio che faccia io la spesa perché se lascio fare a voi chissà cosa comprate! Dai, va bene, ci sentiamo domani. Ok, ciao.. Scusa, era mio fratello. Il prossimo weekend andiamo all'Heineken Jammin Festival” raccontò Sara.
“Bella storia! Ma dai, volevo andarci anch'io!” replicò Paolo con enfasi.
“Davvero? Vieni se vuoi, fai ancora in tempo ad aggregarti, siamo già un bel gruppetto” aggiunse Sara con decisione.
E fu con quella scusa che a fine serata si scambiarono i numeri di telefono. In realtà, come le confessò poi, a Paolo non importava affatto dell'HJF e difatti non ci andò ma fu la scusa perfetta per chiamarla mentre lei era via.
Per dovere di cronaca, ci volle la bellezza di una settimana per smaltire 3 giorni in tenda fatti di sola musica, scomodità totale e tanto alcol. Il lunedì successivo al suo rientro, Sara prese il telefono e messaggiò Paolo: Ti va un aperitivo giovedì?
La risposta fu immediata: Perfetto, passo a prenderti alle 7.

Se ne andò per sempre

Quel giovedì Paolo non passò né alle 7 né mai e non rispose neanche alle telefonate di Sara che, prima incazzata poi preoccupata, cessarono al quarto tentativo. Il giorno dopo scoprì che la sera precedente Gigi, il miglior amico di Paolo, aveva avuto un incidente in moto e che lui era corso in ospedale per sentirgli dire un'ultima volta “Ti voglio bene merda” (terminologia spiccia che i ragazzi erano soliti usare tra di loro) prima di chiudere gli occhi per sempre.

La chiesa era gremita, non c'era posto a sedere neanche sulle ultime panche in fondo contro le vetrate, prese in prestito dal bar dell'oratorio per accogliere tutte le persone che ci si aspettava avrebbero partecipato al funerale. Carlo, che era noto non chiudesse il bar neanche il giorno di Natale, non alzò nemmeno la saracinesca quel giorno. Gigi era come un figlio per lui e così Paolo, Luca e Roby, quei ragazzi che chiudevano sempre con lui a suon di sambuca e di partite a carte. Una sera, per onorare una scommessa persa, il quartetto delle meraviglie partì correndo dall'ingresso del bar e si diresse all'incrocio distante una cinquantina di metri, completamente nudi e totalmente sbronzi. Gigi era il saggio del gruppo, il più grande e il più stronzo a volte, ma era il migliore amico di Paolo, fidato compagno di vita (nel senso più ampio del termine) con il quale Paolo aveva condiviso tutto dal primo giorno di scuola alla prima partita di calcio, dalla prima sbronza all'esame di scuola guida, dalla maturità alla laurea e via ancora con una lista infinita. Gigi era morto e con lui una parte di Paolo se ne era andata per sempre.
“Posso?” chiese Sara timidamente, notando la sedia vuota accanto a Paolo.
“Certo, l'ho tenuta per te”.
“Ti ringrazio” furono le uniche due parole che Sara riuscì a dire per tutta la durata della cerimonia funebre.
Le lacrime scendevano copiose sulle guance di Paolo e bagnavano le mani di Sara che gli accarezzavano le gambe e che lei ritrasse solo quando fu il momento di andare all'altare per leggere l'ultimo caloroso saluto che il Carlingo volle fare a Gigi. “Ciao Gigi, speriamo tu possa sentirci ovunque tu sia. Non riusciamo ancora a credere che tu te ne sia andato. Il tuo ricordo resterà vivo dentro ognuno di noi e ci darà la forza per andare avanti e per colmare il vuoto che hai lasciato. Sarà dura non vederti più sorridere e non sentire più la tua voce. Ci mancheranno i tuoi aneddoti e i tuoi racconti coloriti, quante ne combinavi! Eri una persona meravigliosa, di una lealtà rara e non sarà facile fare a meno di te. Manchi adesso e mancherai per sempre. Non ti dimenticheremo mai. Firmato gli amici del Carlingo”. Un applauso risuonò in tutta la chiesa mentre il prete benediva la bara e Rita vi poggiava la rosa che Gigi le aveva regalato per il loro primo anniversario di nozze la sera prima dell'incidente.
“Mi dispiace per il nostro aperitivo” disse Paolo mentre uscivano dal cimitero camminando a testa bassa nella ghiaia, con indosso gli occhiali da sole Rayban preferiti di Gigi.
“Figurati, non pensarci neanche per scherzo” replicò subito Sara.
Paolo era distrutto, dilaniato dal dolore. La perdita di Gigi era una sofferenza troppo grande da accettare e solo il tempo avrebbe potuto curare una ferita di questa entità. Sara non l'aveva mai visto così e avrebbe voluto poter fare qualcosa per lui ma sapeva che Paolo non glielo avrebbe permesso, non avrebbe mai dato libero sfogo alle sue emozioni con lei che, fino a prova contraria, per lui non era nessuno o meglio, non era altro che la barista del locale che lui frequentava con i suoi amici.

Quattro settimane dopo

Nessuno di loro mise più piede al Carlingo per settimane, che a Sara parvero anni. Il locale era spento senza il vociferare di quei ragazzi che ne avevano fatto la loro seconda casa dal giorno stesso della sua apertura quando Sara era poco più che un'adolescente e non sapeva nemmeno cosa fosse una sbronza prima di conoscerli.
“Ciao Sara”.
Quando Sara alzò gli occhi dal cassetto dei succhi sotto al bancone, Paolo se ne stava dall'altra parte e la guardava con degli occhi che celavano a stento il palese interesse verso quella ragazza così bella, brillante e piena di vita, tanto da renderla una delle ragazze più desiderate del bar.
“Ehi ciao!” rispose lei, sforzandosi di non dire come stai.
“Come stai?” fu lui a chiederlo.
“Abbastanza bene, dai. Ho un colloquio di lavoro domani e sono un po' tesa, sai com'è!”.
“Un colloquio di lavoro il 31 luglio? Che strano!”.
“Sì infatti, anche a me è sembrato strano ma è così”.
“E dove?”.
“A Caravaggio, è una scuola di lingue che cerca una figura nuova come insegnante e traduttrice”.
“Il tuo! Sei contenta?”.
“Molto! Anche se non so bene cosa aspettarmi. È il primo colloquio della mia vita, se non contiamo quello con Carlo” disse sorridendo.
“Quello sì che sarà stato terribile!”.
“Non puoi capire, Carlo era più preoccupato del fatto che non avessi un décolleté molto generoso piuttosto che non avessi mai servito ai tavoli in vita mia!”.
Risero entrambi di gusto quando Carlo spuntò dalla cucina, “Paolino!” gli gridò andandogli incontro ed abbracciandolo. Paolo cacciò indietro le lacrime che a forza restarono lì, probabilmente esauste anch'esse di rigargli il viso come puntualmente accadeva ogni singola mattina quando si recava al cimitero per salutare Gigi prima di andare al lavoro. “Sono felice di vederti. Dai Sara, apri una bella bottiglia di Valdobbiadene e versa tre bicchieri” proseguì Carlo.
“Ma tu non bevi il bianco!”.
“Ah già, hai ragione. Allora versane due, io ho il mio rosso di là che mi aspetta”.
“Non ti avrei riconosciuto altrimenti” sorrise Paolo.
Dopo una mezzoretta arrivò Luca e Sara gli versò un bicchiere di prosecco non appena anche lui raggiunse il bancone.
“Ciao scemo” esordì Paolo.
“Ciao pirla” rispose prontamente Luca e aggiunse “Sara”.
“Ciao Luca, tieni” disse Sara porgendogli il bicchiere.
Luca ringraziò e ne bevve un sorso. Poco dopo i due ragazzi presero i loro bicchieri e si accomodarono all'esterno. Era quasi agosto ma era una di quelle estati anomale, l'aria non era eccessivamente calda e quel filo di vento rendeva il clima gradevole anche nel giardinetto sul retro del bar. La sedia di Gigi era lì, al suo posto, ma nessuno dei due aveva osato sedervisi sopra. Paolo stava parlando con Luca, gesticolando come al solito, ma ogni volta che Sara gli passava accanto si bloccava e la fissava.
“Falling in love ci sei?” Luca non si sforzò di abbassare la voce ma Sara fece finta di non sentire.
“Cazzo dici, pirla” lo ammonì Paolo.
“Cazzo vuoi? Andiamo, dai. Rita ci aspetta per le otto”.
Paolo si diresse verso la cassa, “Quanto ti devo Sara?”.
Sara cercò il taccuino e fece per premere la cifra sul registratore di cassa quando Carlo sbucò dalla cucina “Lascia, offre la casa”.
“Grazie Carlo, a buon rendere!”.
Sara ruppe l'imbarazzo che solo lei e Paolo potevano percepire chiedendo “Cosa fate di bello stasera?”.
“Andiamo a cena da Rita, Gigi avrebbe compiuto 35 anni oggi”.
“Salutamela tanto e dille di chiamarmi quando vuole, se le fa piacere”.
“Glielo dirò, ciao bella”.
“Ciao Paolo, buona serata”.

Rita

Rita era una bella ragazza, un po' paffutella forse, ma aveva uno splendido viso, dolce e luminoso, con un caschetto biondo impeccabile a fargli da cornice. Lavorava come commessa da Zara a Milano e si era da poco laureata in Economia e Commercio alla Bicocca. Aveva appena compiuto 26 anni, un anno in più di Sara. Avevano frequentato lo stesso liceo, ma in due sezioni diverse. Rita aveva conosciuto Gigi all'associazione per disabili dove lei prestava volontariato e lui faceva il servizio civile. Nonostante all'inizio lei lo odiasse per i suoi modi a dir poco burberi, alla fine lui l'aveva conquistata a suon di battute e frecciatine. Si erano sposati dopo 5 anni di fidanzamento senza convivenza (Rita ne era totalmente contraria) con una cerimonia religiosa in chiesa a Treviglio e un banchetto nuziale in grande stile sul lago di Garda.
Quel giorno Rita era bellissima, radiosa come non mai.
“Chissà se sarò anch'io così quel giorno” aveva pensato Sara quando l'aveva vista fare il suo ingresso in chiesa sotto braccio al padre, il professor Lumini, temutissimo insegnante di matematica presso la stessa scuola superiore che avevano frequentato Gigi e Luca, ai tempi, nonché Rita e Sara, poco più di recente.
Paolo, Luca e gli altri avevano preparato un letto di rose (un letto vero e proprio, con tanto di lenzuola, cuscini, copriletto e federe!) con petali di rose rosse e bianche sul sagrato della chiesa e avevano letteralmente costretto i novelli sposi a sdraiarvisi sopra dopo la cerimonia, sotto gli occhi visibilmente imbarazzati dei genitori e dei parenti di entrambi.
Sara non aveva fatto che ridere per tutta la durata del dopo cerimonia fino all'arrivo del pullman che aveva caricato tutti gli invitati, sposi compresi, in direzione Riva del Garda dove avrebbe avuto luogo il banchetto nuziale e da cui lo stesso pullman li avrebbe prelevati nuovamente tutti quanti, sposi compresi, alle 3 del mattino seguente.

“Ciao ragazzi” disse Rita facendoli entrare e accomodare in salotto. La casa di Rita era piccola ma ben curata. All'ingresso, superato un antico scrittoio color crema (dono nuziale della zia di Gigi) e un bellissimo bonsai gigante, un arco rivestito in pietra conduceva nell'ampio salotto dove si trovavano un divanetto a due posti rosa corallo, un tavolino anticato color crema (chiaramente abbinato allo scrittoio dell'ingresso), una poltrona morbida in pelle nera con le cuciture gialle e un mobiletto giallo zafferano sul quale poggiava un televisore piatto da 42 pollici di ultimissima generazione (dono nuziale dei ragazzi). A suddividere la zona giorno dall'angolo cottura era un tavolo nero firmato Ikea che allungato teneva 6 posti a sedere. Speculare al salotto, una camera matrimoniale e un piccolo bagnetto con lavello, sanitari sospesi e doccia completavano il grazioso appartamento al secondo piano di un edificio di nuova costruzione appena fuori dal centro. Sul tavolino anticato color crema del soggiorno, un vassoio pieno zeppo di taralli, olive, tartine al salmone, crostini alla crema di tonno, patatine, una bottiglia di prosecco e qualche bicchiere annunciava che di lì a poco ci sarebbe stato un aperitivo e il profumo di pesce che proveniva dalla cucina lasciava intendere che quella sera Rita aveva cucinato il piatto preferito di Gigi – orate gratinate al forno con pomodorini e purea di patate.
Approfittando della momentanea assenza di Rita, che aveva ricevuto in quello stesso istante una chiamata da un numero sconosciuto, Luca chiese a Paolo “Credi che il quarto bicchiere sia per Gigi?”.
“Spero di no! Povera Rita, non vorrei mai che viva ancora con la malsana idea che prima o poi ritorni. Gigi non c'è più e non c'è nulla al mondo che lo possa riportare in vita” tuonò Paolo perentorio. Nel bene o nel male Paolo era una persona pragmatica, una di quelle persone che riescono perfettamente a scindere i momenti seri da quelli più leggeri. Tanto gli piaceva ridere e scherzare quanto non tollerava lo scherzo nei momenti più difficili e con questa risposta zittì Luca all'istante.
“Ok, era Roby. Tanto per cambiare, farà tardi. Mi ha chiamato con il numero di un tale che suonerà con lui domani al Crystal perché ha dimenticato a casa il cellulare. È già tanto che si sia ricordato il mio numero!” disse Rita tornando in soggiorno.
“Beh, una serie di 33 e 44 alternati non è poi tanto difficile da imparare” esclamò Luca.
“Vero, ma stiamo pur sempre parlando di Roby!”.
“Ah già, hai ragione anche tu!”.
“Dai ragazzi, iniziamo” disse infine Rita passando i bicchieri ai suoi ospiti.
“A Gigi” dissero all'unisono e gli occhi di tutti e tre si riempirono di lacrime ma nessuno pianse.
“Andrete al Crystal più tardi?” chiese Rita.
“Non credo proprio. Domani lavoro tutto il giorno e la sera penso di fermarmi a Milano da Serena” rispose prontamente Luca.
“Come sta Sere?” continuò Rita.
“Bene, grazie. Ti saluta e si scusa ancora per stasera ma suo nonno è stato ricoverato ieri per un malore e stanotte è il suo turno di veglia”.
“Sì, sì, me l'ha detto. L'ho sentita poco prima che arrivaste. Siete stati da Carlo?”.
“Ah sì, ti saluta Sara” rispose Paolo.
“Grazie, devo chiamarla. È stata così carina al funerale di Gigi”.
“Sì, mi ha detto infatti di ricordarti di chiamarla se ti va di fare due chiacchiere”.
“Lo farò, sicuramente. Ma non è che tra te e lei...?” Rita non finì la frase ma subito aggiunse “Lo sapevo! Lo sapevo! Ti piace, vero? Sei diventato rosso come un pomodoro!”.
Ovviamente Luca non poté non intromettersi “Falling in love hai le spalle al muro ormai, confessa!”.
“Smettetela tutti e due e finitela di sparare cazzate. È solo un'amica!”.
“Sì, sì, certo. Si dice così adesso.. oddio il pesce! Scusate ragazzi, devo correre prima di bruciare tutto!”. Rita si fiondò in cucina e per fortuna arrivò in tempo.. la cena era salva.
Roby arrivò verso le 10 con un vassoio di pasticcini freschi di Vittorio – un classico, Roby dava un grosso contributo all'economia della pasticceria di suo zio – e li trovò con le lacrime agli occhi. Questa volta, però, piangevano tutti e tre dal ridere. Luca aveva dato libero sfogo alla sua arte oratoria e raccontava aneddoti su aneddoti della loro adolescenza con Gigi. Paolo parlava poco e Rita non fece domande. Sapeva che la morte di Gigi era tanto dolorosa per lui quanto lo fosse per lei stessa. Presto fu mezzanotte e i ragazzi salutarono una Rita un po' assonata e un po' sbronza con la promessa di rivedersi presto.

Il colloquio

Come aprì gli occhi quella mattina, il telefono di Sara squillò.
Bip bip, nuovo messaggio da Rita. “Ciao Sara, hai da fare oggi? Ti va un aperitivo alle 7?”
Un aperitivo non si nega mai a nessuno, fu il primo pensiero di Sara. Nemmeno di lunedì. “Ciao Rita, certo che sì! Ci vediamo da Carlo. A dopo”.
Per quanto ci passasse già il doppio del tempo che passava in casa propria, Sara non concepiva minimamente l'idea di bersi un aperitivo o anche solo un caffè altrove. Il Carlingo era casa sua, lo sentiva suo. Girava tra i tavoli, dietro il bancone e in cucina con una naturalezza tale da farla sembrare veramente la proprietaria. Ad ogni modo, la giornata era appena iniziata ed era finalmente giunta l'ora di sostenere il fatidico colloquio.
Alle 10, come previsto, si presentò all'indirizzo indicato nell'annuncio e suonò il campanello con determinazione. Vide il suo riflesso nella porta a vetri dell'ingresso e pensò di aver scelto l'outfit perfetto. Indossava un paio di pantaloni neri di taglio maschile, con due taschine sul sedere e due tasche oblique laterali all'altezza della coscia, una maglia bianca di cotone morbido, un paio di tronchetti marroni tacco 5 abbinati ad una borsa a bauletto di Michael Kors (preziosissimo regalo di laurea dei suoi genitori) e uno spolverino nero. Dopo un paio di minuti sentì la porta aprirsi. “Luca Blasi, piacere di conoscerti!”. Il titolare della scuola di lingue la accolse con un caloroso abbraccio, manco fossero cugini e le offrì subito un caffè. “Nespresso, velluto. È il migliore, fidati!” le disse convinto. Era un uomo di mezza statura, un bell'uomo e indossava un completo grigio, giacca e pantaloni, con una camicia azzurra senza cravatta. Sara non riusciva a dargli un'età, sembrava quasi un ragazzino ma le rughe intorno al viso lasciavano intendere potesse avere su per giù una quarantina d'anni.
“Allora, per quale motivo hai inviato il curriculum?” la incalzò Blasi.
“Perché mi piacerebbe molto fare traduzioni e insegnare inglese, anche se non l'ho mai fatto”.
“Proprio mai?”.
“Direi di no, ho sempre dato ripetizioni fin da quando ero ancora al liceo e per qualche anno ho insegnato italiano per stranieri presso un'associazione di volontariato in un paese qui vicino. Onestamente insegnare non mi dispiace e credo mi riesca anche abbastanza bene tutto sommato ma, se devo essere sincera, tradurre mi piace ancora di più anche se al di fuori dei corsi all'università non l'ho mai fatto”.
“Da qualche parte bisogna pur iniziare!”.
“Sono d'accordo con Lei!”.
“Bene Sara. Sara, giusto?”.
“Sì, Sara, corretto”.
Il signor Blasi si alzò e la accompagnò alla porta. “Sara, è stato un piacere conoscerti. Ci sentiamo presto e grazie per la chiacchierata”.
Sara lo fissò incredula, nel tentativo di leggergli la mente perché le pareva di essere appena entrata eppure era già sulla porta un'altra volta. “Che velocità, grazie a Lei. Arrivederci e buona giornata”.
“Mi definisco una persona pratica e concreta, mettiamola così. Buona giornata a te, ciao!”.
La porta si chiuse e Sara rivide la sua immagine riflessa. Erano passati sì e no dieci minuti di orologio, compreso il caffè e i convenevoli di benvenuto. Tutto qui? Ma dico, tutto qui? E il colloquio in lingua? E il mio percorso di studi? Possibile che non gliene freghi niente di sapere cosa ho studiato e cosa ho fatto nella mia vita finora?. Sara era un turbine di pensieri. Come primo colloquio di lavoro, si sarebbe aspettata di dover parlare quantomeno in inglese. Come diavolo avrebbe fatto quel tizio a capire se lei l'inglese lo parlasse davvero? E se avesse semplicemente mentito spudoratamente e fosse un'emerita capra in materia? Avrà fatto delle ricerche? Magari è un amico dell'amico del conoscente del vicino di casa di mia madre, pensò.
Tornando a casa, si ricordò che dopo pranzo avrebbe dovuto dare ripetizioni a Camilla e avendo appuntamento con Rita per le 7, non le restava molto tempo da dedicare alla traduzione che il suo vecchio professore di liceo le aveva commissionato. Non che le dispiacesse l'idea ma la consegna del mese successivo era sempre più vicina e tra ripetizioni e turni al bar, sarebbe stato meglio mettersi sotto seriamente. A pranzo raccontò ai suoi genitori del colloquio. “In realtà non c'è molto da raccontare” esordì e in un minuto d'orologio aveva già finito.
Camilla arrivò puntuale con il suo libro di grammatica inglese e un post-it che spuntava dalla pagina 57, la forma di durata. Come sempre, Sara avrebbe sconfitto questo demone malefico che arrecava angoscia e panico in ogni singolo studente che le fosse passato davanti in tutti quegli anni di onorata carriera da “ripetizionista”. La prima volta che aveva accettato un impiego simile aveva sì e no 13 anni e frequentava ancora la terza media. All'epoca il Carlingo esisteva già e ci lavorava una ragazza la cui sorella aveva una figlia alle scuole elementari. Per il solito giro di conoscenze tra suo padre e Carlo, Sara iniziò a seguire questa ragazzina per aiutarla a fare i compiti ben tre volte a settimana e dalla seconda elementare la portò fino alla quinta con grandissima soddisfazione da parte di entrambe. Sconfitto il demone, come previsto, Sara salutò Camilla e le diede appuntamento alla settimana successiva, stesso giorno stessa ora.

Rita era già seduta al tavolo e chiacchierava con Carlo quando Sara arrivò. Questa volta aveva scelto un outfit classico e indossava un paio di jeans bianchi infilati nei suoi stivaletti marroni preferiti e un maglioncino giallo con scollo a V. Piastrata e leggermente truccata, non passava di certo inosservata. Negli anni il suo decolleté era decisamente migliorato e Carlo non perdeva occasione per farglielo notare, come puntualmente accadde quella sera appena si mise a sedere.
“Oh Carlo, finiscila dai! Stai sempre a parlare di tette. C'è altro nella vita, sai? E poi potresti benissimo essere mio zio!”.
“Tuo zio ‘sto paio di maroni!” rispose prontamente Carlo lasciando le ragazze al loro aperitivo.
“Carlo!!” lo rimproverò subito Sara.
Erano alle solite. Rita ci era abituata ormai, non che lei fosse esente dalle battute di Carlo ma stavolta non rise. Era piuttosto seria e decise di andare dritta al sodo, “Sara devo dirti una cosa”.
“Qualunque cosa tu debba dirmi, prima ordiniamo che ho una sete pazzesca!” replicò Sara tempestivamente, cercando Olga con lo sguardo.
Rita non aspettò, “Sono incinta”.
“Cosa cosa cosa? Incinta? Di Gigi?”.
“E di chi sennò?”.
“Olga! Portaci subito due negroni sbagliati per favore!” tuonò Sara in preda a un misto di panico, euforia, entusiasmo e incredulità!
“No Olga, per me fai un crodino. Non ho voglia di sbagliato oggi” la corresse subito Rita.
“Oddio scusa, ho ordinato senza riflettere!” aggiunse subito Sara e continuò, “Rita, è una notizia bellissima. Gigi sarà sempre con te adesso”.
“Sì ma non potrà mai sapere che aspettiamo un bambino e questa creatura non conoscerà mai suo padre”. Le lacrime scendevano copiose sulle guance di Rita che, senza perdere tempo, iniziò a strofinarsi gli indici dall'incavo degli occhi verso gli zigomi decisa più che mai a fermarle.
“Lo conoscerà attraverso te, andrà tutto bene cara” l'abbracciò Sara sporgendosi oltre il tavolo.
“Ti sembrerà strano che te ne parli. Anzi, sei l'unica persona a cui l'ho detto” continuò Rita tamponandosi gli occhi con un fazzolettino.
“Che onore! Ti ringrazio”.
“Devo ancora dirlo ai miei, ai genitori di Gigi, ai ragazzi e anche alle mie amiche”.
“E quando pensi di farlo?”.
“Non c'ho ancora pensato, sai. L'ho scoperto solo stamattina. Ero in ritardo di una settimana e ho deciso di fare il test per togliermi il dubbio dato che non avevo il benché minimo sospetto che potessi essere incinta! E invece, eccomi qua, una ventiseienne neolaureata con un lavoro precario, vedova e pure incinta!” disse Rita in un crescendo di agitazione mista a sconforto.
“E invece eccoti qua, giovane e bella come il sole, forte come non avresti mai immaginato di poter essere e circondata dall'affetto e dal sostegno di due famiglie e di una cerchia infinita di amici che saranno felicissimi di diventare zii e che si faranno in quattro per aiutarti!” replicò Sara che aveva sempre fatto dell'ottimismo più sfrenato la sua filosofia di vita.
“Grazie Sara, come ci riesci tu a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, non ci riesce nessuno! E scusami tanto se mi sono voluta sfogare con te ma sei la prima persona che mi è venuta in mente appena l'ho saputo stamattina. Non ti so spiegare perché, forse perché non essendo così coinvolta come tutti gli altri sei l'unica persona in grado di avere una visione molto più neutrale e sincera dell'intera questione”.
“Rita, sono onorata! E a proposito di bicchieri mezzi pieni, il mio è vuoto! Facciamo il secondo giro?”. Olga si avvicinò al tavolo e Sara ordinò uno spritz mentre Rita optò per un altro aperitivo analcolico, stavolta della casa.
“Sai qual è la notizia peggiore in tutto ciò?” Rita riprese a parlare.
Sara era tutta orecchi. “Mmm, spara!”.
“Che non potrò più bere per almeno nove mesi!” e scoppiarono entrambe a ridere.

Laura Donghi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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