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Autore: A.S. Twinblack
My Bull Boy
Erotico
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My Bull Boy
“Buongiorno signora, desidera?”
“Io... veramente...”
Non so cosa dire, mi sento molto a disagio. Il mio viso sarà diventato del colore dei tendaggi presenti nella hall. Poco male, faccio pendant con tutto l'arredamento.
Il concierge, un uomo sui sessant'anni, vestito elegantemente, mi guarda con un sorriso che mi sembra ammiccante. Attende una risposta, ma cavolo, non è semplice. Non ho mai fatto nulla di simile.
Sono le dieci di mattina, come caspita gli dico che mi aspettano nella camera trecentododici? Non ho bagaglio, sono vestita come una... beh lasciamo stare. Capirà benissimo cosa sto andando a fare.
“Ha bisogno di qualche indicazione?”
Aaah, quindi non mi ha preso per una di quelle! E io che credevo di aver esagerato con questo abbigliamento succinto. È stato lui a chiedermi di vestirmi da zoccola, così ho preso in prestito un abitino in jersey di mia figlia perché io non ho nulla di molto osé nel mio guardaroba. Mi arriva appena a metà coscia e se non faccio attenzione a come cammino, potrebbe anche vedersi il pizzo delle autoreggenti a rete, e con queste scarpe poi...
Il tacco dodici è la mia passione, se potessi lo calzerei tutti i giorni, invece lo uso solo in alcune occasioni, come oggi. Anche queste però sono di Tiziana; hanno il plateau, quindi molto comode per fortuna, e sono adatte per quest'abito oltre che per lo stile mignottesco che vuole lui.
Però ora che ci penso, il concierge non può vedere la mia mise da zoccola perché ho il cappotto lungo fino a metà polpaccio, tutto abbottonato. Sono io che mi sento in difetto e quindi la paranoia è galoppante.
“Signora, si sente bene?”
Certo che mi sento bene, perché mi dice così? Ah certo, non gli ho ancora risposto e mi sta squadrando dall'alto in basso con preoccupazione.
“Sì sì, mi sento bene” mi affretto a rassicurarlo.
Di certo potrebbe benissimo pensare che io sia una pazza, se non fosse che con questo cappotto elegante, il mio aspetto deve apparire piuttosto signorile e molto a modo.
“Ha bisogno di qualche informazione? Cerca qualcuno?”
Il calore torna a invadermi il viso. Non posso continuare ancora a fare la deficiente, devo fargli capire che ha dinanzi a sé una persona normale e tranquilla, prima che chiami la polizia.
Sì, adesso gli chiedo dov'è la Biblioteca Nazionale ed esco. Mi dispiace per lui che mi sta aspettando, ma io proprio non ce la faccio, eccheccazzo!
“La signora è con me.”
Mi sento gelare, non dovrebbe essere così perché la voce che tuona alle mie spalle è bassa e con una tonalità calda, invece sono improvvisamente diventata di pietra.
Non oso girarmi, ma non riesco neppure a guardare in faccia l'uomo che è al di là del bancone della reception.
“Ah... bene” risponde il concierge.
Fisso lo sguardo sui dépliant che fanno bella mostra lì davanti, come se la loro conversazione non mi riguardasse, ma con la coda dell'occhio lo vedo che ora mi sta osservando con curiosità ed è insistente.
Cazzo! Mi sembra addirittura che stia maliziosamente sorridendo sotto i baffi e non aspetti altro che incrociare i miei occhi per esordire: “Eh, eh, io lo so benissimo per che cosa sta aspettando la signora. Sporcaccioni!”
Ma fatti un po' gli affari tuoi! Per me è già piuttosto imbarazzante e ansiogena questa situazione senza che ti ci metta anche tu con le tue basse insinuazioni. Magari ti piacerebbe pure raggiungerci, brutto porco.
Un'improvvisa sferzata di coraggio mi fa riacquistare fiducia in me stessa.
Basta, fare la donna pavida!
Faccio un bel respiro. Alzo gli occhi e lo fisso sorridente. E dopo aver inforcato, con un gesto di classe, gli occhiali da sole che ho sulla testa, mi volto per raggiungere lui: My Bull Boy.
L'ultima barriera tra noi, dopo una settimana di contrattazioni, sono questi Persol con le lenti scure che indosso. Non voglio ancora che mi veda gli occhi, non voglio fargli conoscere le mie emozioni, i miei desideri e le mie paure.
La trattativa tra noi è stata estenuante. Dalla sera in cui gli ho inviato quel messaggio, “portami all'inferno”, non si è più fermato. Il suo corteggiamento è stato serrato e deciso. La sua richiesta è stata sempre la stessa: incontrarci. Ho continuato a dire no fino a ieri. E invece la notte deve avermi portato consiglio perché ora sono qui anziché al lavoro.
Entro in ascensore con lui ma tengo la testa bassa. Mi sta osservando, percepisco i suoi occhi addosso che mi esaminano minuziosamente. Mi sento soffocare per il caldo che mi sta invadendo. Sbircio da sotto gli occhiali. Non mi sono neppure soffermata sul suo aspetto, ma in effetti non mi interessa: lui mi ha già conquistata con altro.
L'ascensore sale rapidamente, per fortuna, e quando sento le porte aprirsi, il cuore inizia a battere all'impazzata. Tra un minuto varcherò la soglia che mi porterà non in una semplice e comune stanza d'albergo, ma dentro le mie fantasie di piacere sensuale, quelle che sono state soffocate dall'inesorabile routine.
Lo seguo passo passo, e quando si ferma davanti alla porta sono ormai pronta.
“Togliti gli occhiali. Devo bendarti.”
Bendarmi? No, bendarmi no. Non era nei piani. Ma chi lo conosce. Non mi fido.
Però la curiosità è troppa.
È stato abile il bastardo a sedurmi, a conquistare la mia mente, a suscitare le mie voglie. Eppure, ora che lo guardo, non mi sembra nemmeno così pieno di attrattive. È carino sì, ma non mi fa vibrare le corde. Non è di quelli che si dice: “Ti vanno a pelle.”
Quasi quasi me ne vado, ma poi ripenso a tutte le cose che ci siamo scritti in questi giorni, a tutti i piaceri promessi, e allora decido di andare avanti. Mi tolgo gli occhiali e li metto in borsa. Lui mi guarda, invitandomi tacitamente a dargli le spalle. Si accorge della mia incertezza e mi sorride incoraggiante. Gli vorrei dire: “È facile per te, tu sei un uomo. Per voi è tutto più semplice.”
Mi giro e mi lascio mettere la benda rossa sugli occhi. La stringe forte, assicurandosi che non possa vedere, e mi incastra i capelli nel mezzo, facendomi male, ma quel dolore mi serve per restare vigile, attenta a cosa sta per accadere.
Lo sento aprire la porta e spingermi delicatamente dentro. Vengo subito avvolta da calde note musicali che accompagnano la sua voce.
“Eccola, è tua.”
Dopodiché la richiude alle mie spalle e io resto immobile come un macigno di granito. Lui è appena andato via e io inizio ad aver paura.
“Eccola è tua”, che vuol dire? Da chi mi ha portata? Chi c'è nella stanza? Quanti sono? Che intenzioni hanno?
Velocemente mi riprendo dallo shock e corro con le mani a togliere la benda per fuggire via, se ancora sono in tempo.
“Fermati!”
È un ordine e il tono deciso di chi lo proclama mi fa desistere, per un momento, dall'intenzione di riacquistare la mia libertà. Sì, perché con gli occhi che non vedono nulla, che non controllano, mi sento prigioniera, priva di difese, ma anche con la volontà intima di abbandonarmi che però non prevale. Sono, invece, l'ansia e la paura a farla da padrone.
Torno di nuovo con le mani alla fascia di seta, questa volta più determinata a togliermela e mandarli a fanculo tutti.
“Fermati, ho detto!”
Crede forse di potermi comandare con quel tono autoritario? Crede che la sua bella voce profonda possa sedurmi e controllarmi come se fossi una ragazzina? A quarantotto anni e così disamorata degli uomini, non può certo pensare che io mi lasci intimorire da uno stronzo farabutto.
“Per favore Lisa, non toglierla. Sono io, il tuo Bull Boy.”
Mi fermo. Il suo tono ora dolce e sicuro, ha compiuto la magia. Qualcosa dentro di me si scioglie, il sangue comincia a fluire con più libertà verso parti del corpo che anelano e obbediscono solo a lui. Sorrido debolmente, con la testa ancora incerta se credergli o meno, ma il mio corpo si è già arreso. Tuttavia rimetto le mani giù, tanto, anche se mi togliessi la benda, mi troverei nella stessa situazione, perché io non l'ho ancora mai visto il mio Bull Boy. So solo che si chiama Robert, ha ventisette anni ed è un Bull, non un giovane amante focoso come pensavo, bensì uno di quelli che si scopano le mogli di uomini che, per loro piacere personale, amano vedere le proprie donne possedute dinanzi ai loro occhi. Un toro da monta, insomma.
In questa situazione, però, lui non sta facendo il Bull, perché mio marito non solo non è con me, ma non sa neppure che io sono qui.
Robert si è avvicinato. Lo sento dal calore che emana e da quella sensazione di protezione che sto avvertendo. Il suo respiro mi sfiora la fronte, deve essere alto e di certo fisicamente forte, possente, perché me lo sento tutto attorno, come se mi avvolgesse.
Mi sfiora i capelli, il viso. Trattengo il respiro, al pensiero di dove si sposteranno ora le sue mani, e invece si fermano sulle mie labbra. L'indice e il medio disegnano con leggerezza il contorno della bocca, strofinano la pelle delicata portando via quel po' di gloss che ancora mi era rimasto, prima che me lo mangiassi a forza di mordermi il labbro quando ero giù nella hall.
È un gesto molto sensuale, eccitante, e il mio corpo inizia a rispondere. Il timore svanisce e la voglia di andare oltre, di sperimentare i peccati che mi ha promesso, la percepisco dalle contrazioni del mio sesso che anela a un piacere ormai dimenticato.
Dischiudo le labbra e con la lingua lambisco leggermente la sua pelle. Sembra un segnale tacito cui lui risponde prontamente, introducendo le dita nella mia bocca. È un muto invito a succhiare, come vorrà che io faccia col suo cazzo tra qualche momento, ed è quello che voglio.
Inizio a oscillare la testa per assaporarlo e invece...
“Sshhhh. Non ancora. Deciderò io quando sbattertelo in bocca. E dovrai fare ben più di così.”
Rabbrividisco, ma è eccitazione ciò che sto provando, non certo paura per quella che vorrebbe farmi arrivare come una minaccia.
Sorrido, frustrata perché sento che ritrae le dita, ma compiaciuta dell'intensità del desiderio che avverto nella sua voce.
Non resisto, ho bisogno di sapere se la mia sensazione è esatta. Allungo una mano davanti a me e la poggio decisa in mezzo alle sue gambe e... sì, lui mi vuole, eccome se mi vuole.
“Avevi dubbi?”
Lo sento sorridere mentre mi pone la domanda.
“Credevi che in tutto questo tempo ti avessi detto un mucchio di stronzate? Ora sai che non è così.”
Mette la mano sulla mia, schiacciando forte e obbligandomi a sfregarlo. Il suo cazzo prende vita, guizza al di sotto della stoffa, sento che vorrebbe ergersi in tutta la sua fierezza ma i pantaloni stretti lo costringono a una spiacevole compressione. Lo afferro e lo stringo forte quasi per fargli male, ma lui si ritrae. È frustrante questo gioco che fa, di offrirsi e negarsi, ma è allo stesso tempo eccitante e aumenta il mio desiderio.
Avverto il suo braccio che si muove e subito dopo qualcosa di morbido fa pressione sulle mie labbra. Non so cosa sia, quindi non le dischiudo. Ogni tanto le mie difese si ricostituiscono e mi ricordo che in fondo non lo conosco.
Mi hanno insegnato sin da piccola, come io ho insegnato alle mie figlie, che non bisogna fidarsi degli sconosciuti. Bisogna essere avvedute e scaltre, perché la fregatura è sempre dietro l'angolo. A non fidarmi degli uomini poi, me lo ha insegnato la vita, ma ci casco sempre.
“Apri la bocca.”
Il suo tono è dolce e autorevole assieme, e io, altalenante nelle mie emozioni, non posso che obbedire.
Il sapore di panna e cioccolato mi scoppia sulla lingua. Credo sia un Profiterole. Sorrido mentre gusto il mio dolce preferito, gliel'ho detto durante una delle nostre chat, e lui si è ricordato, si è ricordato che ne vado pazza. Eppure mi conosce da appena una settimana, invece, chi vive con me da una vita non se lo ricorda più cosa mi piace: compra solo crostate alla pesca.
Un po' di panna mi resta sul labbro e mi affretto a ripulirla, ma appena tiro fuori la lingua, incontro la sua che mi lecca. È più veloce di me. Lo scontro mi fa desiderare un bacio profondo, quindi mi spingo in avanti e lui, invece, si ritrae. Con le mani cerco di bloccarlo, ma con un gesto fermo lui le afferra e le porta dietro la mia schiena.
“Non costringermi a legarti.”
La sua voce è un soffio profondo nell'orecchio.
“Oppure ti piacerebbe? Di' la verità, ti bagni ancora di più all'idea di essere bendata e legata tra le mie mani, vero?”
Rabbrividisco di nuovo ma non rispondo, non gli darò la soddisfazione di aver ragione, benché la mia reticenza, penso, sia del tutto inutile, tanto il bastardo lo ha già capito che sono eccitata.
“Non rispondi? Vuoi che metta le mie dita nella tua fica per farti poi leccare la mia ragione? Lo so che stai colando tra le gambe.”
Emetto un gemito di frustrazione. Vorrei dirgli:
“E metticele queste cazzo di dita, infilale dentro e fammi sentire quanto piacere sai darmi. Ricordami che vuol dire essere scopata dalla mano di un uomo e non dalla mia.”
Torna alla mia bocca con il pollice, facendo pressione per entrare, e questa volta ha un sapore di vino, buono. Succhio con forza, nel tentativo di convincerlo a darmi di più, di farlo cedere, e invece ancora una volta si ritrae, e io istintivamente torno ad afferrargli il braccio.
“Ora basta. L'hai voluto tu” mi dice duro, mentre riporta i miei polsi dietro la schiena, legandoli con un altro nastro.
Non cerco di ribellarmi, perché ha ragione, io voglio essere tra le sue mani. Quando questa mattina ho deciso di raggiungerlo qui, era proprio questo il motivo: affidarmi a lui e provare tutto il piacere che mi ha promesso.
Con decisione solleva il vestito fino alla vita e con le mani fa scivolare lentamente a terra il perizoma di pizzo, grigio perla. Mi invita a sollevare i piedi per poi lasciarmi libera di muovermi. Lo avverto che si rialza perché sento il suo respiro che accarezza tutto il corpo, mentre lo fa. Poi di nuovo armeggia sul tavolo.
“Apri la bocca.”
Sento che mi appoggia qualcosa di freddo sul labbro. Faccio come dice, e sento il liquido fresco e frizzante che accarezza le mie papille e subito la sua lingua che mi invade in un bacio che sa di passione sfrenata. Beve dalla mia bocca e vorrei che lo stesso movimento lo facesse affondando con la lingua nel mio sesso. Poi, senza staccarsi dalle mie labbra, mi solleva e mi siede sul tavolo, posizionandosi tra le mie gambe.
Faccio fatica a tenermi in equilibrio con i polsi legati dietro la schiena, ma la sua mano stretta alla nuca, mi aiuta.
All'improvviso si stacca e gemo forte per il vuoto che sento.
“Ora ti farò quello che ti ho promesso, Lisa.”
Il fremito che mi suscita mi fa vacillare all'indietro, ma lui mi riafferra.
“Dovrai cercare di restare in equilibrio mentre ti lecco e dovrai resistere, perché ho intenzione di farlo a lungo.”
Lo sento che trascina una sedia davanti a me e si siede. Mi divarica le gambe ancora di più e contemporaneamente mi porta sul bordo del tavolo. Mi lascio andare all'indietro il tanto che basta per poggiare i palmi delle mani legate, sul ripiano. Ho bisogno di un minimo di sostegno altrimenti non ce la farò. Già così, sarà estremamente difficile.
Sobbalzo quando sento la sua lingua separare le labbra e leccare la fessura fradicia fino al mio punto più sensibile, ma non posso lasciarmi andare. Devo restare in equilibrio o rischierò di sbattere la testa sul tavolo. È una doppia legatura questa che sto percependo: le mani e l'impossibilità, ma necessità, di lasciarmi andare per godere.
Il suo lambire è lento e capace. Si vede che la sua esperienza nel campo è ben collaudata.
Come un serpente, il piacere si muove sinuoso attraverso il mio corpo e risale fino al cervello.
È interminabile il tempo in cui lui passa e ripassa sulla mia carne sensibile. Più volte mi porta vicino al collasso dei sensi e sempre si ferma un attimo prima. La mia frustrazione è alle stelle, come stellare sarebbe l'orgasmo se mi consentisse di arrivarci. Non dico nulla, non lo imploro, anche se la preghiera è dietro le mie labbra serrate, e forse è proprio il mio orgoglio che lo fa decidere. Inserisce due dita nella mia fica fremente e inizia a muoverle con metodo, dentro e fuori, come se fossero un fallo, aumentando fortemente le mie sensazioni di godimento, ma è quando prende a succhiare dolcemente che sono ormai decisa a lasciarmi andare, anche col rischio di cadere all'indietro. Invece il bastardo si ferma ancora. Tocco la disperazione: il piacere sta diventando dolore, ma è un dolore-piacere, non esiste più il confine tra queste due sensazioni apparentemente contrastanti.
Provo a stringere le cosce ma lui le tiene separate con le sue spalle forti. Non mi ero neppure accorta che si fosse tolto la camicia. Sento i suoi muscoli vibrare e la pelle calda. Vorrei scorrere le mie mani su di lui, graffiarlo a sangue per questa tortura cui mi sta sottoponendo.
Non ce la faccio più. Inizio a piagnucolare. Non vorrei, ma non posso evitarlo. In verità lo prenderei a parolacce, anzi, tra un po' credo che verrà fuori il peggio di me.
“Ti prego...”
Il mio lamento muore nella stanza. Lui se ne infischia e continua con la sua piacevole sevizia, da sadico senz'anima. Vorrei implorarlo ancora, ma non lo faccio e mi mordo le labbra per trattenermi.
Le sue dita inesorabili e la sua lingua paziente, mi stanno facendo impazzire, mi devastano il corpo e la mente. Rotea, lecca, succhia... Sono vicina ma non riesco. A tratti la paura supera il piacere e il piacere supera la paura, nel mezzo la capacità di abbandonarsi che resta prigioniera come i miei polsi.
Sto per piangere a causa della frustrazione. Il mio corpo inizia a tremare contro la mia volontà. Sto per cadere all'indietro e accada ciò che accada, ma io devo godere. È in quel momento che lui si alza, mi afferra i fianchi con forza e veloce affonda il cazzo duro dentro di me.
“Vieni! Ora!”
Non si muove. Non pompa. Sono io che faccio scattare il bacino in avanti e lascio che le contrazioni dei miei muscoli interni lo imprigionino mungendolo.
È un orgasmo devastante, che non ho mai provato, è travolgente come un tornado che ti alza a metri da terra per poi farti di nuovo precipitare giù.
Le sensazioni di soddisfazione fisica si spengono man mano che rallento i movimenti del bacino e le contrazioni interne si sedano. Eppure alla fine mi manca qualcosa. Vorrei che si muovesse, che mi scopasse e invece, dopo che i muscoli si sono rilassati, esce da me con il cazzo ancora duro.
Sul momento resto stupita. Pensavo che anche lui avrebbe cercato il proprio piacere, ma forse vuole solo cambiare posizione, e la cosa mi piace. Sono pronta a partecipare alle sue voglie e aspetto intrepida la sua decisione.

A.S. Twinblack

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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