Il rumore della prua che fendeva il mare, quello delle corde che trattenevano le vele sospinte dal vento, gli spruzzi delle onde che mi bagnavano il viso e il loro sapore salmastro. Ritto sulla prua, cercavo di scorgere la mia terra. Il forte vento di quella sera, che aveva sgomberato parzialmente il cielo dalle nubi scoprendo la luna, avvicinava l'imbarcazione alla costa. Non si poteva fare a meno di contemplare la bellezza delle Alpi Apuane che, illuminate dal riflesso lunare, si stagliavano all'orizzonte catturandone la luce e facendole brillare quasi di luce propria, esaltando il bianco marmo delle sue vette. La luce di un fuoco ardente segnalava la presenza di un faro. L'approdo alla città della Luna. Città antica, ricca di storie affascinati. Il suo nome, prima dedicato a Iside, successivamente a Selene, fu definitivamente accostato alla dea Luna dagli antichi romani. Una dea dalla carnagione bianca come la stessa città costruita col marmo delle cime dei monti che la circondavano. Sentivo il cuore battere forte nel mio petto mentre mi avvicinavo all'approdo. Mancavo dalla città da oltre 15 anni. I miei commerci mi avevano portato a viaggiare in Oriente. Avevo visto le piramidi dei faraoni, il grande deserto africano, il Santo Sepolcro, conosciuto diverse civiltà, usi, tradizioni, leggende... ma il ritorno a casa mi stava dando l'emozione più forte. Ecco ci stiamo avvicinando alla banchina, presto attraccheremo, devo controllare il mio bagaglio, disporre perché venga scaricato con cura e cercare un aiuto per portarlo alla mia casa, dalla mia famiglia. Chissà cosa sarà accaduto durante la mia assenza, come saranno cambiati i volti delle persone a me care. Mentre ero assorto in questi pensieri, la nave iniziava le operazioni di attracco. Le solide mura della città, con torri di guardia illuminate dai bracieri che riscaldavano le sentinelle, erano circondate da un profondo fossato. Delle guardie si avvicinarono all'imbarcazione per controllare la nostra provenienza, il carico e i passeggeri. Salirono a bordo. Il comandante si avviò verso di loro con i documenti di bordo mentre io, impaziente, non vedevo l'ora di mettere piede sulla mia terra. Mentre il comandante e alcune guardie controllavano il carico tramite i registri, altre mi si avvicinarono. - Cosa vi porta nella nostra città? - - Ritorno a casa - , fu la mia risposta. - "Ritorno a casa"? - Mi guardarono con aria sospetta. - Come sarebbe a dire "ritorno a casa". Qual è il vostro nome? - Mi aspettavo un'accoglienza migliore ma capivo che il milite stava facendo il suo lavoro. Pertanto, dopo un profondo respiro, proprio mentre stavo per rispondere... - LIVIO, LIVIO! - , mi sentii chiamare dalla banchina. Vidi un omone in uniforme con la sua cotta di maglia lucida, l'elmo piumato, la spada e lo scudo, che si agitava verso di me: - Livio, non mi riconosci? - Guardai attentamente la parte del viso che si intravvedeva attraverso l'elmo e... - CASTORE! Mio dio, sei proprio tu? - Lo riconobbi dal segno di una profonda cicatrice che solcava il suo sopracciglio sinistro, infortunio che ebbe da bambino quando, da sopra le mura della città, mentre giocavamo con delle spade di legno, cadde, ferendosi contro lo spigolo di un gradino. - Guardia, lascia passare il mio amico e occupati del suo bagaglio. - Scesi sulla banchina con un balzo e abbracciai il mio vecchio amico. - Ma guardati, sei diventato un soldato! Un ufficiale per giunta. Ce l'hai fatta! - - E tu? Hai finito di girovagare per il mondo? - Ridemmo di felicità su come la vita, sino a quel punto, era stata benevola nei nostri confronti realizzando i nostri rispettivi sogni di fanciulli. - Dobbiamo raccontarci molto, caro mio - , dissi a Castore. - La mia famiglia come sta? Dammi notizie, ti prego, che non ho potuto comunicare con loro per molto tempo per via dei miei continui spostamenti. - - Bene, vivono nella loro fattoria, ai piedi delle colline. Tua sorella è diventata una bella donna sai? - - Giù le mani da mia sorella, brutto barbone. - Una fragorosa risata si sollevò dalla banchina. - Pensiamo al tuo bagaglio. - Chiamò tre soldati e insieme gli indicammo quale fosse il mio carico. Una volta posatolo su un carro Castore volle accompagnarmi. - Non lo faccio per farti compagnia, ma per avere l'occasione per poter salutare tua sorella - . Rise ancora. - Non hai trovato una donna disposta a sopportati in tutto questo tempo? - Si fece triste in volto: - Sì. È morta dando alla luce nostro figlio. - Poi, cambiando espressione, gli occhi gli si illuminarono di orgoglio. - Ha dodici anni. Promette bene, si chiama Albezio. - - Mi spiace amico mio, non potevo immaginare. - Salii sul carro che mi era stato messo a disposizione in un silenzio imbarazzato seguito da Castore. Nel frattempo era stato caricato il mio bagaglio e quindi ci avviammo, attraversando la porta settentrionale della città, verso la casa dei miei cari. Attraversandola non potei fare a meno di rileggere l'epigrafe commemorativa che ancora era posta su un lato:
"Poppeae Aug. Neronis Caesaris Aug. Germanicus Neroni Claudio Divi ......Germanici Caesari Aug. Divi Aug. Germanico Trib. ......... Eius Neronis Claudii Caesari Aug. Romanorum sacrorum faciunt ......... .......Caesari Aug. Leg. XXIII Marium ......"
Alcune lettere, consumate dal tempo, non si leggevano più ma la bianca lastra di marmo, ricordava ai secoli a venire il soggiorno dell'Imperatore Nerone nella città durante un suo viaggio verso le Gallie. L'epigrafe ricordava quei giorni di giubilo, fatti di feste e giochi gladiatori, anche con animali provenienti da molto lontano. - Dimmi, soldato... ho avuto notizie durante il viaggio di scorrerie di pirati Saraceni nei nostri mari che fanno razzie nelle città costiere. Nella nostra città siamo sicuri? - Castore si volse e mi guardò con aria preoccupata. - Al momento le nostre difese sono buone. Il comandante molto pignolo, fa lavorare sia i soldati sia i cittadini al mantenimento del fossato e delle mura della città. L'addestramento non è più quotidiano perché le forti piogge degli ultimi tempi portano a valle, attraverso il fiume, grandi quantità di detriti e l'impegno nel mantenere gli argini del fiume come erano un tempo e quindi proteggere il nostro porto, richiede molto impegno. - - Ho notato blocchi di marmo nell'area di carico del porto. - - Sì. Con re Lodovico il commercio del marmo ha ripreso vigore e l'economia cittadina ne sente beneficio. Certo, come ben sai, non è questo il periodo migliore per estrarre blocchi dalle montagne, ma abbiamo una piccola scorta. - Eravamo nel mese in cui si sarebbe festeggiata la nascita di Nostro Signore. Faceva freddo, era un inverno rigido e le vette delle montagne erano ricoperte di neve, come pure le colline. I cavatori sfruttavano il freddo per spaccare il marmo lasciando congelare dell'acqua all'interno di fori artigianali fatti con dovizia. Il ghiaccio, infatti provocava una profonda spaccatura. Sopra di esse il cielo non mostrava le stelle: il vento infatti aveva mosso grosse nuvole verso il mare facendo intendere che la giornata seguente sarebbe stata uggiosa. Ci stringemmo nei rispettivi mantelli per proteggerci mentre svoltavamo verso nord immettendoci nella Via Aurelia Vetus. Vedevo i campi bruciati dal freddo, i camini fumanti delle fattorie circostanti con annesse le stalle ove venivano accuditi gli animali. I numerosi vigneti dai quali si sarebbe prodotto un ottimo vino. Qua e là recinti di greggi. Respirai profondamente l'aria di casa si stava avvicinando. - E tu? Non vuoi raccontarmi nulla delle tue avventure per il mondo? - - Certo, avremmo tempo quando saremo al calduccio con le gambe sotto a un tavolo e del buon vino nei nostri bicchieri - Mi batté una mano sulla spalla. - Quanti misteri. - Era notte e, avvicinandoci alla mia casa, potevamo scorgere da una finestra una luce tremolante, quella del focolare che dimostrava la presenza di qualcuno ancora sveglio. Casa... Ora il cuore mi saliva in gola. Man mano che l'abitazione si ingrandiva, alla mia vista riaffioravano ricordi legati al paesaggio. Un pozzo dal quale i nonni, quando ero ancora bambino, prendevano l'acqua per annaffiare le colture e dal quale mi ammonivano di stare lontano per paura che vi cadessi dentro; la vecchia quercia sulla quale cercavo sempre di arrampicarmi; il viale alberato che conduceva all'abitazione; la stalla e il fienile. Ed eccomi qua. Ora, dopo tanto tempo, tremavo dinnanzi alla porta. Si aprì. - Chi è là? - - Padre, sono io. - Esitò un momento. - Livio...? - Ci stringemmo in un forte abbraccio e le lacrime solcarono il mio viso. - Moglie, moglie! Tuo figlio Livio è tornato, corri! - Mia madre. Eccola, davanti a me in lacrime, che incredula cercava di riconoscere il mio volto nascosto dietro una folta barba. - Figlio mio... - La abbracciai delicatamente e la baciai sul viso. Quanto tempo... Davo mie notizie ogni qual volta riuscivo ma non potevo averne da loro perché il mio continuo errare mi impediva di tenere una normale corrispondenza. - Valeria, vi porgo i miei saluti. Ho portato questo vagabondo, lo riconoscete? - , disse Castore. Mia sorella, alta, snella e con lo sguardo attento, comparve davanti a me. Era rimasta ferma in un angolo della stanza, incredula. Cercava di riconoscere quel fratello che se ne andò via 15 anni prima quando ancora era una bambina. - Certo che sì, Livio! - , disse senza troppa esitazione. Mi sorrise e mi si fece incontro. - Ha ragione Castore a dire che sei cresciuta bene. - Ridemmo tutti di gioia. - Vieni, sarai stanco. Hai fatto un lungo viaggio? - , chiese mio padre. - Non nell'ultimo tratto, siamo salpati da Pisa nel tardo pomeriggio per evitare brutti incontri in mare. - Mia madre disse: - Venite a tavola, sarete affamati. - - Lo farei volentieri, ma preferisco che Livio mi aiuti a scaricare il carro. Devo tornate presto in città - , risposte Castore. - Hai ragione, sei stato molto gentile, andiamo. - Scaricammo i miei bauli dal carro e Castore, dopo averci salutato, salendo sul carro si rivolse a me: - Ti aspetto in città dobbiamo raccontarci un po' cose io e te. Ricordati che mi hai promesso una cena. - Il cielo era cambiato, il forte vento che avevamo avvertito poco prima pareva aver portato altre nubi più grosse. Frustò i cavalli e si avviò. Entrammo in casa. Dal focolare acceso, il bagliore delle fiamme illuminava a malapena la stanza, così accendemmo delle lanterne per fare più luce. Ero impaziente di mostrare loro i miei doni, di raccontare le mie avventure e di ascoltare gli accadimenti avvenuti durante la mia assenza. Non sentivo la stanchezza e, in preda all'entusiasmo, non mi accorgevo della loro. Individuato il baule giusto lo aprii. - Queste stoffe pregiate sono il mio dono per voi. Arrivano da molto lontano, da paesi orientali. Sono di seta purissima li indossano i re di quei luoghi - , dissi stendendole per farle vedere meglio. I loro colori parevano prendere vita e tutti si meravigliarono della bellezza dei motivi. - Troppo vistosi per noi abituati a vivere ai confini della città nella nostra fattoria - mi dissero. - Valeria è in età di marito, con queste stoffe sarà ancora più bella - dissi prendendo un monile da un altro baule. Mi avvicinai e lo allacciai al suo collo. Era una collana d'oro con smeraldi che risplendevano di un verde come quello dei suoi occhi. Arrossì e, ridendo di felicità, mi abbracciò forte. Guardandomi con ammirazione mio padre mi chiese curioso il resoconto delle mie avventure. L'entusiasmo del momento aveva cacciato la stanchezza di una giornata pesante anche dalle loro membra. - Prima, però, mangia un po' di questo stufato - , disse mia madre. - Sarai affamato. - - Eccomi qua - pensai. Come se nulla fosse, come se il tempo non fosse passato. Era tutto normale nella fattoria, i racconti davanti al fuoco per riscaldarci prima di andare a dormire e la sveglia all'alba per accudire gli animali. Si iniziava dalla stalla per poi passare al pollaio e ai conigli. Una volta ripuliti e nutriti si andava nei campi e a curare il vigneto. Dopo aver cenato e raccontato alcuni episodi della mia vita dissi: - Dovrò presentarmi dal duca e dal vescovo. Ho la possibilità di metterli in contatto con alte personalità mediorientali per iniziare scambi commerciali di spezie pregiate. - - Castore può aiutarti... Avrai notato che ora è un ufficiale, inoltre la sua carriera è costantemente in salita. È molto ben visto e nel foro ne parlano come di un ottimo soldato. - rispose mio padre. - Lui potrà procurati velocemente un incontro con loro, ma temo che non sia il periodo migliore per chiedere udienza. Fra una settimana sarà Natale e, se andrai in città, ti accorgerai del fermento e del via vai di persone indaffarate. - - Certo, ci andrò domattina. Mi è mancata e sono curioso di scoprire quanto sia cambiata. - Un lampo, seguito da un forte tuono, ci allertava del temporale che si stava per scatenare sopra le nostre teste. La pioggia batteva forte sulle tegole del tetto seduto di fronte al focolare con la mia famiglia, mi sentii al sicuro, assaporando quel sentimento di tranquillità che avevo provato molto tempo prima quando ero ancora un bambino.
Onde alte e vento forte stavano mettendo in difficoltà la navigazione. Le prue delle imbarcazioni si alzavano maestose nell'affrontarle mostrando nella loro terribile bellezza le teste di drago che le contraddistinguevano. Il corpo largo e lungo ricordava quello di un serpente. Leggere, con le vele quadrate ripiegate su se stesse, erano in quel momento manovrate dai rematori che, con molta fatica, eseguivano gli ordini del loro comandante. Erano stati sorpresi dal repentino cambiamento del tempo. Al buio non si scorgeva più la costa e si temeva di urtare qualche scoglio affiorante. La pioggia batteva forte su di loro e solo il bagliore dei lampi dava l'idea di dove fosse la terra ferma. Proprio grazie a questi bagliori si intravide un passaggio fra quella che pareva un'isola e la terra ferma. - Forse dietro a questo passaggio ci sarà un'insenatura - immaginò Olaf. Non era il momento di esitare. La sua esperienza e il suo istinto lo fecero pensare che, al di là di questo passaggio, potesse esserci un riparo. - VIRATE! VIRATE A SINISTRA! Ulric segnalava alle altre navi di seguirci! - Con un suono prolungato del corno di Ulric si diede il segnale che si ripeté per le altre novantanove imbarcazioni al seguito. Subito i marinai iniziarono, a forza di braccia, la manovra che avrebbe potuto portarli in salvo. La pioggia batteva forte sui loro visi e l'aria fredda complicava le cose ma l'impegno e la perfetta coordinazione dei loro movimenti fecero girare l'imbarcazione. La barca di Olaf entrò nel corridoio fra la terraferma e l'isola sospinto da alte onde che lo fecero attraversare molto velocemente e, fortunatamente, senza urtare gli scogli che si ergevano lateralmente. Olaf guardò dietro di sé. Era difficile vedere tutte le altre imbarcazioni. La più vicina, quella comandata da Gunthener, per un istante restò sospesa in aria dopo aver attraversato un'onda gigantesca e, quando riatterrarono pesantemente sulle acque, fece in tempo a vedere due compagni venire sbalzati via dal veliero. Gunthener si accorse che uno di loro si era aggrappato a una corda e cercò di avvicinarsi all'uomo. Si muoveva a fatica in mezzo allo sciabordio e non riusciva a fare un passo nel modo che avrebbe voluto. - FREYR! FREYR! - urlò riconoscendo il marinaio in difficoltà. Freyr lottava con tutte le sue forze per non essere rapito dal dio del mare. - Non ancora - , pensava quando un'onda inclinò la barca verso di lui fino a quasi far rasentare il mare alla sua sponda. Si afferrò a essa con entrambe le mani lasciando la corda e cercando di issarsi a bordo. I suoi compagni non si erano accorti di lui, aggrappato disperatamente al bordo dell'imbarcazione. Non avrebbero comunque potuto fare molto, lasciare i remi sarebbe stato un rischio troppo alto. E così, ignari, continuavano a utilizzare i loro muscoli per combattere la corrente e avviare la barca verso quel passaggio. Freyr sentiva le forze abbandonarlo, non riusciva più a sollevare il suo corpo oltre la sponda dell'imbarcazione. - Odino, accoglimi nel Valhalla - , urlò, ma mentre apriva le mani per lasciarsi cadere in mare, si senti afferrare il braccio con una forte stretta. Gunthener lo guardava da sopra l'imbarcazione, la barba mossa dal vento e i denti stretti per lo sforzo. Lo afferrò saldamente e, aspettando la spinta dell'onda successiva, con un urlo più forte del tuono di Thor puntellandosi con i piedi sul fondo dell'imbarcazione, riuscì a issarlo a bordo. - Freyr! Il Valhalla non era ancora pronto ad accoglierti! - Al di là dello stretto passaggio il mare era più calmo. Pioveva ancora, ma si aprì di fronte ai loro occhi un'insenatura adatta a un riparo. Non tutte le navi però ebbero la stessa fortuna. Alcune di esse persero parte dell'equipaggio trascinato via dal vorticare delle onde, altre riportarono danni urtando contro gli scogli e altre ancora affondarono. Avrebbero dovuto aspettare l'alba per conoscere quante fossero riuscite a passare indenni. Via via che le imbarcazioni riuscivano a passare gettavano l'ancora poco distante dalla riva. Tentarono di ormeggiare in modo da subire meno danni possibili mentre qualcuno, guadagnata la riva, cercava di contare le navi che attraversavano lo stretto. Col passare delle ore la tempesta diminuì di intensità e le piogge cessarono. Alcuni pescatori, i più curiosi, uscirono dalle loro capanne di legno poste poco più in alto rispetto all'insenatura e, minuti di torce, andarono a vedere cosa stava succedendo. Non appena si fecero abbastanza vicini si ritrovarono davanti a uno spettacolo spaventoso: un centinaio di imbarcazioni dalla forma strana, che ricordavano dei minacciosi draghi. A bordo centinaia di uomini che urlavano, si muovevano freneticamente a torso nudo. Alti, biondi e con barbe lunghe parlavano una lingua mai sentita prima. Spensero le torce per paura di essere visti, poi si raggrupparono e decisero di nascondersi con le loro famiglie in un vicino villaggio per non correre rischi. Arrivati alle loro capanne radunarono i pochi averi e con mogli e figli si diressero verso Erycis dove vivevano dei loro parenti. Le prime luci dell'alba mostrarono i danni subiti. La fortuna volle che solo due navi non fossero sopravvissute alla tempesta. Björn, il comandante dell'orda vichinga, era figlio di Ragnar Lothbrok, re e leggenda dei vichinghi, famoso in tutti i loro ducati per aver per primo condotto le proprie navi, su nuove rotte a ovest, alla scoperta di nuove terre. Per merito del suo sistema di navigazione adesso queste navi erano entrate nel Mar Mediterraneo. Chiese ai comandanti delle navi un rapporto sulle perdite e volle sapere quanti uomini e quante risorse erano perdute. - Mentre ci avvicinavamo alla costa in cerca di una sistemazione protetta ho visto delle torce accese sulla collina - disse Olaf. - Siamo stati visti. Ormai gli abitanti del luogo sanno della nostra presenza qui. - - Dobbiamo stare all'erta - disse un norreno. Björn, a capo della spedizione, ascoltò ed espose il resoconto delle perdite rispose. - Abbiamo perso quaranta uomini questa notte e molte vettovaglie. Dobbiamo riparare quindici navi per danni che ci fermeranno in questo posto per almeno due giorni. Dobbiamo recuperare cibo e acqua dolce e spostarci in una posizione di sicurezza. - Di fronte a loro l'isola intravista nella notte pareva rispondere perfettamente a questa esigenza. Situata poco distante da dove si erano ancorati offriva un riparo sicuro e naturale. - Raggiungiamo quell'isola e ripariamo le barche. Alcuni di noi, invece, controlleranno questa zona andando a caccia e a cercare sorgenti di acqua dolce. - Poi, si volse a guardare il promontorio. Vide sulla punta dell'insenatura e sulla sua cima una chiesina costruita con pietre colorate poste a formare linee orizzontali. - Bene, se ci sono preti ci saranno anche delle abitazioni. Sven, prendi una ventina di uomini e scopri il nome di questo posto. - - Olaf tu con altri venti perlustra l'isola. Non voglio sorprese. - Mentre si avviavano le operazioni di trasferimento Sven iniziava la salita che lo avrebbe condotto alla chiesina. Arrivati all'ingresso notarono che era stata abbandonata. Non c'era nessuno. Si doveva forzare la porta per entrare. - Buttiamola giù, presto. - - Abbattiamo un albero e usiamo il tronco come ariete. Questa è una porta massiccia richiederebbe molto tempo e fatica se provassimo in altro modo. - Così fecero e, una volta abbattuta la porta ed entrati, non poterono fare a meno di osservare la bellezza del suo interno. Le pietre orizzontali, di colore diverso, adornavano le pareti insieme ad arazzi e quadri raffiguranti il dio cristiano. Sul fondo un altare illuminato da delle finestrelle con vetri colorati che attraversati dai raggi del sole parevano dipingere l'altare e la pavimentazione. Ai lati delle statue di marmo raffiguranti una donna con un bambino fra le braccia e un uomo vestito con un saio. Su un leggio di legno finemente lavorato spiccava un libro aperto da cui si intravedevano parole circondate da disegni colorati. - Dove sono i tesori dei cristiani? - - Krell, dovresti saperlo ormai, su, spostiamo l'altare. - In sei uomini si misero a spingere di lato l'altare scoprendo così il nascondiglio dei tesori. Candelabri e calici d'oro con gemme incastonate brillarono dal fondo della nicchia. - È facile come bere un bicchiere di birra - risero mentre si impadronivano di tutti quei tesori. Si accorsero di una porticina laterale rispetto all'altare. - Vuoi vedere che ci sono altri tesori? - La aprirono ma dietro di essa non vi era una nuova stanza ma bensì l'accesso a una terrazza che si affacciava sul mare. - Un monaco. - Un monaco impaurito aveva cercato disperato un nascondiglio su quella terrazza, rassegnato all'idea di non poter sfuggire all'orda di questi strani barbari venuti dal mare. Madido di sudore per la paura nel vedere quei giganti armati di asce e vestiti di pelli avvicinarsi a lui si accinse a rivolgere una preghiera, forse l'ultima, raccomandando la sua anina a Dio. Krell non aveva certo modi gentili e, avvicinatosi al monaco, lo spinse contro il muro, minacciandolo con un coltello alla gola. - Dimmi, monaco, ci sono altri tesori? - Ma il monaco non capiva quella lingua, continuava a pregare sottovoce e Krell si innervosì ancora di più. Afferrò il monaco e lo spinse oltre il parapetto della terrazza trattenendolo per le caviglie. - Dove sono i tesori della chiesa? - insisteva. Il monaco urlava terrorizzato, vedeva le onde infrangersi sugli scogli sotto di lui e capiva che poteva precipitarci da un momento all'altro. Sven attirò l'attenzione di Krell. - Tiralo su, non vorrai farlo morire., Portiamolo da Björn, sarà lui a decidere la sua sorte. - Con un grugnito Krell issò il monaco sulla terrazza e, calciandolo malamente, lo diresse verso la porticina che riportava all'interno della chiesina. Intanto l'incursione sull'isola procedeva. Olaf, alla testa del gruppo, avanzava guardingo su un sentiero che aveva individuato. Alti pini rivestivano la collina e riempivano l'aria profumandola d'incenso. Il sentiero era scivoloso a causa delle piogge recenti e il gruppo di guerrieri doveva stare attento a come metteva i piedi carico com'era di armi e vestiti di pellicce pesanti. Trovarono una costruzione di pietra e capirono dalla sua forma che doveva trattarsi di un convento. Un portone massiccio chiudeva l'accesso e delle mura circondavano la costruzione facendo intuire che, all'interno, ai lati di un piazzale vi fossero le celle dei monaci e una piccola cappella dedicata al loro dio. Nei loro saccheggi lungo la costa del Mediterraneo si erano imbattuti in altre costruzioni simili e sapevano che erano condotte da monaci. Poco distante si scorgevano dei campi coltivati, un pozzo con acqua dolce il cui servizio era destinato, oltre a fornire acqua al convento, ad annaffiare le coltivazioni, un vigneto ben curato e un recinto con animali da cortile. - Bene, qui ci sarà dell'ottimo vino - disse un guerriero. - APRITE! APRITE SUBITO QUESTA PORTA! - tuonarono. Un monaco tremante e rassegnato aprì. Olaf lo spalancò del tutto con una pedata facendo cadere il monaco all'indietro. - Abbiate pietà, in nome di Dio. Siamo tutti uomini di fede e disarmati. - Prendendosi gioco di lui e non dando peso alle sue parole incomprensibili lo scansarono con delle pedate ed entrarono nel cortile. Dalla piccola cappella uscirono altri otto monaci. Le mani giunte in preghiera, si inginocchiarono di fronte a questa orda di barbari, ma uno di essi si avviò verso di loro con le braccia spalancate e con fare supplichevole. Olaf si liberò di lui abbattendo la sua ascia sul suo capo e lasciandolo cadere morto a terra in un mare di sangue. A quel segnale si scatenò una carneficina. Gli altri guerrieri saltarono addosso ai restanti monaci e, decapitandoli o trafiggendoli, li eliminarono in pochi istanti. Con i volti grondanti di sangue, alzarono le armi verso il cielo e urlarono all'unisono invocando Odino. - Cerchiamo il cibo, i tesori e torniamo da Björn. - Si divisero: alcuni entrarono nella cappella, altri nelle cellette dei frati. Rovistarono rompendo con le loro asce lo sfortunato mobilio e gli oggetti posti al suo interno, come crocifissi e breviari, e dettero alle fiamme tutto ciò che poteva bruciare. Altri uscivano dalle cucine e mettevano su alcuni carretti tutto il cibo che avevano trovato, formaggi, carni, verdure e vino. Bruciarono i libri e presero gli animali che erano nel recinto posto fuori il convento, mettendoli in alcune gabbie poi alcuni di loro si avviarono con il bottino lungo la strada da cui erano arrivati per ritornare al loro accampamento. Olaf, con una dozzina di uomini, continuò la perlustrazione dell'isola alla verifica di eventuali pericoli da affrontare. Nel frattempo Krell, tornato alla base, spinse il monaco trovato nella chiesina, facendolo cadere ai piedi di Björn. Venne chiamato Igger, quale interprete. Igger aveva imparato la lingua latina nella Britannia in un monastero in cui era stato curato da dei frati che lo avevano trovato agonizzante sulla riva a seguito del naufragio della sua imbarcazione. Era stato costretto per più di un anno a rimanere in quel convento, sino a quando una nuova scorreria di vichinghi non approdò su quelle stesse rive. Aveva conosciuto la cultura cristiana, ma la sua indole selvaggia, il suo essere guerriero, non lo aveva fatto convertire al cristianesimo. - Chiedi al monaco come si chiama questo posto. - Igger rivolse la domanda al monaco. Il monaco lo guardò, aveva una profonda ferita sulla testa, un occhio semi chiuso dal trauma causato da un pugno, la veste lacerata e sporca di sangue. - Portus Venere - , rispose. I vichinghi sapevano che Venere era una dea, la dea della bellezza della vecchia civiltà romana. Roma, sì, proprio la città più famosa al mondo, che aveva dato i natali a grandi condottieri, che aveva vantato l'esercito più preparato e tecnicamente avanzato e che aveva conquistato tutte le terre... Roma, la meta finale di Björn. - Quante postazioni armate ci sono nei dintorni e quanti soldati? Hanno la cavalleria? Dove sono posizionati e a quale distanza? - Igger girò al monaco questi quesiti. Timoroso di subire altre percosse, il monaco rispose. - Nel territorio ci sono diverse postazioni di guardia oltre al promontorio vi avvisterebbero e si preparerebbero ad accogliervi - . Riprese fiato. Gli sguardi di quegli energumeni non promettevano nulla di buono. - Ci sono anche diversi villaggi di pescatori pronti ad allarmare i militari. - Cercò di ingrandire le informazioni sulle difese per far desistere questi "bruti" da possibili attacchi alla popolazione abitante sulla costa. Di quelle parole, ricevute senza aver usato metodi poco gentili, Björn non sapeva se fidarsi o meno. Avrebbe potuto essere vero tuttavia non si spiegava come potessero esserci così tanti villaggi e fortificazioni in quel tratto di mare. Il monaco stava forse cercando di depistarli, oppure era tutto vero? Forse si stava avvicinando alla famosa città eterna. A Roma Caput Mundi.
Luca Pastina
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