Stupro - La ragazza sporca
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“Non importa mamma, niente ha importanza, si può dire la verità, si può guardarla dritta in faccia e riprendere, continuare a volersi bene, capirsi e accettarsi: dobbiamo solo riconoscere la verità, nessuno ha colpa, ogni essere umano può commettere errori. Perché mai non possiamo perdonarci a vicenda e lasciare che sia solo l'amore a legarci e a consolarci, non c'è bisogno alcuno di negare, di far finta che nulla sia accaduto, è faticoso fare finta: mettiamo tutto in un angolo dei nostri ricordi e lasciamo il resto a tutto ciò che di bello esiste fra noi, costruiamo nuovi ricordi, viviamo nuove giornate serene e doniamoci serenità tramite quelle, soltanto quelle. Abbracciami e lasciamo che il nostro abbraccio si porti via ogni orrendo pensiero e che prenda il posto di ogni brutto ricordo. Potrebbe svanire per sempre. Sarebbe così semplice! Cosa conta di più? Continuare a colpevolizzarsi? Abbiamo molti giorni davanti a noi, possiamo scegliere, scegliere di riempirli d'amore e nient'altro.” Anna, però riusciva sempre ad evitare discorsi troppo profondi e complicati. La sua natura semplice e pratica non le consentiva di affrontarli, ma nonostante questo, cresceva inevitabile in lei la capacità di cogliere ugualmente ogni spasmo dei sentimenti della figlia, quasi che le arrivassero telepaticamente, come se entrambe avessero l'attitudine a mettere in comunicazione le loro menti, riuscendo infine Anna a raccogliere l'essenza dei pensieri di sua figlia senza che di fatto glieli avesse mai esposti apertamente. Il loro legame cresceva così il tal maniera, da diventare ancora più forte di quanto lo sarebbe divenuto, nel tentativo di interpretare a parole sentimenti che andavano al di là della loro semplice condizione terrena. Lo stesso Monica, non comprendendo la madre mai fino in fondo, rimaneva a volte in uno stato di smarrimento totale, a volte si lasciava cogliere da un'eccesiva rabbia, altre volte si colpevolizzava per non essere riuscita, per l'ennesima volta, a trovare un contatto reale, o meglio materiale e terreno, con colei che in fin dei conti adorava e innervosiva alla stessa stregua. Così, in quelle giornate trascorse faccia a faccia con Anna, la ragazza decideva di fermarsi quel tanto che bastava per arrivare al momento in cui perdeva la speranza che uno dei suoi fratelli rientrasse prima del previsto, per fare due chiacchiere con lei e dare quindi un senso alla sua giornata; infine se ne andava, intristita, sebbene consapevole che il silenzio avesse lo stesso rafforzato ancora di più il loro legame e che presto, un'altra domenica sarebbe arrivata. Questa era sostanzialmente la vita di Monica, divisa fra la lotta agli incubi, il desiderio di rimanere legata ai suoi famigliari dando ad ognuno ciò che credeva desiderassero, e il lavoro che aveva scelto, ma, dalla sera in cui aveva incontrato Marco, qualcosa era cambiato, qualcosa in più si era insinuato nei suoi pensieri, nei suoi progetti, qualcosa che sembrava stesse andando a colmare quel suo piccolo angolo dove andava a racchiudersi il suo senso di vuoto e che riusciva a prendere il sopravvento su di lei durante alcune, faticose giornate: la speranza. L'immagine ricorrente del ragazzo del locale notturno e la speranza di rivederlo, riempivano tutti i momenti in cui rischiava che proprio i suoi fantasmi andassero ad insinuarsi in quei vuoti, costanti nella sua vita precedente, colmandoli di aspettative, di ricordi e di dolci sensazioni, sostituendosi a cupi pensieri e pessime visioni. Monica rimaneva in attesa tutti i giorni e tutto il giorno del momento in cui avrebbe rivisto l'elegante ragazzo dagli occhi straordinariamente dolci, viveva immaginando quegli occhi così teneri e spaesati, delicatamente posati sul suo corpo e sul suo viso con un'inusuale discrezione. A differenza degli altri uomini i cui espliciti, volgari sguardi, la sfidavano ad essere ancora più conturbante, sentiva che quello di quel giovane aveva un certo rispetto, un certo intento a non offenderla, ma soltanto ad ammirarla, andando così a nutrire il suo ego, avido di approvazione. Non riusciva più a fare niente senza immaginare che lui la stesse guardando. Si nutriva di quello sguardo e della sua immagine, la aiutava a fare qualunque cosa, le faceva perdere a tratti la timidezza che aveva sempre avuto nel parlare con le persone, la faceva sentire sicura e protetta, le dava maggiore entusiasmo ed intuito nei suoi intenti a consigliare i fratelli, le dava anche più pazienza e una serena rassegnazione all'apparentemente impossibile rapporto con Anna. Quasi sembrava riaccendere persino una certa speranza che credeva fosse andata perduta per sempre, una speranza interamente legata e sé, come se questa volta il suo amore, il suo rispetto, il suo istinto di protezione potessero essere rivolti finalmente a sé stessa. Cantava, rassettando la casa o sotto la doccia, dedicando a lui ogni nota di armoniose melodie che inventava dal nulla e che le nascevano spontanee nel cuore colmo di amore per lui, ballava al locale o a casa mentre si vestiva, dedicando sempre a lui ogni passo ed ogni movenza. Fino ad allora non aveva osato mai sperare di innamorarsi, ancor meno che qualcuno si potesse a sua volta innamorare di lei. Adesso avvertiva quell'amore piombarle addosso con quello sguardo così dolce, che non la giudicava, non la deprecava, non la umiliava, non la mortificava: quella sera di tanti anni prima ritenne di avere perso tutto, la capacità di amare e il diritto di chiedere di essere amata. Ora, a distanza di quello che percepiva essere stata una vita intera, si ritrovava innamorata e riamata, non sapeva darsi pace dall'emozione, non poteva credere che tutto questo stesse accadendo veramente a lei, proprio a lei. Cominciava persino quasi a credere di potersi considerare una ragazza come tutte le altre, quelle buone, quelle giuste, quelle non rifiutate, quelle pulite, inebriata com'era dalla grandezza di quell'amore. Aveva sempre guardato le sue coetanee con invidia, senza mai smettere di domandarsi perché lei non potesse avere le stesse cose, ne ascoltava le parole, l'intonazione della voce, studiava nei minimi dettagli come erano vestite, per imitarle, sentirsi come loro, essere una di loro. La costante presenza di quel giovane nella sua vita aveva trasformato le sue giornate, illuminandole di luci nuove, colorandole di colori nuovi, con sottofondo di musiche e suoni nuovi, rendendo tutto meravigliosamente diverso. Ora, improvvisamente, perse tutta la sua importanza il bisogno di essere uguale alle altre ragazze, non desiderava più essere accettata o accolta nel mondo degli altri, coloro che aveva sempre visto lontani e così diversi da lei, tanto da ritenersi un'aliena. Ora aveva la bella sensazione di essere di più, più bella, più forte, non solo uguale a loro, ma migliore, non certo come persona in sé, ma sicuramente più fortunata, perché se una cosa così bella stava accadendo proprio a lei non poteva che essere un privilegio, che se pur non avesse fatto nulla per meritarlo, era miracolosamente, concesso proprio a lei. “Dunque è possibile!?” ripeteva a sé stessa, guardandosi allo specchio. Anche lei poteva immaginare l'amore, un futuro senza solitudine, magari una famiglia!? “Sto correndo troppo” si rammaricava “Sto di nuovo sognando ad occhi aperti” si rimproverava. Il timore che fosse tutto frutto della sua immaginazione, che lui fosse finto e immaginario, come il suo falso gruppo di insegnanti e compagni cui aveva dedicato le sue prime danze, l'aggrediva a volte, rigettandola nello sconforto e indicandole il suo angolino, il più piccolo anfratto dove poter andare a ninnarsi per un po'. Altre volte la solitudine delle sue giornate la scaraventava nuovamente nell'abisso più profondo, laggiù in fondo a quel cratere, dove le sue emozioni potevano rimanere intrappolate e latenti, oppure esplodere all'improvviso, complice la musica e gli occhi dolcissimi di quello sconosciuto ragazzo. Lottava strenuamente per non ammettere ..
Stefania de Girolamo
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