Milano, 2 gennaio 1981 ore 15.
Il salone era addobbato con palloncini colorati. Sul tavolo c'erano coca-cola e aranciata vicino a dei bicchieri della Disney. Al centro era posizionata una torta chantilly con panna montata che aspettava solo di essere mangiata. Dalla stanza di fianco sopraggiunse uno stuolo di bambini urlanti pronti a far festa. Il festeggiato indossava un pantalone in velluto scuro, una camicia chiara e un gilet a quadri. Stava per compiere tre anni, nonostante non superasse il metro di altezza, toccava il cielo con un dito: quella festa era tutta per lui. - Dai, Andrea vai a chiamare papà -, disse la mamma del festeggiato mentre accendeva le tre candeline. Il piccolo si diresse verso lo studio del padre al piano superiore. Giunto in prossimità della stanza, intravide una sagoma uscire furtivamente. Solo pochi attimi ma sufficienti affinché quel volto gli restasse ben impresso. Andrea penetrò nella stanza silenziosa. Suo padre era riverso sulla scrivania. Sembrava che dormisse, cercò di scuoterlo ma senza riuscirci, pesava troppo per lui. Il bambino corse disperato in direzione del salone della festa. Con le lacrime che gli uscivano senza sapere ancora bene il perché, si avvinghiò alla gonna della madre e a bassa voce le sussurrò - Mamma corri, papà dorme con gli occhi aperti -.
Milano, 24 dicembre 2017 ore 23
In una grande casa alle porte del capoluogo meneghino c'era aria di festa, tutti gli invitati erano allegri e gioiosi. Tutti tranne uno, che se ne stava in disparte seduto sul divano sorseggiando un whisky. - Dai Andrea unisciti a noi -, lo invitò una donna con in braccio un bambino. - No grazie sto bene qui, sai che giornate come queste mi rendono di cattivo umore -. I suoi amici e parenti lo sapevano bene, avevano imparato a convivere con il malessere del ragazzo che si accentuava nei giorni di festa, quando ad Andrea Fortis, più che in ogni altro giorno, tornavano alla mente quei tragici ricordi del suo terzo compleanno. La madre di Andrea si sedette accanto al figlio, intenta a sfogliare un vecchio album ormai ingiallito. Ad un tratto l'attenzione di Andrea fu catturata da una foto. Il giovane venne folgorato da quell'immagine. In un attimo venne catapultato nel passato, provando lo stesso brivido di quel maledetto pomeriggio. Fino ad allora quel volto gli era apparso solo in sogno. Adesso poteva finalmente dare un nome all'assassino di suo padre. La morte di Francesco Fortis era stata archiviata frettolosamente come suicidio. La pistola trovata sulla scrivania fece propendere gli investigatori per il gesto volontario, ma i familiari non credettero mai a quella versione. - Mamma e questo chi è? -, chiese Andrea indicando l'uomo nella foto. La madre si prese un momento per ricordare - È una vita che non lo vedo, era un caro amico di tuo padre, si chiamava Giorgio, ma il cognome non me lo ricordo -. La donna stava ancora parlando, ma Andrea già non l'ascoltava più. Era assorto nei suoi pensieri, la causa del suo male di vivere ora aveva un nome, e presto avrebbe avuto anche un cognome. Chiuse gli occhi e mandò giù il whisky tutto d'un fiato. La Mercedes scura correva lungo i viali milanesi semideserti: era la notte di Natale. Finalmente per Andrea era arrivato il gran giorno. Parcheggiata la sua Mercedes nel garage, Fortis si diresse di corsa verso lo studio, in mano teneva la foto ingiallita presa dalla madre e in testa un solo pensiero: trovare quell'uomo. Andrea si tolse la giacca e con il cellulare chiamò un numero. - Pronto? -, rispose una voce maschile. - Ciao Giovanni, mi devi fare un favore -, chiese Andrea. - Buon Natale avvocato, dimmi tutto -. Chiusa la telefonata con Andrea Fortis, avvocato penalista del foro di Milano, il commissario Giovanni Bisca si allentò il nodo alla cravatta, tramite WhatsApp aveva appena ricevuto la foto del sospettato, sarebbe toccato a lui trovarlo. Prese le chiavi dell'auto, salutò sua moglie Ada con un bacio e corse verso l'ufficio. Sarebbe stata una lunga notte di ricerche. Giovanni e Andrea si erano conosciuti ai tempi dell'università, avevano legato fin da subito, estroverso ed esuberante il primo, chiuso e riservato il secondo, ma tra i due era nato un rapporto di vera amicizia. Quando Giovanni aveva avuto necessità il suo amico c'era sempre stato, sia emotivamente che economicamente. Stavolta il commissario Bisca non poteva tirarsi indietro, l'avvocato Fortis gli aveva chiesto un favore personale. Il Natale poteva aspettare, Andrea no.
Dopo due ore e tre caffè, sullo schermo del commissario Bisca apparvero una foto e poche righe descrittive. L'espressione sul suo volto cambiò, scrisse un appunto sul block notes e poi uscì dall'ufficio.
Milano, 25 dicembre 2017 ore 3.45
Il commissario Bisca si accese una sigaretta e partì a bordo della sua Golf. Giunto in prossimità di via Procaccini gli si affiancò una moto. Pochi attimi: uno scambio di sguardi, poi un rumore assordante, il fragore dei vetri in frantumi, tre colpi che andarono a segno. La Golf sbandò terminando la sua corsa in piazza Gramsci contro un palo. L'uomo scese dalla moto, prelevò alcuni oggetti dall'auto del commissario e si dileguò abbandonandolo in un lago di sangue.
Milano, 25 dicembre 2017 ore 7
La Mercedes scura arrivò a forte velocità in Piazza Gramsci, Andrea Fortis si fece largo tra il capannello di polizia e di curiosi che popolavano la piazza in quella fredda mattina di Natale. La scientifica era ancora al lavoro, stavano effettuando gli ultimi rilievi. - Lasciatemi passare -, supplicò l'avvocato, mentre un poliziotto gli impediva di avvicinarsi ulteriormente alla scena del crimine. - Fatelo passare -, urlò un uomo sulla sessantina, un tipo ben piazzato con il collo tozzo e con un berretto di lana in testa. - Va bene ispettore -, rispose l'agente permettendo così il passaggio a Fortis. Il giovane si diresse verso l'uomo che comandava le operazioni, lo guardò in viso e i due si abbracciarono energicamente, entrambi non trattennero le lacrime. - Mi dispiace tantissimo Mario, era come un fratello per me Giovanni -, disse Andrea con la voce rotta dal pianto. - Lo so, lo so -, rispose l'ispettore accarezzando la testa dell'avvocato Fortis. Mario era una leggenda tra le forze dell'ordine, un uomo rude ma molto rispettato, aveva iniziato da ragazzo facendo la gavetta. Con il suo famoso sesto senso aveva risolto molteplici casi nella sua lunga carriera. Ora gli toccava fare luce su questo efferato delitto, che nessun poliziotto si augurerebbe mai di dover affrontare. L'uccisione di un altro collega era un fatto di per sé spiacevole, ma la morte del commissario Bisca, era qualcosa di inimmaginabile anche per un tipo tosto come Mario Bisca, collega e padre del povero Giovanni ammazzato la notte di Natale.
Milano, 25 dicembre 2017 ore 11
Negli uffici della questura di Milano in via Fatebenefratelli si stavano vivendo momenti concitati. La polizia lavorava alacremente per rendere giustizia al defunto commissario. L'aria che si respirava era piuttosto pesante e la tensione palpabile. Solitamente in altre circostanze ci si sarebbero scambiati gli auguri, ma quel 25 dicembre era una giornata diversa, soprattutto per i due uomini che sedevano uno di fronte all'altro. - Capisci bene Mario, che non posso fare altro che sollevarti dal caso, sei coinvolto personalmente. Sai quanto ero legato a tuo figlio ma non posso fare altro -. L'ispettore Bisca faticava a restare seduto, sembrava che la sedia scottasse, alla sua età non gli andava di sentirsi fare la paternale come ad un cadetto. - Conosco il regolamento Salvatore, non me lo devi ricordare tu, però esigo perlomeno che il caso venga affidato a chi dico io. Almeno questo me lo devi -, disse l'ispettore capo Bisca mettendo la mano sull'avambraccio del dott. Zimi, il P.M incaricato, che alzò quindi le mani in segno di resa. Mario Bisca era un osso troppo duro anche per uno navigato come lui. - Inutile dirti di stare lontano dal caso, tanto Mario ormai ti conosco, sarebbe come urlare ad un sordo, ma almeno lasciatelo dire, non combinare cazzate -, concluse il P.M. Su richiesta di Mario Bisca, venne incaricato l'ispettore Marco Frate, un tipo sveglio, giovane ma ben voluto nell'ambiente. In lui, il vecchio Bisca rivedeva sé stesso e aveva designato il giovane come suo degno erede. Il figlio Giovanni, laureato e promosso già commissario, secondo il padre non aveva le doti necessarie per contraddistinguersi sul campo. Padre e figlio non avevano mai affrontato questo argomento, però Giovanni era tutt'altro che stupido, e sapeva che per suo padre non sarebbe mai stato all'altezza. Questo lo faceva soffrire, seppure sapesse mascherarlo bene grazie alla sua estroversione.
Milano, 28 dicembre 2017 ore 12
La chiesa Sant' Angela Merici di via Cagliero era gremita, occhi lucidi e molta commozione tra i presenti. Oltre ai familiari, c'erano molti colleghi appartenenti alle forze dell'ordine e poi gli amici di sempre, tra questi Andrea Fortis nascosto dietro un paio di occhiali scuri per nascondere gli occhi arrossati dal pianto. La cerimonia fu breve, come aveva sempre chiesto Giovanni, che scherzando era solito dire: “Quando sarà, poche chiacchiere e mettetemi una bella colonna sonora” e così avvenne. Il coro della chiesa aveva intonato tre canzoni: l'ultima, seppur non proprio attinente al contesto religioso, era stata “Alba Chiara” di Vasco, la preferita di Giovanni. Il feretro era stato accompagnato fuori, sulle note del suo idolo. Dopo il funerale, Mario e Andrea si allontanarono dagli altri e il giovane poggiò la mano sulla spalla del poliziotto - Mario se posso fare qualcosa, conta sempre su di me -. Il vecchio Bisca prese la mano dell'amico e la strinse forte - Grazie, ora mi resta solo una cosa da fare: trovare l'assassino di mio figlio -.
Milano, 31 dicembre 2017 ore 7
Una Audi scura sostava in piazza Damiano Chiesa. Un uomo in giacca scura attendeva al posto di guida. Da via Colleoni sopraggiunse una Mercedes che dopo aver fatto il giro della rotonda si accodò alla berlina tedesca e ripartirono insieme. Dopo mezzora le due auto entrarono nel parcheggio interrato dell'aeroporto di Malpensa. L'uomo in giacca scura salì sulla Mercedes e consegnò un plico che Andrea Fortis prese tra le mani. Cinque minuti più tardi l'Audi ripartì, mentre l'avvocato lasciò l'auto parcheggiata, prelevò un trolley dal bagagliaio e si diresse verso il check-in, aveva un volo da prendere.
Marco Preite
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