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Autore: Andrea Venturo
I Razziatori di Etsiqaar
Fantasy
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I Razziatori di Etsiqaar
Oznak se ne sta in piedi sul portico di legno della sua fattoria, è appena rientrato dal pascolo dove ha accudito il bestiame. Si scrolla dai pantaloni la terra e poi pulisce le mani sulla camicia di tela, ruvida e grossolana. I muscoli, se pure bene allenati da anni di lavoro, sono indolenziti. Avrebbe tanta voglia di un massaggio sulle spalle, ma Zora è tutta presa dagli adorati fornelli. A quel pensiero un brontolio sorge dal ventre, appena un po' allentato dall'età, a ricordargli che è quasi ora di cena. Anche sua moglie sta lavorando duramente. Resta lì e si gode gli ultimi raggi di sole mentre incendiano l'orizzonte e le nubi, che assumono mille sfumature di arancio, rosa e rosso.
- Lavora bene e i frutti saranno succosi - mormora, ricordando suo padre che – prima di lui – aveva amato quella terra.
I segni sono stati propizi fino a quel momento: giusta la quantità di piogge, giusta la temperatura e, incredibile a dirsi, finora niente ha disturbato i campi e il bestiame. Niente alluvioni, niente sciami di locuste, epidemie, vermi-tigre... niente di niente.
Esegue gli scongiuri di rito; non si ritiene superstizioso, ma quella meravigliosa serie positiva gli procura uno strano senso di inquietudine nonostante la vendita del bestiame sia andata oltre ogni più rosea aspettativa e abbia messo da parte un bel gruzzolo. Fantasticare sul modo di spendere quel denaro quieta in parte le sue ansie: ha in mente alcuni progetti, tra cui un bel vestito per sua moglie e completare il corredo della figlia.
Cerca di trattenere con sé quei pensieri felici così da scacciare il resto, ma la sensazione che quell'abbondanza sia solo apparente, che si tratti della quiete prima della tempesta, gli resta attaccata addosso come una zecca alla zampa di una vacca.
Anche Staukus ha venduto la fattoria e si è trasferito! lo sfida la propria ansia.
Staukus era il suo vicino. Le rispettive famiglie si incontravano spesso: per festeggiare un compleanno o una ricorrenza speciale, scambiare attrezzature, sementi e ogni altra cosa di cui potessero aver bisogno o semplicemente per trascorrere una serata in compagnia. Meno di una settimana prima Snazan, suo figlio maggiore, era tornato dicendo che Stauk' se n'era andato con tutta la famiglia. Era partito per Spiegeldrag e al suo posto aveva incontrato uno straniero con una decina di braccianti, intenti a ristrutturare la casa.
Oznak si era recato immediatamente a constatare di persona: Stauk' non gli aveva mai raccontato di volersi trasferire e men che meno di voler vendere tutta la proprietà.
Aveva trovato ad accoglierlo un uomo dai modi affettati, dall'accento gli era parso un maorni e questo lo aveva messo in allarme. Anche se il Granduca era diventato consuocero dell'imperatore di Maor e i rapporti tra Granducato e Impero negli ultimi vent'anni erano divenuti ottimi, udire una voce straniera al posto di quella di un amico di vecchia data lo aveva messo a disagio, specie se dalla parte sbagliata del confine.
Nonostante l'accento, il nuovo arrivato si era presentato con un caldo sorriso e modi cordiali; gli aveva detto di essere un mercante, di aver bisogno di una base dove far transitare le proprie merci provenienti da Maor e dirette a Kirezia via terra; la fattoria del signor Sovrepa gli era piaciuta per la sua posizione strategica, vicina alla principale arteria che collega le capitali dei due stati.
- Preferisco una fattoria a una casa di città, perché se tratti bene la terra lei ti ripaga con begli interessi! - aveva detto lo straniero.
A Oznak la cosa era piaciuta: anche lui ama la terra e quelle parole avevano acquietato il sospetto nei confronti del forestiero. Dominic, questo il nome dell'uomo, gli aveva raccontato che il signor Sovrepa – come gli sembra strano ora ricordare così il suo amico Stauk' – aveva voluto mantenere il massimo riserbo su tutta la questione: le verdure che coltivava non vendevano più come una volta e i suoi figli preferivano trasferirsi in città piuttosto che lavorare la terra. Oznak era rimasto soddisfatto della spiegazione, almeno fino al suo ritorno a casa, quando aveva raccontato tutto a sua moglie Zora.
Donna di poche parole, Zora è tuttavia sempre a conoscenza di ogni dettaglio riguardo la vita dei vicini e di quel che gli accade attorno. La notizia del trasferimento di Stauk' l'aveva colta veramente di sorpresa; al punto di decidere che, il primo giorno utile, sarebbe andata a conoscere “questo Dominic” e a constatare di persona tutta la faccenda. La spiegazione fornita da Oznak non l'aveva per niente convinta: Zaira era la sua migliore amica, oltre a essere la moglie di Stauk', e le avrebbe rivelato una cosa del genere se fosse stata in programma.
Lui aveva riconosciuto subito l'espressione preoccupata sul volto della moglie, così le aveva promesso che l'avrebbe accompagnata, o lei avrebbe passato un numero di ore variabile compreso tra due e duemila per convincerlo che fosse proprio la cosa giusta da fare.
Tre figure percorrono la strada che porta alla fattoria e lo riportano al presente. Oznak sa riconoscere i suoi figli a qualsiasi distanza. Snazan, il primogenito, cammina sempre come se il mondo si stendesse ai suoi piedi; Pamet, il secondo, ama portare i capelli cortissimi; infine Slada, la più piccola dei tre, ha la gonna che ondeggia mossa dal vento insieme alla lunga chioma bionda legata in una coda. È orgoglioso di tutti quanti, sa che presto si sposeranno e lasceranno per sempre la sua casa: grazie agli insegnamenti che gli ha dato ognuno di loro è diventato capace di tirar su, mantenere al meglio e far prosperare una fattoria degna di questo nome. In cuor suo è certo di aver svolto un buon lavoro.

A cena si parla del più e del meno: una mucca gravida, un muretto da riparare, la stagione ottima, quanti braccianti chiamare per il raccolto... C'è ottimismo, trattenuto a fatica da una buona dose di scaramanzia. Il piatto forte è sempre la partenza improvvisa di Stauk' e della sua famiglia, al punto che Slada annuncia di voler andare a Spiegeldrag per vedere come si è sistemato.
Raramente Zora interrompe il chiacchiericcio serale. Oznak sa che la moglie trova piacevole ascoltare i propri figli e trae conforto dal constatare che i loro discorsi rispecchiano le sue convinzioni e i suoi insegnamenti.
Quella sera tuttavia li interrompe. - Potete fare silenzio, per favore? -
La sua voce squillante tronca bruscamente la conversazione, Oznak si volta verso la moglie e l'espressione di fastidio muta all'istante in preoccupazione: il viso di lei appare pallido, gli occhi dilatati come se avesse visto Merat-Asua1 in persona. Anche i ragazzi tacciono e fissano la madre interdetti. Nessuno di loro l'ha mai vista così spaventata.
Tutti tacciono.
Un rumore di passi e porte sbattute riecheggia nella casa. Non uno, ma numerosi piedi risuonano al piano di sopra, nel porticato, dietro la porta e poi sempre più vicini.
- Cos... - prova a dire Oznak, subito zittito dalla porta che si schianta a terra.
Quattro uomini, vestiti di nero e col volto coperto da una maschera di cuoio imbrattata di fuliggine, irrompono nella cucina spade in pugno.
- Ora venite con noi, tutti quanti! - ordina il più grosso di loro. L'uomo che ha parlato ha ben poco di umano: imponente come un armadio, massiccio come il pilastro di una caverna nanica e con una cicatrice ampia e irregolare che, da sotto la maschera, scende a sfigurargli la guancia e sparisce sotto al risvolto della casacca.
È l'ultima cosa che Oznak vede prima di essere colpito alla testa e cadere riverso sul tavolo.

Al suo risveglio è notte fonda, il freddo fa condensare il fiato e l'umidità penetra i vestiti, facendolo tremare. Prova dolore ovunque. Scopre di essere legato mani e piedi e di avere uno straccio infilato in bocca che gli impedisce di parlare. Sotto di lui c'è del legno, sente un cigolio di ruote e una lenta vibrazione: si trova su un carro. Prova a muovere i polsi per liberarsi, ma come risultato ottiene solo una rispostaccia dal conducente mascherato.
- È inutile che tį ağiti, vecchio, ðove andrai tį serviranno tutte le forze... ma sta' tranquillo, sarai in bůona compagnia! -

Andrea Venturo

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