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Autore: Laura Gallina
Carta e penna ce le avevo
Poesia
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Carta e penna ce le avevo
BARCHE DI CARTA
Carta e penna le avevo
Avessi potuto, avrei disegnato
Colorando di Sogni il passato
Se potessi
Canterei alla morte
Di quanto avara è la sorte
Di chi nasce
Un po' per caso
Un po' poeta
Come vaso di creta
Plasmato a piacere
Dal Vento
Uno su cento
E già siam troppi
Uno su mille?
Come scintille
Fuggiasche
Vuote le tasche
Scappate dal fuoco noi siamo
Siam tra i boschi, ora nei laghi,
Sulla cima del Monte
Ci fermiamo un poco,
Sugli scogli bianchi,
Noi, stanchi,
Per riposare
Come barche di carta
Senza nocchiero,
Nel mare ormai perse
Ci facciamo mistero.

SETE
Non bevo per sete
Il ben più allegro vino,
Che, dolce al palato,
Mi par sopraffino.
Papille si fondono,
Pupille si accendono,
Di ardire beati,
Completi ubriachi.
La festa si fa,
Mestizia settimana,
Di sabato, si sa,
La vita è un poco strana:
Tutto vale, è un Carnevale.
Sono in giro molte maschere
Che, finalmente escono,
Dal lor settimanale
E redditizio impiego,
Divertire si vogliono,
Liberi dal sussiego.

LA SCATOLA
Apriam dunque la scatola,
contiene ori e preziosi,
che fu da un tempo immemore,
che furon di viziosi
circoli assai esecrabili
e giri di denaro.
Purtroppo è un dono vano
l'aver questo tesoro
che reca sorte infausta
a chi ama solo l'oro.
Lor bene e presto intendono
di farci su l'affare
ma capire non possono
il vero suo valore.
La scatola è sorpresa,
finchè rimane chiusa,
ma poi, una volta aperta
la bocca del leone
ed il vaso di Pandora
comincerà stagione
finor del tutto nuova
a questa mia tenzone,
tra Te, me ed un Maestro
che ci insegnò la Vita,
ma poi se ne andò presto
tra i Cieli a benedire
le anime dei poveri
che ancora han da venire.

SEMISERA
Mi dice tale Gianni,
si tratta di uno serio,
che scrivo gran cazzate
e queste sono nate
dalla mia testa mesta.
Ora ti faccio festa,
ti dedico una rima
che, come ora, mai prima,
mi viene dalla pancia.
Mi scrive dalla Francia,
che lui grande poeta,
nella vita si arrangia
con la sua gran moneta.
Sarai anche uno ricco,
ma in culo io ti ficco,
con un po' di ironia,
questa mia poesia.
La sera si fa presto,
ma ora non è l'ora,
che siam di pomeriggio,
e qui fa caldo ancora.
Orsù, cosa ci vuole
a dirmi nella faccia
che la mia rima odi
che tali spesso taccia
di tristezza infinita.
Sepolcri ve ne andate
ad imbiancar cazzate.
Sei un imbratta muri
e qui son tempi duri
per quelli come te,
ma ora c'è il caffè,
perciò qua la finisco,
che intanto me ne infischio.

GRONDA UNO SCRONDO
Dall'onda bagnato
giocondo e stupito
Riman come Scrondo
Grondando divertito,
che pure la Scronda,
sua amica invereconda,
irriverente e tonda,
non sa fare a con l'h.
Soggiacciono i due,
sullo scoglio aspettando
di stelle cadenti,
di lustri sentieri,
di pigre mollezze,
mollanti schifezze,
che per ogni poro,
par luccichi d'oro,
sempr'arie si danno.
Mannaggia a quei due!
Che scrondi che sono,
l'amica e anche lui,
di Scrondo hanno il suono.

UN PO' D'ETICA IN POLITICA
È ora
Di scegliere ancora
Da quale parte stare.
Coi buoni o coi cattivi?
Lo gridano a gran voce
Dai puliti, e la gente
Confusa da un saccente
Piano promozionale
È certa di restare
A fianco di vincenti
Partiti oppure forti
Poteri istituiti
Da chi li vuole morti.
Teniamo chiusi i porti
O apriamo verso il mare
La nostra anima candida,
Per poter navigare
Su quelle antiche rotte
Che furono corrotte
Fin dai remoti tempi
Di Guelfi e Ghibellini
Di lotte ed intestini
Giochi di potere
Meschini desideri
Di onori senza onere
Mi danno da pensare
Che è ora di cantare
Al posto di una muta
Paura e singolare
Voce di chi rifiuta
Di vendere anche il mare.
Un nuovo dio narrante
Mi è entrato nella testa
Non sono io a parlare,
Ma lui, da una finestra:
-Su quanto è brutto il mondo
ne han fatto girotondo,
ma chi alle vie di fatto
passare poi dovrà
si dice il Cittadino
che da sborsare avrà
per dare a quei cretini
che stanno al Parlamento,
stipendi e bonus varii
al Governo, tutto quanto.
I furbi già lo sanno
non c'è pena di morte
andiamo, presto e subito
incontro a miglior sorte!
Se poi sopravviviamo,
l'Italia a noi aprirà
tutti quanti i suoi porti
e tanta libertà
di far ciò che ci pare,
affare losco o vendita,
il bel Paese sarà
costretto a far di un fascio
ogni singola realtà.
Poi dicon dei razzisti
Di questi italiacani
Si chiamano leghisti
A noi rompono i piani
Di fuga o d'invasione?
Aperta è la tenzone
Per la mondovisione
Tra il Premier e la crucca
Che in fondo al mar si butta
Per 5mila euro
Farei anch'io di meglio.
Senz'altro io non vado
In un altro paese
A rendere del tutto
Le regole di Stati
Inappropriate o invalide,
Per favorir gli scali.
Sono 42, quei poveri africani
Tu vivi in un castello
Con i tuoi sette alani.
Portateli tu a casa
Che hai bella e prosperosa
Che noi dall'indigenza
Parliam come potenza
Votante di una Italia
Che poveri ci ha resi,
Son tutti manigoldi,
Corrotti e pure ingordi.
Già ci pensò Platone
Nella sua grande opera
Ed anche Cicerone
Lo scrisse in una lettera:
-chi vuole governare,
alcuna proprietà
lui non può amministrare.
Che già amministra isole,
penisola e le terre
che alcune Noi perdemmo
durante le due guerre. -
Come sarà la terza?
Si chiede la mia testa...
A me già ora sembra
che noi ci siamo dentro,
Che sia quarta, o la terza,
Stagione di episodi
Che saga cominciò
Già con Romano Prodi.
È facile assai scrivere
Chilometri di pagine
Su quanto siano brutti
Leghisti ed ignoranti
Vorrebbero che i tanti
Che fan delle promesse
Fossero tutti uguali
Al loro Presidente.
Se questa è la politica
Tenetevela voi,
Per me già è una fatica
Il viver quotidiano
E al vostro triste piano
Di fare dell'Italia
Lo scarico di Europa
Rispondo con le rime
Su quanto sia la poca
Coscienza di ogni cosa
A farvi dire in prosa
Che siamo brutte anime
E che sia nostra la colpa
Se delle Vostre case
Chiudete voi la porta.
Dovremmo accogliere tutti
Siam proprio tanto brutti
Perché ci mancan soldi
Diritti ed un lavoro
Per render la Repubblica
Il giusto suo tesoro.
Abbiamo arte e industria
Però è dei porti e basta
Che voi vi interessate
Facendo degli sbarchi
Le vostre sporche crociate.

MATEMATICA LIBERA
Se non saranno i numeri
A darmene ragione
Sarà la libertà
Di scrivere il copione
Che vo ad interpretare.
Noi tutti attori siamo,
ma quando non possiamo
fare ciò che più garba
nell'animo ciascuno
di noi sente il richiamo
che come una foresta
di numeri che ho in testa
comincia lesta lesta
a scriver la mia mano
un, due, tre , quattro, cinque,
il tempo con il piede
lo tengo qui un momento
per invitarvi al ballo
di numeri al castello
adornato di liberi
cedri del Libano.
Parole come numeri
Che stan sempre a far festa
è come una sequenza
che è già dentro la testa,
di sillabe compiute
per troppo taciute.

INSALATA CON DITA
MI SFOGLIO
Su pagine voglio
Voltare le vesti
Che tu mi dicesti:
-sei bella- mi spoglio,
per farti piacere
con queste mie righe
da farti sentire
il ben che ti porto
in dono ti dono
me sola io sono
dai poveri gesti.
M'inchino un pochino
Reclino il mio capo
In Te riconosco
Il mio più bel bosco
Di fragili foglie
Che del tanto dentro
Io, vuota, mi dolgo.
Di fronte ho Te solo
Mio unico faro,
s'è sera mi perdo
al tuo dolce riparo.

LEGITTIMO FELICE
Sono figlia del mio tempo
E di ciò io non mi pento.
Se di un'opera si tratta
Non è affatto di un'astratta
Melodia fuori dal coro,
Piango con lacrime d'oro.
Le monete, e non ti mento,
M'interessano assai meno
Dell'imperitura gloria,
Oltre la soglia,
Di chi è caduca foglia
Che di primavera versa
Come salice in tempesta
Tutto ciò che ha nella testa.
Sono certa, io non mento,
Come chi è una rima fuori
Ma da dentro sono orrori.
La vergogna non mi manca
Per confondere una stanca
Melodia di gran parole
Che d'autunno cascan sole
Sul tappeto erboso ormai
Divenuto una raccolta
Di una foglia e poi di un altra.
L'esser viva non mi manca
Ma il potermi annoverare
Tra i messaggi da salvare
Benché presto, ormai si sa,
Perderà d'identità
Anche questo mio ultim scritto
A favor di chi è più ricco.
È una vita, e i suoi affanni,
Così è, non farne drammi,
Impariamo ad aspettare
Quando? È il Tempo
A comandare.
Io a Lui lascio questa sola
Mia, non ultima parola,
Mentre spero vivamente
Che felice sia la gente,
Ma legittimamente.

LEOPHARD
Truccata ora mi sono
Per essere più bella
E far buona figura,
Un'ottima pagella
I voti sono alti
Così come la scuola
Frequento al terzo piano
E ciò un po' mi consola.
Non vola la Gallina
Anche se le ali ha,
Pinguino è pur uccello
Che le sue uova fa.
Non cova come gli altri
L'uccello dell'Antartide
Perché rimase privo
Nel gelo del suo covo.
Di sei in sei le uova
Io dodici ne ho fatte
Che poi le ho strapazzate
In rime un po' inesatte.

DIVINA COMMEDIANTE
Chi non vorrebbe essere
Più grande di uno simile,
Che fu da tempo immemore
Di onori a Lui asserviti
Che tutti i gran poeti
Vi furono riferiti.
Lui scrisse. È questo il punto.
Dalla Commedia in poi
Nulla così fu fatto.
E, cosa assai più bella,
È un'altra, in fin dei conti,
Ed è che 'sti poeti
Son quasi tutti morti.
Sai l' essere con Dante
Sui banchi della scuola?
Che tedio l'insegnante
Su quanto bravo è Dante.
Ma all'oggi non c'è scampo
In questo grande campo
Di racconti intensivi
Di chi resta tra i vivi
Pur sperando che un giorno
Vi si faccia ritorno
Con lo studio di libri
Ed ai posteri figli
Che di postumi versi
C'è abbondanza di sprechi
Continuiamo a suonare
Come poveri ciechi
Alla luce nascosti
Ingobbiti dai nostri
Più pesanti fardelli
Leopardi novelli
Nella giungla autoriale
Ci vogliamo mostrare
Commediando cantiamo
Questo coro innalziamo
Sindacati dei sogni
Ora alzatevi lesti
Che son pieni gli scrigni
Di segreti funesti.

APP LAUDO
Laida applaudo
Di esotiche rime
Il mio cuore redento
Torna piano al suo grembo
Di frenetico limbo
Come estatica quiete
La parola conduce
Verso rive di versi
In idiomi ormai persi
Che chi scrive in inglese
O italiano o francese
Cambia accenti
Ed uccide
Vile l'ego dirige
Socchiudendo le imposte
Per dormire d'un sonno
E di un epico inganno
Tra la veglia e la notte
Ecco farsi le ore
Di ben note mattine
È di nuovo chiarore
Non si spegne la luce
Di quel sole di giugno,
Che la luna accompagno
Nel suo languido verso
Di ritiro, ha ormai perso
Il bagliore notturno
Senza zaino mi tuffo
In un lago di sogni
Dove tutto è più terso.

COME STAI?
STO NATA
A natale dirai
Che dovevo morire
Nei pensieri di chi
Ha voluto predire
Un brillante futuro
E felice sicuro.
Ma Tristezza mi piacque
La sua grande mollezza
Come acque divine
Che il bel mondo disprezza.
Alla fonte di Icaro
Non scordai di fermarmi
Per volare nel Sole
E le ali bruciarmi
Di pennuta o pennata
Di una penna dotata
Depennata in appello
Come povero uccello
Da quei cieli cacciato
Da barbaro peccato
Di Superbia ho esultato,
Senza rendere conto
Delle ali di cera
C'era Luce la sera
Era una candela nera.

ALBEGGIA UNA SCO...
Guarda! Albeggia...
Sono puzzette di angeli
In cerca di una casa
Aleggia sulle nuvole
Odore di scoreggia.
Se questo vi fa ridere
Provate a immaginare
Che tutta la bellezza
Che potete ammirare
In un soffio
Fu creata
Da puzzette ben più grandi
Da lasciarci le mutande
Mentre odor di Universo
Si espande.
E fu un Dio
A fare questo,
Né mutande, né Biopresto,
Che dai mille colori
Venner fuori gli odori
Che noi oggi aborriamo
Come peste lì trattiamo
Ma, io vi dico,
Dall'alto del mio scranno,
Che mia meta è il metano
Che fuoriesce dall'ano
Come un buco di culo
Di universo venturo
Ha creato il creato
Di saper non è dato.
LA PEPPATENCIA
Davanti ad uno specchio
Siam tutte damigelle
Chi dama d'oro o coppe
Chi di denari ha molti
Ma della Peppatencia
Nessuno vuol parlare
Che, dietro quello specchio
Le assomigliam parecchio.
Lei viene disprezzata,
Che dama sfortunata
Sarà per via del picche
Che pare porti sfortuna,
Che è una bella carta
In fondo come nessuna.
Se lei è assai diversa
Dipende dalla gente
Che prima dice picche
E poi non dice niente.
Rendiamole ora omaggio
A questa Peppatencia,
Ha proprio un bel coraggio
Nell'essere diversa
E qui sta il suo valore,
Nel non aver paura
Di essere nel mazzo
La regina più scura.

QUADERNO A COLORI
Acchiocciolato a chiocciola
In fondo ad una scala
Tra ragnatele e ratti
Se ne stava.
Poi tutta quella polvere
Che si scrollò di dosso
Finì in un posacenere
Posato lungo un fosso..
Le gambe a penzoloni
La testa a guardar giù
Un soffio di tabacco
Tua unica virtù.
Non sei poi così candida
Amica mia speciale
Che, dentro la tua anima
Ti fanno ancora male
Le parole ed i giudizi
Di chi parla dei tuoi vizi.
Guardassero le loro
Estreme povertà
Di esseri perversi
Che già tu hai i tuoi versi,
In essi ti consoli
Sperando che risuoni
Quell'eco suo bellissimo
Che hanno per te i suoni.
Son sette meraviglie,
Come l'arcobaleno
Che a te sembrano musica
Di colori strapieno
È il quaderno di quell'eco
Che viene da lontano

UN PO' TAGLIENTE
E non posso calmare
La burrasca marittima
Di parole che ho in tasca.
Paura di sbagliare
Io adesso più ne ho
Che prima di dormire
Mi metto a sbadigliare.
Con una cantilena,
Che addormentar mi fa,
Si crogiola il Poeta
Pensando: - è questa qua-
La rima sua più bella
Ancor ha da venire
Che il pensiero àncora
Sulle sue basse mire.
Amica mia non piangere
Se il mondo non comprende
Che tu non sei cattiva
Sei solo un po'... E..
Tagliente, ti fecero
Affilata con bava
Di serpente.
La verità assoluta
Nessuno qui ce l'ha
Da dove sia venuta
Nemmen questo si sa.

PO'... E SIA
Che scorra lungo il fiume
L'aver sempre ragione,
A me non interessa
Se passo un po' per fessa
Conosco l'italiano
Ed è un pochino strano
Che grandi luminari
Per me senza alcun pari
S'accingano alla meta
Di parole di creta
Lo scrivo, poi lo dico
Vi grido: - giù dal fico! -
O voi, alti papaveri,
Che più pensier mi danno,
Quei pochi altolocati
Di anima lo sanno.
Son buona, ma non stupida,
La Vostra guerra tiepida
D'onori e di gran fama
Immemore nel Tempo
Vi rende pigri dentro.
Voglio restare piccola,
Lo dissi in altra rima,
Perché chi sta con gli umili
In Cielo arriva prima.

È ORA DI DORMIRE
Che i sogni, poi, arrivano
Aspettano Morfeo
In fila come al cinema.
Si guarda la TV,
Ed ecco, il sonno è qui
Appeso sulle palpebre,
Un salubre riposo
Si augura ben memori
Della leggenda antica
Dei Pisani sugli occhi
Ed ecco, si fa il sonno,
Arriva su quel ciglio
Che sta dietro la veglia.
È come avere un film
Già dentro la tua testa
Che i sogni presto arrivano
E poi domani è festa
Che si vuole scoprire
Com'è andato a finire
Quel sogno che la sveglia
Troppo presto interrompe
Lasciandoci il sapore
Di un film senza il finale.

LA SAI L'ULTIMA?
Prometto, questa è l'ultima,
Ma ridere mi fa,
Gallina e un po' pavone
Io sono in verità.
Sappiamo bene tutti
Cos'è la vanità
Che il plauso noi cerchiamo
E gran notorietà.
Se poi arrivan soldi
Che fai tu? Non li prendi?
Ma il soldo è solo l'ultimo
Tra i nostri tre pensieri
Che prima vengono facili
Altri due desideri :
L'uno è un applauso vero
Con piglio assai sincero
Di un pubblico che ascolta
Di noi una raccolta.
Il secondo è una silloge
Poetica, s'intende,
Che superi in bravura
Quelle dell'altra gente.
Una sinossi tattica
Cerchiamo a più non posso
Per far dei nostri versi
Di una collana osso.

FAMMELO BUONO
Bello alcolico, ti prego,
sul gin non lesinare,
fai scendere il tuo ego
da quel piedistallo
su cui ti hanno messo,
ma attenta! Che anche un fesso
si accorge di quel nesso
che manca al tuo cervello.
Nella tua mente manca,
poiché sei nata stanca,
quel senso di fatica,
che vuoi che tiu dica?
Ti fan solo piacere
Quei soldi e le due chiacchiere
Di un tipico mestiere
Di chi non sa studiare,
che nulla si può dire,
ti resta il sol tacere
e il pianger per le rime
di questa sporca sguattera
che ti ha fatta arricchire.
POKER
Piano piano anche la sera
lascia il passo a questa notte
che si fa ancora più nera
sotto queste fitte note.
Troppo è troppo, mal sopporto
chi vuol mettermi alla porta,
che da sola me ne parto
avanzando qualche scorta,
pochi sogni per la notte,
senza occhi gioco a carte,
con la vita estratta a sorte,
ch'è di poker la partita.
CREATINA CREATIVA
Di gabbiano ha il soppracciglio,
del gran capo ha sempre il piglio,
non sa scrivere il suo nome,
ma le tasche ce le ha buone.
Lui per comandare è nato
che sa fare poco altro
se non dirti cosa fare
come un vero generale.
Va che uomo abbiamo qui,
con i muscoli ed il resto,
che fan uomo l'altro sesso,
chi ti credi? sei fesso?
forse sì, tu sei belloccio,
ma cervello non ne hai,
creatina a più non posso,
per aver gli sguardi addosso.
Sai che pena che mi fai?
Vorrei dir di te...non posso.

BIANCO E NERO
Un po' di bianco e nero,
Ridotti all'essenziale
I tratti e la tua luce,
che va a fare la pace
con gli angoli di ombre,
curva la stessa immagine.
Un quadro, in nero e bianco,
Da quando, in quello stanco
Assol di pomeriggio,
Coi fucili spararono
Che quattro ne hanno uccisi.
Il sangue scorre piano,
Macchiati anche i sedili
Di bianco rivestiti
Del pullman che, fermato,
diventa la Tua tomba.
Rimbomba un altro sparo.
Hei tu! Sta a terra. Stesa!
Allunghi la tua mano,
ne esci, infine, illesa
nel corpo, ma la mente
malamente ricorda,
anche controvoglia,
che ti han resa sorda
In quel tuo primo viaggio.
Non trovi più il coraggio
Di scrivere a colori,
che del sangue gli odori
dal foglio tuo risalgono.
Non è abbastanza intenso
Il rosso, che di un denso
Colore un po' più scuro
Si fa il tuo segno, duro.
Son pietre le parole,
rotolano da sole,
miliari al capolinea
di quella triste gita
che ti rese una vittima:
hai perso il Tuo colore,
ricorda ora, ti prego!
Adesso nel dolore
Di viola vai vestita,
Violenza di violetta
Mai fu più profumata.

Laura Gallina

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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