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Autore: Paolo Ninzatti
Le ali del Serpente
Romanzo
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Le ali del Serpente
Dall'Ombra alla Luce.

A.D. 1509, maggio
La pioggia infieriva violenta sferzando il ponte, le fiancate e lo scafo. Le forze della natura si erano scatenate lanciando migliaia di dardi bagnati che non risparmiavano niente. Oasi di asciutta sicurezza, la cabina del quartier generale gemeva squassata dalla tempesta che infuriava. La finestra sembrava un quadro animato raffigurante un paesaggio plumbeo e terrificante. Un fulmine squarciò il tetro panorama.
Angelo Santus vide il riflesso del lampo baluginare sulla barba e la chioma argentea di Ferruccio Alberti. Il comandante sembrò per un attimo un profeta baciato da luce divina; la stessa luce colpì anche la testa calva di Vittorio Fiamma, il secondo, il candido onor di mento e l'occhio di vetro di Murano, conferendogli un aspetto da dio norreno. Al lampo seguì il fragore di un tuono che parve squassare il mondo intero.
Niente sembrò scomporre la calma del comandante né la grinta del secondo, ma ciò che infuse ancora più coraggio ad Angelo fu l'espressione quasi divertita di Placido e Guerrino, identica, sincronizzata, perenne sensazione di veder doppio.
Chiuso lì dentro, lontano dagli spazi aperti, Angelo si sentiva spaesato. Un tempo aveva temuto i luoghi angusti ma era riuscito a mitigare quella fobia. Di più non poteva combattere la propria natura. Continuò a pensare che fuori di lì, da qualche parte, esisteva il cielo.
Una serie di tuoni lontani e ovattati interruppe i suoi pensieri e la calma di Ferruccio Alberti. La sicumera di Guerrino sembrò vacillare. Placido parve invece eccitarsi al rombo dei cannoni francesi. La grinta di Fiamma si fece ancora più aggressiva ostentando voglia di menar le mani. Nel volto del comandante si poteva invece leggere il rammarico per essere costretto a combattere; esso si tradusse in parole scandite e quasi urlate per coprire il frastuono della pioggia, delle nuove salve delle artiglierie di Luigi XII, degli sbuffi di vapore e del ticchettio degli ingranaggi appena udibile in tutto quel caos.
– È inevitabile, oramai! Siamo costretti a intervenire, a inserirci nella Storia, a uscire dal nostro nascondiglio. Avrei voluto aspettare ancora, ma se vogliamo salvare Venezia dobbiamo agire. Ve lo aspettavate del resto, no?
Un'altra salva di cannoni fece da sottofondo. Ai tuoni di Francia si aggiunsero quelli di Giove Pluvio. Sembrava che anche Madre Natura si fosse alleata coi nemici della Serenissima Repubblica di Venezia.
Con sarcasmo nella voce, Ferruccio declamò, condividendo quella sensazione: – Dio sta dalla parte dei nostri nemici. Sua Santità deve aver recitato qualche preghiera in più. Non gli bastavano Francia, Impero, Spagna e gli altri lacché italiani! Siamo soli contro il mondo!
Le ultime parole vennero pronunciate con furia. Sembrava che il comandante parlasse sia a loro che a se stesso, esprimendo la rabbia di dover essere costretto a gettarsi in un conflitto armato. Anche Angelo odiava guerre e violenza, ma, maledizione, quando si avevano tutti contro e la propria terra era in pericolo, bisognava combattere!
Il comandante si alzò, risoluto, afferrò un tubo metallico e vi urlò dentro: – Virate a babordo e scendete di un miglio e mezzo, quota iperscopio. Issate a bordo la vedetta e mandatemela subito!
Passarono minuti.
Bussarono alla porta. Alberti urlò di entrare con tono spazientito. Un uomo con la mantella bagnata fradicia si affrettò all'interno e all'asciutto.
Dopo averlo invitato a sedersi, il comandante gli presentò un foglio di carta e una penna. Quello si asciugò le mani e tracciò uno schizzo. Il disegno prese forma, mostrando un lungo serpente e un paio di frecce indicative.
La vedetta prese parola: – Comandante, ecco il nostro esercito in ritirata. Come potete vedere, i francesi stanno attaccando le retroguardie di D'Alviano. Ora vi mostro gli ultimi sviluppi prima che fossi issato a bordo.
Un paio di frecce e linee mostravano ora il serpente spezzarsi in due. Un nuovo schizzo mostrò metà di esso proseguire verso il villaggio di Pandino, mentre la coda si frammentava in un contrattacco.
Alberti fu risoluto a interpretare gli schizzi della vedetta.
– Sotto di noi si stanno svolgendo atti sia di coraggio che di codardia. Il conte Orsini, ligio agli ordini del Senato, sta proseguendo imperterrito la sua ritirata col fior fiore delle truppe. D'Alviano, invece, sta lanciando le retroguardie al contrattacco contro gli invasori, in barba agli ordini assurdi di quella masnada di inetti!
Si rivolse ad Angelo: – Caposquadriglia Santus e aeronauti Placido e Guerrino Cesani, sosterrete il contrattacco di D'Alviano. Concentrate il fuoco degli organi a mitraglia sulla cavalleria pesante e sugli svizzeri; e fate saltare in aria quegli stramaledetti cannoni!
Gli occhi di Placido si infiammarono. Spontaneamente, si alzò prima ancora che il comandante desse l'ordine: – Andate, per San Marco!
Angelo si costrinse a correre più forte di Placido. Scesero la scala che conduceva al ponte sottostante, passarono tra le truppe da sbarco già schierate. Metà si mise sull'attenti, mostrando rispetto. L'altra metà restò immobile; erano gli automini, la cui anima di molle e ingranaggi non provava alcun sentimento, paura, coraggio, amor di patria che fosse. Ferraglia da cannoni.
Scesero ulteriormente arrivando al ponte inferiore. Tre ornitotteri, marchingegni con ali da pipistrello di tela e legno, erano sospesi al soffitto. I tre aeronauti si arrampicarono a bordo emulando le scimmie dell'Africa o dell'Asia lontane.
Angelo si mise l'elmo con la visiera di vetro di Murano. Lanciò a turno uno sguardo a ciascuno dei suoi compagni; Guerrino sembrava condividere il suo dilemma: niente paura del volo né del nemico, soltanto rammarico di dover uccidere. Placido, al contrario, guardava con avidità gli archibugi a ripetizione appesi a ciascuna ala e le micidiali bombe volanti a ogiva. A lui l'onore di far strage di francesi e svizzeri prima che questi annientassero i veneziani.
Un argano fece aprire il pavimento sotto di loro. Per Angelo fu come si fosse spalancata una porta orizzontale su un nuovo universo. Pur seminascosto dalle nuvole, il panorama della Pianura Padana, un paio di miglia sotto di loro, sembrava un dipinto. Niente di nuovo, pensandoci bene. Per anni aveva volato con sole, pioggia o vento. Dal lontano 1503 aveva compiuto esercitazioni a volte rischiose e rompicollo nell'elemento in cui lui si trovava perfettamente a suo agio: il cielo. Tante volte era stato sganciato da un'aeronave in volo, un'operazione che lui sapeva ormai compiere a occhi chiusi.
Soltanto pochi attimi prima di immergersi nel vuoto, Angelo si rese conto che di lì a poco lui e i due gemelli avrebbero contribuito alle sorti di qualcosa di molto più grande dell'ebbrezza del volo.
La gioventù stava finendo. La maturità, con le sue responsabilità, era sotto di lui. In quel breve attimo gli vennero in mente gli eventi che l'avevano portato fin lì, a far parte del disegno impescrutabile del comandante Ferruccio Alberti.
Angelo amava gli spazi liberi. La sorte gli aveva donato il privilegio di nascere in un borgo montano, a due passi da cime impervie che lui amava scalare senza timore del vuoto; una passione, quasi una vocazione, che egli aveva avuto fin da quando era un fanciullo. Il sogno di volare esisteva fin d'allora, prima ancora che le macchine di Leonardo da Vinci entrassero a far parte della sua realtà quotidiana. Un segreto ancora negato al mondo.
Destino.
Ferruccio Alberti, regista nell'ombra di piani oscuri, aveva allestito una fabbrica nel cuore di una grotta nelle viscere di una montagna, proprio dove quel Leonardo aveva diretto la costruzione di macchine di ogni tipo. A quei tempi Angelo esercitava il mestiere di falegname, nel borgo alle falde di quel monte. Ferruccio Alberti, meglio conosciuto come Ferruccio da Padova, era stato il fondatore di una delle tante accademie che pullulavano per l'Italia. Arte e letteratura per il mondo.
Fumo negli occhi per preparare invece armi segrete che secondo lui dovevano soltanto avere il fine di difendere la civiltà e l'Italia dallo straniero quand'ora egli si fosse affacciato al di qua delle Alpi.
Lo spirito di Ferruccio aleggiava nelle contrade della Serenissima Repubblica di Venezia. Il suo grande disegno era sempre stato davanti ad Angelo prima ancora di conoscerlo di persona. La scuola dell'obbligo che l'aveva elevato dall'analfabetismo era stata una sua proposta al Senato di Venezia. Fin dalla giovane età aveva divorato i romanzi d'avventure delle Edizioni Aldine, grazie ai quali era stato come convertito a sua insaputa alla causa del progresso. Il romanzo Magnus il Cavalcatore di Draghi era in realtà un libro che introduceva la tecnica di come manovrare un ornitottero. Da dietro le quinte, Ferruccio aveva orchestrato per arruolare tra le sue fila oltre a Leonardo da Vinci, l'editore Aldo Manuzio. L'altro libro più letto, specie tra i giovani, La Spada d'Oriente, era invece un'allegoria. Kasim, il giovane protagonista che combatteva per la riunificazione del Califfato, ossia di tutti i popoli di lingua e cultura araba. La propaganda alla necessità di unificare l'Italia per proteggerne la civiltà dal pericolo di probabili invasioni straniere era nascosta tra le righe.

Paolo Ninzatti

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