Una nota nel cuore (Prequel)
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Ai primi amori, quelli che non si dimenticano e che a volte ritornano.
Amore è non parlare e dirsi tutto. Amore è guardarsi dentro. Amore è scoprirsi con i vestiti addosso. Amore è toccarsi con lo sguardo. Amore è ridere per una battuta stupida. Amore è ridere senza un motivo. Amore è non sentirsi mai soli. Amore è nostalgia. Amore è andare a letto senza andarci affatto. Amore è andare a letto con la sua anima. Amore è fuggire con lui di nascosto. Amore è difenderlo a tutti costi. Amore è preoccuparsi per la sua vita. Amore è essere la sua vita. L'amore per me è Joseph. E l'amore per lui sono io.
PARTE I
Anno 1993-1994
1. JOSEPH
Mi capitava, qualche volta, di osservarla di nascosto. O meglio, tutte le volte che ne avevo occasione. È troppo per me, mi ripetevo di continuo, ma che ci volete fare: quando una ragazza è bella, gli occhi non possono guardare altrove. D'altronde, era impossibile non notarla tra i corridoi della scuola: camminava sempre a passo sicuro con un sorriso meraviglioso sulle labbra. Indossava vestiti floreali o gonne a vita alta, immancabili erano i cerchietti colorati tra i capelli. Non ne usciva mai senza. Il suo viso acqua e sapone trasmetteva molta dolcezza. La luce nei suoi occhi, ogni volta che rideva, la rendeva unica. Una particolarità che solo lei possedeva. E la sua voce? Era un balsamo lenitivo per qualsiasi malessere. Ascoltarla mi migliorava l'umore. Marta però non era solo quel- lo. Una volta aveva difeso un ragazzo del primo anno dagli amici di mio fratello che, come sempre, si divertivano a bullizzare i più deboli. Oppure a una festa, a cui avevo partecipato solo per vedere se qualcuno ci provasse con lei, aveva declinato l'invito dei suoi numerosi pretendenti con un sorriso educato. Se fosse stata una stronza, li avrebbe snobbati con superiorità o magari ci sarebbe stata con tutti, giusto per gioco. Anche se non la conoscevo sul serio, sentivo che era una ragazza speciale. La prima volta che la vidi, smisi per un attimo di respirare. Il mio amico Shawn pensava stessi avendo un attacco d'asma e prese l'inalatore dal mio zaino. Poi, quando capì il motivo del mancamento, scoppiò a ridere e disse: - E io che pensavo stessi morendo! - . Si sistemò gli occhiali sul naso e mi spinse all'interno dell'aula. Da allora, guardare Marta era diventato il mio passatempo pre- ferito. Per Shawn avrei dovuto parlarle, trovare un po' di coraggio e “uscire le palle”. In effetti, era da ben quattro anni che ricoprivo il ruolo di ammiratore segreto. Le avevo persino spedito dei fiori e una scatola di cioccolatini a San Valentino. Avrei dovuto scriverle un complimento, uscire allo scoperto. O, magari, darle anche un indizio. Ma per mia sfortuna ero un codardo. E soprattutto senza palle, come diceva Shawn. Ma me l'ero ripromesso: entro il diploma le avrei parlato. Non potevo vivere con quel rimorso. Anche perché di sicuro Marta avrebbe frequentato una prestigiosa università di musica e non l'avrei più rivista. Il 2 giugno, non ci crederete mai, successe un miracolo. Forse persino Dio, da lassù, si era scocciato della mia codardia e aveva deciso di metterci il suo zampino. Anche se in un primo momento avevo pensato a Shawn. Ma, per quanto lo conoscessi e per quanto prendesse in giro la mia timidezza, lui non era così diverso da me. Anzi, lui le ragazze nemmeno le guardava. Quel sabato sera avrei dovuto suonare al concerto di beneficenza organizzato dalla Moz-Art. Ero stato scelto insieme ad altri studenti del penultimo anno e tra questi c'era anche Marta. Ero nel panico. Non volevo fare una brutta figura, mi sarei dovuto mette- re in ghingheri, gel sui capelli e costume elegante, e mio fratello avrebbe fatto di tutto per ridicolizzarmi. Lui non era rientrato nei prescelti e forse gli rodeva parecchio. Insomma, temevo che quella sera Stefan avrebbe fatto una cazzata, una di quelle umilianti che rimangono impresse a vita. Invece, come vi ho già detto, successe un miracolo. Dopo quattro anni di invisibilità, Marta si accorse finalmente di me.
2.MARTA
Helene sosteneva che l'amore fosse come una caccia al tesoro: la persona giusta è nascosta in chissà quale posto nel mondo e devi essere tu ad acchiapparla, perché lei di certo non troverà te. Solo chi è più fortunato può averla a un palmo della mano ogni giorno. E io, per lei, ce l'avevo eccome, la persona giusta a pochi passi da me. Solo che per me lui non lo era, insieme a tutti quelli che ci provavano. Erano tutti uguali come se fossero stati creati con lo stampino. Brook e Chloe consideravano Stefan Jordan un figo da paura: mandibola pronunciata, sguardo enigmatico, fisico sportivo e personalità carismatica. Per me era solo un tipo a cui piaceva parlare dei suoi muscoli, dei successi raggiunti e di feste. Mai che mi avesse chiesto: - E a te, Marta, cosa piace? - Macché, il suo ego avrebbe potuto risentirne. Ero stata una stupida a uscirci per un mese. Nella speranza che mostrasse altro, sotto l'aspetto da - re del ballo - , avevo rischiato solo di farmi del male. Stefan non era il ragazzo di cui innamorarsi e mai lo sarebbe stato. Delusa dai miei fallimenti amorosi, mi ero promessa di pensar- ci dopo l'università e iniziai a organizzare feste nell'appartamento che condividevo con Helene. Non era grandissimo, ma una ventina di persone ci stavano. Ballavo spensierata, mi ubriacavo ma non così tanto da finire a letto con qualcuno. La sera del 2 giugno ero tra quelli che avrebbero suonato per il concerto di beneficenza. Ero emozionata e per nulla intimorita dal pubblico. I fondi avrebbero aiutato dei bambini senzatetto e non c'era modo più bello che farlo con la musica. Alcuni miei compagni temevano di commettere qualche errore, altri erano intenzionati a ritirarsi all'ultimo minuto, così li rassicurai e promisi che sarei stata io a iniziare. Aprii lo spettacolo con Thank you for the music degli Abba.
Thank you for the music/the songs I'm singing thanks for all the joy they're bringing who can live without it/I ask in all honesty/what would life be? Without a song or a dance what are we? So I say thank you for the music/ for giving it to me.
Quanto amavo la musica! Era vitalità, un concentrato di felicità. Le dovevo tutto. Quante volte mi ero sentita sola, seppur circondata da migliaia di persone, e lei mi aveva rincuorata come solo una vera amica sa fare. O come una madre comprensibile, dato che la mia ultimamente non lo era così tanto. Soprattutto dopo la questione “università”. Lo spettacolo si chiuse con la performance di un ragazzo. Quando si esibì con la canzone Imagine di John Lennon, mi alzai dal divano e lo sbirciai dal retro del palco. Lo ascoltai affascinata. Possibile che non mi sia mai accorta di un talento simile? Guardai i miei compagni disinteressati e pensai che non capisse- ro un bel niente di musica. Socchiusi gli occhi, mi lasciai trasporta- re dalla sua voce e mi commossi. Quando la musica finì, aprii gli occhi e mi asciugai rapida le guance. Mi guardai intorno, nessuno si era accorto di nulla, e ritornai a sedermi. Il ragazzo talentuoso ci raggiunse, si sedette di fronte a me, ma non incrociò il mio sguardo. Dopo i ringraziamenti sul palco, mano nella mano con inchino finale, ci dissero di raggiungere i nostri genitori. Io non lo feci e seguii il ragazzo talentuoso su per le scale, camminava piuttosto velocemente. Forse avrà solo fretta di usare il bagno. Un paio di minuti dopo, il rumore dei suoi passi sparì, sbirciai dietro l'angolo e lo vidi: era seduto sul pavimento, schiena contro la parete e sguardo perso nel vuoto. Mi avvicinai piano, mi sedetti al suo fianco e provai a fare conversazione: - Ciao, non ti piacciono i luoghi affollati? - Non rispose, continuava a guardare impietrito la porta di un'aula. Così, allungai la mano verso di lui, schiarii la voce e mi presentai: - Comunque, piacere, io sono Marta - .
3.JOSEPH
Dopo il mio racconto, Shawn scosse la testa e sospirò con fare da sapientone. Avrei voluto gridargli di smetterla perché mi stavo dav- vero scocciando, ma eravamo in biblioteca a studiare e alla signora Robinson sembrava desse fastidio persino il nostro respiro. - Finiscila, non puoi capire - , bisbigliai. Shawn si aggiustò gli occhiali sul naso e sbuffò. - Hai avuto l'occasione della tua vita e l'hai sprecata. Non c'è niente da capi- re - , poi tornò a sfogliare il suo libro. Lo fissai infastidito. - Al diavolo, Shawn! Che amico di... - - Oh, ma che palle! - , esclamò così forte da far voltare la maggior parte degli studenti. La signora Robinson venne di fretta verso di noi. - Silenzio! Se non volete studiare, andate a casa! - Aveva il viso paonazzo. Rilasciò un ultimo sospiro scocciato e si allontanò dal nostro tavolo. Io e Shawn ci guardammo e trattenemmo una risata. - Che dici? Studiamo sul serio? - , propose il mio amico dopo qualche minuto. Annuii, anche se mi era passata la voglia. E poi non avrei resistito a lungo su quella sedia, se Marta fosse apparsa in biblioteca. Avrebbe potuto farlo da un momento all'altro, anche lei doveva studiare per gli esami di ammissione per l'anno successivo. Non volevo incontrarla. Strano ma vero. Potevo mai sopportare il suo sguardo stranito su di me? Quella sera avevo fatto la figura del cretino, aveva ragione Shawn. Immaginate di essere davanti a un pubblico completamente nudi, è tutto buio intorno a voi. Solo un fascio di luce illumina il vostro corpo secco e cadaverico. Siete a disagio, vorreste andarvia ma sapete che non potete farlo. Mi ero sentito così durante l'esibizione del 2 giugno. Non avevo un'alta autostima, al contrario di mio fratello Stefan. Amavo suonare e cantare, il modo in cui mi faceva sentire, ma non mi ero mai esposto così tanto. Gli unici che mi avevano ascoltato e che mi supportavano erano mia madre, Shawn e il professor Price. Per lui avevo un grande talento, dovevo solo credici di più. Poi c'era la questione di mio fratello, temevo volesse sabotare la mia esibizione. Per tutto il tempo avevo suonato con una sensazione negativa addosso, nudo e inerme in una foresta colma di predatori. Poi, quando mi ero reso conto di esserne uscito illeso, avevo tirato un sospiro di sollievo ed ero scappato in un posto sicuro, lontano da tutti. Non volevo fosse quello il momento. Ma Marta era comparsa dal nulla e aveva invaso il mio angolo di solitudine. Mi ero sentito spaventato, in preda all'ansia e letteralmente paralizzato. Non capivo perché si fosse seduta accanto a me, se ci fosse qualche buona ragione, se fosse per un atto di generosità o se fosse solo impazzita. Io ero un puntino nero nell'ombra; lei era la luce, le stelle e il sole caldo al mattino. Shawn aveva ragione: ero stato un cretino. Non mi ero nemmeno presentato ed ero scappato a gambe levate. Io, che cercavo quell'occasione da così tanto tempo, me l'ero fatta scivolare da sotto al naso. Ero proprio un codardo, uno senza palle, e chissà per quanto tempo lo sarei stato ancora.
4.MARTA
Per Brook e Chloe era una fantastica idea organizzare una festa la settimana prima degli esami. Anzi, per loro una festa era sempre una fantastica idea. Erano due gemelle identiche solo nell'aspetto: entrambe bionde, con un paio di occhi chiari e una statura longilinea. La prima amava gli abiti alla moda, i lucidalabbra alla ciliegia ed era perennemente a dieta. La seconda adorava i vestiti extra large, i fast food e i ro- manzi rosa. Da embrioni avevano condiviso la placenta, da adolescenti condividevano la passione per il canto. Ah, giusto, e anche per le feste. - Per favore, per favore, per favore - , ripeté Brook nel mio orecchio come una mosca fastidiosa. - Ho detto no! - Mi coprii la faccia con un cuscino, speravo mi lasciasse dormire un altro po'. Non che fossi una dormigliona, ma quella mattina avevo voglia di crogiolarmi a letto. - Ma perché no? Cosa ti costa? - Sbuffai, le scaraventai addosso il cuscino e mi diressi in bagno. Brook mi si inchiodò davanti e strillò: - Non puoi non esserci! È pur sempre casa tua! - - Sì che posso, invece! - Poi mi voltai verso la sua gemella, era imbronciata. - Smettila di guardarmi in quel modo. Non mi convincerai nemmeno tu - . Sospirai appoggiata allo stipite della porta. - Il discorso è chiuso - . - Ma non devi andarci per forza a letto. Non di nuovo, almeno. Se stai con lui... - , si intestardì Brook. - Ci presenterà i suoi amici - , continuò Chloe arrossendo. Risi incredula. - Non avete bisogno di me. Andate da loro e... - - Quelli non ci filano. Abbiamo bisogno di una spinta - , insistette Brook avvicinandosi, - della tua spinta - . - È fuori discussione - , replicai secca e mi chiusi in bagno. Rimasi un po' così, spalle contro la porta e occhi chiusi. Le due, lì fuori, si zittirono all'istante. Se avessi saputo che bastava così poco, mi sarei rifugiata in bagno molto prima, pensai divertita. Non volevo accontentare la loro richiesta, non era da me. Avrei preferito non partecipare a quella festa, piuttosto che subirmi un tipo noioso e pieno di sé. Solo l'alcol mi avrebbe aiutata a sopportarlo, ma non avevo voglia né di ubriacarmi né di fare baldoria. Sarà che forse mi mancava casa mia, le richieste di mio padre di suonargli qualcosa... Mi mancava il profumo di biscotti e pane caldo della domenica mattina. Quella sensazione lì, confortante e sicura. Dopotutto era da Natale che non rientravo. Quando uscii dal bagno, Brook e Chloe se n'erano andate e potei prepararmi in tranquillità. Per il momento ero sola, Helene non era ancora rientrata ma lo avrebbe fatto a breve, così decisi di re- carmi in biblioteca per studiare. Come al solito la sala era gremita di studenti, teste concentra- te sui libri e spalle leggermente curve. Sbuffai, rafforzai contro il petto la presa sui due libri che mi ero portata e camminai verso il tavolo in fondo, vicino alla finestra. Era occupato da due ragazzi seduti l'uno di fronte all'altro. Sperai, man mano che mi avvicina- vo a loro, di non imbattermi in due chiacchieroni, o ancor peggio in due “guardoni”. Non sopportavo chi fissava la gente. Appena mi sedetti, solo il ragazzo con gli occhiali alzò la testa. Non riuscii a capire se la sua fosse più un'occhiata infastidita o di apprezzamento, perché aprii subito il mio libro e iniziai a studiare. Qualche minuto dopo, il ragazzo alla mia destra, quello di cui avevo visto solo la schiena, indietreggiò di scatto con la sedia. Nell'aula taciturna echeggiò un rumore sordo e tutte le teste si sol- levarono a fissarlo. In quel momento mi decisi a farlo anche io e lo riconobbi: era lui, il ragazzo talentuoso. La sera del concerto, chissà per quale motivo, era scappato senza nemmeno presentarsi e io lo avevo guardato andar via con ancora la mano sospesa a mezz'aria. Mi ero sentita una sciocca, lo ammetto, ma nonostante tutto lo salutai. - Ciao - , gli dissi con un sorriso. Non rispose, si alzò e lasciò di corsa la biblioteca. Sono per caso un fantasma? O magari un virus da cui scappare? Volevo solo scambiare due chiacchiere, ma sembrava che cercasse di evitarmi. Guardai stranita il ragazzo di fronte a me, stavo per chiedergli che problemi avesse il suo amico, poi mi venne un'idea migliore.
Ilaria Mossa
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