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Autore: Daria Collovini
La ballerina di Degas
Romanzo
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La ballerina di Degas
Lo squillo del telefono lo svegliò di soprassalto. Il primo pensiero andò ai suoi genitori e immediatamente alzò il ricevitore dal comodino.
Il fastidioso suono del fax gli attraversò i timpani. Riagganciò imprecando. Ma come si poteva spedire un fax in piena notte? Si girò verso Francesca, immersa in un sonno profondo.
“Beata lei!” pensò. Diego soffriva d'insonnia e, se per caso riusciva a trascorrere una notte decente, all'alba era già sveglio. Quella sera, invece, si era addormentato di schianto, dopo una giornata di lavo- ro particolarmente pesante per allestire quel set fotografico. L'aveva ripetuto mille volte al grafico che lui era fotografo, non art director, come si usava dire nell'ambiente e che il suo compito era di eseguire lo scatto, non di disporre gli oggetti! Ma abitava a Udine, una cittadina di provincia del Friuli, dove il suo lavoro professionale non era quasi per nulla considerato. “E che ci vuole per fare un clic?” era la considerazione di molti che non si rendevano affatto conto del lavoro che stava dietro ad un semplice clic. E lui, di carattere difficile e poco paziente, si rodeva lo stomaco in silenzio, non potendosi per- mettere di mandare al diavolo tutti quegli imbecilli, dato che erano proprio quegli imbecilli a dargli lavoro.
Spense la luce e riprovò a riprendere sonno. Si girò verso Francesca, attirandola a sé. In quel momento il telefono ricominciò a squillare. Rialzò la cornetta: sempre il fax. Questa volta Francesca emise un debole lamento, ma non si mosse. Diego pensò di staccare il telefono dalla presa centrale, ma avrebbe dovuto alzarsi e scendere due rampe di scale... Mentre stava lì, sotto le coperte, indeciso sul da farsi, il marchingegno riprese a strillare.
Stavolta anche Francesca si svegliò.
– Ma chi diavolo è a quest'ora? – chiese con la voce impastata dal sonno.
– È il fax, maledizione! –
– E hai intenzione di farlo suonare tutta la notte? Non è il caso che tu vada ad attaccarlo? –
Il fax si trovava nello studio non comunicante con l'abitazione e per raggiungerlo si doveva scendere un piano, uscire all'aperto e rientrare dall'esterno.
Decise di farla finita. Infilò l'accappatoio e scese, maledicendo quell'infame guastafeste.
Era ottobre e non faceva ancora freddo, ma cadeva una pioggerellina insistente che bastò per inumidirgli la testa e l'accappatoio. Entrò nello studio, attaccò il fax e attese.
Niente. Rabbrividì nell'accappatoio.
Inveì di nuovo ad alta voce e risalì velocemente in casa, infilandosi a letto proprio mentre il telefono si rifaceva sentire.
– Non vai a vedere di che cosa si tratta? – domandò Francesca ridestata. A lei erano stati sufficienti due minuti per riaddormentarsi. – Se vuoi ci vai tu adesso! Domani vedremo chi è questo rompi-
scatole che si diverte alle nostre spalle! –
Il resto della notte lo trascorse a rigirarsi nel letto, incapace di
riprendere sonno.

La mattina seguente scese in studio mentre Francesca preparava la colazione e ritornò con un foglio in mano che appoggiò sul tavolo.
– Vedi un po' di che si tratta! – esclamò.
Il testo era in inglese. Diego nutriva da sempre una profonda incompatibilità nei riguardi delle lingue straniere e si affidava a Francesca come interprete. Lei inforcò gli occhiali, spense il gas sotto il pentolino del latte e si accinse a leggere.
Si trattava della proposta di un editore di New York, un certo Bill Chaine, il quale aveva notato alcune foto di nudo di Diego pubblicate su una famosa rivista di fotografia e gli erano piaciute talmente da spingerlo a scrivergli per coinvolgerlo in un grande progetto, una collaborazione tra fotografi noti a livello internazionale per ritrarre celebri ballerini. Seguivano alcuni di questi nomi tra i quali Diego ne conosceva almeno un paio.
Nonostante l'entusiasmo di Francesca rimase scettico. Non era abituato a tali proposte e gli sembrava impossibile che da New York si fossero rivolti proprio a lui.
Si consultarono con Mauro, il cugino di Francesca che lavorava tra New York e Miami nell'ambito del commercio internazionale, forse la persona più adatta a capire l'attendibilità della proposta.
Mauro non trovò nulla di strano e così decisero di aderire.
– Vedi che quella pubblicazione finalmente ti è stata utile? Dicevi che non sarebbe servita a niente come al solito e invece... – commentò Francesca con palese soddisfazione.
Lei si entusiasmava sempre, al contrario di Diego.
Bill Chaine rispose subito proponendogli di iniziare con il Tea- tro alla Scala, come prova delle sue capacità. Pareva più che giusto come modo di procedere. Chaine si sarebbe incaricato di scrivere una lettera di presentazione, ma Diego avrebbe dovuto preoccuparsi di trovare i ballerini disponibili.
Francesca, solerte e collaborativa come sempre, si mise subito al lavoro.
Era da anni la compagna di Diego, quasi dai tempi della scuola.
Sin da ragazzina aveva collezionato ammiratori e inconsapevolmente gettato nella disperazione qualche spasimante. Sapeva di avere un aspetto gradevole, ma non era il tipo da ostentarlo, anzi, era con- vinta di essere piena di difetti. In realtà era dotata di una bellezza non aggressiva, un fisico armonioso, un bel viso incorniciato da capelli castano chiaro e due occhi blu purtroppo nascosti dagli occhiali da vista, costretta a portarli fin dalla scuola elementare, che però non toglievano nulla al suo sguardo profondo e sincero.
Il loro non era stato il classico colpo di fulmine, bensì un innamoramento graduale, un accompagnarsi e crescere insieme giorno per giorno. Diego era un tipo introverso, timido, fortemente creativo ma incompreso nell'ambito familiare e scolastico e aveva trovato in Francesca la persona che lo capiva e sosteneva anche nei momenti di crisi e di sconforto, abbastanza frequenti, considerato il suo carattere.
Aveva aperto uno studio di fotografia in uno spazio adiacente casa, non lontano dal centro. Oltre alla foto pubblicitaria, si dedicava a quella artistica, spendendoci passione, tempo e denaro, tanto era prepotente in lui il bisogno di esprimersi. Ma per il poco tempo che aveva a disposizione e per la sua proverbiale incapacità di autopromuoversi, Diego non riusciva a proporre il suo lavoro artistico. E in più era incapace di esprimersi in lingua inglese. Francesca si era dimostrata per lui un supporto sempre più prezioso, se non indispensabile, garantendo i contatti con l'estero. Lei lo faceva volentieri nei momenti liberi dopo l'insegnamento in una scuola elementare, a cui si dedicava con amore e passione.
Non avevano figli. Diego non ne aveva mai sentito la necessità e Francesca, dopo una serie di scontri e discussioni, aveva rinunciato.
Era però entrata in una profonda depressione che l'aveva costretta ad assentarsi dalla scuola per un anno. Diego aveva finalmente capito quanto un figlio fosse importante per lei e aveva acconsentito all'idea di diventare padre. Ma dopo una serie di visite e accertamenti medi- ci, era stato verificato clinicamente che Francesca non avrebbe mai potuto concepire. Lei era una donna forte e se n'era fatta una ragione buttandosi a capofitto nel suo lavoro, riprendendo gli studi universi- tari interrotti e occupandosi della parte artistica di Diego.
Erano legati da un profondo affetto e da interessi comuni come l'arte, la lettura e i viaggi. Anche l'intesa sessuale era più che soddisfacente e si ritenevano fortunati in confronto a molte altre coppie.
Diego era un uomo fedele e sincero per indole e non cercava avventure e tradimenti. Fisicamente era di aspetto gradevole: alto di statura, un fisico asciutto e atletico dovuto a lunghe cammina- te, capelli neri e mossi che negli anni settanta aveva portato lunghi sulle spalle, ma che ora si stavano diradando alle tempie. Non era certo del genere macho o dal sex appeal travolgente, ma trasmetteva un fascino che derivava da un suo tormento interiore e da una co- stante e irrequieta ricerca. La vita che conduceva tutto sommato lo soddisfaceva, ma il suo malessere derivava da un profondo disagio, dall'incapacità di accettare il tipo di società con cui si confrontava ogni giorno e dalle scelte obbligate a cui doveva piegarsi. Riversava nelle sue sperimentazioni fotografiche la sua ricerca spasmodica di libertà. Ma non appena realizzava un progetto ricominciava la ricerca inseguendo nuove idee.
Si lamentava di non avere il tempo per pensare perché doveva la- vorare e, finché viveva in quella piccola città di provincia, non avrebbe mai avuto alcuna speranza. E così via. Il suo pessimismo–nichilismo era proverbiale e tutti compativano Francesca che faceva del suo meglio per supportarlo. Lei però lo amava moltissimo e credeva nel suo potenziale creativo, malgrado i malumori e le crisi dell'artista.

Dopo due mesi di scambi di fax e telefonate – agli inizi degli anni novanta il computer non era ancora di uso comune – Francesca riuscì a ottenere il permesso per alcuni scatti alla Scala all'unica ballerina che aveva aderito al progetto. Si trattava di una solista o, per meglio dire, una sujet, appartenente al corpo di ballo dell'Operà di Parigi e temporaneamente ospite del teatro di Milano. Ma era già qualcosa.
Arrivarono a Milano in treno, in una gelida mattina di gennaio e con tutta l'attrezzatura al seguito. La segretaria li accompagnò per una serie infinita di corridoi e scale, fino allo studio destinato alle prove.
Adele, la ballerina, era già lì e si stava dedicando agli esercizi di riscaldamento alla sbarra. Diego depositò in un angolo la pesante borsa con il materiale fotografico, mentre Francesca appoggiava accanto il cavalletto e il flash. La ballerina si voltò solo quando la segretaria le si avvicinò per avvisarla del loro arrivo.
Francesca interpretò tale comportamento come una forma di maleducazione e di supponenza. Quando finalmente la vide in volto, la sensazione di antipatia si rafforzò: di ballerine veramente belle conosceva solo Elena Sillani, ma solo perché compariva spesso in TV. Lei e Diego non avevano mai assistito a spettacoli di danza che, fino a quel momento, non rientravano nei loro interessi.
Questa, invece, era di una bellezza singolare, che non colpiva immediatamente, ma si rivelava a poco a poco, soprattutto nell'intensità dello sguardo. Quegli occhi di un colore indefinito parlavano da soli: comunicavano gioia di vivere e malinconia nello stesso tempo, limpidi e trasparenti come l'acqua di una spiaggia tropicale. Era indubbiamente molto giovane, molto più giovane di Francesca, ma la sua freschezza era interiore, una freschezza che non si confondeva con la leggerezza degli anni e portava in sé una consapevolezza e un'esperienza di vita inusuale per quell'età. Non era solo una bella ragazza. Di belle ragazze era pieno il mondo e a Diego non interessavano, non era proprio il tipo da avventure. No, c'era molto di più in lei.
Francesca vide tutto questo con una sola occhiata e le bastò. Non era mai stata un'attenta osservatrice e la sua accentuata miopia, nonostante il supporto degli occhiali, non l'aiutava di certo. Era sempre stato l'istinto a guidarla, come in quel momento. Per la prima volta sentì una crepa aprirsi nelle sue solide certezze e il suo cuore le suggerì di stare all'erta.
Si presentarono. Adele si scusò di non essersi accorta della loro presenza, concentrata com'era negli esercizi di riscaldamento.
Diego le spiegò brevemente come intendeva procedere e subito iniziò a scattare, totalmente preso dal suo lavoro.
Adele si muoveva con grazia e leggerezza, apparentemente assorta in una sua musica interiore. Nessuno aveva pensato infatti ad un sottofondo musicale. Per Francesca era inconcepibile poter danzare senza la musica ed era ammirata, suo malgrado, da questa capacità.
C'erano problemi di riflessi di luce sugli specchi, quindi Diego invitò Adele a stendersi sul pavimento nero, perfetto come sfondo per le foto che aveva in mente di realizzare. Poi salì su una sedia per riprenderla dall'alto, mentre lei allargava le gambe in una posa che a Francesca parve inequivocabilmente volgare, mentre per Adele significava solamente una figura di danza.
Non aveva mai avuto motivo per essere gelosa. Anche quando Diego scattava foto di moda a modelle per servizi di biancheria intima, questo non le provocava alcuna reazione, sapendo che si trattava di lavoro. E come modella per le foto di nudo Diego sceglieva ancora lei. Perché ora provava un'incredibile voglia di prendere a schiaffi quella ragazza? A ben pensarci non era quel gran “pezzo di gnocca” – espressione tipica delle sue parti – anche se era dotata di curve e ben modellata, a differenza della maggior parte delle ballerine che le era capitato di vedere di sfuggita e che sembravano anoressiche.
Diego stava usando la sua amata Polaroid e ogni tanto invitava Adele a dare un'occhiata ai risultati. Lei dimostrava un genuino entusiasmo a ogni fotografia, commentandole come fossero dei gioielli unici e preziosi. A Francesca sembravano reazioni esagerate. Lei era consapevole del talento creativo del suo compagno, altrimenti non l'avrebbe mai sostenuto e spinto nel mondo dell'arte, ma non aveva mai manifestato un tale entusiasmo!
Diego non pareva particolarmente impressionato dai complimenti, ma era fatto così. Si capiva dalle reazioni successive se era gratificato, oppure deluso. Era a “lento rilascio”, come i medicinali.
Dopo circa un'ora si ritenne soddisfatto e invitò cortesemente Adele per un caffè. Lei declinò l'invito, con grande soddisfazione di Francesca che a quel punto le si avvicinò per prendere accordi. Adele le rivolse un sorriso disarmante e la salutò con tale trasporto che lei stessa non poté che ricambiare spontaneamente.
In treno Diego era particolarmente loquace, al contrario di Francesca.
– Cosa te ne pare delle foto? Pensi che Chaine sarà soddisfatto? E la ballerina? Ti sembrava contenta del risultato? –
– Beh, non si capiva? Era tutto uno squittio! – ribatté Francesca.
– Può essere che l'abbia detto solo per compiacermi! Queste sono tutte prime donne, abituate al palcoscenico e alle adulazioni. – continuò Diego senza far caso alla sua ironia.
– Intanto è solista, o come cavolo si dice in francese, e non prima ballerina, – puntualizzò Francesca – ma forse è diversa da tutte le altre! – commentò con un sorrisino provocatorio.
– Macché diversa, sono tutte uguali in quel mondo! È come la moda e la politica! Per entrarci devi essere per forza fatto di quella pasta! –
– E perché allora avrebbe accettato di lavorare con te e gratis, in cambio di un'ipotetica pubblicazione? Oltretutto arriva da Parigi e quindi con la proverbiale puzza sotto il naso! –
– E che ne so io! Sarà stata attirata dalla lettera di Chaine, forse spera in un ritorno d'immagine... dopotutto è ancora pseudo–solista, come hai appena detto tu, mica prima ballerina! A me basta che le foto vadano bene al tipo di New York. – E con questo chiuse il discorso, aprendo il quotidiano acquistato all'andata.
Francesca si rasserenò: se Diego non aveva fatto commenti particolari, allora era lei che stava costruendo scenari immaginari.
Aprì il libro di psicologia dell'età evolutiva e s'immerse nello studio.

Daria Collovini

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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