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Autore: Maria Cristina Maffeis
Cascasse il mondo
Narrativa
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Cascasse il mondo
Le vite precedenti.

Nelle prime giornate di sole primaverile, quando come lucertole ci deliziamo inerti coi volti all'aria e gli occhi soc- chiusi al suo calore garbato, il tavolino di un bar diventa un set sul quale si muovono, vanno, vengono, si incontrano e si scontrano le vite delle persone. Ogni tanto, gli attori sembrano brancolare sulla scena come in un film senza regia. Ciascuno prova la propria parte in una cacofonia di voci e di atti privi di senso, ma qualche volta, quando lo stato di grazia ispira i commedianti, ogni battuta, ogni gesto confluiscono con naturalezza nell'orchestrazione finale.
Come questa mattina, per esempio. L'anziana donna dal caschetto impeccabile, sempre truccata e in abito da passeggio, sta bisticciando con il cameriere. Non l'ha riconosciuta... È nuovo, perciò non sa che cosa intenda quando ordina - il solito - .
Io lo so, invece. Quella consuetudine impronunciabile è la prima delle tre o delle quattro ombre di vino che la signora si concede prima di proseguire il pellegrinaggio nei caffè del centro. Questo, però, è l'unico in cui si trattiene, forse a causa della posizione o di chi lo frequenta, quasi tutte donne della buona società, che riempiono la giornata di cappuccini e occhiate languide al didietro del nuovo cameriere. È brasiliano e vorrebbe fare l'attore, ma per il momento sbarca il lunario destreggiandosi sensualmente tra un tavolo e l'altro. Mette in mostra i bicipiti abbronzati e le clienti sospirano di desiderio, affidandosi all'immagi- nazione in mancanza di ulteriori indizi.
Improvvisamente vengo distratta da una voce squillante alla mia sinistra. Proviene da un corpo puntellato da tanta plastica da fare invidia a Barbie.
- Uh uh! - strilla, richiamando l'attenzione dell'amica che l'attende e degli avventori, mentre il carlino la trascina verso la sedia sulla quale si cala allungando gambe snelle esaltate da tacchi stratosferici.
Caspita! Mica bruscolini! O il marito è un vero boss, uno di quelli che allungano alle consorti migliaia di euro al mese, o quel capriccio le sarà costato un mutuo ventennale, penso con l'ironia acquisita nella mia nuova vita, poiché un tempo, sia chiaro, su un paio di Manolo Blahnik non avrei mai osato scherzare.
Forse l'amica pingue la invidia per il fisico, le scarpe e pure per il marito, ma, visto che non può batterla e vive di luce riflessa, ha deciso di esserle alleata. Che la imiti è evidente, magari addirittura s'indebita per tenerle il passo, tuttavia, se la tizia col carlino tradisce assuefazione al lusso, l'altra rivela una certa pacchianeria, espressa dal vestire costoso, ma di cattivo gusto. Insomma, la differenza tra le due è che la bionda potrebbe indossare uno straccio con la classe di una regina, mentre la bruna con le mèches, nonostante gli abiti costosi che porta, pare la portinaia del mio condominio. È chiaro che non sa ciò di cui l'altra è consapevole: less is more – meno è più – come diceva un grande architetto. Non ricordo quale, ma rammento perfettamente la frase pronunciata una sera a cena da Doris che, appunto, fa quel mestiere. Me la sono subito annotata, prima di tutto perché è una bella frase, e io ho un debole per le belle frasi, e poi perché trovo abbia una certa attendibilità, e non solo per le questioni estetiche. Tra i tanti difetti, penso di avere un pregio: imparo da chi è migliore di me. Non necessariamente più istruito o ricco; semplicemente migliore. Una qualità utilissima in anni recenti, ma devo dire anche nella mia vita precedente. A proposito di vite precedenti: pare che la vecchietta dal casco d'oro, la Fortunati, nella sua fosse una donna bellis- sima molto innamorata del consorte, affermato direttore d'orchestra. A dispetto del nome – io l'ho soprannominata Sfortunati – ha avuto una vita coniugale travagliata. Pur di seguire il marito, ha rinunciato ai figli: s'è fatta chiudere le tube in Svizzera – in un'epoca in cui mia madre manco sapeva di averle, le tube –, è andata ovunque, vivendo in Paesi che odiava e in altri che sopportava a malapena... per lui. E quello, un bel giorno, che fa? Se la fila con una giovane arpista in uno sperduto villaggio orientale. Da
allora la signora, be', alza un po' il gomito.
Mi mette tristezza, la sera, vederla rientrare nell'appartamento di lusso, spoglio d'affetti e di cose, e immaginarla perdere i sensi davanti alla Tv chiedendosi, per l'ennesima volta, i motivi per cui lo stronzo l'abbia mollata, scippan- dole la vita.
To'! Sono arrivate le mie preferite, le tre a cui sono più affezionata e delle quali so un mucchio di cose perché origlio sempre le loro conversazioni. Convengo che non dovrei, ma mi stanno simpatiche: come faccio a resistere? Comunque, è opportuno che questa abitudine finisca. Mi sono ripromessa che alla prima occasione mi presenterò e offrirò loro qualcosa.
- Un caffè ristretto. -
- Una spremuta con brioche ai cereali. -
- Un cappuccino con bombolone alla crema... -
La prima ordinazione è per Ndidi, che ci aggiunge una sigaretta, quella finto-sana per Irma e l'en plein per Adriana.
Ndidi è di origini congolesi, ha lineamenti marcati e la voce arrochita dal fumo. Dovrebbe smettere di fumare come una ciminiera – suggeriscono le altre – ma lei lo fa per rabbia, da quando il marito se n'è andato di casa portandosi via pure il cane. Curioso, no? Mollare moglie e figli e prendersi il cane. D'altra parte è singolare anche il fatto che abbia digerito la perdita della bestiola meno della defezione dell'essere umano e che, per tale ragione, sia diventata una tabagista convinta. Tira boccate nervose, pare sempre di fretta, ma il tempo per le amiche del cuore
– cascasseilmondo – lo trova tutti i sacrosanti sabati. Beata lei, penso con un'invidia buona, desiderando di poter dire di avere ancora delle amiche...

Ndidi è un chirurgo, perciò il gruppo pianifica gli incon- tri in base ai suoi impegni; ma, sia che smonti sia che debba cominciare il turno, all'appuntamento non manca mai. Cambiano solo gli orari. Oggi dev'essere di riposo, è un'ora anomala e l'atmosfera è particolarmente rilassata. Parla soprattutto dei figli e di lavoro. È una donna perfezionista e ambiziosa. Parteciperà all'imminente concorso per il pri- mariato del reparto, dice. Non lascerà che quell'incapace di collega – quel cocco di babbo – le soffi il posto. Lui ha gli agganci, lei le capacità. E l'esperienza, l'intelligenza, la determinazione... aggiungono le altre due.
Ndidi è una dura, ha fatto gavetta e si vede, ma sotto la scorza deve avere un gran cuore. Degli uomini parla con cinismo e una certa sufficienza.
- È ovvio che c'è qualcosa d'irrisolto. Non lo hai ancora perdonato - sentenzia Irma, la psicologa: lei, invece, il mari- to lo ha lasciato. Non ha figli e vive in una specie di zoo con Kosta, l'uomo di cui si è innamorata. Il cane, il gatto, io e te: praticamente una canzone. Assicura di sentirsi compresa e libera come mai in precedenza, quand'era prigioniera di uno sposo-padrone che controllava spese e amicizie e la voleva impeccabile in tutte le occasioni.
- Liberarsi dalla tinta ai capelli, dallo smalto alle unghie, dai tacchi vertiginosi è stata una benedizione! E, ragazze, un sesso che non vi dico... Stre-pi-to-so! -
Tuttavia il suo stipendio da quadro del pubblico impie- go non basta per pagare il mutuo. Già. Quando se n'è andata ha lasciato baracca e burattini, marito e soldi, per non dover ringraziare e per sentirsi totalmente affrancata da lui. Quel poco che ha messo da parte l'ha usato come anticipo per un appartamento e ora sta pensando di aprire uno studio di consulenze per incrementare le entrate. Si occupa di costellazioni famigliari; perciò, in effetti, potrei essermi sbagliata tra psicologia e astrologia...
A volte, in passato, quando Irma incontrava le amiche, il marito si appostava in un angolo nascosto della strada.
- Mi sorveglia da lontano, come se non lo sapessi - diceva sospirando in quei casi.
- Liberatene! - sibilava Ndidi, con un'occhiata incen- diaria.
E, alla fine, Irma l'aveva fatto perché peggio di un uomo pidocchioso c'è solo un ricco taccagno persecutore e arido di sentimenti.
- Brava - s'era complimentata Ndidi, quando l'amica aveva rinunciato al mantenimento pur avendone diritto.
- Piuttosto, striscio. La notte non dormo pensando a come sbarcherò il lunario, soprattutto ora che Kosta ha perso il lavoro, ma volete mettere, ragazze? Mai e poi mai cambierei la mia vita attuale con la precedente. Non sono più la “brava ragazza” compiacente. Mia madre non fa che ripeterlo. Basta coi “sì”, con la condiscendenza. Adesso faccio di testa mia! E poi, è un tale sollievo attrarre Kosta senza effettivamente fare nulla per sedurlo! - afferma orgogliosa Irma.
- Io non sono messa meglio di te - replica Adriana sor- seggiando il cappuccino. - Il ristorante è in perdita. Marco è disperato e io... io che sognavo di lasciare l'insegnamento per dedicarmi alla scrittura, mi ritrovo incatenata a un lavoro che mi prosciuga. Però non possiamo permetterci di perdere un'entrata fissa. In ogni caso, il sogno di Mar- co sta naufragando e il mio non si realizzerà mai, questo l'ho capito. Il pensiero dei debiti, la notte, mi sveglia di soprassalto insieme a un peso che mi opprime lo sterno. Compenso mangiando. Ansia, dice il medico. Comunque, non intendo rassegnarmi: voglio vivere una vita vera, non questo surrogato, anche se per il momento tutto ciò che mi posso permettere è piangere quando mi piglia il magone e stringere i denti per tirare avanti. Niente sogni consolatori: ho letto da qualche parte che momenti duri esigono sogni duri. Per ora, il mio è quello di riuscire a crescere i ragazzi senza troppe rinunce. -
L'ultima frase merita rispetto. E ammirazione. Mi rime- scola qualcosa dentro. Ora o mai più, decido. O la va o la spacca, penso mentre mi dirigo verso di loro.
- Ciao, Titti - salutano in coro. - Abbiamo già ordinato al nuovo - trillano, riferendosi al brasiliano.
- Certo - rispondo, - ma oggi non sono venuta per le ordinazioni. -
- Ah, no? -
Le loro facce stupite rivelano che per la prima volta scorgono la donna dietro la divisa. Prendo coraggio. - Sono venuta a dirvi che anch'io ho avuto una vita precedente. Se avete voglia di sentirla, una volta o l'altra ve la racconto... -

Io sono Tiziana. Per gli amici - Titti - , per gli intimi
- Tittilarossa - . Naturale, eh, non scherziamo. Del rosso profondo inventato dal famoso vecellio. Il suo nome lo ricordo, al contrario di quello dell'architetto americano, perché avere sul corpo il tocco di un artista è un onore che ci si deve meritare. Che potevo fare, se non colmare l'ignoranza? Me lo sono addirittura studiato. Fu Giorgio il primo a utilizzare quel soprannome e a illuminarmi sulla storia dell'arte. E anche su altro, in effetti.
Nel mio caso, ha deciso la sorte. Mia madre avrebbe optato senza alcuna pietà – data la mia posizione nella classifica dei figli – per - Ottavina - , ma la zazzera spuntata dalla sua vagina pareva una di quelle insegne luminose impossibili da ignorare. Quando si dice la fortuna, no?
Il fatto che mi chiami Tiziana e, soprattutto, che abbia una capigliatura alla Gilda, ha segnato buona parte del mio destino. Almeno fino a questo momento. Sono facilmente rintracciabile, rossa e con le lentiggini, e posso affermare senza falsa modestia di rimanere impressa, soprattutto negli uomini, che a fasi alterne sono stati iattura o benedizione. Sono stata una calamita per i peggiori disgraziati, vuoto a perdere per chi era interessato all'involucro – praticamente tutti. Nessuno è stato affascinato dalla mia testa, dalla materia grigia, piuttosto che da quella rossa, ma io non mi arrendo. Ora sono a terra che più in basso di così non si può:
la vita a volte sa farti molto male lasciandoti in balìa di eventi cui sembra non si possa far fronte. Adesso mi sento schiacciata proprio da uno di questi, ma siccome sono un'ottimista, scruto il mare in attesa dell'onda perfetta. Prima o poi arriverà, io la inforcherò e surferò sulla sua cresta.
Ecco, tra noi è cominciata così.

Maria Cristina Maffeis

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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